Le indagini del commissario Draghi.
Se chiudevo gli occhi mi pareva ancora di vedere quelli scuri e carezzevoli di mia madre: chissà quante lacrime avevano versato in quei giorni... Quando il sole moriva rosso all'orizzonte me la immaginavo impegnata a preparare falafel e pita per la cena. Provavo un languore viscerale al pensiero delle polpettine intinte nella tahina* e il pane rotondo e fragrante che le accompagnava. Ricordavo l'intimo piacere di condividere la cena al tramonto, il calore della casa, i sorrisi e i capricci dei più piccoli. Col tempo avevo cominciato ad avvertire solo inerzia e durezza, il cuore congelato da ciò che avevo visto e dall'improbabile speranza di fuggire. Fare la doccia era vietato, così come mangiare, finché non lo decidevano loro. Anche al di fuori del digiuno mi erano concessi solo due bicchieri d'acqua al giorno. La sveglia era alle quattro e trenta del mattino, per recitare la preghiera Fajir, la prima delle cinque che ogni musulmano deve recitare durante il giorno. Subito dopo le lezioni sull'Islam, seguite da allenamenti fisici e poi dall'addestramento militare. La routine si ripeteva durante la giornata, intervallata da alcune pause e dalle preghiere. Alle ventidue la giornata finiva con la sospensione per il riposo notturno. L'obiettivo era quello di metterci alla prova, vedere chi davvero lo voleva, chi era convinto di stare lì. L'addestramento, sviluppato su dieci livelli, era molto duro, così come le punizioni per chi si rifiutava di fare qualcosa. Un giorno un uomo si era rifiutato di alzarsi perché troppo stanco, gli addestratori gli avevano legato le gambe e le braccia a un palo e lo avevano lasciato sotto il sole cocente finché non aveva perso i sensi. Ci sottoponevano a mesi di addestramento quotidiano alla guerra, dovevamo imparare a usare perfettamente granate, lanciagranate, mitragliatrici e qualsiasi tipo di arma. Ogni giorno eravamo costretti a visionare video di attentati, decapitazioni, azioni di guerriglia, attacchi terroristici e mi veniva ripetuto di prendere esempio dai martiri. Un martellamento vero e proprio per le migliaia di ragazzi come me, pronti a entrare in azione in qualsiasi momento. Ci volevano privare del ragionamento per addestrarci a morire e a compiere attentati. La maggior parte di noi non aveva niente da perdere, non aveva famiglia, non possedeva una casa. Non più. Il mio sorriso quando sognavo di vedere di nuovo mia madre, non era presente sul volto di molti, ormai destinati a una vita fatta di odio. Per loro la vita era racchiusa in un'arma e nell'uccidere un nemico al grido di Allahu Akbar.
*Felafel: polpette di legumi. Pita: pane piatto lievitato a base di farina di grano. Tahina: salsa allo yogurt e pasta di sesamo.
14 aprile 2017
- Ash-hadu anna la ilaha illal-lah - Attesto che non vi è altro dio che Allah - Wa ash-hadu anna muhammadan rassulul-lah! - e Muhammad è il messaggero di Allah!
Ho appena pronunciato la Shahada, davanti alle mie sorelle in Islam: Aziza e Fatima. Entrambe vestono tunica e hijab, una mi guarda compiaciuta, il viso massiccio e gli occhi vivaci, l'altra ha un sorriso luminoso stampato sul bell'ovale fine e le labbra carnose. Ho scelto per me il velo color amaranto. Non vi sono limiti nella gamma dei colori da indossare, purché non attirino troppo gli sguardi in ornamenti ed eccentricità. Mi preparo ora alla purificazione principale: il ghusl, che consiste in un lavaggio rituale e nell'eliminazione della peluria superflua che si trova sotto le ascelle e sul pube, come fanno tutti i musulmani, in occasioni speciali, nel corso della loro vita. Una vasca piena di acqua calda, profumata al patchouli e gelsomino, mi attende. Il mio nuovo nome è Sahar, significa alba, aurora. L'ho scelto perché questa è l'alba di una nuova vita e perché è molto simile al mio appellativo originario. Sono pronta a diventare una buona musulmana. Davanti alla moschea mi tolgo le scarpe ed entro in una piccola stanza dove alcuni giovani studiano o pregano, proseguo in silenzio per non disturbare. Le pareti della sala di preghiera presentano alcuni ricami con il nome di Dio e del suo inviato, un orologio elettronico indica gli orari delle cinque preghiere obbligatorie, salat, che cambiano ogni giorno in base alla posizione del sole. La preghiera comunitaria del venerdì non è obbligatoria per le donne, ma per me oggi è un giorno speciale. La mia preghiera inizia col takbir: porto le mani vicino al capo, le palme aperte e rivolte in avanti, pronuncio la frase "Allah Akbar", Dio è il più grande. Ho l'intero corpo coperto, solo le mani e il viso sono in vista. Quando l'Imam Mustafà sale sul minbar, la sale tace. Non è permesso parlare o scambiarsi saluti. Il sermone dura una ventina di minuti, terminate le preghiere molti si attardano a gambe incrociate sui tappetini rosso e oro per meditare ancora. Io vengo abbracciata dalle compagne, felici per me. Alcune hanno le lacrime agli occhi. Vengo trascinata in una sala adiacente, piastrellata a mosaico nei toni dell'azzurro, ci aspettano bicchieri di tè alla menta, cous cous e pasticcini arabi. L'imam, di origine egiziana, mi guarda soddisfatto: ha seguito di persona la mia preparazione alla conversione. È un uomo semplice, longilineo con barba e baffi brizzolati, l'incarnato scuro. Per l'occasione indossa un copricapo bianco ricamato e una veste chiara. Aziza e Fatima non smettono di sorridermi e complimentarsi, attorniate dal gruppo femminile.
- Oggi hai trovato la vera luce, Sahar.
- Vi ringrazio sorelle! - Mi sento quasi commossa. Ho elargito anch'io sorrisi a tutti: la buona disponibilità verso gli altri è considerata carità, per me sarà il mio lasciapassare. Mi defilo abbastanza alla svelta, ancora frastornata dai festeggiamenti. Raggiungo a piedi il mio piccolo appartamento in via Gramsci, attraversando un dedalo di vicoli bui e una sorta di casbah, teatro di spaccio e degrado. Il bilocale non è un granché ma è comodissimo all'Università, dove svolgo la funzione di assistente alla facoltà di Lingue e Letterature straniere. La mia laurea in lingue in questo frangente si è rivelata molto utile. A seguito di un corso accelerato di arabian ho avuto modo di avvicinarmi all'Islam e ho potuto frequentare le studentesse mussulmane e la loro comunità per portare avanti la mia missione. Sono mesi ormai che la mia realtà ha subito un cambiamento radicale. Mi sono cucita addosso una parte che, in trent'anni di vita abbondanti, non avrei mai pensato di dover interpretare. Persino i miei capelli hanno perso il loro riflesso di fuoco, per un modesto castano medio. Ho lasciato luoghi, affetti e persone a me care e la poca sicurezza di un lavoro mai scontato, per un altro ancora più rischioso. Indosso il velo per distinguermi dai non credenti, come indossavo la divisa per distinguermi dai delinquenti. Sono sola, lontana dagli amici, dai colleghi. Per coloro che mi conoscono adesso, non sono mai esistiti, come non è mai esistita la poliziotta che ero. L'hijab mi fa camminare tranquilla in mezzo al guazzabuglio del centro storico e ancor più la mia fedele Beretta, che tengo sempre nascosta sotto l'ampia tunica. Potevo rifiutare tutto ciò? Chi mi conosce bene sa che Sara Ardenghi non si tira mai indietro.
Qualche mese prima...
- Sara, ti hanno mandato una convocazione da Roma. Cosa hai combinato questa volta?
L'Ardenghi tirò fuori dal suo repertorio un'espressione tragicomica, tra il perplesso e il meravigliato.
- Nulla, che io sappia!
- Venerdì ti aspettano alla Scuola Superiore di Polizia.
- Mi accompagni? Potremmo ritagliarci due giorni tutti per noi...
Draghi accettò di buon grado, tuttavia qualcosa gli si insinuò nella mente, tanto da fargli prevedere che non sarebbe stato un fine settimana rilassante. La sveglia all'alba, freddissima e ventosa, non fu già di per sé un buon inizio. Il nuovissimo Freccia Argento partì da una sonnacchiosa Porta Principe alle sei e quarantaquattro e giunse a Roma intorno alle dieci e quarantacinque. Un cielo perlopiù sereno attendeva la coppia nella capitale in pieno fermento. Con un taxi raggiunsero un palazzone rosso-arancio, nel quartiere Flaminio. Un militare graduato, il volto severo e inquisitore che pareva scolpito nella roccia, accolse i due poliziotti in un'aula riservata. Sara cominciò a sentirsi in apprensione. Draghi a sentire puzza di guai. L'uomo si presentò come Colonnello Massimo Ivaldi, responsabile del reclutamento AISE. Fissò lo sguardo in quello dell'ispettrice, nascondendo un sorrisetto compiaciuto sotto i baffi.
- Signorina Ardenghi, mi dicono che lei sia un elemento molto valido e che abbia conseguito una laurea in lingue con la massima votazione. Si destreggia bene con l'inglese e lo spagnolo e parla correntemente il francese, se non sbaglio...
- Sì, sono stata spesso in Francia, ho dei parenti in Bourgogne...
- Ha mai pensato di imparare la lingua araba?
- Veramente no, anche se di questi tempi sarebbe utile.
- Appunto! Secondo le sue credenziali non dovrebbe impiegare molto tempo a diventare padrona a sufficienza della lingua.
Draghi rasentava l'impazienza. - Scusi se mi intrometto, a sufficienza, per cosa?
- Vede signor commissario, la sua sottoposta ci è stata raccomandata per una missione di Intelligence, nel vostro capoluogo.
Lo sguardo d'acciaio del militare continuava a scandagliare l'ispettrice, ignorando quasi del tutto il suo accompagnatore. Sara rimase in silenzio attenta ad ogni singola parola.
- Sappiamo che ha spesso agito con sprezzo del pericolo, che sa gestire le emozioni e sa accattivarsi la simpatia delle persone, che è molto fidata e che nessuna ombra oscura il suo passato. È perfetta per noi. Ci serve una persona che conosca un minimo il territorio, ma che non ne sia nativa, e soprattutto che sia poco conosciuta come poliziotta.
Angelo Azzurro
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