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Autore: Matteo Capelli
Sii impeccabile con la parola
Romanzo Formazione
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Sii impeccabile con la parola
Erano da poco passate le sedici: ancora troppo presto per incamminarsi verso il teatro. L'appuntamento era fissato per le diciotto. Prima d'incontrare Marco, Daniele e il resto della compagnia per le prove di Gionata, lo Scoglio e la Sirena, titolo non proprio avvincente, Davide si trastullava su internet. C'era dell'insano masochismo nelle sue azioni.
Avrebbe dovuto mettersi giù e ripassare il copione, invece insisteva nel posticipare il progetto di piccole porzioni di tempo, che sommate tutte insieme facevano perdere ore su ore, per avvelenarsi il sangue su Facebook. Dove c'erano troppe teste prive di rudimenti di educazione civica, troppa gente senza cultura, troppi cavernicoli con diritto di parola. Anzi, di scrittura.
“D'accordo aiutare il prossimo, però prima gli Italiani”.
Bastavano pochi vocaboli, per altro male assortiti, per aizzare la folla sotto il vessillo di un nazionalismo d'antan. Era come se la crisi economica in cui versava lo stato italiano avesse cancellato il comune senso del pudore, portando alla ribalta il feroce malcontento delle classi disagiate, autorizzate proprio dall'insoddisfazione crescente a esprimere qualsivoglia desiderio di ribellione, persino il più gretto e scentrato. Sconcertante, spesso. Il guaio era che, navigando nelle bassissime acque di una pressoché inesistente istruzione, questa infinita marea di sentenziatori deviati accettava inconsapevolmente di farsi plasmare da furbi manipolatori opportunisti e alla fine sbagliava clamorosamente il bersaglio delle proprie critiche, depistata dal facile raggiro mediatico dei potenti che, assai più meschini e lungimiranti, con il minimo sforzo mettevano in bocca a pappagalli idioti il messaggio che di volta in volta volevano veicolare. Così, anziché prendersela con i veri responsabili del latrocinio ai danni dei più deboli, orde di ripetitori privi di cervello finivano per fare lo sporco gioco dei colpevoli, assecondando ideologie assurde per scatenarsi contro poveracci più poveracci di loro. Erano perlopiù razzisti mascherati da patrioti, troppo ignoranti per capire che l'unica patria da difendere è l'universo tutto, senza distinzioni di razze e colori, di etnie e costumi, di specie.
“Gli immigrati? Aiutiamoli a casa loro!”
In nome di una visione della democrazia distorta e piegata a vantaggio di un comodo disordine sociale, in rete si assisteva sempre più di frequente al fenomeno dell'azzeramento: venivano cioè annullate le giuste differenze che rendono unico e non replicabile il singolo individuo, consentendo anche a coloro che sono privi di qualsiasi capacità raziocinante di esprimersi al pari delle persone intelligenti, colte, dotate. Risultato: il festival dell'imbecille nel mezzo di un caos primordiale. Perciò forse il problema non era tanto legato alla politica e alle sue dinamiche dentro una società costituita per la gran parte da ebeti, quanto alla stessa logica di funzionamento della realtà virtuale, dove tutti possono tutto, quando poi fuori di essa la maggioranza non possiede alcuna facoltà effettiva. E allora, per vergogna, tace. Fosse stata introdotta una tassa per ciascuna idiozia esternata, sarebbero stati tutti molto più zitti e fermi con le mani, anziché pigiare a casaccio sulle proprie amate tastiere. Non c'era forma di discriminazione più subdola della gratuità equidistribuita a prescindere dal merito, senza motivazioni di sorta. Perché concedere a chiunque qualunque possibilità al medesimo prezzo? Gli stupidi avrebbero dovuto pagare un extra per filosofeggiare, non c'era dubbio.
“Negri, arabi e cinesi sono tutti uguali: tutti delinquenti!”
Le centinaia di commenti inserite sotto ai post riuscivano nell'impresa di essere persino peggio dei post stessi. Per Davide era ovvio che la massa informe fosse costantemente prigioniera di una totale mancanza di consapevolezza, eppure, dai toni usati, pareva per giunta che l'ultima ruota del carro avesse la verità in tasca. Ma quando poi gli capitava di parlare con qualcuno di loro vis-à-vis, si rendeva conto che nessuno aveva mai nulla da insegnargli. Non ascoltava mai niente che non avesse già pensato, elaborato e scartato molto prima di chi aveva di fronte, mai un'idea brillante, un'intuizione in grado di ribaltarlo e sovvertire ogni suo credo, mai una riflessione che fosse oltre il limite da lui raggiunto, mai qualcosa che non fosse banale, un ritornello trito e ritrito, mai un'emozione stravolgente, mai niente che si allontanasse dal populismo o dal qualunquismo o dal cameratismo, mai una sorpresa, una rivelazione capace di sconquassarlo, mai un'illuminazione geniale. Dietro allo schermo erano guerriglieri incalliti con infinite risorse, davanti ad altri individui in carne e ossa lo erano un po' meno.
“Dovremmo chiudere le frontiere e sparare ai gommoni!”
Ciò nonostante, erano sempre tutti lì a pontificare le loro quattro fesserie senza fondamenta, lette male da qualche fonte inattendibile, peggio interpretate e infine introiettate attraverso il pressante ausilio di squallide vignette faziose o beceri dispensatori di pillole di saggezza atteggiati a supereroi della psicologia, luminari dello spirito, scienziati della mente. Davide immaginava il giorno in cui, trovandosi davanti a un microfono in un comizio pubblico organizzato apposta in una piazza immensa, avrebbe detto agli spettatori presenti quanto fossero un popolo di cretini e deficienti – d'altronde qualcuno prima o poi avrebbe dovuto assumersi l'onere di farlo, per il bene dell'umanità – e che, benché ogni tanto ancora ci sperasse, non imparava mai nulla da nessuno. Nessuno lo stupiva; le teorie altrui su qualunque argomento lo facevano rabbrividire e le ipotesi erano alla stregua di mangime per cani; le frasi che nelle intenzioni del prossimo sarebbero dovute risultare profonde, altro non erano che scialbi compitini delle elementari. Era opportuno che ognuno, nel suo piccolo, capisse quanto fosse retrogrado rispetto a lui, quale voragine separasse lui dagli altri, che se negli anni della scuola lui era sempre stato il primo della classe, magari per colpirlo e tramortirlo nella coscienza occorrevano gli effetti speciali. Ma poi, a quale pro? Per cosa gli sarebbe tornato utile? Per scavare intorno a sé un ulteriore fossato di solitudine? Sarebbe stato debilitante e controproducente come provare a spiegare l'astrofisica nucleare alle scimmie. Sarebbe stato in linea con la mediocrità imperante che tanto disprezzava. Tuttavia, perché non concedersi il lusso d'essere mediocre per una volta? La verità era una: era stanco di fare leva sulla propria superiore moralità per apparire umile e fingere indifferenza e distacco a difesa del quieto vivere, altrimenti messo a repentaglio dal fatto che mal sopportava tutti i suoi simili, dal primo all'ultimo, in quanto ottusi, poco interessanti e ancora meno degni della sua stima. In quanto, dopo tutto, affatto simili.
“Quando non rubano il lavoro agli Italiani, rubano e basta!”
Non apparteneva certo alla risicata schiera dei privilegiati con un impiego garantito, anzi, stava sudando sette e passa camicie per ottenere uno straccio di contratto, tuttavia Davide non riusciva proprio a vederla così come i suoi conterranei estremisti. Non credeva al teorema secondo cui la colpa dell'elevato tasso di disoccupazione tricolore sarebbe da attribuire ai poveretti in fuga dai conflitti e dalle disgrazie dei loro Paesi d'origine che si rifugiano nella penisola a forma di stivale. Più che una spiegazione logica, a lui sembrava uno scherzo. Come si poteva abboccare per davvero a una sciocchezza del genere? Chi poteva?
Era il funerale dell'etica, la tomba del buon senso, la fine della civiltà. Davide scorreva le pagine di Facebook e scuoteva il capo. Per quanto atterrito e sconsolato, di una cosa era sicuro: non avrebbe mai aderito al gregge, a costo di andare contro i propri interessi, a costo di restare il solo paladino a protezione dell'utopia di un roseo futuro che si stava sgretolando, a costo di essere costretto a emigrare su Marte. O Instagram.

Matteo Capelli

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