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Autore: Tony Di Crisci Salvati
GITS Fantasmi nell'ombra
Thriller Spionaggio
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GITS Fantasmi nell'ombra
L'uomo, supino, si svegliò lentamente sotto il fragore degli infissi che sbattevano contro le pareti per il troppo vento. Riaprì gli occhi, riflesse nelle sue pupille le enormi travi che formavano il soffitto sembravano volergli cadere addosso. Voltò il capo verso un comodino su cui era stata posata una brocca d'acqua accanto a una lanterna che illuminava un po' l'ambiente. A fatica tentò di sollevarsi sui gomiti, ma cadde di nuovo sul materasso.
Si sfregava gli occhi, ma nessuna immagine riusciva a entrare nitida nelle sue retine. Intravide un vecchio camino spento, forse da poco, l'odore delle ceneri aleggiava ancora nella stanza. Poi scorse subito una grande finestra rivestita da drappi color porpora da cui filtravano dei flebili raggi di luce. Non c'era traccia di alcuna tecnologia nella stanza, si sentiva spaesato.
E se fosse stato solamente un sogno quello che stava vivendo? Sentiva dei forti dolori in più parti del corpo e guardandosi notò delle bende che gli rivestivano parte delle gambe e delle braccia. Sfiorò con le dita le labbra screpolate e disidratate. Di riflesso, sentì subito il bisogno di bere. Tentò di girarsi per prendere la brocca dell'acqua, ma avvertì una forte scossa lungo la schiena che lo paralizzò e gli impedì di dissetarsi. Si chiedeva come fosse finito lì. Non riusciva a ricordare niente di cosa fosse accaduto prima del suo risveglio, nemmeno la sua identità. Il viso era madido di sudore. Il cuore gli batteva veloce come un metronomo che scandiva un ritmo frenetico, quasi selvaggio. Afferrò la coperta che si era ritrovato addosso e la strinse con forza tra le mani, tanto che le nocche diventarono bianche. Poi ficcò il capo sotto la lana, come se volesse nascondersi da qualcosa che non vedeva. Lanciò un urlo liberatorio cercando di padroneggiare quella sensazione di smarrimento. I respiri divennero pian piano più lenti e profondi. Si calmò e ritrovò una parvenza di razionalità nello stesso momento in cui tre strane persone entrarono nella stanza. Avevano dei tratti asiatici e il capo rasato. Solo uno di loro indossava un camice bianco, si avvicinò al letto per medicare le ferite dell'uomo; gli altri due, intanto, ravvivarono il fuoco nel camino. - Ehi, che cosa sta succedendo? Chi sei? - Chiese l'uomo spaventato, dopo nessuna risposta ricevuta continuò: - Ho sete, qualcuno può aiutarmi? Ma perché cazzo non rispondete? Sapete dirmi chi sono? Parlate la mia lingua? - Poi assetato, continuò a chiedere insistentemente dell'acqua. Dopo tutti i suoi sforzi, finalmente attirò l'attenzione di uno dei due che stava ravvivando il fuoco, quest'ultimo lo guardò senza dire niente e gli servì da bere come richiesto. Dopo essersi dissetato continuò a chiedere delle spiegazioni, ma quel forte mal di testa gli impediva di ragionare e di insistere più di tanto, si toccava il capo dolorante mentre osservava i comportamenti di quelle persone. Quando uno dei tre dalla tunica color arancio scostò la tenda, la stanza s'illuminò maggiormente, mostrando un calendario appeso al muro di fronte, su cui c'era segnata una data: 15 marzo 2018. La paura e l'angoscia crebbero in lui, poiché voleva andarsene via da quel posto ambiguo, anche se non sapeva proprio come fare. Era terribilmente senza forze e si abbandonò a se stesso. In quel luogo si respirava una forte aria mistica. Più che medici quei tre sembravano degli alchimisti, infatti mescolavano degli strani composti che emanavano un pungente odore di erbe aromatiche. In un certo senso e contro ogni previsione, l'uomo disteso sul letto si sentiva protetto. Ogni giorno qualcuno vestito d'arancio passava per curare le sue ferite; e lui non perdeva occasione d'importunare quella gente, domandandogli tanto ma non ottenendo niente, nemmeno una sillaba; solo qualche sguardo come a dire: “Lasciami stare e fammi fare il mio lavoro!”. L'unico rumore che si percepiva era il suono della sua voce, che rimbalzava contro l'intonaco di quelle pareti antiche. Era una settimana che non scambiava una sola parola, ossia, il tempo trascorso da quando si era risvegliato. Queste persone in realtà non comunicavano neanche fra di loro, ma che brutta situazione, pensò. Una condizione che non era da augurare nemmeno al peggiore dei nemici. Anche se c'era gente, l'infermo si sentiva solo e si domandava cosa avrebbe fatto un altro uomo al suo posto. Come avrebbe reagito? Il silenzio era diventato assordante.

6 aprile 2018

I giorni passavano lenti, però l'ospite iniziava a recuperare le forze: non aveva più bisogno delle stampelle per camminare da una stanza all'altra. Il bizzarro intruglio che quelle persone usavano per suturare le sue ferite, sembrava funzionare. L'uomo stava guarendo con il corpo ma non con lo spirito. L'angoscia cominciava a farlo vacillare. Da giorni era diventato poco loquace, poiché non aveva più un'identità, ormai sgretolata dalla perdita della memoria. I pensieri lo tormentavano e il suo carattere cominciava a cambiare. Era sempre più demotivato. Nonostante i miglioramenti fisici, non ricevendo risposte alle sue domande i suoi occhi avevano perso quella scintilla di vitalità, lasciando spazio a uno sguardo vitreo, vacuo, inespressivo. Le notti erano insonni e aveva perfino smesso di radersi, perché pensava fosse inutile continuare a prendersi cura di se stesso.
Riusciva a fidarsi delle persone che si occupavano di lui per l'aura positiva e sicura che emanavano, ma l'unica cosa che avrebbe potuto renderlo felice sarebbe stata quella di andare via da quel posto che sembrava essere un monastero, viste le decorazioni e il tipo di struttura che era caratterizzata da molte stanze e da un grande spazio centrale, con tutta probabilità, quelle persone dovevano essere monaci. Durante il pomeriggio di un giorno come tanti, mentre la giornata trascorreva tranquilla con quel silenzio diventato ormai insopportabile, l'uomo udì delle grida e dei tonfi: provenivano da dietro il portone d'ingresso del bellissimo giardino in cui stava passeggiando, ricco di una folta vegetazione e decorato da tante fontane ornamentali che ricreavano una meravigliosa scenografia, dove tutti si riunivano a pregare e meditare. Uno dei silenti aprì una delle due pesanti ante rosse, sulla quale erano incise scritte gialle che sembravano ideogrammi. Per la prima volta l'uomo vide il portone aprirsi, ma la curiosità non sembrava distogliere gli altri dalla meditazione. Cercava delle risposte, dunque tentò di avvicinarsi al nuovo arrivato ma fu bloccato da due monaci, non oppose resistenza perché ancora non aveva la forza necessaria. Continuò a sporgersi finché non sentì una persona parlare nella sua lingua, un po' di calore riscaldò il suo animo e osservando l'individuo si accorse dapprima della sua etnia, diversa da tutte le persone che erano lì: aveva una carnagione scura, indossava un paio di occhiali da sole, capelli corti e neri, vestiva con un giubbotto di pelle. Era alto, infatti il monaco vicino a lui sembrava un nano. Il rombo di una motocicletta rimasta accesa copriva le parole emesse dall'uomo all'ingresso. Il nuovo arrivato aveva l'aspetto di un rider da strada e gesticolava vivacemente con uno dei monaci più minuto e anziano. Il vecchio indossava una tunica rossa e gialla, un po' differente da quelle delle altre persone, e tratteneva il motociclista all'ingresso facendogli presente che quello era un luogo sacro nel quale era severamente vietato accedere. L'uomo non riusciva a capire o fingeva, fece un passo in avanti con l'intento di accedere nel giardino ma il vecchio, con il lungo bastone che impugnava, lo bloccò e disse qualcosa. Il motociclista poi cominciò a ripetere insistentemente e ad alta voce: “Deve dirglielo!” L'ospite del monastero sbiancò. “Com'è possibile... da settimane cerco di parlare con qualcuno e nessuno ha mai avuto niente da dirmi!” Era troppo provato per reagire, oltre che scombussolato per quello che stava accadendo, e non riuscì a emettere nemmeno una sillaba. Poi il suo sguardo incrociò quello del motociclista e il tizio urlò:
- Matt, amico mio, stai tranquillo che presto ci rivedremo! - Quella frase così incisiva e detta in un momento inaspettato, accese nell'altro una speranza. “Ho sentito bene? Mi ha chiamato Matt? Allora è questo il mio nome...” Rifletté. Finalmente un essere umano gli aveva rivolto la parola e sembrava che lo conoscesse. Era da tempo che non faceva un discorso, e non vedeva l'ora d'intraprenderne uno con quel vecchio, se proprio non poteva farlo col nuovo arrivato visto che gli veniva negato l'ingresso. Proprio quel monaco era uno di quelli che Matt non aveva visto spesso in giro, ma una cosa era certa: lo aveva udito parlare nella sua lingua. Era arrivato il momento di reagire. Il monaco apparentemente muto poteva forse avere delle risposte e bisognava assolutamente interagire con lui. “Perché fino ad ora non ha voluto parlarmi?” pensò a denti stretti, mentre il portone si richiudeva celando il volto del nuovo arrivato.

Tony Di Crisci Salvati

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