La Saga di Amnia Vol.1 - Il Sogno del Rinnegato
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Una nuova città.
Keldon di Manis e Duncan di Brintasien si fermarono in prossimità della grande porta meridionale della città di Crandall, ai cui lati troneggiavano gli stendardi dell'Impero di Anosia, un dragone che brandiva un fulmine come una lancia, e del Duca di Crandall, un elmo con un lungo cimiero su uno scudo crociato. I due uomini lasciarono spaziare lo sguardo sulle alte e imponenti mura di cinta, che sembravano incombere con severità su chi era di passaggio, poi scesero con calma dai cavalli e li guidarono per le redini verso la coda di persone che attendeva di entrare in città sotto lo sguardo vigile dei gendarmi. - Ecco, se c'è una cosa che proprio non sopporto è l'attesa per i controlli all'ingresso nelle città - sbottò Keldon togliendosi dalle spalle il mantello, madido di sudore. Aveva ventotto anni e i capelli corti neri, la carnagione chiara e gli occhi marrone scuro; indossava l'ampia tunica bianca e gialla da chierico di Vàlor sotto cui si intravedeva la cotta di maglia sul corpo tonico. Appoggiò il mantello sulla sella e prese in spalla lo zaino che vi era agganciato sul fianco, dalla cui sommità sporgeva una mazza ferrata. Erano partiti da Camaran, la capitale dell'Impero, otto giorni prima, e la stanchezza per il viaggio si faceva sentire, nonostante le pause lungo la strada. - E poi, appena ci fermiamo alla locanda in città, voglio togliermi la tunica! Ora capisco perché i missionari non la portano mai: è scomodissima in viaggio! - Duncan sorrise, mentre sistemava meglio lo scudo che era attaccato dietro la sella del cavallo. Era di poco più alto di Keldon e aveva anche lui ventotto anni e gli occhi scuri, ma teneva i capelli neri corti e la barba curata su una carnagione abbronzata; indossava una corazza di piastre con impresso il simbolo dell'Ordine dei Paladini di Vàlor, il sole fiammeggiante con la falce di luna al suo interno racchiuso in un rombo, e dal fianco sinistro pendeva una spada lunga. - Sei stato troppo tempo chiuso nel tempio a pregare - lo canzonò Duncan divertito. - Vedrai che, quando la missione sarà conclusa, non vorrai più tornare a rinchiuderti nel tempio. E a me farebbe comodo viaggiare con un chierico che è mio amico. - Anche Keldon sorrise a quelle parole, mentre si guardava intorno. La radura davanti alla grande porta della città era piuttosto ampia e occupata ai margini da diverse tende da campo dei gendarmi, dove venivano effettuati i controlli di ingresso. In mezzo a queste tende, campeggiava un grosso tabellone su cui erano affissi le principali notizie e i proclami del governo locale; in alto, molto in grande, era messa in evidenza la data attuale: 8° del Nono del 1492. D'un tratto Duncan disse in tono alterato: - Ehi tu, mettiti in coda! - Keldon si voltò e vide che il suo amico aveva afferrato per un braccio un uomo alto, snello e biondo, con un pizzetto scuro e con gli occhi chiari. Quest'ultimo si divincolò facilmente dalla sua presa e, nel movimento, il bracciale d'oro che Duncan portava al polso sbucò fuori da sotto la manica. L'uomo si avvicinò al gendarme lì vicino che aveva osservato la scena, quindi gli sussurrò qualcosa. Il soldato fece un cenno di assenso con la testa e gli fece segno di passare. Poco dopo un altro gendarme, sulla trentina, bruno e atletico, stranamente a disagio, si avvicinò a Keldon e a Duncan. Fece loro il saluto militare, portando il pugno destro sul cuore, e disse rivolto a Keldon: - Benvenuto a Crandall, chierico di Vàlor. - Poi, dopo una veloce occhiata al pettorale dell'armatura di Duncan, aggiunse rapidamente ripetendo il saluto: - E anche a voi, paladino di Vàlor. Scusateci se non vi abbiamo notati subito e vi abbiamo fatto aspettare in coda. Io sono il tenente Vennic. Prego, seguitemi. - Visibilmente sorpresi, Duncan e Keldon seguirono il gendarme, a cui si affiancarono subito altri due soldati. Appena entrarono in città, il Tenente e i due soldati si fermarono, così come Keldon e Duncan. - Scusateci davvero se non vi abbiamo riconosciuti - si giustificò Vennic. - Sapevamo che il Duca aveva chiesto aiuto a Camaran per via dei briganti e aspettavamo da diversi giorni una squadra in cui doveva esserci un chierico di Vàlor di supporto. Sono stato incaricato di accogliere la delegazione dell'Esercito, ma pensavo che sarebbe arrivato un gruppo più... come dire... numeroso... - Duncan sospirò e gli rispose: - Capisco che la cosa possa aver causato qualche fraintendimento. L'esercito è occupato a presidiare i confini dell'Impero, in particolare la zona del Corridoio di Coridan, e non può occuparsi anche di queste faccende. Il generale ha richiesto all'Ordine dei Paladini di Vàlor di prendersene carico, ma anche noi siamo impegnati su diversi fronti e dobbiamo dislocare con cautela le nostre risorse. Per questo il colonnello Fesaris mi ha incaricato di indagare su quello che sta succedendo da queste parti. - Esitò qualche istante, quindi aggiunse: - A proposito: non ci siamo ancora presentati. Io sono Duncan di Brintasien, tenente dell'Ordine dei Paladini di Vàlor. - - E io sono Keldon di Manis, chierico missionario di Vàlor. Collaboro con Duncan in questa missione. - Il gendarme si presentò ufficialmente a sua volta: - Tenente Lionel di Vennic, assistente supervisore della Porta Meridionale, ma attualmente reincaricato per aiutarvi nella vostra indagine. - - Grazie, Tenente - rispose Duncan. - Il vostro aiuto sarà prezioso. - - Immagino che vorrete cominciare domani le indagini: ora sarete stanchi per il viaggio. - - In effetti sì - annuì Duncan, rivolgendo un'occhiata divertita a Keldon. - Potete suggerirci una buona locanda dove alloggiare? - - La “Dama Purpurea” non è male. È vicina alla Gendarmeria Centrale dove, se volete, possiamo accudire i vostri cavalli. - - Accettiamo volentieri la vostra offerta, Tenente - si intromise Keldon. - Almeno saremo sicuri che i cavalli saranno in buone mani. Per domani, dovranno essere riposati per la nostra ricognizione. - - Bene! Allora date pure i vostri cavalli ai miei soldati: penseranno loro a portarli alle stalle della gendarmeria, intanto io vi accompagnerò alla locanda. - Keldon e Duncan presero i bagagli e consegnarono le redini dei cavalli ai due soldati, che subito si incamminarono lungo una strada secondaria. Poi il Tenente fece loro cenno di seguirlo lungo la via principale. La strada era piuttosto larga e piena di gente. Il suono delle voci e i rumori delle attività riempivano ogni angolo. Lionel spiegò ai due nuovi arrivati che Crandall era la città principale del Ducato ed erano in molti a venire lì per commerciare, soprattutto da quei paesini sparsi per il territorio che non erano abbastanza importanti da meritare un segno sulle mappe. Poco dopo un gruppo di rettiloidi passò accanto a loro e i due amici rimasero sorpresi. Avevano la pelle ricoperta di scaglie di colore verde brillante ed erano vestiti con armature di cuoio borchiato; i loro volti da rettile non sembravano minacciosi, nonostante la bocca prominente dotata di denti aguzzi e gli occhi dalla pupilla a fessura. Lionel notò la loro inquietudine e li rassicurò dicendo che si trattava di un gruppo di mercanti provenienti da Golana, la città dell'Egemonia Tyranian più vicina. Spiegò che erano arrivati circa una settimana prima, interessati alle pelli di animali e ad altri manufatti della Grande Foresta che solo a Crandall era possibile trovare, per motivi storici ben precisi. Fin dall'alba dei tempi, raccontò infatti il Tenente, gli elfi non avevano mai concesso a nessuno che non fosse elfo di entrare nel loro territorio: si ritenevano superiori alle due razze del “mondo esterno”, gli umani e i rettiloidi, ed erano convinti che la loro sola presenza avrebbe contaminato la purezza e la perfezione della propria razza. Per questo si isolarono e chiusero i confini della Grande Foresta, proteggendoli con incantesimi protettivi e con pattuglie di ranger, gli elfi guerrieri più abili. Col tempo, però, si resero conto che non avrebbero potuto sopravvivere senza commerci con l'esterno, in particolare perché il loro territorio era povero di metalli. Fu così che, 1492 anni addietro, avvenne la “Prima Uscita degli elfi”. L'evento fu così eclatante da spingere i sapienti a creare un nuovo calendario che avrebbe iniziato a contare gli anni proprio da quel momento. Gli elfi incaricarono un clan di occuparsi delle relazioni commerciali con il mondo esterno e crearono un rito di purificazione per proteggerne i membri dalla contaminazione delle altre razze. Inoltre, per ridurre i rischi, decisero di predisporre un solo luogo per il commercio e la scelta ricadde su Crandall, che aveva la fortuna di essere la città esterna più importante vicina ai confini della Grande Foresta. In seguito a lunghe relazioni diplomatiche, l'Imperatore di Anosia donò agli elfi la più grande delle ville della zona settentrionale della città, circondata da alte mura e con un ampio giardino: nacque così l'Enclave Elfica. Da allora iniziò il viavai di mercanti da tutta Amnia a Crandall per commerciare con gli elfi. Alla fine, dunque, nonostante le loro antipatiche manie aristocratiche, la loro presenza portò lustro e ricchezza alla città, portando soddisfazione a tutti. D'un tratto Lionel si fermò e guardò Duncan e Keldon con imbarazzo. - Scusate, ma non mi capita spesso di parlare della storia della mia città e, quando ne parlo, mi entusiasmo così tanto da dimenticarmi sempre che tutti già la conoscono. - I due gli sorrisero e Keldon rispose: - Non c'è nulla di cui scusarsi: è stato interessante ascoltare questa storia da qualcuno che la sente davvero propria. Ma volevo sapere una cosa: sarà possibile vedere in giro qualche elfo? - Lionel scosse la testa. - Temo di no. Tutte le dicerie sul loro conto sono vere: non vogliono contaminarsi mescolandosi con noi. Quando devono uscire dalla città per tornare alla Grande Foresta, viaggiano sempre in una carovana ben sorvegliata. In quel caso potreste riuscire a vedere i soldati elfi, ma auguratevi di non vedere mai un'elfa, se tenete alla vostra salute mentale: anche le voci sulla loro incredibile bellezza che lascia senza fiato sono vere! - - Non è solo una leggenda, allora? - Chiese Duncan. - Magari... E la cosa peggiore è che per le elfe noi umani siamo simili a mostri, quindi non c'è speranza. - I tre ripresero a camminare e, dopo aver svoltato in una strada laterale, si fermarono davanti all'ingresso di una locanda: sull'insegna a lato della porta c'erano l'immagine di una donna formosa con lunghi capelli biondi, vestita di rosso, e la scritta “La Dama Purpurea”. - Ecco, questa è la locanda - disse Lionel. - Spero che vi troverete bene. Per riprendere i vostri cavalli venite domattina alla caserma centrale. Vi aspetterò là nel caso abbiate bisogno di qualsiasi cosa per la vostra indagine. Buona serata - e fece loro il saluto militare. Duncan rispose al suo saluto e aggiunse: - Grazie per la tua disponibilità. Buona serata anche a te. - - Buona serata e grazie - aggiunse Keldon, salutandolo con un inchino. Lionel si allontanò e tornò verso la strada principale, lasciandoli soli. - Allora? - Chiese Keldon, mentre osservava la dama purpurea dell'insegna. - Cosa facciamo? - - Io direi di approfittare del resto della giornata per rilassarci un po' in vista di quello che ci aspetta nei prossimi giorni. Quindi, adesso, prenderemo una stanza alla locanda, lasceremo i nostri bagagli e poi andremo a fare un giro in città fino all'ora di cena. Poi dormiremo e domattina, freschi e riposati, inizieremo a lavorare alla nostra indagine. Che ne pensi? - Keldon annuì sorridendo. - Approvo in pieno il tuo piano. Andiamo! - Entrati nella locanda, furono accolti dalla musica dolce di un flauto e da un tenue profumo di frutti di bosco. Il locale era ampio e illuminato dalla luce soffusa del giorno che penetrava dalle tende bianche alle finestre. Al momento c'era soltanto una decina di persone: due coppie erano sedute ai tavolini ad ascoltare la donna bionda sul palco che suonava il flauto; un uomo biondo, dall'aria annoiata, era seduto al bancone accanto a un boccale di birra; quattro giovani, probabilmente dei soldati in libera uscita, occupavano una delle tavolate e giocavano a carte tra diversi boccali vuoti. Proprio in quel momento una giovane cameriera, con i capelli castani raccolti in una crocchia, stava portando loro altri quattro boccali di birra. Duncan e Keldon si avvicinarono al bancone, dove un uomo magro stava asciugando uno dei tre boccali che aveva davanti. - Buongiorno - disse subito Duncan. - Volevamo prendere una stanza per la notte. - Il locandiere annuì con un cenno del capo, si asciugò le mani sul davanti del grembiule che indossava, si girò e prese una chiave dal quadro dietro di lui. - Stanza 5: sulle scale, primo piano, in fondo al corridoio a destra. - - Ma non dovreste registrare i nostri nomi? - - Se ne occupa mia moglie, ma ora è fuori. Potete farlo stasera. E poi, se non ci si può fidare di un paladino e di un chierico di Vàlor, di chi altro si potrebbe? - - Giusto! - Biascicò con una certa difficoltà il tizio biondo che era seduto accanto a loro. Keldon e Duncan si voltarono, mentre l'uomo continuava a parlare, ma non con loro, bensì con il boccale di birra: - Una volta ho conosciuto un chierico affa... affidibal... affidabilissimo... mi salvò la vita dopo che ero stato assalito da dei briganti... aveva la pelle verde e dei denti così ag... aguz... appuntiti... - Keldon e Duncan si guardarono. Che fosse una delle vittime dei briganti su cui dovevano indagare? Mentre l'uomo continuava a disquisire, senza troppa lucidità, sulla tonalità di verde delle squame, Duncan, sottovoce, disse a Keldon: - È inutile parlarci adesso: in queste condizioni non sarebbe affidabile. Andremo a cercarlo domani: il locandiere saprà dirci sicuramente dove trovarlo. Ora pensiamo a riposarci. E poi, non volevi andare al tempio? - Keldon annuì. - Sì, meglio rimandare a domani. In effetti, anche se come missionario ne sono dispensato, sento la mancanza del raccoglimento della preghiera. - Salutarono il locandiere e salirono rapidamente nella loro camera. Era semplice ma pulita, con due letti separati, ai piedi di ciascuno dei quali c'erano un baule e un piccolo armadio. Mentre Duncan sistemava i bagagli nei bauli, Keldon si tolse la tunica bianca e gialla da chierico, rimanendo vestito con la cotta di maglia, e si sistemò sopra l'armatura il medaglione dorato con il simbolo di Vàlor, segno riconoscibile del suo stato di chierico. - Bene - esclamò Keldon. - Ora possiamo andare. - Tornarono giù nella sala comune e videro che l'uomo ubriaco si era addormentato abbracciato al boccale semivuoto, mentre il locandiere lo fissava con disapprovazione. Duncan restituì la chiave al locandiere e uscì dalla locanda con Keldon. Il chierico si guardò intorno e chiese all'amico: - E ora dove andiamo? - Anche lui guardò la strada sconosciuta in cui si trovavano, quindi fece cenno a Keldon di aspettare e rientrò nella locanda. Il biondo ubriaco si era alzato e barcollava verso l'uscita. Duncan raggiunse il locandiere e gli domandò come raggiungere il tempio di Vàlor. Ottenuta l'informazione, lo ringraziò e si girò per uscire, quando vide l'ubriaco in seria difficoltà nel superare un tavolo. Ebbe l'impulso di andare ad aiutarlo, ma vide che la cameriera gli si avvicinava; allora il paladino tornò fuori dal chierico. - Da questa parte - gli disse indicando verso destra. I due si misero in cammino, mentre si guardavano intorno seguendo una strada secondaria. Quando raggiunsero la Piazza del Tempio, l'imponenza dell'edificio sacro si offrì ai loro occhi. Le mura erano costruite con marmi di colore grigio, bianco e giallo e ospitavano delle nicchie contenenti statue di personaggi religiosi. L'ingresso principale del tempio era aperto e diverse persone entravano e uscivano. Prima di entrare, Keldon rimase ai piedi della scalinata con le braccia allargate verso l'alto e il viso sollevato. Nel suo cuore sentì la calda presenza della divinità all'interno del tempio, e la cosa lo riempì di gratitudine e di gioia. Vàlor era il dio che incarnava lo Spirito della Libertà ed era adorato da tutti coloro che credevano nei suoi ideali di amore, di pace e autodeterminazione. Egli aveva creato gli umani e, per questo, la maggior parte dei suoi fedeli era umana. I rettiloidi erano stati creati invece da Tyran, il dio che incarnava lo Spirito dell'Ordine: i suoi fedeli, per la maggior parte rettiloidi, sostenevano gli ideali di disciplina, forza e timore. Vàlor e Tyran erano in continua lotta tra di loro, essendo i loro ideali di fatto inconciliabili. Dato che le due divinità non potevano intervenire direttamente nelle vicende dei mortali, la lotta veniva messa in pratica dai fedeli all'una o all'altra divinità. Ma non sempre sfociava nella guerra. Ve n'erano state diverse in passato, tutte più o meno disastrose, vinte alternativamente dall'uno o dall'altro schieramento. Altre volte invece, come ora, la lotta consisteva nell'accaparrarsi il maggior numero di fedeli. In questo caso, i chierici assumevano un ruolo di fondamentale importanza: erano mortali che consacravano la propria vita alla divinità e ai suoi ideali, e che per questo motivo potevano diventare dei vettori del potere divino. Essi, mediante le Preghiere di Intercessione, potevano chiedere alla propria divinità di compiere un “miracolo”. Le richieste più comuni erano di curare ferite o malattie, e di impartire benedizioni. Queste due divinità, insieme al dio Samas, il Giudice che li manteneva in equilibrio, costituivano la Triade, cioè la completezza della Volontà Divina. Al di fuori della Triade, esistevano altre divinità, cosiddette “minori”, che però non richiedevano fedeli e non rispondevano alle preghiere. Per questo nessuno si era mai preoccupato di sapere chi e quante fossero. Di due sole divinità nel tempo si era avuta notizia: Faber, il fabbro degli dèi, a cui a volte si rivolgevano gli artigiani prima di cominciare un lavoro, e Ardèsia, la dea della bellezza e delle arti, che aveva creato gli elfi con tutte le loro esasperanti bellezza, perfezione e altezzosità. Duncan toccò una spalla di Keldon, che si riscosse dai suoi pensieri. - Tutto bene? - - Sì, scusa. Ero immerso nella benevolenza di Vàlor e ho perso la cognizione del tempo. Non credevo che il calore della preghiera mi sarebbe mancato così tanto. - - Torniamo alla locanda: sei stato fermo qui fuori in preghiera per quasi un'ora ed è già tempo di cena... Hai perso l'occasione di vedere com'è dentro il tempio di Crandall! - Keldon si guardò intorno e vide che la porta principale del tempio adesso era chiusa e che pochissima gente era rimasta sulla piazza. Il sole stava tramontando e il buio cominciava a calare sulla città, mentre gli addetti all'illuminazione iniziavano il proprio lavoro accendendo le lanterne a partire dai luoghi principali. - Per fortuna resteremo qui ancora per un po'! - Esclamò poi con un sorriso per sdrammatizzare. Duncan ricambiò il suo sorriso e insieme si incamminarono verso la locanda. La strada secondaria si faceva sempre più buia a mano a mano che avanzavano e che il sole calava. I due videro le lanterne presenti lungo le mura delle case, ma ancora non erano passati gli inservienti ad accenderle. Quando raggiunsero il secondo incrocio, all'improvviso Duncan sentì un rumore sordo e vide Keldon che cadeva a terra portandosi le mani alla testa. Il paladino si voltò e intravide una sagoma nella penombra del vicolo, poi il luccichio di una lama gli raggelò il sangue. Senza indugio, sguainò la spada e assunse una posizione di difesa.
Aligi Pezzatini e Simone Gambineri
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