La Saga di Sulladin - vol. III.
Sulladin aveva dormito poco e male. Troppa era l'impazienza di fare ritorno a casa e aveva atteso il sorgere del sole sul ponte della nave che li stava riportando all'isola agli estremi del mondo. Erano trascorsi quasi tre anni quando la Soviluna era salpata con l'intento di riportare alle loro terre gli schiavi catturati dal comandante Scolder per essere rivenduti in qualche mercato del continente. Di tutti quelli che erano partiti, lui e sua figlia Marintia erano gli unici sopravvissuti. Rivide nella sua mente i volti di tutti quelli che erano caduti, a cominciare dall'attacco del grenger, passando per l'isola degli insetti giganti, sino all'epidemia che si era scatenata a bordo per finire all'affondamento da parte dei pirati e con la Soviluna finita sul fondo di un oceano dall'altra parte del mondo, con il suo carico di superstiti, moribondi e cadaveri. Era assorto nei suoi pensieri, quando la sagoma inconfondibile del monte Busir si stagliò all'orizzonte, stagliandosi oltre lo strato di nebbia che risaliva dalle acque. Il cuore iniziò a battere più forte. Presto avrebbe riabbracciato gli amici, ma sarebbe stato costretto a fornire un resoconto del loro fallimento al consiglio dei sette e a tutte le persone che avevano perso qualcuno. La nave si avvicinò lentamente come fosse prossima ad attraccare. Da quando i mercantili facevano sosta all'isola ? E che ne era della barriera magica ? Uno strano presentimento iniziò a farsi strada, attanagliandogli lo stomaco. Cosa era quel fumo nero che si levava da più punti ? Marintia lo aveva raggiunto sul ponte e anche lei osserva, visibilmente sorpresa, il panorama di fronte a loro. Ebbe l'accortezza di restare in silenzio, consapevole del disagio che suo padre manifestava con un'espressione che tradiva tutto il suo stupore e il timore di ciò che avrebbero trovato. Sbarcarono nel punto in cui si sarebbe dovuto trovare il villaggio dei Pescatori. Il porto era grande, con svariati pontili d'attracco ai quali erano ancorate navi da carico, per lo più pinacce e cocche, alcuni brigantini e caravelle, sino a qualche caracca e due imponenti galeoni. Le gru erano in continuo movimento e un numero indefinibile di uomini erano al lavoro per caricare e scaricare enormi casse sui carri che percorrevano i pontili in un continuo andirivieni. Un odore nauseante ammorbava l'aria: un misto tra pesce marcio, escrementi, sudore, acqua stagnante e vomito che penetrava sino nell'animo. “Ehi tu, levati da lì pezzo di idiota !” il grido colse Sulladin di sorpresa. Era chiaramente rivolto a lui che si era fermato sulla banchina ad osservare uno spettacolo che lo stava frastornando, finendo per intralciare le manovre di carico di una nave. L'uomo che lo aveva apostrofato, lo incalzò nuovamente: “Allora, ti serve qualche calcio in culo per spostarti ?” Sulladin si fece da parte, incapace di reagire. L'uomo era muscoloso e abbronzato, indossava un gilet di qualche taglia troppo piccolo e un paio di pantaloni che gli arrivavano al ginocchio. Era scalzo, puzzava come una capra e doveva aver già bevuto parecchio. Non sembrava originario dell'isola, altrimenti non avrebbe osato affrontarlo in modo così scortese. Sulladin e Marintia uscirono dal porto e si guardarono attorno. Alla loro sinistra grandi edifici di legno, adibiti a magazzini, sorgevano attorno all'area del porto ed ognuno recava una grande insegna dove spiccava il nome della compagnia. La parte sinistra era occupata da taverne, bordelli, botteghe, case a più piani che si susseguivano in un dedalo di vicoli stretti e maleodoranti. Al centro la via principale di accesso al porto era un susseguirsi di carri provenienti dall'entroterra e trainati in prevalenza da cavalli, costretti a procedere in fila sino ai varchi doganali dove venivano riscosse le tasse, per poi disperdersi all'interno del porto verso le rispettive destinazioni. I carri in uscita poteva andarsene senza sottostare ad alcun controllo, attraverso una porta dedicata. Per quanto si sforzasse di cercare un volto conosciuto tra la moltitudine di persone che si trovavano in zona, Sulladin non riuscì a riconoscere qualcuno cui chiedere spiegazioni. Fu Marintia ad indicargli un mendicante sdraiato a terra contro uno steccato che li stava osservando. Sulladin si volse di scatto verso di lui e l'uomo alzò una mano in segno di saluto. Si avvicinarono con la speranza di poter finalmente capire cosa fosse accaduto sull'isola. “Salve buon uomo, sono Sulladin e questa è mia figlia Marintia” L'uomo sorrise mettendo in evidenza i pochi denti che gli erano rimasti “Hai una moneta per il povero Groudin ?” Sulladin frugò tra le tasche e recuperò una moneta di rame, porgendola al vecchio che la rigirò tra le mani e la gettò a terra sputando un grumo di catarro nella sua direzione “Qui tutti pensano che sia vecchio e scemo, ma una moneta buona la so ancora riconoscere. Vattene brutto bastardo” “Lasciatelo stare, il vecchio Groudin a furia di bere si è giocato il cervello” un uomo brizzolato che indossava una elegante camicia bianca con i pantaloni scuri infilati in stivali lucidati di fresco, aveva assistito alla scena. “Scusate, come avete detto di chiamarvi ?” “Il mio nome è Sulladin” la speranza tornò a fiorire nell'animo di Sulladin che si avvicinò all'uomo tendendo la mano “Con chi ho il piacere di parlare ?” “Il mio nome è Calberian” rispose l'uomo brizzolato “Sulladin avete detto.....Il vostro nome mi riporta ai tempi della scuola. Ah, bei tempi quelli..... La storia era la mia materia preferita e Sulladin è il nome di un mago vissuto su quest'isola che ebbe un ruolo determinante nell'ultima guerra tra le terre di Grinsen e i Lendon, ma un giorno è partito per un lungo viaggio e non ha più fatto ritorno” Il cuore di Sulladin era sul punto di scoppiare. Finalmente qualcuno che lo conosceva “Certo, sono io quel Sulladin e sono appena tornato !” L'uomo lo guardò, abbozzando un sorriso, dopo un evidente momento di sbalordimento e scoppiò in una sonora risata “Amico, ti chiamerei anche come lui, ma io non ero ancora nato quando il mago Sulladin è partito da quest'isola e tra qualche giorno compirò quarantanove anni ! Se tu fossi lui dovresti essere più vecchio di Gourdin di un bel pezzo......” Le parole dell'uomo colpirono Sulladin producendo lo stesso effetto di una bastonata ben assestata. Si volse verso Marintia e restarono a guardarsi, sbalorditi e increduli, mentre l'uomo di nome Calberian si allontanava ridacchiando. Erano stati lontani tre anni e, invece, ne erano trascorsi più di cinquanta. Sulladin non riusciva a capacitarsi. Solo quando ritrovò il controllo, il ricordo iniziò ad affiorare. “La torre.... Ricordi Marintia ? Quando eravamo in acqua e la torre era stata appena distrutta, tutto ha iniziato a vorticare attorno a noi.... Credo la distruzione della torre abbia provocato una dilatazione temporale e che siamo stati catapultati avanti nel tempo senza rendercene conto.... Avevo letto qualcosa del genere su quel libro antico....” “E ora che facciamo ?” “Bella domanda per la quale servirebbe una risposta che non ho” “Dobbiamo trovare qualcuno che si ricordi di noi” sussurrò Marintia, guardandosi nervosamente attorno alla ricerca di un volto conosciuto. “E chi vuoi che si ricordi di noi dopo tutto questo tempo ?” la fulminò Sulladin imprimendo alla sua voce un tono più brusco di quanto volesse. “Quell'uomo ha detto di essere sul punto di compiere quarantanove anni e che noi saremmo partiti prima della sua nascita. Quindi siamo stati catapultati in avanti di minimo cinquant'anni...” osservò Marintia “Forse qualcuno che ti conosceva potrebbe essere ancora in vita, di certo vi sono più possibilità di trovare in vita qualcuno dei miei compagni di scuola...” “E' probabile, ma non puoi certo presentarti di fronte a gente anziana e chiedere se si ricordano di una giovane maga come te che, cinquant'anni prima, frequentava la scuola con loro....” Marintia grugnì tutta la sua disapprovazione ma si trattenne dal pronunciare imprecazioni colorite “Vabbè... avremo tempo per discutere. Adesso allontaniamoci da questo posto prima di attirare l'attenzione di qualcuno. Andiamo a vedere cosa resta della nostra casa” Aveva ragione e Sulladin la seguì, anche se non era così impaziente di scoprire i luoghi a cui aveva legato la sua esistenza sull'isola. Oltre alla casa che aveva condiviso con Harviel e i suoi figli, vi erano la casa di Eventhon, il villaggio dei Falegnami, il lago Niam, il bosco magico dove si procurava il legname e le tombe dei suoi cari. Si confusero tra la gente che percorreva il viale principale in uscita dal porto e la memoria di Sulladin tornò a Mankalur quando si era avventurato in città in compagnia del comandante Scolder. Quando erano partiti si sopportavano a malapena, poi, le vicissitudini del viaggio a bordo della Soviluna e le reciproche confessioni, li avevano avvicinati e, ora, la figura del comandante si aggiungeva alla lista di quelle che Sulladin avrebbe voluto accanto a sé in questa ennesima sfida. Si guardò attorno e, per quanto si sforzasse, non riuscì a riconoscere alcun particolare di quello che era stato il villaggio dei Pescatori. In compenso, tanti ricordi iniziarono a presentarsi nella sua mente e tutti riguardavano Harviel e Evyon, la cui scomparsa costituiva uno dei motivi per cui aveva deciso di intraprendere il viaggio. Sperava di ritrovare sé stesso e ridare un senso alla sua vita, invece, non solo aveva perso tutti gli uomini, compresi gli schiavi che voleva riportare alle loro terre, ma era stato lontano per quasi quattro anni e ne aveva bruciati più di cinquanta causa quella maledetta roccia del tempo. Non solo, si ritrovava ad essere straniero a casa sua, una casa che aveva subito trasformazioni così profonde da renderla irriconoscibile. Spesso si sorprendeva come quei pochi mesi trascorsi a bordo della Soviluna fossero rimasti così impressi nella sua memoria al punto da cancellare tutto quello che era accaduto negli oltre due anni che avevano impiegato per fare ritorno a casa.
P. Sacchi
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