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Autore: Michele Scalini
L'ultima donna
Avventura
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L'ultima donna
Mi trovavo in Nuova Zelanda da circa una settimana, in quei primi giorni di quel marzo duemila venti, che nessuno nel mondo osò mai dimenticare, e mi impegnavo nel lavoro come facevo ogni volta.
Ero così impegnato nello svolgere le attività riguardanti l'installazione che stavo affrontando che avevo dimenticato quanto stava accadendo nel mondo.
Quella dimenticanza venne avvantaggiata anche dal fatto che in quel paese non se ne parlava molto di contagi o di epidemie e che avevo smesso di seguire i notiziari del mio paese poco dopo il mio arrivo.
Per farla breve, tutto procedeva nella completa normalità a cui ero abituato.
Quel giorno, mi trovavo seduto al tavolo di lavoro, con le mani appoggiate alla tastiera del computer, e stavo scrivendo un'e-mail che avrei inviato in Italia per informare i miei responsabili riguardo agli sviluppi dei lavori.
Me ne stavo tranquillo a compilare quella e-mail quando Robert, un collega neozelandese, si presentò davanti a me con il telefono all'orecchio.
Quando entrò nella stanza in cui mi trovavo, lo sentivo parlare al telefono mentre camminava avanti e indietro di fronte ai miei occhi, accennando ad alcuni sorrisi, come era solito fare quando parlava con qualcuno.
- Ero al telefono con Gareth e mi stava informando che, proprio ieri mattina, è arrivata una donna dall'Italia che presentava sintomi influenzali ed è stata messa subito in quarantena - mi fa Robert dopo aver chiuso la telefonata - Tu come stai? Ti senti bene? -
- Sto bene, non ti preoccupare, anzi grazie per averlo chiesto - risposi dopo aver sollevato lo sguardo su di lui.
Ricevuta la mia risposta, sorrise e, dopo aver ripreso il telefono per informare Gareth sulle mie condizioni, se ne andò dalla stanza per tornare al suo lavoro lasciandomi al mio.
Finita quella breve conversazione e dopo aver visto Robert scomparire oltre la porta, tornai al mio lavoro.
Completai l'e-mail e la inviai ai vari destinatari, per poi tornare a svolgere le normali attività previste per quel giorno.
La domenica seguente, con un paio di colleghi, decidemmo di recarci in una città portuale posta a diversi chilometri da dove ci trovavamo, chiamata Oamaru.
Il motivo che ci spinse a scegliere quella destinazione, per trascorrere una giornata lontana dal lavoro e per avere un'occasione di visitare qualcosa di quel paese, fu il fatto che in una spiaggia di quel posto, si presentava ogni giorno una colonia di pinguini che avremmo tanto voluto vedere.
Il problema, però, era che quella colonia di pinguini si sarebbe presentata poco dopo il tramonto.
Quello rappresentava un problema, poiché quel posto era distante quasi un paio d'ore di macchina dalla nostra dimora.
Oltretutto, il giorno dopo ci avrebbe aspettato una nuova impegnativa giornata di lavoro e non avremmo voluto rientrare troppo tardi.
Comunque, decidemmo di andare lo stesso, speranzosi di poter vedere quegli animali che avevamo visto solamente in televisione o in qualche fotografia.
Giunti a destinazione, parcheggiammo l'automobile nei pressi del porto in stile vittoriano, dove trovammo della gente vestita in abiti d'epoca poiché era in corso una rievocazione.
Ci mescolammo tra la gente che passeggiava tra le vie di quel porto e lo visitammo, mentre scattavamo foto qua e là, nonostante non fosse molto grande, ma che ci permise di trascorrere una giornata spensierata e lontana dai problemi di tutti i giorni.
Immedesimandomi nel ruolo del turista che mi assegnai quel giorno, entrai in uno di quei negozi dove vendevano dei souvenir, con l'idea di prendere qualcosa da portare a casa che mi ricordasse nei tempi futuri quella giornata.
Dopo aver ispezionato con attenzione qualsiasi oggetto che si trovava sulle scaffalature che mi circondavano, decisi di prendere un piccolo quadro fatto di legno, dove veniva raffigurato un uccello tipico di quel paese e che viveva solamente lì.
Passai alcuni istanti a visionare quell'oggetto e quando mi sentii soddisfatto, lo presi per poi recarmi alla cassa di quel negozio.
Dietro al bancone trovai una signora sulla cinquantina e dai modi gentili, che accoglieva i clienti che si presentava da lei mostrando il suo sorriso migliore.
- Stavo prestando attenzione alla tua pronuncia, nonostante parli un buon inglese. Ma sono una donna curiosa e vorrei chiederlo. Da dove vieni? - mi chiese mentre impacchettava il mio souvenir senza abbandonare quel suo sorriso che l'aveva accompagnata per tutto il tempo.
- Nessun problema, si figuri - risposi alla donna ricambiando il suo sorriso - Vengo dall'Italia. Resterò qui per qualche settimana. -
Udita la mia risposta, la donna si concesse una pausa e, dopo aver accennato ad una smorfia che fece con la bocca, proseguì ad incartare il mio acquisto come se niente fosse.
- Sono venuto qui prima dell'epidemia! Non si preoccupi! - feci cercando di tranquillizzare quella donna.
- Non sono preoccupata. In fondo, se fossi stato malato, non ti avrebbero permesso nemmeno di entrare in questo paese - fece lei mentre mi porgeva il pacco e tornava a sorridere.
Lasciato quel negozio, andammo alla macchina per lasciare le buste con i nostri regali, in modo da poter camminare liberamente e senza pesi.
Poco dopo, andammo a pranzo in un pub posto sulla riva del mare dove ordinammo una pizza e della birra prodotta in quel posto stesso.
Finito di mangiare, ci recammo alla spiaggia dove avremmo potuto trovare i nostri pinguini, dove sorgeva una struttura che studiava e accoglieva quegli animali.
Arrivati sul posto chiedemmo informazioni riguardo alla colonia dei pinguini, nella speranza di poterli vedere, ad una donna che si trovava dietro ad una scrivania all'interno di quella struttura.
Purtroppo per noi, quella donna ci confermò gli orari in cui era possibile assistere all'arrivo della colonia di pinguini, dicendo che avremmo dovuto aspettare un paio d'ore dopo il tramonto, cosa che sarebbe avvenuta intorno alle otto e trenta di sera.
Ringraziammo quella signora per le informazioni ricevute e uscimmo all'aperto lasciandola al suo lavoro.
Dispiaciuti che non avremmo potuto vedere quegli animali, perché altrimenti avremmo fatto troppo tardi, ci incamminammo lungo un vialetto che girava intorno a quella struttura, dove trovammo quella donna, per recarci nell'area in cui si sarebbero presentati i pinguini.
Giunti sulla piccola spiaggia, si presentò davanti ai nostri occhi uno spettacolo della natura che non ci saremmo mai aspettati di assistere, di cui nessuno, neanche quella donna, ci aveva avvisati.
Decine di leoni di mare si trovavano in quel posto e se ne stavano in tutta tranquillità a dormire sull'erba o sulle rocce degli scogli.
Per niente intimorito, ma molto affascinato da quegli animali che avevo potuto vedere solamente in televisione o in qualche fotografia, mi avvicinai il più possibile e rimasi ad ammirarli mentre scattavo loro delle foto.
Quella fu l'ultima domenica spensierata che trascorsi in quel periodo e nei tempi a seguire.
Ritornato nel motel in cui alloggiavo dopo la solita giornata di lavoro, tolsi gli abiti che indossavo per andare in bagno con l'intenzione di farmi una doccia.
Prima di andare a darmi quella rinfrescata, pensai di prendere dal frigo quella bistecca di manzo che avrei cucinato per la cena.
Dopo essermi asciugato e rivestito, andai a cuocere quella bistecca che aspettava vicino al fornello solamente di finire dentro la padella e poi nel mio stomaco.
Apparecchiata la tavola, mi accomodai e presi il telefono per avviare l'applicazione con cui seguivo le notizie provenienti dall'Italia.
Negli ultimi giorni, ero tornato a seguire quelle notizie durante i pasti, in modo da tenermi aggiornato riguardo a quella pandemia di cui tutti stavano parlando sui vari social network.
Al notiziario parlarono dell'aumento dei contagi, spiegando che stava avvenendo in gran parte del mondo, dicendo anche i numeri dei morti e delle persone tenute in reparti dedicati, realizzati all'interno dei vari ospedali.
Dicevano anche che sarebbero dovute servire delle misure restrittive per evitare l'aumento esponenziale dei contagi, prima che avvenisse l'irreparabile.
Seguivo quelle notizie con espressione allucinata, soprattutto perché dove mi trovavo non c'era ancora alcuna emergenza sanitaria e, quando ero partito, se ne parlava con superficialità.
Eppure, la situazione stava divenendo sempre più drammatica, al punto tale che intere nazioni vennero completamente sigillate, non permettendo a nessuno di entrare o di uscire.
Quelle nazioni obbligarono i propri cittadini di rimanere chiusi in casa.
Dissero loro di uscire solo per poco tempo ed esclusivamente per validi motivi.
Nel frattempo, pensavo al paese in cui mi trovavo, dove la vita scorreva normalmente, nonostante avessero limitato i voli provenienti dall'estero, e pensavo a quanto fossi stato fortunato a trovarmi in quel posto in quel periodo così tragico.

Michele Scalini

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