Carol: una visita inaspettata. “Coraggio, Carol. Ultima ordinazione.” Afferro il vassoio e mi appresto a servire l'unico tavolo ancora occupato due ragazze e tre ragazzi che chiacchierano in maniera chiassosa tra loro. Guardo l'orologio da polso e scopro che sono le tre del mattino. “Ecco perché mi sento così stremata!” Ritorno al bancone e Marc mi guarda con un filo di preoccupazione nello sguardo. - Che faccia stravolta, bellezza! - - Sono in piedi da stamattina alle sei! Tu come saresti al mio posto? Per fortuna oggi è stato l'ultimo giorno di scuola e il mio anno è finito. Speriamo bene per il prossimo. Mi accontento di tutto, lo sai. - Forse gli suscito un po' di pena, perché mi risponde: - Dai, vai a casa, che a pulire ci penserà Giulia. Ci vediamo domani alle cinque, okay? - . Lo ringrazio, lascio il grembiule sul bancone, passo sul retro a prendere la mia borsa e un cardigan e, grazie al cielo, corro fuori di lì. Siamo a fine giugno e oggi è stata una giornata calda, ma la notte romana è fresca e umida. Faccio la cameriera in un bar durante il turno serale, mentre di giorno sono un'insegnante di lettere. “Una giovane insegnante disoccupata”, aggiungerei, se non fosse per gli ultimi sei mesi e una miracolosa supplenza, che ha dato un po' di respiro alle mie poche risorse. Due anni fa mia madre mi ha lasciato a causa di un glioblastoma che l'ha portata via nel giro di due mesi, e un anno dopo l'ha seguita mio padre. Adesso non ho più nessuno: sono sola. Vivo nella casa di famiglia, per fortuna, ma ci sono le bollette da pagare: luce, gas, le tasse sulla casa, sulla a spazzatura e tra poco anche sull'aria che respiriamo! Non avrei mai pensato che a ventisette anni mi sarei ritrovata a correre come una pazza tra un lavoro e l'altro, senza avere il tempo neppure di uno svago. Quando ero all'università ho fatto tante rinunce, pensavo di finire e godermi la vita e invece... finisci e non finisci mai! Ventisette anni e senza uno straccio di ragazzo. Non perché non ne incontri, ma perché, non ho tempo per loro. “Quando finirà tutto questo?” mi chiedo, esausta. Arrivo a casa, parcheggio l'Opel Astra che apparteneva a mio padre, non molto nuova, ma che per il momento mi porta in giro, e avanzo verso il mio appartamento. Abito in una palazzina anonima di quattro piani, nel mitico quartiere della Garbatella. Qui c'è una Roma più tranquilla, meno caotica della Roma del centro, ma non meno popolare; questa zona è stata il set cinematografico di molti film diretti e interpretati da: Alberto Sordi a Nanni Moretti, Ettore Scola e altri. Dopo essere rimasta da sola, ho iniziato a dividere il mio appartamento con una ragazza, una studentessa siciliana di nome Alessandra. Lei usa la mia camera, mentre io mi sono trasferita in quella dei miei genitori. Entro nella stanza, accendo la luce e chiudo la porta. Lo specchio riflette la mia immagine una ragazza che non riconosco. Da bambina ero sempre più piccola e magra delle altre, e a scuola ho faticato tanto per farmi notare. Le mie amichette erano tutte più alte, più brave, più ricche e più giuste di me. Alle superiori la mia vita non è cambiata molto, ma ho iniziato a correre, perché, se sei preparata, vai sempre avanti. Le altre ragazze uscivano e io studiavo, loro frequentavano i ragazzi e io stavo a casa a ripassare. All'università stessa solfa, in più si aggiunse il lavoro per non pesare troppo sulla famiglia. La vita ha sempre delle sorprese, ma per me, finora, sono state pessime. Quando pensi che i tuoi genitori possano sedersi un attimo e riposare, li vedi sparire; dopo avere consumato i loro giorni senza un attimo di tranquillità, la vita gli sfugge via come sabbia tra le dita. A me sta capitando la stessa cosa senza sapere come sovvertire la rotta. Non ho davvero vissuto per tutti i miei ventisette anni, ogni giorno ho rincorso una meta che quando è giunta mi ha lasciato vuota. Vorrei avere avuto il tempo per chiedere alle persone che mi circondavano di fare una passeggiata insieme, di andare una volta di più in giro, di guardare il sole nascere insieme e stringerci forte. I miei sogni ora non ci sono più. Mi butto sul letto e provo a dormire: domani è sabato e dovrò essere in forma per il turno più impegnativo al locale.
Mi sembra di avere appena chiuso gli occhi quando sento bussare alla porta. - Carol! Carol, sei sveglia? - Guardo l'orologio sul comodino: sono le dieci e mezza. - Alessandra, sì. Cosa c'è? - - Ci sono i carabinieri, vogliono parlare con te. - “Carabinieri? Cosa vorranno mai da me? Forse è successo qualcosa al bar? Avranno rubato da Marc?” - Arrivo, Ale. - Mi alzo, mi infilo una maglietta e dei jeans ed esco dalla camera. Appena entro in salotto, vedo un uomo e una donna in divisa. Ho uno strano presentimento, una fitta allo stomaco mi stringe, provocandomi un senso di nausea. Sono brutte notizie, me lo sento. - Buongiorno. - - Buongiorno. La signorina Carol Rossi? - - Sì, sono io. Cos'è successo? - Meglio arrivare dritti al punto. - Siamo qui per conto della signorina Mancini Sabrina, le dice nulla? - “Sabrina?” - Signorina, la conosce? - - Sì, certo, ma non la vedo da un po'! Siamo sicuri che si tratti di lei? - - Mancini Sabrina, nata a Roma il nove giugno del ... - - Sì sì, è proprio lei, la mia ex compagna di scuola. Siamo state amiche e compagne di banco dalle elementari alle superiori. Eravamo come sorelle. Poi la sua famiglia si è trasferita a Rimini per prendere in gestione un ristorante. Da allora ci siamo sentite sempre meno, si sa come vanno queste cose. Poco più di tre anni fa, però, ci siamo anche riviste per le vacanze estive e mi ha chiesto di essere la madrina di sua figlia. Mi è parsa una richiesta insolita, visto che non eravamo più così in confidenza, ma ho accettato, anche perché mi è sembrato di capire che non avesse nessun altro a cui chiederlo. E poi, diciamolo francamente, mi ha fatto molto piacere, voleva dire che non si era dimenticata del tempo trascorso insieme e che mi voleva ancora nella sua nuova vita. Da quel momento in poi ci siamo tenute di nuovo in contatto, è vero, ma la distanza non ci permette di vederci spesso. Ma perché la cercate? -
2. Gabriel: un incontro casuale Sono alla guida della mia berlina tra le campagne del veronese, la striscia di asfalto scivola sotto le ruote come un tapis roulant impazzito. Sono tre mesi che non vedo il mio amico Davide, dal giorno del suo matrimonio con Giulia, perciò lo sto raggiungendo a Verona. Ai lati della strada si susseguono filari di alberi che si intervallano con una campagna rigogliosa e prospera, campi di grano e vigneti scorrono come una pellicola davanti ai miei occhi fino allo scorgere della città che si staglia maestosa tra il verde dei campi, il sole e il cielo azzurro. Io abito a Soave, la mia famiglia possiede un'azienda vinicola, o meglio, un'azienda vinicola tra le più grandi del veronese. Mia madre l'ha ereditata da mio nonno, mio padre l'ha fatta crescere ancora di più e io spero di potere seguire le sue orme, un giorno. Mio nonno, deceduto da poco, mi ha trasmesso la passione per la terra e l'amore per i vitigni. Quando sono nella tenuta, mi sento un tutt'uno con la terra, mi sento a mio agio, sono davvero me stesso. Quando sono in giro, invece, mi trasformo nel peggiore degli uomini, come se volessi impormi sul mondo intero e dimostrare la mia superiorità. - Sei un Ghion - , dice mio padre. - E ricordalo sempre! Un Ghion non si piega davanti a nessuno! - Non ho mai capito cosa volesse dire, ma il mio cognome dovrebbe incutere rispetto e timore, solo che l'unica persona a cui lo incute sono io. Io che non credo di essere all'altezza di avere questo nome, io che temo di infangarlo con il mio operato e con la mia presenza, e mio padre non perde mai l'occasione per farmelo notare. Io non sono mai abbastanza! Davide è l'unico a sopportare la mia doppia personalità, ad accettarmi così come sono, l'unico che mi ha sempre sostenuto e incoraggiato, l'unico che mi dice che sono una persona normale e di non dare ascolto al mio “vecchio”, che è lui a non essere tanto normale! Mio nonno era dello stesso avviso, ma da quando non c'è più, Davide è il mio unico riferimento certo. Io e lui siamo più che amici, lui sa tutto di me e io di lui io sono figlio unico e lui ha una sorella, ma per l'affetto che ci lega, noi due siamo fratelli; a lui confido le mie paure, la mia rabbia, le mie speranze, amo la sua franchezza, dice sempre quello che pensa e mi sostiene nei momenti di sconforto. Sembra una quisquilia, ma non lo è. Io non sono un tipo facile. Nei miei poco più di trent'anni ne ho fatte tante di cose sbagliate, questo atteggiamento è il mio modo di affermarmi fuori dall'ambito familiare, è l'unica forma di rivincita nei confronti di quella vita che mio padre non ha mai appoggiato. Non che mi lamenti della mia esistenza, sono nato tra il lusso e la “bambagia” come certi dicono, ma mi è mancato ciò che gli occhi non vedono. Per fortuna ci sono stati i miei nonni e mia madre a coccolarmi e a darmi tutto l'amore del mondo, ma questo non ha fatto che dimostrare come per mio padre io non esista. Cancello i cattivi pensieri mentre parcheggio l'auto, e quando vedo Davide appoggiato alla sua moto, il cuore si riempie di gioia. - Brutto essere ingrato ed egoista! Era ora che ti facessi vivo! - lo rimprovero in modo ironico, mentre ci stringiamo in un affettuoso abbraccio. - Ricordati come mi hai accolto! Farò lo stesso con te il giorno che ti sposerai! - risponde Davide, sarcastico. - Allora non mi devo preoccupare, perché quel giorno non è neppure menzionato nel mio calendario tra gli impegni futuri! - Scherzando, ci sediamo a un tavolino esterno di un bar e ordiniamo un caffè. Il bar è un viavai di gente. Verona, soprattutto con l'arrivo della bella stagione, si riempie di turisti, ma siamo abituati a vederla così attiva e non ci meravigliamo. - Allora, raccontami, come va la vita matrimoniale? - chiedo curioso. - Per ora tutto stupendo, il viaggio di nozze una meraviglia, non credevo che la Polinesia fosse così bella. Per settembre abbiamo prenotato un altro viaggio, questa volta andiamo negli Stati Uniti, era il mio sogno vedere la “Grande Mela”, così ci viziamo un po'. Vogliamo goderci la vita prima di allargare la famiglia. Ti dico che sono una “Pasqua”, fratello, dovresti iniziare a pensare di crearti una tua famiglia con una brava ragazza, e smetterla di cambiare un letto a notte! - - Adesso vorresti far sposare anche me? Tu sei invidioso della mia libertà! Io sono un gabbiano con le ali al vento! - dico, allargando le braccia e sbattendole. Nel farlo, urto le gambe di una ragazza che sta passando dietro la mia sedia. Mi giro per scusarmi, e mi alzo. - Mi scusi, non l'ho fatto apposta, non ho visto che era dietro di me! - - Si figuri, non si preoccupi, sono cose che possono capitare - , risponde la ragazza, e che ragazza! È alta quanto me sui suoi dodici centimetri di tacco, con una minigonna da vertigine e senza un filo di grasso. Non perdo tempo in convenevoli. - Mi chiamo Gabriel Ghion! Posso farmi perdonare e offrirle qualcosa? - - Ghion? Ha detto Gabriel Ghion? Della tenuta Ghion? - - Sì! Non mi dica che conosce la tenuta Ghion? - - Certo, io sono Kerstin, la figlia di Adel e Gaspare, siamo vicini di casa! - - Davvero? Il mondo è davvero piccolo! Vuoi sederti con noi? - - Grazie, ma ora ho un po' di fretta. Ma se hai voglia, possiamo prendere qualcosa un altro giorno. Ti lascio il mio recapito, vuoi? - Mi lascia il numero di cellulare e va via. - Hai visto che schianto, Davide? - dico al mio amico, senza smettere di guardare le sue lunghissime gambe. - Molto bella, ma non è il mio tipo, io preferisco quelle come Giulia, quelle con le curve morbide e più nostrane, lei sembra una di quelle giraffe da sfilata. Poi ha un bel viso, ma severo. - - Ma smettila! Mica la devo portare all'altare. Dillo: che una così te la sbatteresti volentieri. - - Vedi Gabriel, tu non prendi niente sul serio. Ma cambiamo discorso. Come va con il boss? - - La solita storia! Io propongo cose innovative, sono rimasto sempre legato all'università nel campo della sperimentazione. Ho chiesto a mio padre di fare degli innesti per un tipo nuovo di vitigno, ma lui? Nulla, tabula rasa. Per lui sono sempre irresponsabile e incosciente. Un buono a nulla! Non cambia, Davide! Abbiamo discusso e poi, per evitare altro, l'ho lasciato a borbottare da solo. Tanto non gli va mai bene nulla di quello che faccio e dico. - - Devi avere pazienza. Purtroppo è sempre stato così con il tuo vecchio! Lo ricordo sempre così: arrogante e presuntuoso, e non è come un buon vino che invecchiando migliora! - mi risponde, prendendomi in giro.
3. Carol: una strana eredità Osservo gli agenti e, mentre parlo, il mio cervello elabora scenari diversi. Cosa avrà combinato Sabrina? Lei era così tranquilla! - Non stiamo cercando la sua amica, ma lei. Si sieda, per favore. - Mi siedo sul bracciolo del divano. In ansia. - Siamo qui per dirle che la signorina Sabrina Mancini è deceduta questa mattina, a causa di un incidente - . “Cazzo”, penso. Purtroppo, mi scappa anche di bocca. - Cazzo! A soli ventisette anni! Oh, scusate... - I carabinieri non si scompongono. - Non si preoccupi, ma non siamo qui solo per avvisarla. Siamo stati contattati dalla polizia stradale. La signorina non ha familiari e ha lasciato delle chiare volontà in mano ai suoi legali. La signorina Mancini lascia a lei la custodia di una bambina di quattro anni. La piccola era in auto al momento dell'impatto, ma è rimasta miracolosamente illesa. - Sono scioccata, non riesco a respirare né a pensare. - Signorina, mi sente? - - Sì, ma non riesco a ragionare, mi scusi, non riesco davvero a... - Le parole mi muoiono in bocca. La piccola Nicole, la mia “figlioccia”, è rimasta da sola? - La Mancini lascia la custodia della bambina a lei, signorina Rossi, ha capito? - - Mio Dio... cosa ne so io di bambini? Come devo fare ora? - - Si calmi, prima di tutto deve andare a Rimini. Le lasciamo il recapito dell'avvocato che dovrà chiamare, lui le darà maggiori dettagli. - - Sì, va bene - , rispondo come un automa. Sono agitata più che mai, devo vomitare, non riesco a respirare. - Scusate. - Mi alzo e corro in bagno. Vomito, vomito tutto ciò che ho dentro, e non è molto, solo un liquido giallastro e amaro. La testa mi scoppia, non so cosa fare. La bimba è a Rimini e io a Roma. Chi si prenderà cura di lei quando andrò a lavorare? Non posso tenerla... ma può essere che siano tutti morti? Il padre? Tre anni fa, Sabrina non mi ha detto nulla di lui, e io non ho mai chiesto. Non ha neppure un nonno, una zia alla lontana? Devo chiamare l'avvocato e capire bene. Rientro in salotto. - Mi dispiace - , dice la poliziotta. Poi mi consegna un foglio. - Coraggio, vedrà che tutto si sistemerà. - Certo, come no! La mia vita era una merda già prima, figuriamoci adesso! Non appena i carabinieri vanno via, guardo il foglio: Avv. Ferrari Luigi. Alessandra mi osserva senza fiatare. - Prendo il cordless. Mi dispiace per la tua amica, che cazzo di disastro! - sussurra infine. Chiamo l'avvocato; mi spiega che Sabrina era rimasta orfana e che la bambina era nata da una relazione estiva. Non si conosce la paternità. Ci diamo appuntamento a Rimini per il tardo pomeriggio, finisco la conversazione e stacco. Sabrina era molto carina e un po' ci somigliavamo: gli stessi capelli biondo scuro di uguale lunghezza e occhi chiari, lei celesti e io verdi. L'unica cosa che ci differenziava era il carattere: lei molto timida, io più rumorosa ed estroversa. Insieme ci compensavamo. Sabrina non aveva molte amicizie e io neanche, così spesso facevamo i compiti insieme e restavamo per ore sedute sullo scalino di casa sua a curiosare sul cellulare le nostre compagne di scuola. Noi eravamo le uniche sfigate a non avere una vita sociale molto attiva. Parlavamo e sognavamo molto, io volevo fare l'insegnante di lettere, lei di lingue. Ripenso a tutto questo mentre mi metto in viaggio per Rimini. Immagino la mia compagna di scuola sul gelido tavolo dell'obitorio, bellissima e con i lunghi capelli che incorniciano il suo volto pallido, così perfetta che sembra quasi dormire. - Dio, perché? Perché il domani è solo una prerogativa per pochi? Cosa farò quando arriverò a Rimini? No! Non se ne parla proprio che io possa prendermi cura di una bambina. Come ho detto ai carabinieri, io riesco a malapena a prendermi cura di me stessa! Non so come si trattano i bambini. È vero, insegno a scuola, ma quei ragazzi sono già cresciuti! Porca puttana! La sfiga mi si è appiccicata addosso e non mi abbandona! Signore Iddio! Ma lo hai visto che Nicole aveva solo Sabrina? Perché non un colpo alla testa, una frattura, una cosa che poi guariva? No! Non ti bastava? Ci sono tante persone che stanno male e aspettano di concludere la loro vita... e tu vai a prendere proprio Sabrina? - Continuo a parlare tra me e me per tutto il viaggio. - Non riesco a credere a ciò che sta succedendo, sembra di essere su uno scivolo di disgrazie, di non riuscire a fermarmi e a tornare indietro. Di sicuro avranno chiamato gli assistenti sociali, ma sì! Ci saranno persone interessate a prendersi cura della bambina, sai quanti aspettano per un'adozione! Faccio l'ottimista. Ora vado e sistemo la cosa. Domani, al massimo dopodomani, torno a casa e riprendo la mia schifosa vita di sempre.
4. Gabriel: la chiave Sono disteso sul letto della mia camera, oggi a pranzo ho chiesto a mio padre se potevo aiutarlo nella cantina per l'apertura di alcune botti, ma ha preferito di no. Guardo il soffitto, una mosca volteggia vicina al lampadario, è più simpatica di mio padre, almeno a lei piace la mia compagnia! Prendo il cellulare e controllo i messaggi, mi cerco una ragazza per trascorrere la serata, così mi tiro un po' su. Mi torna in mente la ragazza conosciuta al bar con Davide, non era niente male, chissà se abbocca? Non ricordo neppure il nome, cerco tra i contatti e la trovo. La invito a cena a Verona e lei accetta. Arrivo al ristorante con qualche minuto di anticipo, lei è puntuale e indossa un tacco dodici e una minigonna che lascia ben poco all'immaginazione. Al suo ingresso, alcuni uomini si girano verso di lei. Ha un profumo costoso e lascia la scia al suo passaggio. La ricordavo bene! Bella, elegante, sofisticata, impenetrabile. Noto che non è una buona forchetta, per il suo lavoro da modella è importante una dieta ferrea, così prende insalata e bistecca sgrassata. Mi parla un po' di sé, è molto disponibile, mi sembra molto strano che una così non abbia un uomo fisso. Dopo cena passeggiamo per le strade di Verona, cerco di essere gentile e amichevole, mentre lei in più occasioni, con la scusa di guardare bene dentro una vetrina, si struscia volentieri su di me. Mi dice che viaggia molto, che conosce molti posti e che ha la mentalità molto aperta. Le chiedo se vuole fare un giro in auto e lei approva senza pensarci due volte. La porto fuori Verona e ci appartiamo un po'. Parliamo del tramonto e del panorama, ma capisco che lei preferirebbe altro. In fondo è stata chiara dicendomi che non è una ragazzina e che le piacciono gli uomini. Io le tocco i capelli, lei invece mi sbottona la camicia. Le sue gambe che prima erano accavallate, ora sono aperte e invitanti. Preferisco donne del genere, che sanno quello che vogliono senza fingere giorni di indecisioni, per poi finire sempre allo stesso modo. Quando torno a casa sono soddisfatto della serata, ma credo che Davide ci abbia visto giusto, una come lei va bene per certe cose non per altro. Dopo una settimana, la ragazza mi manda un messaggio e torniamo a incontrarci. I nostri incontri diventano abituali: ci vediamo ogni volta che lei capita a Verona. E io sto bene, perché non è una cosa che mi influenza l'esistenza, un rapporto del genere equivale all'essere liberi! Niente coinvolgimenti di sentimenti, niente cuore. Siamo due che ci saziamo dei nostri appetiti e rispettiamo le nostre libertà, non ho mai chiesto se frequenta altri uomini e lei fa lo stesso con me. Quando non siamo insieme, la nostra vita procede senza variazioni e senza privazioni. Niente gelosie, niente problemi. La nostra non-relazione va avanti per diversi mesi allo stesso modo: ci incontriamo a Verona, ceniamo e passeggiamo come stasera. Siamo davanti alla vetrina di un negozio di abbigliamento intenti a osservare un vestito quando mi sento una pacca sulla spalla. - Figliolo, che sorpresa! - Mio padre? Mi ha chiamato “figliolo”? Sarà ubriaco? - Papà? Cosa ci fai qui? - - Sono venuto a portare del vino a un bar, e mi facevo un giro! Ma che bella sorpresa! Ti vedo in dolce compagnia. Signorina Kerstin, la trovo benissimo! - - La conosci, papà? - - Certo, è la figlia dei nostri vicini, Gabriel. Sono orgoglioso di te, figlio mio! Non credo tu possa trovare una ragazza migliore! Spero tanto non sia una delle tue avventure. - Sento il cuore scoppiarmi di gioia, non credo alle mie orecchie. Mio padre trova Kerstin bella e adatta a me. Approva una mia scelta. Mi giro e osservo Kerstin che sorride e stringe calorosamente la mano a mio padre. Questa è la serata più bella della mia vita! - Ragazzi, vi lascio ai vostri impegni, spero che prima o poi la porterai a casa nostra. Sei la benvenuta, signorina Kerstin, quando vorrà, saremmo felici di accoglierla come una figlia! - - La ringrazio, signor Leonardo! Sarà un vero piacere per me. - Mio padre ci lascia e io sono ubriacato dalle sue parole, avrei voluto registrare questo incontro. Non lo dimenticherò per il resto della mia vita. Da quel momento, Kerstin per me è diventata una dea, la mia ancora di salvezza, la chiave per arrivare al cuore di mio padre.
5. Carol: uno scricciolo... Arrivo a Rimini con il cuore in frantumi. L'avvocato è un signore di mezza età, un po' calvo, con un viso tondo e simpatico. Sembra molto addolorato, mi cinge la vita e mi stringe a sé quando mi vede in singhiozzi perché tutta la tensione accumulata nella mattinata e durante il viaggio ha ceduto al pianto. E piango. Piango per Sabrina, andata via troppo presto e piango per me che non ho più nessuno su cui piangere. Piango lacrime che sciolgono il ghiaccio che ho nell'anima. - Signorina Rossi, coraggio. Ora la porto in ospedale dalla piccola, vuole vederla? - - Io... non lo so, lei mi capisce? Non so come si fa a crescere una bambina. Non ho nessuno neanche io. Se succedesse qualcosa a me, cosa ne sarebbe di lei? - - Capisco ma, se non la prende lei, la bambina andrà in una casa-famiglia e poi sarà pronta per l'adozione. Forse, prima di scegliere dovrebbe leggere ciò che la sua amica le ha lasciato scritto. - C'era una lettera per me? - Vuole che la porti prima allo studio? - Sospiro e raccolgo tutte le mie forze. - Prima andiamo da lei. - Ci dirigiamo in ospedale e poi verso il reparto di pediatria. - Le hanno fatto dei controlli per vedere se aveva subito traumi, ma sta bene per fortuna. Ora è in compagnia di un'assistente sociale, che continuerà a seguirla nel suo percorso di affidamento, sia se deciderà di tenerla, sia se la darà via. - L'avvocato mi spiega ogni cosa, e inizio a sentirmi troppo coinvolta. Io non sto decidendo di dare via nulla, la bambina non mi appartiene, né a me né a nessun altro. Vorrei avere delle soluzioni, ma non so badare neppure a me stessa. Sabrina, aiutami a fare la cosa giusta. - Avvocato, io ho paura - , confesso. - Non ho un lavoro stabile, come farò? - - Lei venga a conoscere la bambina, poi vedremo come sistemare le cose. Siamo stati vicino a Sabrina dopo la morte dei suoi genitori, e non solo come sostegno giuridico. Siamo esseri umani, signorina Rossi. - Entriamo in reparto: i muri affrescati con vari personaggi dei fumetti vorrebbero rallegrare un ambiente dove odori di alcol e medicine fanno pensare solo alla sofferenza. L'avvocato bussa e qualcuno apre una porta. In un letto troppo grande si intravedono dei riccioli biondi, appartenenti a uno scricciolo di bimba. Non la vedo da così tanto tempo che non avrei potuto riconoscerla, è diventata una bellissima bambina neppure le foto ricevute via mail mi avrebbero aiutata. Poi noto due occhietti celesti e un visino angelico che sembra spaventato. Mi avvicino piano - Ciao. Ciao, Nicole. - Cerco di farle un timido sorriso, ma il cuore si stringe provocandomi una fitta. - Ciao, tu sei la mia madrina e la mia nuova mamma? - Mio Dio, cosa devo rispondere? Le lacrime mi salgono dal petto e premono dietro le palpebre, mi costringo a reprimerle. Lei è piccina, come reagirebbe? - La mia mamma è andata in cielo e ora è un angelo. Ma la signorina ha detto che prima di andare via mi ha mandato una nuova mamma. È vero? - Devo dire qualcosa... - Sì, è vero, mi dispiace tanto che la tua mamma sia dovuta andare in cielo. Ma, prima di volare via, mi ha assegnato un compito. Tu vuoi stare con me? Sappi però, che io non so se sarò brava come lei, sai? - La bambina sembra avere le risposte che mi mancano. - Se la mia mamma ha scelto te, forse sa che sarai brava come lei. Posso venire con te? - - Certo, tesoro, ma ora devo andare a sbrigare delle cose con questo signore. Tu puoi aspettarmi qui ancora un po'? - Mi giro verso l'assistente sociale. - Cosa bisogna fare? - - Vada con l'avvocato, le spiegherà meglio le cose. Io preparo Nicole, poi insieme l'aspetteremo qui. Credo che tornerà. - Lo credo anch'io. - Nicole, posso darti un bacino? - le dico per rassicurarla - Sì! Ma tu torni davvero? Non mi lascerai anche tu? - mi chiede sottovoce, spaventata. - No, amore, non ti lascerò mai. Tu sai come si fa una promessa, Nicole? - - No, sono piccola. - - Ora ti insegno: metti la mano sul cuore, così come io la metto sul mio. Ti prometto che tornerò presto e che stanotte dormiremo insieme. Promesso. - La stringo e le do un bacio. Cosa mi è preso? Cosa dovevo rispondere a questo piccolo esserino spaventato? Non posso lasciare uno scricciolo indifeso e solo al mondo. Ecco perché l'avvocato voleva portarmi a vederla, prima di decidere: sapeva che non avrei avuto dubbi. Il Signore mi indichi una strada.
6. Carol: la lettera Quella bambina mi ha conquistata al primo sguardo. - Ha fatto la scelta giusta, cara ragazza! la madre di Nicole ci ha visto lungo. - - Avvocato, sono nei guai. Cosa faccio, la porto a Roma con me? O restiamo qui per non farle cambiare all'improvviso le sue abitudini? - Mi conduce nel suo studio. - Le presento mio figlio Alessandro, Alex per gli amici. Seguiremo le sue pratiche senza lasciarla mai da sola. Saremo un sostegno per lei e la guideremo nel fare le scelte giuste, vedrà. - Mi accomodo, dopodiché Alex apre una cartellina e mi dà una lettera. - Prima di aprirla, vorrei informarla: la signora Mancini aveva una casa a Igea Marina, Bellaria, Rimini Sud. La casa era dei suoi genitori, stavano pagando un mutuo, ma erano assicurati, e quando sono deceduti l'assicurazione ha coperto l'intero valore del mutuo. Quindi adesso è di proprietà della bambina, ma come suo tutore è lei che amministrerà tutti i suoi beni, sotto la nostra supervisione. Se volesse abitare qui, non avrebbe problemi. - Cerco di assorbire tutte le informazioni. - Per vivere, Sabrina aveva comprato una libreria. Se vuole, potrò fare il trasferimento a nome suo. Il locale è di proprietà, Sabrina pagava un mutuo, ma anche questo è coperto da assicurazione che provvederà a coprire le rate finali. Mentre il denaro sul conto corrente bancario sarà vincolato fino al diciottesimo anno di Nicole che ne è la legittima erede. Per l'auto non c'è nulla da fare, è da rottamare. Ora legga pure la lettera. - La prendo in mano e comincio a leggere. Cara Carol, se stai leggendo questa lettera, vuol dire che è accaduto il peggio: io non ci sono più. Ti starai chiedendo perché proprio tu, immagino. Perché tu sei stata un'amica leale, tenera e mai presuntuosa o arrogante. Sei una persona dolce, ami i bambini e ti prendi cura delle persone più deboli. Non ti fai trascinare dalle apparenze, ma segui sempre il tuo cuore. Chi meglio di te potrebbe prendersi cura del mio piccolo tesoro? Tu potrai insegnarle a diventare una bambina giudiziosa e a inseguire i suoi sogni. Saprai amarla e proteggerla come ho fatto io. Tu potrai renderla una donna forte, come hai fatto con me. Da ragazza mi hai insegnato a non aver paura. Forse è meglio che tu sappia alcune cose che tre anni e mezzo fa non ho avuto il coraggio di raccontarti. Nicole è nata il 20 maggio da una mia breve relazione con un ragazzo di Verona. Non cercarlo, è inutile. Io l'ho informato della mia gravidanza e in risposta ho ricevuto un assegno di mille euro, che conservo e non ho mai usato, per abortire. Se fosse per lui, Nicole non sarebbe qui. Ho conservato una lettera anche per la bambina, quando sarà grande voglio che sappia chi è suo padre e cosa ha fatto. Spero che la mia casa diventi la vostra casa. Potrai usare tutto ciò che mi appartiene. Ti chiedo solo di non stravolgere le abitudini di Nicole, se ti sarà possibile, e di parlarle spesso di me. Io adoro mia figlia, è la cosa più bella e importante della mia vita. Amala e proteggila sempre. Non vi lascerò mai sole. Ti voglio bene, Carol. Ti Amo, Nicole. P.S. L'avvocato Ferrari è un uomo degno della più totale fiducia. Rivolgiti a lui per qualsiasi cosa. Un bacio
Le lacrime scendono in silenzio, rigano la mia anima e, calde, sgorgano sul volto. Ecco la vita che ti illude e poi ti ruba ogni cosa. Ecco ciò che siamo: una fragile bolla di cristallo che sembra indistruttibile, e invece basta un soffio, una semplice incrinatura e tutto si frantuma. Sabrina ha saputo incidere con semplicità il nome di Nicole sul mio cuore. Lei e io siamo sole al mondo, senza nessun appiglio, due iceberg che vagano in un oceano di solitudine, due cuori sanguinanti nel vuoto assoluto, due naufraghi bisognosi di un salvataggio. Sabrina mi ha dato una zattera, Nicole, e a lei ha dato me. Noi due ci salveremo da noi stesse, dal nostro dolore, stando insieme. - Signorina, possiamo continuare? - L'avvocato mi desta dai miei pensieri. - Forse è meglio continuare domani, avvocato, credo che faremmo meglio ad andare dalla bambina. Non vorrei che pensasse di essere stata di nuovo abbandonata. Inoltre, domani dobbiamo occuparci anche delle esequie di Sabrina. Poi penseremo al resto. - Dal suo sguardo capisco che concorda con me. - Credo che abbia ragione. Se ha deciso, andiamo. Alex, vieni anche tu. La signorina ha l'auto parcheggiata davanti all'ospedale. Prima di andare a prendere la bambina deve scendere in obitorio a identificare la salma per regolarità, capisce? - Annuisco e li seguo. Dentro una bara di legno chiaro, distesa tra cuscini bianchi di raso, la mia amica dorme, sembra una bambola di ceramica, il viso pallido e i capelli sparsi sul cuscino, gli occhi socchiusi e le labbra curve in un lieve sorriso. È bellissima! Perché? Mi chiedo ancora: “Perché tutto questo?”. Lo stomaco si contrae e le lacrime scorgano senza che io riesca a controllarmi, l'avvocato mi abbraccia e dà segno di assenso. Nella mia mente corrono veloci i ricordi di due bambine con le treccine bionde che corrono sull'erba, due bimbe sedute sugli scalini di un portone che giocano con le bambole. Mia madre lavorava e spesso io andavo a casa di Sabrina, sua madre ci lasciava tranquille a giocare o a fare i compiti. Tutti ci scambiavano per sorelline e noi ci credevamo. Eravamo sempre insieme, mano nella mano, sempre a sorridere e a dividerci il nostro niente, eravamo due ragazze che avevano sogni e desideri, due ragazze piene di paura ma determinate ad avere un posticino nel mondo da occupare. - Ripeti di nuovo, avanti! È importante essere brave se dobbiamo andare al liceo! - mi diceva, lei realista e io sognatrice, io volavo tra le nuvole, lei era il filo che mi riconduceva a terra. I giorni passarono veloci e diventarono anni, le bambine si trasformarono in ragazze e i grembiuli cedettero il posto a gonne e collant. Sempre vicine: stesso banco, stessa classe, sempre a sostenerci e a dividere paure e ansie. I caratteri si formavano e gli interessi variavano, ma noi due eravamo sempre più unite: lei brava in lingue, io in lettere. Sabrina colmava ciò che mancava a me e viceversa. Nessun segreto, nessuna gelosia. Come da piccole ci dividevamo la merenda, da grandi abbiamo diviso, i rossetti e profumi, i vestiti. Quanto abbiamo pianto perché Sabrina sarebbe partita per Rimini! Doveva essere un'estate, ma alla fine è stato per sempre, lei voleva studiare lingue all'università di Cesena. Poi le distanze... il cielo era lo stesso, ma il suo tetto non era più accanto al mio. E ora i suoi occhi azzurri non sogneranno più, il suo sorriso non scalderà nessun cuore... - Si calmi e si ricomponga, non possiamo andare dalla piccola con lei in questo stato - , mi sussurra l'avvocato.
7. Carol: una decisione difficile Ci fermiamo in corridoio, davanti a una finestra aperta, e respiro aria fresca cercando di riprendere il controllo di me stessa, poi ci avviamo nella stanza dove ci attende Nicole. Quando arriviamo, troviamo l'assistente sociale intenta a colorare insieme a Nicole. La bimba solleva la testa e non appena mi vede mi sorride. Mi si stringe il cuore e una lacrima fa capolino sotto la palpebra, ma cerco di essere forte. Ho tra le braccia una bambola comprata in un autogrill durante il viaggio per arrivare qui una bambola con i capelli biondi e ricci come i suoi. Gliela porgo, lei la stringe e chiede: - Per me? - . - Certo, amore, ora andiamo a casa. Ti va? - - Sì, ma in quale casa? - - Casa tua, stella. Dove sei sempre stata. Non vuoi tornare a casa? - - Sì, ma tu resterai con me? Io sono piccina, non posso stare da sola. Ho tanti giochi, sai? Ma come posso chiamarti? - - Come vuoi tu, cara. Io mi chiamo Carol, ma tu puoi chiamarmi “zia”, “mamy”, “mamma” o solo “Carol”, come ti piace di più. - - Se la mia mamma ti ha mandata al suo posto, vorrei chiamare “mamma” anche te, posso? - - Bene, Nicole. Mi fa piacere. - Mi rivolgo all'assistente sociale. - Lei viene con noi? - - Sì, vi accompagno a casa. Io sono la dottoressa Giulia Micheli e da oggi sarò sempre presente. È nostro dovere controllare e proteggere la minore, mi capisce, vero? Dobbiamo essere sicuri che la bambina viva serena e stia bene, anche se sono molto colpita da come la situazione si sta evolvendo. Sembra che la bambina abbia accettato la sua nuova tutrice e che lei sia ben disposta nei confronti di Nicole, ma dobbiamo esserne sicuri. - - Non si preoccupi, anch'io mi sento più tranquilla ad averla vicina. - La dottoressa Micheli è una bella signora di circa quarant'anni, molto composta e rassicurante non la vedo come un ostacolo ma più come un punto fermo a cui potrò rivolgermi in caso di bisogno, dopotutto non ho mai avuto a che fare con bimbi piccoli. - Nicole, portiamo la zia Giulia a vedere la casa? - La piccola acconsente facendo sì con la testa, poi mi abbasso e la prendo in braccio. “Coraggio, si comincia questa nuova vita.” Mentre stringo Nicole tra le braccia, seduta nell'auto dell'avvocato, vengo invasa da pensieri, dubbi ed emozioni contrastanti. “Come potrò occuparmi di una bambina così piccola? Non so neppure cosa mangia. Non ho avuto sorelle minori o amiche con bambini piccoli, e se si ammala? Se le verrà la febbre? Forse, con una famiglia vera, una donna che ha già un'altra bambina, lei sarebbe più felice? E se non trovo un altro lavoro? I soldi mi basteranno per vivere, per mantenere entrambe? Sarò capace di occuparmi di un negozio?” Vorrei essere a casa mia, nel mio letto, vorrei che tutto questo non stesse davvero accadendo, vorrei che Sabrina fosse qui a occuparsi della sua bambina. Sento il respiro di Nicole cadenzato, leggero e tranquillo, lei si fida di me, lei mi ha accettata e si è aggrappata a me come a un'ancora di salvezza. Come posso deluderla? Forse non è così difficile fare la mamma... Se dico di no e trova una famiglia che la maltratta, che la picchia o le nega una vita serena? Cosa devo fare? Dio, aiutami a fare la scelta giusta. Sospiro, Nicole alza gli occhietti azzurri e mi fissa. Quegli occhi cercano risposte, io la stringo forte e le do un bacio sulla testa, lei riabbassa la testa e rimane stretta a me. Non posso abbandonarla. Non posso deluderla, devo provarci. 8. Carol: un abbraccio La casa è una villetta a schiera bifamiliare. Entriamo in un cancelletto, calpestiamo un vialetto e arriviamo al portone. A lato del vialetto, alla mia sinistra, c'è un piccolo giardino con la rampa che porta al garage. Sulla destra invece, parte una scalinata che porta al piano superiore, abitato da un'altra famiglia. Ho Nicole ancora in braccio, la mia auto l'ha guidata Alex. Non appena Alex apre il cancelletto, sentiamo aprire anche il portone d'ingresso del piano superiore. Una signora, che potrebbe avere tra i cinquantacinque, massimo sessant'anni, esce sull'uscio. Nicole alza gli occhi e mi dice, indicandola con il dito: - È zia Tina - . Senza pensarci due volte, esclamo: - Buonasera, signora, potrebbe venire giù? Nicole vuole salutarla - . La donna non aspettava altro. Mentre scende, Alex apre la porta, così entriamo tutti, seguiti da Tina. Metto sul divano Nicole e Tina corre a stringerla tra le braccia. Vedo colare dal suo viso lacrime amare. - Mi dispiace, piccola. - Poi la poggia a terra e si gira verso di me. - Io sono Tina. Stamattina mio marito Giuseppe doveva portare la bambina alla materna, ma poi Sabrina ha detto che voleva arrivare a Rimini e che sarebbe passata lei. Oh, se solo non ci avesse ripensato, ora sarebbe qui, tutto questo non sarebbe accaduto! - Piange composta e si asciuga subito le lacrime, cercando di non turbare troppo Nicole. - Io sono Carol, Sabrina mi ha... - - Lo so, Sabrina mi aveva parlato di lei, ma ho avuto tanta paura che non avrebbe accettato. Mio Dio, ero così in pena, cosa farà ora? Porterà a Roma la mia piccola? - Vedo Nicole allarmata che alza lo sguardo dalla bambola: teme di dovere lasciare la sua casa. - No, io non ho nessuno a Roma. Credo che non mi costi nulla restare qui, e poi vorrei tanto che mi trattasse come trattava Sabrina, perché credo che avrò bisogno davvero dell'aiuto di tutti. - Nicole riprende a giocare tranquilla con la bambola. La vedo tornare serena. Tina si illumina e sorride, mi abbraccia forte e dice: - Che tu sia benedetta, figlia mia! Io e Giuseppe saremo sempre disponibili. Non ti preoccupare. Avete cenato? È tardi e sarete tutti stanchi. Nicole, vuoi un pezzo di pizza? - . - La bambina ha mangiato in ospedale - , dice Giulia, ma Nicole risponde in contemporanea: - Sì, voglio la pizza! - . Mentre Tina corre al piano di sopra a prendere la pizza, Alex porta dentro le mie valigie. Guardo Giulia e, timorosa di aver sbagliato qualcosa, la interrogo. - Ho fatto qualcosa che non dovevo? - - No, Carol, sono sorpresa. Stai gestendo tutto fin troppo bene. Forse, Sabrina, da lassù, ti sta guidando. - Si volta verso l'avvocato. - Lasciamole sole, domani sarà una lunga giornata. - Torna a rivolgersi a me. - Ora riposate, ci vediamo qui, domani mattina. L'avvocato le darà tutti i documenti e piano piano sistemeremo ogni cosa. - Tina ci porta la pizza e, come una perfetta padrona di casa, va in cucina e prepara il tavolo per la cena. Mi guardo intorno: la porta d'ingresso conduce al salotto dove: si trova un divano grande e nero a tre posti, un televisore incastrato tra i ripiani di un mobile moderno, un tavolino più piccolo con sopra una ciotola piena di caramelle, e una poltrona bianca. Alla mia destra si entra in cucina, un ambiente chiaro con un frigorifero gigante ricoperto di calamite. Non c'è nessuna porta, ma solo un arco abbastanza largo da creare un unico ambiente con il salotto. - Venite, coraggio, che è già tardi. - Ci sediamo a tavola, Nicole sopra una sedia con un grosso cuscino, io accanto a lei. La aiuto a sistemarsi e la vedo mangiare con gusto. Mastico controvoglia, la pizza è buona ma lo stomaco non vuole saperne di cibo. Tina se ne accorge. - Preferisci un bicchiere di latte? - - Sì, forse è meglio. Lo vuoi anche tu, Nicole? - Ha il boccone in bocca, fa cenno di sì con la testa e poi dice: - Io bevo tutte le sere un bicchiere di latte, prima di dormire - . La lascio mangiare mentre vado a vedere il resto della casa, portandomi dietro la valigia. Tina mi segue, forse mi ha letto nel pensiero perché mi dice: - Hai fatto la scelta giusta! La bambina è molto dolce e ha bisogno di te! - . - Vorrei avere le tue certezze, signora Tina! Vorrei essere sicura, ma ho tanta paura. - - Io ti starò vicina come posso, ma sono vecchia per prendermi cura di una bambina da sola, altrimenti mi sarei fatta avanti. - Dal salotto si passa nella zona notte: c'è una camera matrimoniale e accanto c'è una cameretta con dentro una grossa culla bianca, un piccolo comò e un fasciatoio. Seguono due bagni, il primo più grande, ha la vasca e doccia, il secondo più piccolo, con solo la doccia, una lavatrice. La casa è ben tenuta e i mobili sono nuovi. Mi sento come una ladra che si intrufola nella vita altrui. Ho tanti dubbi, tante paure. Ieri sera ero a servire in un bar, stasera sono a settecento chilometri di distanza con una bambina e un nuovo futuro. Durante il viaggio ho chiamato Marc, l'unica persona abbastanza più simile a un familiare che io ora abbia. Marc ha ascoltato affranto la mia storia e si è mostrato molto fatalista: ha parlato del destino ineluttabile e di come le cose accadano, anche se si prova a deviare il loro percorso. Mi ha offerto il suo aiuto economico, se mai ne dovessi avere bisogno, e sembrava certo che sarò in grado di essere una buona madre per la piccola. Beato lui che ha tante certezze! Io sono solo spaventata e mi sento tanto triste e sola. Quando Tina va via, io e Nicole beviamo il latte caldo. - Nicole, ti va di dormire con me nel lettone? - - Perché? Hai paura a dormire sola? - - Perché dovrei avere paura? - - La mia mamma diceva che solo le bimbe fifone dormono con la mamma. - Non mi va di contraddirla, ma credo sia meglio stare insieme, questa prima notte. - Sì, ma a volte succede che le bimbe hanno bisogno di un abbraccio o al contrario che le mamme vogliono un abbraccio dalla loro bimba. Anche in questo caso si può dormire assieme. - - Oh, mi piace questa storia! Allora, va bene. Prendiamo il pigiamino. - Tutta sorridente trotterella sul letto, l'aiuto a vestirsi e poi ci mettiamo sotto il lenzuolo. È caldo, ma la stringo vicina a me. - Diciamo una preghierina per mamma Sabrina in cielo? - - Va bene. - Nicole ripete le mie parole, io ogni tanto le bacio la testolina, poi le chiedo se vuole sentire una favola. Annuisce e inizio, ma dopo poche frasi la sento allentare la presa sul braccio. È crollata nel mondo dei sogni. Io, invece, osservo le linee disegnate sul muro dalla poca luce che filtra dalle fessure della tapparella. Spero davvero che Sabrina, ovunque sia, mi dia tanta forza. Non riesco neppure a immaginare il mio futuro. Dovrò imparare a gestire un negozio, in più posso fare domanda per insegnare, l'avvocato mi ha detto che con una bambina a carico ho un punteggio maggiore e mi sarà più facile trovare una cattedra. La casa a Roma costituirà un'ulteriore entrata, se l'affitterò ad altre ragazze. Sembra tutto così facile... Eppure, ora ho una figlia a cui pensare. Ho sempre sognato, da bambina, un bellissimo uomo biondo al mio fianco, con gli occhi chiari stile principe azzurro e una bimba bionda con gli occhietti celesti come figlia. Be'... una parte del sogno è già tra le mie braccia, senza neanche partorire! Il principe azzurro credo che resterà solo una fantasia, chi vorrebbe mai una donna incasinata come me, per di più con una figlia a carico? 9. Carol: i viali Il giorno successivo non è stato molto facile. Per nulla. Nicole non è voluta restare a casa con Tina, credo sia spaventata che io possa abbandonarla come Sabrina. Come puoi far capire a una bimba che la sua mamma non l'avrebbe mai lasciata volutamente? L'ho tenuta sempre in braccio, sia in chiesa sia al cimitero. Tina è riuscita a staccarla da me solo per portarla al bar a prendere un gelato, e io ho promesso che sarei andata a fare la spesa e che ci saremmo riviste a casa. Alex mi ha accompagnata al supermercato, poi siamo rientrati nella villetta dove Tina aveva già preparato il pranzo. Alex è tornato nel pomeriggio con tutti i documenti da firmare, insieme all'assistente sociale, e così tutto è stato risolto. Sbrigate queste formalità, ho potuto gettarmi sul letto e dormire un po'. Il giorno successivo siamo andati a vedere il negozio. Viale dei Platani è una strada alberata e piena di negozi. La libreria è un locale lungo e non molto largo; ai lati ci sono scaffali allineati pieni di libri e due vetrinette trasportabili da esporre all'esterno del negozio, contenenti dentro piccoli souvenir. In un angolo, dietro una delle due vetrine, c'è un piccolo bancone con la cassa e il necessario per impacchettare gli acquisti. In fondo al negozio, sulla destra, c'è una tenda colorata e decorata a pois, di quelle che una volta si mettevano davanti alle porte dei negozi dei paesini e che nasconde il retrobottega: uno spazio rettangolare con un divanetto, un tavolino, due sedie, un frigo e un piccolo bagno. Nicole mi dice che spesso il pomeriggio dormiva lì e che, in estate, quando chiudevano tardi, mangiavano su quel tavolino. Accanto al negozio, sulla destra, della libreria c'è un bar che vende un po' di tutto, gestito dal signor Antonio, un giovane uomo sui trentacinque anni, capelli neri, occhi scuri tra il nero e il blu, alto e robusto, abbastanza belloccio, e da Nadine, sua moglie, una bella ragazza con capelli neri e lunghi raccolti sotto il cappellino bianco. Hanno due figli, una bambina di sette anni, Zoe, e un bambino di cinque, Diego. Sono molto cordiali e, non appena vedono Nicole, corrono ad abbracciarla e ad accoglierci come se fossimo di famiglia. A sinistra della libreria, c'è la signora Maria, una bella donna sulla cinquantina che con suo marito Filippo vende magliette, strofinacci, tovaglie, centrini e calamite. Continuando sulla stessa strada si trovano un negozio di borse e un altro di bigiotteria e souvenir; dall'altra parte, dopo il bar, ci sono una gioielleria e una trattoria. Sembra esserci tanta vita in questa strada, come in un mondo vacanziero e spensierato: tutti sorridono e passeggiano tra i negozi, nonostante sia l'ora in cui molta gente è al mare. Io dovrò aspettare che i documenti siano a posto per potere riaprire la libreria, e ci vorranno almeno una decina di giorni. Sabrina aveva ragione: l'avvocato Mancini è una persona squisita, e nonostante sia solo un avvocato mi sta dando una grossa mano per ogni cosa. Viene da me tutti i pomeriggi per un paio di ore e mi porta in giro a conoscere la zona, a cercare i negozi migliori e mi ha aiutata anche a imballare tutta la roba di Sabrina. Non ho voluto togliere o buttare via nulla di lei, abbiamo messo tutto in un angolo del garage e, quando Nicole sarà più grande, deciderà lei cosa farne. L'avvocato mi ha anche portata a scegliere una cameretta per Nicole, con due lettini singoli, un bell'armadio a quattro ante, una cassettiera e una scrivania. Nel caso Marc e sua moglie Giulia venissero a trovarci, potrò dormire con Nicole nella sua cameretta e lasciare libera la stanza principale. Alex mi ha accompagnata anche a Roma a prendere il resto della mia roba e a organizzare la casa per l'arrivo delle nuove inquiline. Non so come farei senza il suo aiuto. Davvero. Dopo quindici giorni, alle cinque in punto, entro nella libreria da proprietaria. Nicole è felicissima, corre tra il bar di Antonio e il negozio di Maria, conosce tutti e mi presenta senza tentennamenti come la sua nuova mamma. Quel microcosmo è la sua famiglia, e adesso anche io ne faccio parte. Sono felice di non averla portata via. Il tempo passa in fretta, dopo pochi giorni già mi sembra quasi di avere sempre vissuto qui. Ogni tanto vado a farmi un cocktail da Antonio, mentre Nicole sta sempre con Diego in libreria o al bar. Qui tutti si aiutano tra loro e stanno fuori dalla porta a parlare, se non c'è gente da servire. Mi piace molto questo clima informale. Nicole ama disegnare e, per essere una bambina così piccola, fa disegni a mano libera bellissimi, una dote da coltivare e stimolare. Ogni dettaglio di questa nuova vita mi soddisfa e mi incuriosisce, facendomi credere di non essere più così tanto sola al mondo.
10. Carol: un compleanno da favola Un battito di ciglia... e arriva settembre. La prima chiamata di lavoro riguarda un posto alle medie, a San Leo, a trentacinque chilometri da qui. Alex mi suggerisce di rifiutare e così faccio, lui ormai è il mio consigliere, il mio amico, la mia guida. Due giorni dopo arriva una chiamata da Rimini: un liceo scientifico per un anno, un sogno! Secondo me c'è di mezzo il padre di Alex, ma lui nega. Se così fosse vorrei che Dio ricompensasse queste persone! Di mattina posso portare Nicole alla scuola materna, poi mi reco al lavoro e posso andare a riprenderla all'uscita. Solo due volte a settimana la lascio fino alle quattro. Per il lavoro in libreria ho stipulato un contratto part-time alla nipote di Maria, Sara, una ragazza appena diplomata che non vuole andare all'università. Tutto si è sistemato. La libreria, come aveva detto Alex, rende abbastanza bene. Con la scuola e qualche sacrificio, che faccio senza drammi, perché il mio primo interesse è provvedere a tutte le necessità della bambina, viziandola come farebbe ogni mamma, c'è la passiamo abbastanza bene. E così, il tempo corre veloce... e sono già trascorsi tre anni. - Forza, Nicole, spegni le candeline! - urla Tina. Sono così orgogliosa di mia figlia, la mia principessa, la mia sola ragione di vita, e la osservo tutta fiera nel suo vestito vaporoso, mentre si accinge a spegnere le candeline sulla gigantesca torta rosa. Le ho organizzato una fantastica festa a tema, all'interno di Fiabilandia, un parco divertimenti per bambini. Ci sono i suoi compagni di classe e tutti i figli e i nipoti dei negozianti di viale dei Platani. Tre anni fa ero piena di paure, adesso invece posso tirare le somme e sono più che positive. Ho una valanga di amici, Tina e Giuseppe sono dei nonni perfetti per Nicole, per non parlare di Antonio, Nadine, Maria... veri angeli custodi. - Le foto! - dice Sara, che ama scattare un sacco di istantanee e qui si diverte a fare la fotografa professionista. - Ehi, mammina, come siamo felici, eh? - mi prende in giro Alex, seduto accanto a me su una panca. Sono proprio felice, ha centrato in pieno il punto. - Oh, Alex, adoro questa bambina! Mi ha insegnato a vedere il lato positivo in tutto. Non ho più paura di nulla, sfiderei il mondo per lei. Non esiste niente di più bello che il suo sorriso, la sua vivacità, le sue scoperte. Io vivo ogni attimo insieme a lei come pura gioia. - - Lo so, Carol, ma dopo tre anni non è ora che inizi a pensare un po' anche a te stessa? - - Sì, hai ragione. Infatti volevo giusto chiederti di portarmi in qualche autosalone, la settimana prossima. Devo comprare un'auto decente, la mia “carretta” fa troppe storie. - Alex sbuffa bonariamente. - Io intendevo altro, Carol! Non un'auto! - Alzo gli occhi al cielo ed eludo la conversazione. - Alex, ti prego... so cosa vuoi dire, ma non ho ancora tempo per ciò che intendi tu! - - Carol, fra qualche mese compirai trent'anni. Quando avrai tempo? Da quanto non ti compri un vestito decente? - - Perché? Così non vado bene? - dico, e mi fingo offesa. - Sai cosa intendo. Non i soliti pantaloni o le solite magliette, Carol. Un vestito che risalti la donna stupenda che sei! - - Ci sarà tempo, Alex. Per il momento, ho messo da parte qualcosina e ho deciso di comprare l'auto. Hai visto quante cose ho fatto finora? Ho cambiato arredamento, ho riverniciato i muri. Nicole può seguire i corsi che vuole senza problemi, andiamo una volta a settimana al ristorante e... - - Hai comprato un garage di giocattoli a Nicole, un armadio di vestiti per Nicole, hai adottato un gattino e un delfino per Nicole... fai tutto per Nicole! Capisci quello che voglio dire? Quando farai qualcosa per Carol? - So dove il discorso andrà a parare, ma non ho il potere di fermarlo. - Carol, io ci sono, lo sai. Potrei aiutarti anche in altro modo, se me lo permettessi... - - Alex, no. Per favore, non oggi. Dammi tempo. - - Carol, quanto tempo ancora? Io adoro Nicole e lei adora me, sarei un padre perfetto, non uno zio. - - Alex, sai che tengo a te, ma non come un uomo da sposare. Almeno credo. - Non so come dovrei amare un uomo ma, quando vedo Antonio e Nadine insieme, io vedo l'amore con la A maiuscola. Anche Alex mi guarda con passione e Dio sa quanto vorrei sentire anch'io il mio cuore battere per lui, ma non sento nulla. Nulla di diverso da una bella amicizia. Nei libri e nei film si parla di qualcosa di molto intenso, ma esisterà davvero? Antonio mi spinge verso Alex, dice che saremmo una bella famiglia, ma io non so. Basta, è ora di pormi una scadenza: per Natale deciderò della mia vita. Alex, in fondo, è la persona più dolce, gentile, disponibile e amorevole che abbia mai conosciuto. Qualche volta ci siamo scambiati anche qualche bacio, in assenza di Nicole, ma non sono sicura di ciò che ho provato. Che confusione! 11. Gabriel: insostenibile... Sono davvero stanco, non ce la faccio più a reggere questa situazione. Mia madre si alza dal tavolo e va via. Non capisco perché debba avercela così tanto con Kerstin, la mia fidanzata. Ricordo quando, due anni fa durante un pranzo, le dissi che volevo farle conoscere la mia ragazza. Lei era radiosa: quello stronzo, ricco e viziato di suo figlio aveva trovato un punto fermo. - Oh, che bello, hai messo la testa a posto! Hai sentito, Leonardo? - disse, rivolta a mio padre. - Ti piacerà Kerstin, Ginevra. Ne sono sicuro. Io la conosco, è la figlia di Adel e Gaspare, la coppia che ha la tenuta che confina con la nostra. Ti ricordi di Adel, la signora tedesca? Aveva una bambina quasi dell'età di Gabriel. - - Sì, ma poi non l'ho vista più. Che fine aveva fatto? - - Kerstin è stata sempre in un collegio in Svizzera. Sai, certe famiglie ci tengono che l'educazione dei figli sia seguita in certi collegi di lusso. È rimasta lontana per sei anni, fino a quando non si è laureata in Design e discipline della moda - , intervenni io. - Lavora per una casa di moda e viaggia molto. Dai, mamma, stasera la porto a casa per un tè, che ne dici? - - Certo, tesoro, portala per le sei. Va bene? Leonardo, rientri anche tu per quell'ora? - - Non so, devo controllare alcune botti, ma ci proverò. - Ero così orgoglioso di me, quel giorno, mentre entravo nella tenuta con Kerstin, cingendole la vita con il braccio. Lei è alta quasi quanto me, bionda, bellissima, con un fisico da modella. Avevo ottenuto in pieno l'approvazione di mio padre che ci aveva incontrati in giro per Verona e già sperava di vederci convolare a nozze. Ero stato euforico fino all'ingresso del salone, dove mia madre stava leggendo un libro nell'attesa del tè. Alzò gli occhi su di noi, e il sorriso sulle sue labbra si spense, divenne pallida come uno straccio come se avesse appena visto un fantasma. - Cosa ci fa lei in casa mia? Come osi portare questa donna qui? - Ero scioccato. - Mamma, lei è la mia ragazza, Kerstin! - - Bene, bevete qualcosa e andate via. Credo di non sentirmi molto bene. - Uscì dalla camera e io restai di merda. Sono passati due anni da allora, e nell'ultimo anno Kerstin è sempre stata più presente nella mia vita. Lei insiste a venire a casa mia, e mia madre insiste nel non volerla vedere. Persino mio padre si è messo di mezzo per fare da tramite, ma nulla è cambiato. Avverto sul viso di mia madre il ribrezzo ogni volta che la porto con me. Ho trentacinque anni e Kerstin ne ha due meno di me, e anche suo padre preme per vederci sposati, ma mia madre è stata categorica: Kerstin non verrà mai a vivere qui, finché lei sarà in vita. Kerstin non vuole vivere in nessun altro posto se non qui, quindi come posso risolvere il problema? Più volte ho provato a parlare con mia madre che è dolcissima con me, ma l'unica giustificazione che dà è: - Lei non ti ama, si vede a un miglio di distanza, e tu non ami lei. L'amore è tutta un'altra cosa, figlio mio! Io amo infinitamente tuo padre, ho infranto ogni regola, quando l'ho detto in famiglia. Leonardo era un semplice cantiniere, un ragazzo che amava la campagna e l'arte del vino. Eppure, davanti all'amore, mio padre ha ceduto. Io non rovinerò la vita del mio unico figlio con una come quella arrivista e algida - . È andata in questo modo negli ultimi due anni, fino al pranzo di oggi. Kerstin è rientrata da Londra ed è passata da casa. Mia madre, non appena l'ha vista, si è alzata da tavola ed è andata a mangiare nella sua dépendance, dove di solito si isola per dipingere. Adesso Kerstin si trova a passeggiare tra i filari del vigneto, mentre io mi rilasso sul portico, sentendo l'odore del terreno e il profumo dei pampini e osservando i grappoli acerbi. Questa è la mia pace. - Gabriel, dove sei finito? - Sento la voce di Davide, il mio amico e compagno di disavventure. Mi alzo e affretto il passo verso di lui. - Che fai? - mi chiede quando mi scorge. - Cerco di rilassarmi, c'è stata un'ulteriore lite tra mia madre e Kerstin. Non ce la faccio più! - Davide non si sorprende più di tanto. - Tua madre è stata chiara, quindi perché non comprate un appartamento a Verona e andate a vivere lì? Che problema c'è? - - A te sembra semplice? Io mi sposo e mia madre non viene neppure al matrimonio. Ho un figlio e non posso portarlo dalla nonna, se con noi viene anche Kerstin. I compleanni, i Natali... che vita sarebbe? - - Dai, ci penserai un'altra volta. Ero qui per chiederti se domani vuoi venire con me a Rimini, sabato e domenica ci sarà una mostra di vini. Ma se c'è Kerstin, credo che non potrai muoverti, giusto? - - No, lei riparte domattina presto per Parigi. Però non so se mi va... - Ci penso su un attimo. - Ma sì, dai, almeno mi distraggo un po'. - - Bene, alle otto passo a prenderti. Ripartiamo lunedì mattina. Due notti da leoni, amico! -
12. Gabriel: viaggio a sorpresa L'ultima volta che sono stato a Rimini è stata otto anni fa. Nulla è cambiato. Siamo nel centro storico e sembra di essere in una cantina a cielo aperto, nella quale si passeggia e si sorseggiano vini locali d.o.c. Una volta acquistato un coupon con il proprio calice da passeggio, ognuno potrà scegliere i vini prodotti da trenta grandi cantine delle colline riminesi e degustare prodotti tipici. Sono rilassato e tranquillo: mi serviva davvero un diversivo. Rientriamo in albergo, Davide ha prenotato a Igea Marina. Facciamo la doccia e usciamo di nuovo. Il viale è stracolmo di negozi, bar e locali che a quest'ora sono tutti aperti. Troviamo un tavolino libero, ci sediamo e ordiniamo due birre. - Mi mancavano la gente e la confusione, fratello! - dice Davide. - Qui l'estate si sente, sono le dieci e la giornata sembra appena iniziata - replico, guardandomi intorno. - La cosa che mi piace è che non ci sono solo adulti che vogliono la movida, ma anche famiglie con figli, qui tutti sono svegli. Guarda quei due bambini che colorano sul tavolino, da noi alle nove a letto! - Mi giro e osservo i due bambini, un maschietto e una femminuccia. Anche Davide li guarda, poi la piccola alza la testolina bionda. - Sai tra poco avrò un maschietto, ma mi sarebbe piaciuta una bambina come quella per figlia. Guarda, Gabriel, è stupenda. Dio Santo, è la tua fotocopia! - alza il tono della voce e guarda verso di me. Sono stupito anch'io: mi sembra di guardare allo specchio una mia versione meno matura. - Quanti anni potrà avere, Davide? - - Più o meno dai sei agli otto. Da come impugna i colori si vede che va a scuola, perché? - - Non può essere, cazzo... - Mi manca il respiro e sono agitato. Mi alzo e mi avvicino ai bambini. - Ciao, che bei disegni, complimenti! - - Ti piace? - replica la bambina con gli occhietti luminosi e fieri, mentre succhia un succo di frutta con la cannuccia. - Certo, come ti chiami? - - Io Nicole, lui è Diego. - - Che bei nomi! Quanti anni avete? - - Io sette e... - La bimba non riesce a concludere la frase perché arriva il barista infuriato. - Cosa vuoi dai ragazzini? Nicole, va' dalla tua mamma che ti starà cercando. Diego, accompagnala. - Poi si rivolge a me. - E tu, bellimbusto, esci dal mio bar, qui non c'è posto per quelli come voi! - - Guarda che si sbaglia, io ammiravo davvero i disegni. - - Come no... Andate via! - Davide si alza infuriato ma io lo trattengo e mi avvicino al tavolo dove erano seduti i bambini. Prendo la cannuccia del succo di frutta, la avvolgo in un fazzoletto pulito e la metto in tasca, poggio dieci euro sul tavolino e trascino via il mio amico fuori. - Che ti prende? Perché sei andato vicino a quei bambini? - - Davide, quella bambina è mia figlia, ne sono certo! - - Che cazzo dici? Una figlia? Non hai mai detto nulla... - - Perché pensavo che la madre avesse abortito, invece presumo l'abbia fatta nascere. Vieni con me. - Vado un po' più avanti e trovo la libreria. È identica, con solo qualche piccola variazione. Sabrina è lì, di spalle, capelli biondi, short bianchi e una camicia senza maniche azzurra. Non la ricordavo così bella, ha un sedere da far paura, delle gambe abbronzate e tornite. Sta parlando con due signore, la tenda del retrobottega è tirata e si intravede il bambino di prima che disegna anche Nicole deve essere lì. A un tratto si volta, ma non è Sabrina. È bellissima e mi pianta i suoi occhi verdi addosso. Sento una fitta allo stomaco, forse per tutte quelle schifezze che ho mangiato oggi. La donna mi passa di lato, va alla cassa e fa lo scontrino; è leggermente più alta di Sabrina, ma le somiglia, magari è la sorella, è bella da morire. Quando viene verso di me, non riesco a toglierle gli occhi di dosso. - Mi dica. Ha bisogno di aiuto? Ha visto qualcosa che le interessa? - La sua voce è una melodia, corde di un'arpa che vibrano nel mio stomaco. - Credo di avere sbagliato, cercavo una ragazza che conoscevo un tempo... Sabrina. Ma sono passati tanti anni e forse la mia memoria mi inganna. - La ragazza abbassa il tono della voce e quasi sussurra. - No, non si sbaglia, ma Sabrina è morta in un incidente stradale tre anni fa. - Cazzo! E adesso cosa faccio? Meglio giocare d'astuzia. - Se non sbaglio, aveva una bambina, giusto? - - Non sbaglia. - - Carol, vieni subito qui! - ordina una voce alle mie spalle. Cazzo, di nuovo il barista! La ragazza che dovrebbe chiamarsi Carol, mi fa cenno di attendere ed esce. Lui le sussurra qualcosa all'orecchio, lei sbianca e sobbalza. Cosa le avrà detto per farla stare così male? Poi il barista si rivolge a me. - Cosa fai ancora qui? Se non andate via, voi due, chiamo la polizia! - Continuo a tenere gli occhi fissi sulla ragazza, e vedo due lacrime solcarle le guance. Sono incazzato nero, decido di prendere Davide per il braccio e andare via.
Angela C
Biblioteca
|
Acquista
|
Preferenze
|
Contatto
|
|