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Autore: Laura Altamura
Novella di Natale
Fantasy
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Novella di Natale
Il 20 Dicembre, data in cui inizia questa insolita novella, era uno di quei giorni invernali pieni di densa foschia in cui vorresti restare a casa a poltrire e sorseggiare una cioccolata calda davanti al caminetto, guardando fuori dalla finestra nell'attesa di qualche fiocco di neve.
Sì, perché il Natale non è magico se non c'è una leggera imbiancata di zucchero a velo sui monti e sugli alberi. Ci si aspetta che ogni cosa sia luminosa e lucida di neve, quel che basta per uscire a tirare due palle spumose contro gli amici più restii, possibilmente quelli vestiti a festa, con il cappotto nuovo e le scarpe di suola scivolosa.

Quel 20 Dicembre però, di neve neanche l'ombra e Sibilla non era per niente di buon umore quando fu trascinata fuori dal suo incantevole sonno.
Dopo essere stata svegliata con qualche amorevole scossone dalla mamma, si sentì sussurrare in modo melenso, dentro un orecchio:

- Tesoro, quest'anno devi andare tu a trovare nonna Mariella, ricordi? -
La mamma le aveva parlato così vicino da alitarle dentro l'orecchio, neanche fosse il bue del presepe intento a scaldare Gesù bambino. Si grattò il padiglione auricolare e tirò su le coperte fin sopra la testa, per sfuggire a quel tagliente raggio di sole che entrava dalla tapparella che la mamma aveva premurosamente alzato con gran frastuono.
Ehm, no: Sissy non se lo ricordava, anzi avrebbe giurato che nessuno l'avesse avvisata.
- Ma, mamma, ho lavorato fino a ieri sera, al negozio c'era così tanta gente che non ho fatto nemmeno pausa per un panino. Non ho mangiato nulla! Non sono neanche andata in bagno! -
Assunse un'aria ancora più affranta.
- “E signorina mi faccia un pacchettino... metta una coccarda ... devo fare un reso” li sento ancora parlare i clienti! Non so nemmeno chi sono e dove sono - spiegò staccando le palpebre incollate.
La mamma ascoltava seduta sul bordo del letto, annuendo lentamente, le mani poggiate sulle gambe accavallate in attesa che finisse di parlare. Il tono pietoso non aveva funzionato e allora recitò il copione della fanciulla ammalata.

Tirò giù due grattate di gola che aveva sentito fare ai nonnetti al parco e, massaggiandosi il collo nervosamente, con voce gutturale espettorò un non meglio definito suono: - Non mi sento bene - .
La mamma spostò le mani dalle gambe, le toccò la fronte poi aprì il cassetto del comodino e tirò fuori nell'ordine:
1. un termometro
2. uno spray alla propoli
3. una scatolina di supposte, probabilmente scadute da un paio d'anni.
Doveva immaginarlo, le mamme hanno sempre una soluzione per tutto, anche la sua.

Si tirò su rassegnata e, dopo aver constatato che la sua temperatura corporea fosse simile a quella di una lucertola rimasta all'ombra da settimane, non le restò che arrendersi. Aveva ventidue anni ormai ma le era chiaro che, finché avesse vissuto a casa dei suoi genitori non aveva molte possibilità di affermare il proprio pensiero o volontà.
Trangugiò un pancake che, forse, era lì da una settimana e sapeva di stantio, ripensando a quelle belle brioche al pistacchio con cui ogni tanto si deliziava quando riusciva ad avere una pausa decente al centro commerciale dove lavorava.

- Scusa Tesoro, ma non ho avuto tempo di prepararne di nuovi. Papà ed io stiamo andando fuori qualche giorno con i Gonzales, i nostri amici argentini, ne avevamo parlato. Finalmente un po' di relax, divertimento e ballo - .
I due accennarono un passo base di tango con casquè e giravolta mentre ultimavano la valigia.
Già, Los tangueros Sissy li conosceva eccome, anni prima era stata a casa loro qualche pomeriggio per prendere ripetizioni di spagnolo.
Tutto ciò le era costato un cinque all'interrogazione orale, avendo sostituito tutte le “y” e “ll” con lo shoismo tipico della pronuncia di Buenos Aires.
In più, con la scusa delle ripetizioni, le avevano dato lezioni -non richieste- di tango ma lei era risultata agile e disinvolta come un aspirapolvere, al punto che los Gonzalez si erano dovuti rassegnare, concludendo che a lei mancasse EL DUENDE. E se manca el duende, manca tutto.
Aveva trascorso parecchio tempo a chiedersi dove trovare questo benedetto duende per dedurre che, in fondo, se non l'aveva sarebbe sopravvissuta ugualmente.
Sbocconcellò quella mattonella di pancake staccandosi con il dito i pezzi che le restavano attaccati al palato e salutò i genitori che uscivano per raggiungere gli amici con i quali avrebbero trascorso le vacanze a Sharm el-Sheikh.
Si imbambolò con le mani sotto il mento e i gomiti sulla tavola: sognava di dormire fino a tardi, uscire con le amiche, spendere la tredicesima in futilità, tutte cose che avrebbe potuto fare se non le avessero detto di andare dalla nonna.
La porta si riaprì di scatto, spintonando i suoi pensieri assonnati; la mamma aveva dimenticato il beauty case e con l'occasione le cacciò un urlo che avrebbe resuscitato pure un morto.

- Yuhuuuu ...Ti chiamo dopo, non ti riaddormentare e prendi i regali per la nonna, sono in quella borsa - e indicò un sacchetto Natalizio poggiato a terra.
Sissy mise le stoviglie nell'acquaio, le strofinò e asciugò pigramente mentre la tv in sottofondo le teneva compagnia con un servizio sul Natale.
“Sono migliaia gli italiani che scelgono di trascorrere le vacanze natalizie all'estero prediligendo soprattutto le mete calde.
Coloro che restano nella penisola optano invece per locali e ristoranti, mentre un'esigua parte lo trascorrerà in famiglia.
Dopo un lungo fermo causa coronavirus e relative restrizioni l'Italia torna a vivere e sceglie il divertimento”

Già, il divertimento! Sissy si guardò e non era esattamente l'immagine dello sballo. Il pigiamone da Teddy Bear, due occhiaie da Panda e la pinzetta in testa per raccogliere i lunghi capelli arrotolati.
Decise che una doccia le avrebbe restituito fattezze simil-umane poi indossò comodi jeans e un maglione e iniziò a pensare quanto si sarebbe annoiata.

Quando lei era una bambina, fino ai dieci anni di età, la nonna paterna aveva vissuto in casa con loro e si era occupata di lei mentre i genitori erano impegnati con il lavoro. Fra la mamma e la nonna, però, non correva buon sangue e molti erano i battibecchi, anche per futili motivi. Suo papà –che non era noto per avere un polso di ferro- cercava di restarne fuori, evitando di prendere le difese dell'una o dell'altra.
Poi un giorno la nonna le disse che una sua lontana parente le aveva lasciato in eredità un piccolo casolare di campagna, a circa un centinaio di chilometri da lì e aveva deciso di farlo sistemare per andarci a vivere.
La decisione sembrò frettolosa agli occhi della bambina che, solo qualche anno più tardi, intuì che la nonna non se n'era andata “perché non le voleva più bene“, bensì per la difficile convivenza con la nuora.
Partì una mattina di primavera, facendosi promettere da Sissy di farle visita spesso. Agli inizi Sibilla era andata con suo padre in quella casina ristrutturata e accogliente, con il giardinetto e il pollaio. Come si divertiva a inseguire le gallinelle!
Poi, con il trascorrere del tempo, le visite si erano diradate e, quando chiedeva se potevano andare dalla nonna, le risposte erano sempre le stesse: - la casa è lontana, ti annoieresti, abbiamo un altro impegno e via dicendo - .
A volte, in occasione del Natale o raramente d'estate, il papà andava a prendere sua madre e la portava a casa loro, per trascorrere qualche giornata assieme, anche se ciò agli occhi di Sibilla aveva l'aspetto di un invito quasi di circostanza.

In queste situazioni, specie negli ultimi anni Sissy non si tratteneva molto in casa con la nonna, era ormai una ragazza, trascorreva la maggior parte del tempo al lavoro o con le amiche e i momenti di conversazione con Mariella si erano ridotti all'osso, ad un saluto e via.

Altre volte era suo padre ad andare a trovare la mamma, spesso in giornata o dopo il lavoro e dunque, a poco a poco, le strade di Sissy e Mariella si erano allontanate; le visite erano nella lista delle cose “da fare” ma non venivano spuntate mai.
La vecchina iniziava ad avere qualche acciacco di troppo ed erano ormai due anni che non andava da loro, né Sibilla era più andata a trovarla.

- Oh, non ho voglia! - borbottò la ragazza aprendo il borsone dove mettere il necessario.
Frugando nell'armadio nella disperata ricerca di qualcosa di pulito le capitò in mano uno strano Elfo di pezza, un regalo che Mema -così lei chiamava sua nonna- le aveva fatto molti anni prima.
Lo guardò sorpresa, era tanto che non lo vedeva, lo aveva portato in cantina da molto tempo assieme alle cose di una vita fa, ma poi dedusse che, forse, la mamma lo avesse ripreso per la raccolta dei giocattoli vecchi in favore dei bambini poveri.
“Male a chi gli capita il mostriciattolo, sembra abbia un'anima posseduta” pensò, osservando il suo occhio sghimbescio che la fissava eloquente e la bocca leggermente scucita.
Il cappello qua e là era rosicchiato dalle tarme della lana ma in complesso per essere un giocattolo di dodici anni prima non era male.
- Ma sì, - concluse, dopo averlo guardato qualche istante - la nonna sarà contenta nel vedere che lo conservo - e lo infilò nel borsone.
Ultimò la valigia pigramente, non preoccupandosi di piegare gli indumenti e lanciò un'occhiata alle scarpe col tacco 12 che aveva comprato e ancora mai messo.
“Vi verrà la muffa” pensò, e richiuse la scarpiera.

Decise di partire più tardi, l'idea di guardare un po' di tv e magari chattare con le sue amiche che stavano organizzando feste da sballo la solleticava e, per un attimo, le balenò l'idea -veloce come un serpente tentatore- di piazzare un pretesto e non andare.
Una vocina le ronzò in testa, acuta e stridula: - Dovresti vergognarti: quando eri piccola le volevi un gran bene, ora che sei grande come puoi aver dimenticato l'affetto che vi legava? Dici sempre che tua madre ti ha tenuto lontana da lei e ora che ti propone di andare a trovarla cerchi scuse? Da bambina eri influenzata da lei, ma ora? -
- Guarda che mia madre mi ha chiesto di andare perché le fa comodo, così papà la porta in vacanza. Semplice, - rispose lei, piccata.
- Ma questo è un dettaglio di nessuna importanza. Comunque hai l'opportunità di diventare una persona migliore e non passare le feste natalizie per locali a sbevazzare - .
Sissy sbarrò gli occhi e scosse il capo: stava parlando da sola?
Lo sguardo cadde sull'Elfo di pezza la cui testa spuntava dal borsone chiuso solo parzialmente.
Aveva la sensazione che la stesse guardando e pure con prosopopea.
- E poi non mi ubriaco, io. Una birretta ogni tanto, sgorbietto! - Concluse risentita.

Il telefono notificò l'arrivo di un messaggio, capì subito che era di Mariella perché era l'unica fra i suoi contatti che non usava WhatsApp, ma la messaggistica tradizionale.
“Non vedo l'ora di riabbracciarti. Ti aspetto.”

Sospirò e guardò di nuovo fuori, la città si era ormai svegliata. Si affacciò, era al quinto piano di un condominio in centro. La strada principale pullulava di macchine in coda con un concerto stonato di clacson rabbiosi a causa di un semaforo rotto. Lungo il marciapiede gruppi di persone camminavano frettolosamente, pieni di pacchetti infiocchettati e scatole ingombranti.
Le insegne dei negozi lampeggiavano con scritte stroboscopiche: Buon Natale! Che la magia sia con voi! Entrate, sconti pazzeschi!
Addirittura il locale di fronte al suo palazzo aveva gonfiato Santa Claus Gigante che ogni pochi minuti intonava: “OH OH OH, MEEERRY CHRISTMAS” a ripetizione come una mitragliatrice Gatling.
“Lo bucherei quel ciccione lì” pensò sbuffando.

Aprì la chat di gruppo “le svitate” che condivideva con le sue due migliori amiche e lesse:
“Vieni alla festa di Genny?”
“Cosa ti metti?”
“Hai preso le mutande rosse per Capodanno?”
“Che budget mettiamo per il regalo di Mariuccia?”
“Hai visto che cozza la ragazza di Manuel?”
E altri messaggi dello stesso genere.
Si limitò a dire che la mamma le aveva ricordato di andare dalla nonna.
Le altre non persero l'occasione di alimentare la sua frustrazione.
“Ah non ti invidio, Natale in campagna.”
“Vai a dormire alle sette dopo il brodino, mi raccomando.”
“Metti in valigia il cappello di lana, la borsa dell'acqua calda e le scarpe da notte.”
“Str...eghe” digitò lei e chiuse la chat, tanto sapeva che dopo dieci minuti si sarebbero già dimenticate e “amiche come prima”.

Mangiò un pezzo di parmigiano che presto sarebbe scappato da solo dal frigo per gettarsi nel bidone dell'umido, fece scorta di Puff al formaggio –immancabili nella dispensa- impostò la meta di arrivo su Google Maps: il luogo era decisamente un mortorio dove il massimo della movida sarebbe stato il tocco delle campane.
Il satellite mostrava una grande pianura nel mezzo del nulla circondata da campi, prati, vallate e un fossato. Unica consolazione: il centro del paese era vicino.

Laura Altamura

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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