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Autore: Stefania Portaluppi
I Custodi del Necronomicon (1)
Urban Fantasy
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I Custodi del Necronomicon (1)
Jared si stava lucidando le scarpe. A lui piaceva lucidarsi le scarpe; era una specie di ossessione che gli era stata trasmessa da suo padre, che era un vecchio ubriacone figlio di puttana, che fumava come una ciminiera ed era morto di cirrosi epatica. Anche adesso, benché quegli stivali non fossero certo stivali costosi, l'odore acre del lucido e i gesti frenetici che accompagnavano l'operazione lo soddisfacevano. E, mentre spazzolava, cantava un vecchio motivo swing, alternando le parole della canzone ai suoni emessi ad occhi socchiusi e labbra molli, nel tentativo di imitare le trombe, di tanto in tanto fermandosi per sgranchirsi il collo o bere una sorsata dalla lattina di birra deposta ai piedi del letto. Oppure per lanciare un'occhiata alla bella ragazza che giaceva ancora nuda sotto le coperte. Dormiva saporitamente e lui aveva deciso di non svegliarla.
- Oggi è il grande giorno. - bisbigliò, rauco.
Ovviamente sarebbe andato alla Maugham. O meglio, sarebbe stato nelle vicinanze, in attesa di Duncan che, dopo aver fatto ciò che doveva fare, si sarebbe tuffato nella sua auto. Si sarebbero volatilizzati nel giro di un batter d'occhio.
- Diventerò ricco, bellezza. - disse, sempre borbottando.
La donna addormentata si mosse, ma non si destò. Si girò nel letto e affondò la faccia tra i cuscini.
“Tutto a posto. Mi aspetto un ottimo lavoro, ricordatevelo.”, aveva detto Fred, l'ultima volta che si erano sentiti, un paio di settimane prima.
Siamo stati confermati, aveva pensato Jared. Non era uno stupido. Quel ‘tutto a posto' significava che Fred si sarebbe fidato. Significava che Fred aveva saputo tutto quello che c'era da sapere. E gli bastava.
- Bene. - disse Jared, mentre si dirigeva verso il suo angusto bagno. - Molto bene.

Duncan era già all'università. Precisamente si trovava nel locale delle caldaie. Un locale dove non c'erano telecamere. E perché avrebbero dovuto esserci telecamere nel locale delle caldaie? Non entrava mai nessuno, là dentro. A parte lui, che aveva finto di essere un tecnico venuto a controllare una caldaia che faceva i capricci. Il danno era stato provocato appositamente. Persino l'impresa avrebbe potuto coprirlo. Gli avevano fornito un tesserino con tanto di nome e, se qualcuno avesse controllato, lo avrebbero trovato nella lista degli impiegati.
Era camuffato bene. Si era messo lenti a contatto che avevano fatto diventare verdi i suoi occhi grigi. Si era fatto crescere la barba.
Duncan, con un cartellino e una divisa che gli avevano permesso di accedere al locale senza problemi, aveva tolto la grata dal condotto di areazione.
Beh, prima aveva messo fuori gioco la guardia che lo aveva accompagnato. L'uomo giaceva con la schiena appoggiata al muro e Duncan gli aveva tolto anche la pistola.
Il condotto l'avrebbe portato in aula magna. Il condotto portava in molti posti, ma era l'aula magna il luogo dove doveva recarsi. Aveva studiato la mappa. Si era dato da fare negli ultimi mesi per imparare il percorso.
Duncan si issò e si intrufolò nel condotto. Era alto e abbastanza largo. Pur essendo un uomo robusto, non ebbe difficoltà a spostarsi in avanti, procedendo a gattoni, con la borsa in spalla. Nella borsa c'era il fucile che gli aveva procurato Jared.
Dove sarà Jared? si chiese. Sarà già fuori ad aspettarmi?

La telefonata minatoria di cui parlava Thomas arrivò proprio quando Edith notò, guardando nella telecamera del garage, l'auto di Connor che entrava e si infilava tra altre due macchine.
- Pronto? - fu Edith a rispondere.
La voce dall'altra parte del telefono sembrava maschile, ma non ne era sicura. - Mi ascolti bene! Dovete fare qualcosa! C'è una persona dentro l'università che tenterà di uccidere la rettrice!
Una serie di scariche. Interferenze. Come se chiunque stesse facendo la telefonata, si trovasse nel bel mezzo di una tempesta elettrica.
- Che cosa significa? Chi è? - domandò Edith, alzando la voce.
- Non importa. Vi dico che c'è qualcuno, dentro l'università! È armato. Potrebbe essere... l'aula...
- Pronto?!
Scariche. Interferenze. Poi la linea saltò ed Edith non udì più niente.
Thomas la osservava. - Che succede?
Edith non rispose. Avvertiva un fastidiosissimo ronzio in un orecchio. E il presentimento. Chiaro e palpabile.
“C'è una persona dentro l'università...”
- Una telefonata minatoria? - Thomas stava parlando, ma la sua voce era lontana. - Lo sapevo! Diamine, che cosa si sono inventati stavolta?
“...che tenterà di uccidere la rettrice.”
Edith guardò tutte le telecamere, una dopo l'altra. Il garage. Le aule, molte delle quali vuote. La biblioteca con Jackson dietro al bancone, come ogni giorno. I corridoi al pianterreno. L'atrio che pullulava di gente. Il cortile. La sua mente viaggiava alla velocità della luce.
L'aula magna.
“C'è una persona dentro l'università...”
- Edith?
Non ascoltò. Anzi, si alzò, facendo cadere la poltrona girevole sul pavimento e corse fuori dall'ufficio.


L'aula magna non era al completo, ma sotto Natale era normale vedere molte sedie vuote. Anche gli insegnanti avevano preso posto nelle prime file.
Quando Rebecca entrò, salendo sul palco e posizionandosi davanti al leggio, il brusio si interruppe, lasciando il posto a qualche colpo di tosse e a qualche bisbiglio qui e là.
La rettrice adocchiò Silver in prima fila, un braccio stesso sulla sedia vicino a lui, l'espressione rilassata, nel complesso abbastanza indifferente. Anche un po' pensieroso. Vide la ragazza della mensa, Robyn, che entrava di soppiatto e si rifugiava nelle ultime file, quelle destinate ai ritardatari. Notò Benjamin Clayton, il coinquilino di Edith Swinson, accanto ad un ragazzo con i capelli ricci e neri.
Davanti a lei, sul leggio, c'erano dei fogli sparsi, anche se Rebecca non pensava di aver bisogno di quei fogli. Guardava le tante facce senza soffermarsi su nessuna. Eseguiva gesti che aveva eseguito decine e decine di volte.
Mancavano pochi minuti alle nove.

Duncan vedeva la rettrice della Maugham attraverso la fessura della grata.
Era arrivato molto prima che Rebecca mettesse piede in aula magna e aveva avuto tutto il tempo di montare il fucile. Niente treppiede. Lo stringeva saldamente con entrambe le mani. Non era nervoso, non sudava e non provava niente di particolare. Voleva solo che quella storia finisse, in modo tale da potersi intascare i suoi soldi e lasciare quella città di merda. Sarebbe andato in Florida, oppure in Messico. A fare cosa, ancora non l'aveva deciso, ma con i due milioni di dollari avrebbe avuto tempo per pensarci.
Guardò nel mirino telescopico, mettendo a fuoco il corpo della rettrice. Mise a fuoco, soprattutto, il punto in cui avrebbe colpito. All'altezza del cuore.
La gallina dalle uova d'oro, pensò Duncan, sorridendo lievemente. Niente male. Beato chi se l'è pigliata.
Non se la sarebbe pigliata più nessuno. Tra pochi minuti, Rebecca Maugham avrebbe cessato di vivere.
“Ricordatevi; non dovete esitare. Per nessuna ragione. Non state uccidendo una persona pulita, una persona innocente.”, aveva detto Fred, una volta. E lui aveva avuto l'impressione che l'uomo stesse ripetendo le parole del mandante. “Rebecca Maugham non è pulita, non è innocente. Fosse al posto vostro, non avrebbe nessuna pietà.”
Nel fucile c'era un solo proiettile. Non ne sarebbero serviti altri. Se anche avesse sbagliato, non avrebbe avuto il tempo di sparare un secondo colpo. Sarebbe stato costretto a scappare e basta.
Ma Duncan non pensava di sbagliare. Era molto sicuro di sé.


Edith trovò la porta dell'aula magna socchiusa e si infilò dentro, dirigendosi verso le ultime file. Robyn la vide procedere piegata, come se sperasse di non essere notata da nessuno, nemmeno dalla rettrice, che aveva appena iniziato il suo discorso. In realtà, Rebecca la vide eccome e, pur non smettendo di parlare, si chiese che cosa diavolo ci facesse lì.
Edith guardò verso il palco. Non c'era nulla di strano. O almeno, dalla sua posizione, non vedeva nulla di pericoloso, niente di diverso dal solito.
- La Maugham richiede sempre il massimo dai suoi studenti...
Edith avanzò nel corridoio centrale, fino a metà sala. Si guardò intorno. Scrutò le facce, chiedendosi se uno degli studenti presenti non si sarebbe alzato in piedi tra qualche secondo, estraendo una pistola e puntandola contro Rebecca.

Duncan era pronto. Dopo gli ultimi accorgimenti, fece scivolare la canna del fucile oltre la fessura. Non troppo, giusto qualche centimetro.
Rebecca Maugham parlava e parlava. Duncan non afferrava nemmeno una parola, essendo troppo concentrato. Tornò a guardare nel mirino.
Non si accorse assolutamente di Edith, che intanto si era spostata verso le prime file. Lui vedeva soltanto il suo obiettivo.
Spostò il dito sul grilletto.

Si accorse che c'era qualcosa di anomalo. Guardando attentamente Rebecca, Edith si accorse che c'era qualcosa di molto insolito. Qualcosa che stonava. Lei era impeccabile, come ogni giorno. Non un capello fuori posto, né tantomeno una piega sui vestiti.
Però...
Fece ancora qualche passo. Rebecca le lanciava occhiate fulminanti, quasi si aspettasse di vederla balzare sul palco per strangolarla.
Dietro di lei, due studenti bisbigliavano, chiedendosi cosa stesse combinando quella bionda in giacca di pelle.
Benjamin, seduto accanto a Sebastian, si chinò in avanti per capire a sua volta che cosa avesse in mente la sua coinquilina.
Fu allora che Edith capì.
Era un piccolo dettaglio, un dettaglio infinitesimale, ma le saltò all'occhio non solo perché la sua vista non era mai stata così limpida come in quel momento, ma anche perché Rebecca indossava una camicia bianca e si era tolta la giacca scura.
Una luce rossa. Un lumicino rosso che danzava sul tessuto bianco. Un lumicino rosso che si era spostato a destra, proprio all'altezza del cuore.
Qualcuno aveva appena puntato un fucile di precisione.
Edith scattò in piedi.
“C'è una persona dentro l'università...”
Fece un giro su sé stessa e fissò gli spalti dell'aula magna, i punti più alti dai quali era possibile puntare un'arma e colpire.
“...che tenterà di uccidere la rettrice.”
Edith non vide il killer da nessuna parte, ma c'era. Era là, da qualche parte, nascosto e aveva avuto tutto il tempo di prepararsi.
- GIÙ! - gridò all'improvviso, spezzando la voce di Rebecca, che la fissò con occhi grandi e furibondi. - TUTTI GIÙ! A TERRA! A TERRA!
L'allarme e il panico nella voce di Edith Swinson fecero serpeggiare un'ondata di agitazione in tutta l'aula magna. Qualcuno mandò un'esclamazione di sorpresa. Qualcun altro gridò, colto alla sprovvista dall'ordine della donna.
Tutto parve accadere a rallentatore.
Silver fu quello dotato di una maggiore prontezza di riflessi. Scivolò giù dalla sedia e si sdraiò sul pavimento. Robyn, in fondo alla sala, si piegò, mettendosi le mani sulla testa, pensando che forse là dentro c'era una bomba ad orologeria, che tra qualche secondo sarebbe saltata in aria, spazzando via tutti quanti. Benjamin, invece di buttarsi a terra, scattò in piedi, imitato da Sebastian.
Edith si mise a correre. Non sprecò ulteriormente il fiato e scattò verso il palco e verso Rebecca, che si era allontanata dal leggio di qualche passo, ma era ancora nel mirino del killer...
Il condotto di areazione. Il killer è nascosto nel...
Corse, ignorando la confusione che si stava creando intorno a lei, con il cuore che sembrava in procinto di sfondarle il petto...
Oh, no, ti prego, fa che la raggiunga in tempo. Devo raggiungerla in tempo!
Con un ultimo, vibrante scoppio di velocità, Edith spiccò un balzo e salì sul palco, scagliando se stessa in avanti, quasi stesse giocando una partita di football e si stesse accingendo a placcare un avversario e, proprio nel momento in cui Duncan iniziava a premere il grilletto del suo fucile di precisione nel quale un unico proiettile attendeva di essere sparato verso il bersaglio e mentre Connor entrava in aula magna dopo aver saputo da Thomas della telefonata minatoria, il suo corpo coprì quello di Rebecca.
Un secondo dopo, Duncan sparò.

Stefania Portaluppi

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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