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Autore: Emiliano F. Caruso
Il segreto delle fiabe e La luna di Khalid
Fantasy Fiabe
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Il segreto delle fiabe e La luna di Khalid
“Questa fiaba potrebbe iniziare, come molte altre, con il classico “C'era una volta”, se non fosse che non è una favola vera e propria, ma è la storia del perché esistono le fiabe e del perché siano necessarie. E soprattutto è la storia di come due mondi, in apparenza lontanissimi tra loro, siano in realtà molto vicini”.

Un Inizio
Il libro senza titolo era lì, in bella vista sulla mensola vicina al caminetto. La bambina troll lo prese, si sistemò comoda davanti al fuoco e iniziò a leggerlo. All'interno del libro, alternate ai testi di alcune fiabe, c'erano dei titoli che la bambina ancora non capiva. Storie come “La giornata del banchiere Smith” o “Le vacanze di una famiglia felice” o ancora “Maggie va a fare la spesa”.

Ma erano soprattutto le illustrazioni ad affascinarla. Altissime case di metallo e vetro, strane carrozze colorate e senza cavalli, enormi aquile di ferro che solcavano i cieli, bizzarri esseri viventi con due gambe, due braccia e una testa come i troll, ma molto più magri e vestiti con strani abiti che sembravano troppo leggeri e delicati. E poi ancora immagini di costruzioni simili a granai, con i soffitti illuminati da sfere di vetro e lunghe file di mensole di metallo sulle quali c'erano file e file di piccole scatole colorate.

La bambina troll scelse a caso una delle fiabe e iniziò a leggerla. Non passò neanche il tempo di finire la prima pagina che sentì i passi pesanti di sua madre nel corridoio. Mammatroll entrò nella stanza e, vedendo la sua piccola, le sorrise orgogliosa. Ad appena sei anni di età, sua figlia era già alta quasi due metri. La stava crescendo bene, e di questo passo sarebbe arrivata ad almeno tre metri prima della maturità.

Mammatroll si avvicinò a una delle finestre. Fuori era ancora notte, e si potevano distinguere alcune fate notturne volare intorno agli alberi di Rocciafoglia e un paio di solitari unicorni.

“Cosa leggi, amore di casa?” disse dolcemente, sedendosi sul tappeto accanto alla bambina. Prese il libro dalle sue piccole mani e lesse il titolo in cima alla pagina.

“Le costruzioni di Roger Brown, mi sembra di ricordarla. Vuoi che te la legga prima di andare a dormire?”.

La bambina fece cenno di sì col testone e sorrise, scoprendo una fila di grossi denti neri. Si alzò, prese un pezzo di osso di cavallo dal cesto sopra al tavolo e iniziò a sgranocchiarlo, tornando a sedersi vicina alla madre.

“Già dall'età di cinque anni, si capiva che Roger Brown era un bambino molto più intelligente e sensibile degli altri” Mammatroll iniziò a leggere con voce simile a un tuono in lontananza “Per dire, quando gli altri bambini sognavano la bicicletta o un nuovo giocattolo, tutto quel che invece Roger desiderava erano quelle meravigliose scatole di costruzioni che riempivano le vetrine del Poppy's Market, il negozio di giocattoli. Il fatto è che la mente del piccolo Roger funzionava in modo particolare, là dove gli altri vedevano solo una casa o una macchina...”.

A questo punto la bambina le afferrò il braccio, interrompendo la lettura “Madre, che cosa è una macchina?”.

Mammatroll rimase un istante a riflettere, cercando le parole adatte “Diciamo che è una specie di carrozza di acciaio, che riesce a muoversi senza cavalli e grazie a una roba che gli umani chiamano benzina”.

Riprese la lettura “...dove gli altri vedevano solo una casa, una macchina, una nave o una qualsiasi altra cosa, Roger vedeva ingranaggi, leve e meccanismi. Perché nella sua testolina c'erano già tutte quelle cose che avrebbero potuto fare di quel bambino un bravo ingegnere o un geniale inventore”.

La bambina troll ascoltava in silenzio, affascinata dalle avventure del signor Brown. Sua madre, talvolta, le leggeva quelle fiabe, ambientate in un mondo fantastico e piene di avventure emozionanti di professori, impiegati, studenti, operai. Quelle sì che erano vite emozionanti, non come quelle dei troll, costretti a vivere in mezzo a incantesimi, draghi, combattimenti, demoni e avventure.

Ogni tanto interrompeva la lettura di Mammatroll per farle delle domande.

“Madre, cos'è un bar?”

“Una specie di taverna, amore di mamma”

“E una lampada elettrica?”

“Una torcia che non ha bisogno di fuoco per far luce”

E così, domanda dopo domanda e osso di cavallo dopo osso di cavallo, proseguì la lettura.

“Nonostante i suoi genitori fossero piuttosto poveri, Roger Brown riuscì a studiare grazie all'aiuto di un suo zio, che era diventato ricco con il commercio del whisky in un paese chiamato Scozia. Diventò così un bravissimo ingegnere e costruì molte cose che migliorarono la vita degli umani, ed era talmente bravo che spesso il suo lavoro era richiesto anche in paesi lontani da ricchi signori cinesi, americani e arabi”.

Fuori iniziava ad albeggiare, mentre la bambina ingoiava l'ultimo frammento di osso. Iniziava ad avere sonno, ma aveva ancora la vivacità per fare altre domande.

“Cosa sono cinesi, americani e arabi, mamma?”.

Mammatroll accarezzò con dolcezza il testone della figlia “Amore mio, è un po' come qui da noi ci sono elfi, fate, mutaformi, troll, abissali, mannari eccetera”.

“Ah, quindi tutti diversi?”

“Non proprio. Tra noi troll e gli elfi, per esempio, c'è molta differenza. Per non parlare poi di quanta ce ne sia tra un Noth Mutaforme e un Cyrild Abissale. Mentre nel mondo degli umani tra, diciamo, un cinese e un arabo non c'è molta differenza, tranne nel colore della pelle e nei volti. Vedi?” Mammatroll si alzò una manica e si scoprì un massiccio avambraccio “Noi troll abbiamo la pelle grigia, ma ce ne sono altri che la hanno verde o anche viola. Ma alla fine siamo tutti uguali. Certo, tra noi troll” mormorò più a sé stessa che alla figlia “Poi tra noi e gli elfi è un altro discorso”.

Ma la bambina non poteva più sentirla. Si era accasciata sul tappeto e russava. Mammatroll si alzò, rimise il libro sulla mensola, poi prese in braccio la piccola e la portò nella sua stanza.

Intanto, altrove
Il Robottino a cassette audio era lì, in bella vista sulla mensola vicina al termosifone. Il bambino lo prese e lo sistemò sopra al tavolino. Suo padre, che fino a quel momento era rimasto su una della poltrone a fumare la pipa, aprì un cassetto, ne tirò fuori alcune audiocassette e andò a sedersi vicino a suo figlio. Insieme iniziarono a passarsi di mano le piccole scatole di plastica, che in copertina avevano bellissime illustrazioni di castelli, elfi, draghi, guerrieri, troll e strane creature marine. I titoli, poi, il bambino li trovava meravigliosi, come “La leggenda del Neromare” o “Il guerriero Ulthgar” o anche “Il tesoro delle fate”.

Fuori dalle finestre stava ormai tramontando, mentre tra i riflessi rossi del crepuscolo si potevano vedere lunghe file di grattacieli e, laggiù in fondo sulla strada, file di macchine piene di gente che tornava a casa dal lavoro. Il bambino scelse infine una delle cassette, con sopra il disegno di una piccola isola circondata da nebbie e sullo sfondo il volto di una donna.

“La strega Zhola” disse il padre, prendendo la scatolina di plastica dalle mani del bambino “Un po' inquietante come fiaba”. Aprì la custodia, tirò fuori la cassetta, la inserì nello sportellino sulla pancia del robot e premette il pulsante blu.

Subito gli occhi del giocattolo si illuminarono e dopo un breve ronzio una voce calda e femminile, solo lievemente gracchiante, iniziò a raccontare.

“Sulla costa dei mari del nord, inserito in modo splendido tra le montagne di Piccogrigio da una parte e i boschi di Ombrapietra dall'altra, sorge un antico e pacifico villaggio di pescatori. Qui da secoli, gli abitanti hanno ormai imparato a convivere con elfi, nani, fate, troll e tutte quelle creature che il mondo degli umani chiama fantastiche. Ora, questo villaggio sulle mappe era segnato come Inchrock, ma molti dei viaggiatori che erano capitati da quelle parti lo chiamavano “Il paese dei bambini nati senza nome”, e il motivo è presto detto. Dovete sapere che in quel luogo, alla nascita di un bambino, i genitori non ne sceglievano mai da soli il nome, ma era usanza che il padre stesso, pochi giorni prima della nascita dell'erede, si recasse da solo in un'isola a poche miglia dalla costa.

“Su quest'isola, chiamata La Roccia dei sussurri, si diceva che vivessero degli elfi invisibili che avrebbero sussurrato nelle orecchie dei padri un nuovo nome da dare all'erede che stava per nascere. L'elfo che avesse donato quel nuovo nome sarebbe poi diventato lo spirito protettivo del bambino o della bambina, rimanendogli accanto, anche se invisibile, fino alla fine dei suoi giorni. Alla morte dell'umano, l'elfo sarebbe tornato sull'isola, per poi sussurrare un nuovo nome a un altro padre, e così via, da secoli. Considerando che sull'isola c'erano centinaia di spiriti di elfi, La Roccia dei Sussurri era una fonte inesauribile di nomi”.

Emiliano F. Caruso

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