Ma i piani di Gretije furono sconvolti da un fatto imprevisto. Affiancato da un agente che lo teneva per un braccio e cercava invano di trattenerne la foga, un uomo stempiato e di bassa statura si diresse verso di loro. La coppia era tallonata da una donna con un velo in testa e il viso gonfio di lacrime. - Khaled! - urlava l'uomo. - Dov'è mio figlio? - In un attimo il terzetto fu davanti a loro. Sconsolato e rosso in viso per lo sforzo, l'agente si rivolse a Gretije. - Mi dispiace, commissario, non sono riuscito a trattenerli. - - Si calmi, signor Youssef - disse lei. - Purtroppo... - Ma l'uomo non l'ascoltava nemmeno. Si precipitò davanti alla porta dello spogliatoio, dove il suo impeto si scontrò con il gigante che gli precludeva l'accesso. Bonariamente, ma con fermezza, Marco gli posò le mani sulle spalle, tenendo a distanza le braccia che l'altro continuava a mulinare. - Mi dispiace, signore. Il... suo figlio non è qui. - Gretije ne approfittò per dare istruzioni a Guus. - Chiama la Centrale e fatti mandare un dottore e anche una psicologa. Che li tirino giù dal letto, se è necessario. Sbrigati! E tu, Bas, da' istruzioni agli agenti all'esterno di accompagnare fin qui i signori Martinsen, al loro arrivo. Non voglio che questa scena si ripeta. - Ci vollero due o tre minuti perché il padre di Khaled si calmasse. Rabbonito, o forse soltanto scoraggiato, dalle spiegazioni a voce sommessa del fiammingo, l'uomo perse all'improvviso ogni energia e gli si abbandonò in singhiozzi contro il petto. La visione di quell'ometto abbarbicato a un marcantonio che lo sovrastava di più di una testa provocò un fremito in Gretije, che maledisse per l'ennesima volta l'aspetto più odioso della sua professione. La moglie se ne stava in disparte a capo chino e piangeva in silenzio. Le si avvicinò. - Sono desolata, signora. Cerchi di farsi forza. Purtroppo non ci sono parole che possano alleviare il suo dolore, ma sappia che le siamo vicini. - La madre di Khaled non alzò gli occhi, ma le afferrò la mano e la strinse forte tra le proprie. Rimasero immobili per un minuto o due, poi Gretije le parlò. - Posso chiederle come avete saputo dell'accaduto? - La donna prese un fazzoletto stropicciato che teneva sotto la manica della veste e si soffiò più volte il naso. - Un compagno di squadra di Khaled - rispose poi, con un tono di voce talmente basso che per udirla Gretije dovette chinare il capo verso di lei. - Abita all'inizio di questa strada e sa che viene in palestra tutti i martedì. Quando ha sentito le sirene e ha visto le auto della polizia è venuto a suonare da noi per sentire se... se... - Schiacciata dal dolore, riprese a piangere in silenzio senza più cercare di concludere la frase. Passarono un paio di minuti e una cinquantenne dal viso smunto, dominato da un paio di occhiali di foggia antiquata, fece il suo ingresso dall'entrata laterale. - Roosje Bortel, sono la psicologa - disse, rivolta a Gretije. - Il medico dovrebbe essere qui tra qualche minuto. - Guus l'accompagnò verso i coniugi Youssef, che ora se ne stavano a capo chino l'una accanto all'altro. - Da questa parte - disse l'agente al terzetto, - il custode ci ha messo a disposizione una stanza sul retro. - Ma prima che i tre potessero seguire Hoeck, i genitori della ragazza entrarono a passo marziale dalla porta principale, scortati da Bas e due agenti. - I coniugi Martinsen - annunciò Gelder. Gretije ebbe appena il tempo di distinguere la sagoma di un uomo di corporatura robusta che indossava un cappotto elegante e della moglie, alta quasi quanto lui e di singolare bellezza, prima che il padre di Debora si scagliasse in direzione del gruppetto capitanato da Guus. Fu un'esperienza scioccante: in tutta la sua carriera non aveva mai assistito a nulla di simile. Martinsen afferrò Youssef padre per un braccio e lo strattonò con violenza, inveendo contro il povero Khaled con espressioni prima solo offensive e poi anche razziste. Il pover'uomo sembrava incapace di reagire: il dolore doveva avere preso il sopravvento sulla dignità. Si limitò a cercare di scuotersi di dosso l'aggressore, che lo sovrastava di almeno quindici centimetri e doveva pesare una trentina di chili in più. Fu la moglie a reagire con insospettata energia. Si aggrappò alla spalla dell'uomo e urlando in una lingua incomprensibile gli artigliò il viso con le unghie: con l'istinto di sopravvivenza di una bestia ferita, attaccava un nemico infinitamente più forte per difendere l'onore del figlio che aveva appena perduto. Perché non c'era dubbio che stesse rivendicando le qualità del ragazzo, benché nessuno potesse capirne le parole. A quel punto anche la signora Martinsen si gettò nella mischia, menando fendenti con la borsetta di Gucci e strillando a pieni polmoni. La scena dovette durare almeno un paio di minuti, tanto ci volle per sedare la rissa divampata in maniera così inattesa e tumultuosa. La reazione degli agenti era stata più incerta che lenta, a causa della situazione: erano genitori che avevano appena perduto i figli e non li si poteva certo trattare alla stregua di criminali comuni. A conclusione del parapiglia, Gretije si rese conto di essere stata l'unica incapace di muovere un solo dito. Ora un cordone di uomini separava i contendenti. Marco teneva fermo Martinsen, che si passava la mano sulla guancia ferita e sembrava avere perso gran parte dell'irruenza, nonostante squadrasse ancora i nemici con uno sguardo omicida. La moglie blaterava di denunce contro gli Youssef e tutto il corpo di polizia; sembrava avere dimenticato Eftink e i proprietari della palestra, ma di certo era intenzionata ad aggiungerli alla lista. Per contro, il padre del ragazzo dopo aver appreso che Khaled era morto si era afflosciato e pareva del tutto assente. Rianimata dalla zuffa, la moglie invece sbuffava e la sua ira pareva destinata ad aumentare, anziché placarsi. La Bortel si era appoggiata a una parete nel punto più lontano dal gruppo e sembrava chiedersi dove fosse mai capitata. Trafelato, il medico fece il suo ingresso proprio in quell'istante. - Scusate, ho dovuto lasciare l'auto... - iniziò e subito si zittì. Gretije lo intercettò in mezzo all'atrio. - Buonasera, dottor... - - Gassens. - - Commissario de Witt. Dovrebbe dare un'occhiata alla guancia del signor Martinsen - disse indicandogli il padre della ragazza. - Ma credo sia meglio che prima si occupi del signor Youssef, che mi pare abbia una brutta cera. - La Martinsen iniziò a protestare per il sopruso: suo marito sanguinava e quel dettaglio, aggiunto forse a considerazioni di razza che ebbe il buon gusto di non tradurre in parole, avrebbe dovuto garantirgli la precedenza. Gretije la fulminò con uno sguardo che non ammetteva repliche e per una volta l'avvocato ammutolì. Se il dottor Gassens era rimasto stupito nel constatare di doversi occupare anche di ferite fisiche, non lo diede a vedere. Guus si affrettò a fargli strada verso la stanzetta che sarebbe dovuta servire alla psicologa e il medico prese Youssef per un braccio con delicatezza, mentre la moglie gli cingeva l'altro. Dopo uno sguardo accigliato ai genitori della ragazza, la Bortel si decise a seguire i tre. Nel frattempo Bas e uno degli agenti di Diemen avevano recuperato un paio di sedie sulle quali fecero accomodare i Martinsen, ormai rabboniti. Per darsi un contegno la donna estrasse un'agendina dalla borsa, che si era rassegnata ad appoggiare sul pavimento dopo uno sguardo alla vana ricerca di un posto dove appenderla. Gretije si concesse l'accenno di un sorriso, quando constatò che la mano le tremava e faticava a sfogliare le pagine. Seduto accanto a lei, il marito teneva premuta sulla guancia una confezione di ghiaccio secco che Eftink aveva prelevato da un frigorifero nel ripostiglio. L'altra mano gli penzolava tra le gambe e se ne stava capo chino, come se volesse controllare lo stato delle calzature. Forse conscio per la prima volta della sua perdita, borbottava qualcosa a mezza voce. Osservando quella parvenza di ordine ristabilito, Gretije emise un sospiro profondo. All'improvviso si sentì esausta. Se ci fosse stata un'altra sedia vi si sarebbe lasciata cadere molto volentieri.
Marcello Nucciarelli
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