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Autore: Aurora Bollini
Ruby from the block
Romanzo Formazione
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Ruby from the block
New York, 2023.

Mi strinsi nel leggero impermeabile nero, cercando di ripararmi dal vento gelido di novembre che soffiava quella mattina.
Non era stata una gran bella idea quella di uscire di casa senza una sciarpa, un giubbino o magari un cappello, di quelli che si mettevano le donne in carriera nei film degli anni Ottanta: ma sicuramente, con il vento che c'era, a me sarebbe volato via.
Ovviamente io ero sempre stata la regina delle pessime idee: pessime idee portavano a pessime conseguenze e la mia vita, purtroppo, ne era costellata.
Un brivido mi percorse le natiche salendo per la colonna vertebrale e un ricordo lontano affiorò nella mente, ma lo scacciai via come si scacciano le mosche.
Non era proprio il momento di pensarci data la circostanza, ma tanto lo sapevo che non sarebbe passato molto tempo prima che lui mi tornasse in mente, con tutto ciò che era collegato a quel periodo della mia vita, cose che ancora mi portavo dietro e che puntualmente facevano ritornare tutto a lui.
Insomma, un tremendo circolo vizioso.
Guardai sul cellulare l'indirizzo che mi era stato inviato e finalmente mi trovai davanti ad una palazzina moderna dai muri bianchi, in una classica zona residenziale di Manhattan.
Non appena entrai nell'androne tirai un sospiro di sollievo, almeno lì dentro non tirava quel vento ghiacciato, e cominciai a salire le scale di marmo grigio.
Per fortuna erano solo due piani, ma io avevo i tacchi.
Perché ero uscita di casa con i tacchi? Ah, giusto, per non sembrare una bambina truccata ad un'intervista per il New York Times. Funzionali al loro scopo, vero, ma comunque una pessima idea, almeno per me, che avevo sempre toccato l'asfalto con le mie fedeli converse nere.
Arrivata all'appartamento 24B bussai timorosamente alla porta che si aprì quasi subito, mostrandomi il volto arrossato e rotondetto di una ragazza abbastanza giovane. Mi chiesi quanti anni avesse, ma poi mi lasciai andare all'idea che avesse la mia stessa età, venticinque anni su per giù.
- Cecile Ridley? - chiesi.
Lei annuì leggermente.
Per un attimo mi stupii che quella davanti a me avesse già fatto carriera nel New York Times, vista l'età che io comunque avevo solo supposto, ma poi ripensai a me, a quanta strada avevo fatto fino a questo momento: ero diventata un'ambasciatrice ONU.
E poi mi ritornò in mente lui... Da quanto avevo letto sui giornali, era diventato un avvocato di fama nota.
Oh dio Ruby, smettila di pensare a lui o non ne uscirai viva stavolta.
La ragazza si sistemò gli occhiali sul volto con una mano tremante e fece per allungare il braccio, poi ci ripensò, si asciugò velocemente il dorso della mano sui jeans e ripeté l'azione che prima stava per fare.
- Lieta di fare la sua conoscenza, signo... - si dovette schiarire un attimo la voce, - signorina Vitagliano - .
Era visibilmente tesa, si vedeva dall'espressione del viso e dal movimento delle spalle rigide, neanche fossi stata Meryl Streep, in quel caso sì che sarei stata su di giri, al suo posto.
Decisi che potevo tranquillizzarla un po'.
Le strinsi leggermente la mano, sorridendole.
- Piacere mio, chiamami pure Rebecca. A occhio e croce dovremmo avere la stessa età -
- Sì, direi di sì. Prego accomodati - .
Allungò il braccio dietro di sé e mi fece spazio, mostrandomi l'ambiente retrostante.
Era un bilocale carino, arredato in modo moderno e molto luminoso. Non so se fosse un'impressione mia, ma iniziavo a sentire leggermente caldo là dentro, quindi mi tolsi l'inutile impermeabile e lo posai sulla sedia che mi era stata indicata, poi la seguii nel soggiorno, rigorosamente beige, e mi accomodai su un divanetto con i cuscini rosa salmone.
Mi guardai attorno e notai sorpresa che quell'appartamento sarebbe potuto essere la copia esatta di Cecile: mancavano solo un paio di occhiali tartarugati appoggiati su uno di quei mobili costosi.
Avrei giurato quasi che lei e quel posto si somigliassero, per quanto una casa potesse assomigliare ad una persona, ovvio.
Lei si sedette su una poltrona di fronte a me, aprì il suo laptop e mentre questo si accendeva cominciò a trafficare con una videocamera.
- E' un problema se filmo l'intervista? - mi chiese con il suo fare un po' impacciato.
- No, non ti preoccupare, fai pure - ero un personaggio pubblico, non potevo sottrarmi a registrazioni varie.
Finito di sistemare tutto si rilassò sulla poltrona, curvò leggermente la schiena e finalmente diede meno l'idea di essere davanti ad un tribunale, cosa che mi era sembrata fino a un attimo prima.
Io mi concessi di appoggiarmi sui cuscini rosa salmone maledicendo mentalmente i miei tacchi. Avrei voluto togliermeli davvero, almeno così forse non si sarebbe sentita più a disagio.
- Ok, sei... sei pronta? - mi chiese ancora titubante.
Io annuii e quando ricominciò a parlare abbandonò quella sua aria impacciata, facendomi capire perché fosse riuscita a fare così tanta strada in così poco tempo.
- Sai già che ho intenzione di scrivere una tua biografia, vero? Mi sembra di avertelo accennato quando ti ho contattata. -
Accennato? In realtà l'aveva ripetuto per un'ora, e ciò mi fece uscire un sorriso - Sì - .
- Bene, in teoria sarebbe dovuto arrivare anche un altro ospite oggi, ma ha avuto problemi di lavoro e ci raggiungerà più tardi. Comunque, cominciamo. -
Annuii di nuovo.
Ero pronta a rivangare il mio passato? Non proprio anzi, per niente, però prima o poi avrei dovuto avere il coraggio di tirarlo fuori, di superarlo o se non altro di accettarlo. Probabilmente questo era il momento migliore.
- Partiamo da una domanda semplice, dove sei nata e quando? -
La guardai con aria stranita; la mia data di nascita era scritta su Wikipedia, perché me la stava chiedendo?
Sorrise, capendo perché mi fossi contorta in un'espressione confusa.
- Perché il libro venga bene, ho bisogno di avere da te tutte le informazioni, non si può mai sapere se ciò che si trova scritto su internet provenga da fonti attendibili, meglio esserne sicuri - .
Oh, got it.
- Sono nata a Milano il 14 gennaio del 1996. La maggior parte della mia vita l'ho vissuta lì, a Lambrate, di sicuro non una delle migliori zone della città, ma era il massimo che la mia famiglia potesse permettersi.
Per famiglia intendo io, mio fratello e mia madre; mia zia era decisamente più benestante, ma non è che abbia fatto poi più di tanto per noi, a parte consigliarmi quale ragazzo di buona famiglia potessi frequentare - Storsi la bocca al pensiero.
- Neanche fossimo nel medioevo -
Finì di digitare sulla tastiera e poi tornò a guardarmi.
- Lam-bra-te? - vidi che cercava di fare lo spelling; effettivamente quella era una parola italiana intraducibile in inglese.
Cercai di spiegarle a cosa mi riferissi.
- Sì, è una zona... ehm, quartiere di Milano abbastanza in periferia, pieno di case popolari - .
- Ah - , un lampo di comprensione le balenò in viso.
- Un po' come il Bronx - .
- No, non proprio. Ci sono stata, in un quartiere come il South Bronx, ma non è quello in cui sono cresciuta. Diciamo più simile al Queens, ecco - .
Fece un cenno d'assenso continuando a scrivere, poi si bloccò con le mani sui tasti.
- Scampia - Il cuore mi si fermò per un secondo, mentre iniziai a respirare a fatica.
Forse non era stata una buona idea accettare quell'intervista.
- Cosa? -
- Il quartiere simile al South Bronx in cui sei stata. Scampia - mi rispose tranquilla. Come faceva ad essere improvvisamente così tranquilla? Era come se le parti si fossero invertite: ora c'ero io seduta in quell'aula di tribunale immaginaria.
Presi un respiro profondo, ce la potevo fare.
- Sì, esatto -
- Parliamo di questo, allora. Come sei finita a Scampia e perché? - mi osservò da dietro le lenti degli occhiali spessi. - In fondo, è grazie a quello che ti è successo se sei diventata così famosa - .
Era vero, ma pensarci faceva dannatamente male.
- Diciamo che ci sono finita per caso, anche se in realtà ero a Napoli per una ragione. Io neanche sapevo che quel quartiere esistesse veramente, per me poteva benissimo essere semplicemente il set di Gomorra, una Napoli un po' più esagerata per fare audience. Dio, quanto mi sbagliavo, solo che ancora non lo sapevo. Avevo ventidue anni quando mi imbarcai in quell'assurdo viaggio per cercare mio fratello - .
Lo dissi tutto d'un fiato, senza quasi accorgermene.
- Tuo fratello? -
- Michael Vitagliano, allora aveva sedici anni - .
- E come ci è finito a Napoli da solo? -
Trassi un profondo respiro, era complicato.
Ma cosa della mia vita era stato semplice?
- E' una storia lunga, in realtà sono due... diverse linee temporali che si intrecciano, si può dire così? -
- Cioè? -
- Cioè, il motivo che mi spinse ad andare a Napoli per cercare mio fratello ha radici qualche mese prima, durante una vacanza con mia zia, che mi ha fatto conoscere... - Lui. - ...una persona importante ai fini della storia - .
Annuì comprensiva, mentre pensava a come integrare questa nuova parte alla sua idea di biografia. - Bene allora, nel libro potremmo mettere insieme le due cose, rendendo la storia passata ricordi di quella principale argomento del testo. Ti potrebbe andare bene? -
Non me ne intendevo di scrittura, soprattutto di interviste, quindi mi dovetti arrendere alle sue richieste - Ok - .
- Bene, allora tu raccontami come ti viene, poi penso io a sistemare tutto - .
Mi presi un attimo per mettere insieme tutti i miei pensieri e decisi di partire dall'inizio del viaggio, rimandando il più possibile il momento in cui avrei dovuto parlare di lui.
- Allora comincerò dal 23 ottobre 2018, il giorno in cui, con la mia migliore amica Giulia Florin, presi il treno per Napoli... -

Aurora Bollini

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