Una volta Cristina aveva detto che le piacevano le mele e il miele e Sally aveva deciso che anche lei amava entrambi. Si erano viste per la primissima volta nell'aula magna del liceo di Sally a Crespole. Cristina era stata un'aspirante poetessa e quel giorno l'avevano invitata a leggere i propri componimenti. L'invito era partito da una professoressa che Sally giudicava un'insegnante ottima ma con un gusto alquanto dubbio in fatto di poesia. Le parole lette non le aveva ascoltate, ma si erano guardate per tutto il tempo dentro agli occhi. Cristina era stata fatta accomodare su una poltrona, rivestita in finta-pelle e in lei tutto sapeva di falso. La finestra larga spalancata alle sue spalle conteneva in parti uguali il cielo azzurro e il giardino verde. L'impressione che aveva ricevuto Sally era stata quella di osservare il corpo di una Cristina semi adagiata sulla pelle e in parte distesa sul prato. Più tardi si erano incrociate di nuovo all'esterno: Cristina stava scendendo la scalinata, Sally era già fuori dal cancello, il sole di Giugno illuminava la fine dell'anno scolastico. Aveva quasi raggiunto la fermata dell'autobus che prendeva per tornare a casa, quando si sentì chiamare da Cristina. Ora, accadeva lo stesso, quasi quindici anni dopo, sotto un sole altrettanto ricco. Ricco era la parola giusta per definire un cerchio così dorato, luminoso, quasi succoso. Frutto del cielo estivo. L'unica differenza stava nel fatto che Sally non aveva la necessità di prendere un mezzo pubblico per tornare a casa, passava di fronte alla fermata con l'unico scopo di allungare il tragitto verso la macchina e mantenere la forma. “Sally, ce l'hai un accendino?” Sally strizzò gli occhi come una miope nel pomeriggio estivo, si colpì la fronte con le dita, sentendosi come se l'avesse punta una zanzara e si tolse l'accendino dalla tasca. Dal passato niente riemerge mai intatto, come nuovo, come lo ricordavi. Cristina le stava davanti col cellulare incollato alla guancia, la parola top ricamata in rosso sul cuore e una gonna che, agitata da un vento soffocante, metteva in mostra le sue gambe scheletriche. Era evidente, a differenza sua non aveva bisogno di fare alcuno sforzo per tenersi in forma. Non c'era più traccia delle cosce piene che fino a dieci anni prima, a quando risaliva il loro ultimo incontro, l'avevano tenuta a concentrarsi sulle ciglia di Cristina per non farsi scoprire a scenderle costantemente con lo sguardo oltre la vita. Lanciò l'accendino, l'altra non riuscì ad afferrarlo e quello cadde sul marciapiede. “Ti ricordi di me?” chiese stupita. Alcuni sospiri dopo Cristina mise via il telefono, restituì l'accendino e si sedettero una accanto all'altra. “Me ne ricordo, sì. Ricordo anche il giorno in cui ci siamo incontrate. Le mie poesie ti avevano disgustata.” “No, non è così.” Sally sorrise mentre si costringeva a rientrare nel proprio corpo dopo quel rapido viaggio del passato. “In verità per me le poesie hanno sempre avuto un suono ingenuo, perché non sono in grado di coglierne i messaggi.” Ebbe l'impressione che il cielo le si aprisse sulla testa mentre rievocava il tragitto verso casa fatto insieme alla Cristina di anni addietro, quando infine aveva deciso di non prendere l'autobus. Era una Cristina diversa, tuttavia, quella che costruiva strofe senza alcun dettaglio memorabile. Ma era stato grazie a quelle parole vuote se il suo volto all'epoca le era apparso così pieno e unico. Adesso la ritrovava con una faccia irrimediabilmente comune. “Dissi soltanto che le tue poesie mi parevano parlare sempre e soltanto di morte e mai di emozioni, ma io, in fondo, non sapevo niente di poesie né di sentimenti. Anche oggi continuo a non capirci nulla.” “Non è vero” terminò Cristina lasciando cadere la sigaretta, la quale si spense con un sibilo, prima di tirar su dalla borsa un porta pillole e una bottiglietta d'acqua. Sally si trattenne dall'informarsi sulla natura di quelle perline commestibili e distolse lo sguardo dissimulando la curiosità. Cristina chiacchierò da sola per i successivi cinque minuti, disse che si trovava in città per il battesimo della figlia di una certa Simona e non si sarebbe fermata a lungo. Bloccò il corso delle parole aggrottando le sopracciglia come in attesa di domande che non arrivarono. Allora si alzò e un attimo prima di sparire dietro le porte automatiche di un autobus in sosta da qualche secondo, allungò a Sally un biglietto con un numero segnato sopra, il suo di certo, “giusto in caso.”
Sally guardò il biglietto con le dieci cifre scritte. Forse articolò un “va bene.” Aver trascorso tanti anni senza vederla, aver rimosso ogni cosa che la riguardava, per poi sentirsi d'un tratto travolta da tutti i sentimenti un tempo nutriti per lei, senza ricordare i momenti e le circostanze in cui erano nati con esattezza, ebbe su di lei l'effetto di sentirsi annegare in un bicchiere d'acqua senza nemmeno poter vedere il bicchiere. O di trovarsi in una massa d'acqua, senza spiaggia intorno. Durante la loro prima passeggiata, quella che Cristina le aveva appena riportato alla memoria, non si erano scambiate né il numero di telefono né, ancora prima, una stretta di mano. Nemmeno si erano dette i loro nomi come sarebbe stato logico fare. Sally non aveva ritenuto necessario chiedere a Cristina come si chiamava, era già stata presentata dall'insegnante che l'aveva invitata e l'altra non aveva domandato nulla perché di Sally le interessava tutto tranne il nome. Aveva notato, per esempio, che Sally aveva dei corti capelli biondi e appariva più vecchia di tutti i suoi compagni. Inoltre, aveva un paio di occhi leggermente tirati da orientale e una pelle più abbronzata del dovuto per quel periodo. I suoi tratti rendevano difficile determinarne l'età. “I tuoi capelli sono tinti?” glielo aveva chiesto all'improvviso davanti alle strisce pedonali che le separavano dal marciapiede di fronte all'edificio. C'era stato un motivo dietro quella domanda, si era messa a fissare la capigliatura di Sally per non guardare la strada. Cristina aveva l'abitudine di camminare a testa bassa e del paesaggio vedeva solo ciò che le stava sotto i piedi. Quel giorno non era caldo come la prima volta che avevano camminato insieme, le nuvole imbrattavano l'abito azzurro di Luglio e quella distesa d'asfalto, tigrata dalle strisce pedonali, metteva solo una voglia infinita di piangere. Sally s'era voltata, guardandola da sopra lo zaino: “Anche se fosse?” Ogni traccia di curiosità dal viso di Cristina era sparita e aveva alzato le spalle. “Comunque no, non sono tinti.” A Cristina era sembrato di vedere, per un attimo, la stessa diffidenza degli occhi di sua madre nelle iridi di Sally. “Te l'ho chiesto solo perché mi ricordano i capelli di mia mamma. Lei li tagliava come te e li tingeva di questo colore.” “Sicuramente mi sto sbagliando,” dedusse Cristina tornando a fissare la segnaletica stradale, “lei non mi ha guardato con diffidenza e il colore dei capelli di mia madre non era affatto uguale al suo. Gli occhi della memoria non ci vedono mai bene. Storpiano le immagini secondo i desideri del cuore.” Il percorso del ritorno fatto insieme era diventato un'abitudine dal giorno della lettura delle poesie da due soldi in Aula Magna, Cristina parlava molto e Sally ascoltava sempre. Durante una di quelle passeggiate Sally aveva percepito sgradevoli brividi correrle per la schiena e arrivare a pungerle il cervello con un sospetto. Cominciò a studiare il viso di Cristina. “Mi hai detto che tua madre è morta, ma non mi hai mai detto come e non ho mai visto casa tua.” “Nemmeno io ho mai visto la tua e se non ti ho ancora invitato nella mia è perché in primo luogo a mio padre non piace quando porto gente a casa, e in secondo luogo tu non mi hai mai invitata da nessuna parte. Non ho cortesie da ricambiare.” Sally aveva sorriso, quelle parole avevano appena evitato loro di rovinarsi il pomeriggio e in più le avevano offerto l'occasione di continuare a stare insieme a Cristina. Oltre al tratto di strada durante il quale si tenevano compagnia non si erano mai date altri appuntamenti, non avevano più allungato il loro tempo insieme. “Quando la metti così... ti ricordi di un ragazzo chiacchierone che era là con noi nell'Aula Magna?” “Sì, l'ho rivisto ieri davanti alla Chiesa di... quella con una specie di cavallo sulla porta...” “Non conosco i nomi delle chiese, non le ho mai frequentate” si scusò Sally. “Non ho una buona memoria.” Cristina non disse altro, Sally aveva capito che la memoria non c'entrava, quella era la chiesa in cui avevano avuto luogo le esequie della madre della sua amica. “Comunque, come si chiamava il chiacchierone di cui mi stavi parlando?” ricominciò Cristina. “Ugo.” Cristina riuscì a ricordare un compagno di classe di Sally, minuto, con la faccia rosa e gli occhi che sembravano doversi prendere sempre gioco di qualcuno. “Allora, volevo dirti che lui ha una casa in campagna a Cascinali. Una bellissima casa. Alla fine dell'anno passiamo la notte là per salutarci. La maggior parte per ubriacarsi, devo dire... In ogni caso, se vuoi ti invito ad accompagnarmi. Non preoccuparti, non sarai l'unica nuova, vengono spesso anche ragazzi estranei alla scuola. Per esempio, Sara è una mia cara amica e viene sempre.” “Questo è meraviglioso!” Cristina rise. “Un tuo compagno filo americano organizza il gran ballo di fine anno e tu vuoi che io ti accompagni, che ti faccia da cavaliere, proprio come due lesbiche.” Quell'uscita da chiunque altro avrebbe risuonato offensiva ma non da lei e sulla piazza che iniziava a fare l'eco ai tuoni, suscitò il riso di Sally. “Zucca vuota! Non ho bisogno di invitarti al ballo di Ugo per provarci con te e poi non mi sembri il tipo.” “Allora che ci stai a fare tutti i giorni con me?” “Non lo so, mi piace la tua compagnia.” Sally prese per il braccio Cristina affrettando il passo. L'arco di Porta Lucia, dove Cristina abitava allora, era ancora abbastanza lontano. Quel giorno non avevano preso la direzione della casa di nessuna delle due, si erano dilungate a girovagare, come due che cercano scuse per non separarsi.
Silvia Iside
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