Dialogo oscuro Fece la doccia con molta calma e l'acqua calda scorreva insinuandosi ovunque sul suo corpo, come quelle antiche carezze sensuali e, tutto a un tratto, ricordò. Il vapore acqueo creò una nuvola che fece scomparire lo specchio, il water e il bidet del piccolo bagno senza finestra. Ines uscì gocciolante dal box doccia, con i capelli bagnati sparsi sulle spalle. Iniziò a spalmare una generosa quantità di olio cosmetico profumato alla lavanda sulle gambe, sul ventre, sui seni e le braccia. Si vestì e si pettinò con cura, guardandosi compiaciuta allo specchio. Indossò un tubino a fiori azzurri, i capelli li raccolse a coda di cavallo. Il grande giorno, quello che segnava l'inizio della sua seconda vita, era giunto e lei era emozionata come non mai. Solamente due ore e sarebbe stata di nuovo una donna libera. Tra le mani il taccuino da consegnare a Fiamma, la sua psicoterapeuta: una sorta di dossier che conteneva il cammino affrontato volontariamente in quel luogo, lontana dal mondo e da tutti. Anni in cui le paure si erano trasformate in polvere ma una folata di vento, la consapevolezza emersa da una zona sconosciuta di se stessa, le aveva spazzate lontane fino a farle sparire. Per ingannare il tempo e nell'attesa di Fiamma che doveva sancire legalmente il suo ritorno nella società degli uomini, si sedette sul letto e, gambe accavallate, lesse in ordine sparso qualche pagina del taccuino. 30 settembre 2009 Con la mente su un'altalena sospesa nel vuoto di giornate sempre uguali. Prigioniera di paure sempre più giganti, nell'involucro di una corazza sempre più fragile. Potrei rimanere qui per anni, incurante del battito del tempo e del mio cuore che galoppa come un cavallo impazzito, senza meta. Osservo imperturbabile il giorno e la notte, necessito solamente di acqua e sole come un essere vegetale. Sennonché si apre un varco amato e temuto: il desiderio di evadere da questa torre e da me stessa. 1 luglio 2010 Fiamma mi ha insegnato l'amore per il presente e a vivere nel presente, l'unico luogo in cui c'è possibilità di vita. Capisco che non è possibile rimanere a lungo così, senza impazzire. Ascoltare quel sottile dolore che all'improvviso può trasformarsi in una belva che mi divora. “Calma, fiducia, chiarezza”, il mio mantra, mentre osservo un cielo piovoso, incapace di dominare i miei pensieri. Vedo noi due in un luogo anonimo, mentre ci giuriamo che ci saremmo incontrati all'infinito. Ancora io spero di rivederti, Renato! 3 luglio 2010 Ricordo e scrivo, le consegnerò la mia vita in pochi fogli. Fiamma mi ha consigliato di raccontare tutto il male che ho soffocato, per accettarlo e poter vivere. Mi ha suggerito di scrivere i pensieri come affiorano nella mente e così faccio. Eccoli i bambini che quando mi ritornano in mente, sento un'ansia insopportabile; è inutile il controllo del respiro: inspiro, trattengo ed espiro. Crollo nel sudore freddo della paura dove i loro visi si dissolvono. 7 luglio 2010 E ritorno a te, Renato. Non so cosa vorrei dirti. Non saprei se ancora desidero dirti qualcosa. Sei la ferita che mi ha costretta in questo luogo. A volte mi sento immersa in un turbine di petali odorosi e fluttuanti, dove noi due volteggiamo incuranti del tempo e dello spazio. Ti amo perché sei il mio karma e, quindi, prima o poi ti dovrò affrontare, non posso evitarti per l'eternità. Oppure ti dovrò evitare? Non ho mai pensato tanto, tanto vissuto, tanto sentito di esistere come nei momenti vissuti con te. Ci baciammo senza conoscerci ed è stato naturale come se ci amassimo da sempre. Chiaro e freddo quel mattino di gennaio che ci accolse nudi nella tua stanza spoglia. Entrambi frastornati, ci vestimmo senza parlare. La notte appena trascorsa si era disintegrata come un meteorite e noi, due stelle cadenti strappate dalla volta celeste. Il tuo viso era ombroso e distante, sembravi ansioso di rimanere da solo, non ti confessai questa mia sensazione. D'altronde era solo illusione dei sensi credere di conoscerti da sempre, ti conoscevo solo da 24 ore. Era appena nata la nostra storia. La vita correva e noi ci rincorrevamo. Ci si vedeva ogni tanto per un concerto, in birreria o solo per parlare, per stare insieme. E poi andavi via, c'era sempre qualcosa di urgente e improrogabile: andare a consegnare una videocassetta a un amico o a prendere in prestito un libro in biblioteca e altre cose ancora, non ricordo più tutte le tue giustificazioni. Io mi cullavo nell'attesa del successivo incontro che poteva realizzarsi tra un giorno, un mese o un anno. Tu sparivi per poi ritornare sempre. Il tempo scorreva infinito davanti a noi, avevamo vent'anni. 8 luglio 2010 Chiudendo gli occhi riesco a vedere la verità? Oppure continuo a fissare quel buio foriero di menzogne? Mi vedo vittima e carnefice che languo in un'isola circondata da un mare di sangue. Un mare cremisi, navigato da tre intrepidi cavalieri che mi cercano, ignari del mio inferno privato. Vi amo, miei prodi cavalieri: Giorgio, Alessio e Margherita, quando vi penso dimentico tutto il resto. Cosa riesco a vedere oltre questa scena d'amore assurda e straziante? Solo io posso capire, devo trovare la forza; solo così potrò sfuggire alla condanna. Devo scrivere qualcosa, qualsiasi cosa, ma che sia vera, profonda, sentita e libera da ogni paura. 6 agosto 2010 Il tuo sguardo, Renato, mi faceva sentire nuda. Possedevi ogni singola fibra del mio corpo. Il calore delle tue mani infiammava la mia ragione. Tutto è iniziato con il desiderio di liberarmi da sentimenti ingovernabili che mi ossessionavano, impedendomi di vedere che tu mi amavi e mi sfuggivi. Una scelta violenta la soluzione. Sparire per non ferirmi. Sparire per uccidere quel sentimento che insidiava la mia sicurezza. Ricordo la sera e la notte di quell'inverno. La camera illuminata da una fioca lampadina. Il freddo impediva ai nostri corpi di separarsi. E noi, espressione di una legge fisica, due forze contrarie e opposte, ci attraemmo. Vibrante, oscuro, vitale e distruttivo come il fuoco, mi rigenerava il nostro amore. Ero felice come se il mondo sensibile con i suoi estremi, nascita e morte, non esistesse più. Era l'inizio. Era la fine. Inizio e fine di noi due insieme. In seguito, da un punto di vista superficiale, poteva sembrare una faccenda volgare priva di sentimenti che incombeva come una minaccia sulla serenità di tutti: i miei due bambini, mio marito e la tua nuova vita. Sprofondo nei minuti di quel tempo. Per me eri un dio, un essere assoluto. Ed io, impotente, ti ho desiderato e amato, senza riuscire a plasmare gli eventi che ci hanno separato. Nel buio della notte mi capita di raccogliere il nostro vissuto e, con l'animo di un bambino, trasferisco le vicende della nostra esistenza in un gioco di luce e ombra, di cause ed effetti, di realtà e fantasia. Immagino infinite altre vite. Infinite altre possibilità. Non realizzazioni di sogni ma avvenimenti improvvisi, inattesi, che si impongono nella mente. Segue una paralisi della volontà. Stare con te significava rimanere me stessa, esprimere la mia ombra. Superflue le parole, il nostro conversare era un muto flusso di coscienza, il nostro era un dialogo oscuro. Noi due: un uomo bipolare e una donna ipersensibile, legati da un vincolo nevrotico. A te, la mia angoscia, la mia insonnia, la mia letizia, le mie oscure parole, avvolte dal silenzio del buio.
8 agosto 2010 E ora, come un'insensibile, non riuscire a provare la mancanza di nessuno e a donarmi all'universo. Miei tre prodi cavalieri, non mi mancate in questo momento. Sarà l'adrenalina, sarà la cura farmacologica, sarà qualsiasi alchimia ma non mi mancate e non mi sento in colpa. Non mi sento di essere crudele. Ho bisogno di stare da sola, lontana da tutti, malgrado la nostalgia della perdita e la vertigine del vuoto. 2 marzo 2011 Mi chiedo se hai mai visto le mie vere sembianze oppure continui a vedere in me l'enigma di un amore a metà, di un amore privo d'amore, una contraddizione concettuale. Ma i termini non contano, le parole non saranno mai adeguate per descrivere la complessità dei sentimenti. Pensandoti, mi sento assediata, persa nell'estasi della follia. Trincerata in me stessa, attraversata dal tuo ricordo, vibro come una bestia selvatica, inseguita da un cacciatore. E come un animale indomabile, ascolto con terrore e curiosità, provando a decifrare inutilmente ogni insignificante rumore, ogni sibilo dell'anima.
Maria Franzè
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