Né muri né mari ostacoleranno il mio cammino. Non temo il mare, non temo la tempesta, non temo il nemico. Nessuno, mai, mi priverà della mia condizione di uomo libero, e per questo sono disposto a lottare con tutte le forze, per rivendicare i miei diritti e la mia dignità, così come mio padre mi ha sempre insegnato. Ho deciso di raccontare i fatti senza filtri, di denunciare a viso aperto e senza timori reverenziali lo Stato e le istituzioni, con l'obiettivo di dare il mio piccolo contributo nella difficile battaglia contro l'insensibilità dell'opinione pubblica sul tema dei suicidi di Stato. È una guerra. Davide contro Golia, ma un atto doveroso che la mia coscienza di onesto cittadino m'impone, in segno di rispetto nei con-fronti di chi ha perso la propria battaglia in piena solitudine, abbandonato dalle istituzioni e lasciato morire in modo ignobile. Piccoli imprenditori e commercianti, uccisi dalla crisi e dalla burocrazia. Strangolati dai debiti e dall'ingordigia di banchieri senza scrupoli. Una testimonianza reale, con fatti e cronaca di un personale percorso nel mondo dell'imprenditoria e dei disoccupati over cinquanta. Una “lettera” con dedica che, viaggiando chiusa in una bottiglia, sarà lanciata nell'oceano dell'indifferenza. Quale sarà il suo percorso, non lo so, ho il 99,9% di possibilità che si vada a insabbiare in qualche spiaggia, insieme a centinaia di migliaia di manoscritti gettati quotidianamente al macero dalle case editrici. Se, in questo momento, state leggendo queste righe, significa che il manoscritto è già stato trovato su qualche isola deserta, e di conseguenza lanciato nel difficile mondo dell'editoria da qualche editore coraggioso e sensibile. La mia speranza è che questa “lettera”, vagando tra le mani della gente comune, inizi a spargere qualche piccolo seme che, germogliando nelle coscienze di ognuno di noi, risvegli una consapevolezza collettiva in grado di dare vita a una specie di rivoluzione del pensiero. Un risveglio che, espandendosi a macchia d'olio, arrivi ai piani alti dei palazzi e in qualche modo si renda foriero d'idee utili a dare speranza e dignità a ogni cittadino di questa nazione. Un sogno utopico? Sì, un sogno degno di un visionario sognatore come me, di un cittadino qualunque, che crede ancora nella potenzialità delle piccole battaglie. Diceva Clarissa Pinkola Estès, una poetessa statunitense: - In tempi duri dobbiamo avere sogni duri, sogni reali, quelli che, se ci daremo da fare, si avvereranno. -
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- La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso ma-teriale o spirituale della società. - Lo riconoscete? È l'articolo 4 della Costituzione italiana, non l'ho scritto io, è il testo entrato in vigore il 1° gennaio 1948. È un principio fondamentale della nostra democrazia, un pilastro in cemento armato, che dovrebbe sostenere un valore basilare dell'esistenza di ogni essere umano: la dignità. Se dovessi raccontare tutte le volte che in questi anni di tribolazione la mia dignità è stata calpestata, masticata e sputata in terra, credo che non basterebbero altre trecento pagine di questo libro. Non abbiate paura, mi limiterò per dovere di cronaca, e solo in favore di chi non conosce certe dinamiche, perché disattento, o impegnato a fare false promesse in qualche campagna elettorale, a citarne alcune. Le più insopportabili, quelle che evidenziano maggiormente una situazione in cui ti viene da pensare che solo una rivoluzione culturale e politica potrebbe cancellare tali ingiustizie. La prima cosa che feci, dopo avere chiuso definitivamente la questione imprenditoriale, fu la più scontata. Iniziai a compilare uno splendido curriculum vitae, inserendo tutte le mie esperienze lavorative, i miei attestati, le referenze, e tutto ciò che occorre per dormire notti serene in attesa di ricevere, nel minor tempo possibile, una meravigliosa proposta di lavoro. In una decina di giorni, lavorando otto ore al giorno, riuscii a distribuire circa trecentocinquanta curricula, tra posta elettronica, posta ordinaria, e consegna diretta brevi manu. Ore e ore a sfogliare pagine gialle, pagine bianche, siti internet e siti aziendali, per ottenere indirizzi ai quali spedire orgogliosamente il mio curriculum. - Se Maometto non va alla montagna, la montagna va da Mao-metto. - È un antico proverbio, che solitamente si cita quando l'attesa di qualcuno o qualcosa si rende eccessivamente lunga. Avrete capito che mi riferisco alle mie belle letterine. Trecentocinquanta curricula giunti a destinazione, zero risposte. Un verdetto spietato, che mi colse impreparato. Le prime trecentocinquanta speranze finite ignobilmente al macero, e con loro tutto il mio entusiasmo, che al quel punto era già finito sotto le scarpe. Per sopperire a tale piccolo inconveniente, decisi di realizzare il piano di riserva. Cambiando strategia, trascorsi altri dieci giorni a navigare su i vari siti di offerte lavoro: infojobs.it, Bacheca.it, Monster.it, Kijiji, su-bito.it... sfogliando circa cinquemila pagine di proposte più o meno allettanti, alla ricerca compulsiva di annunci che rispondessero ai miei requisiti, sulle quali puntare ogni speranza per il futuro. Un'operazione che da subito si presentò più complicata di quanto avrei potuto immaginare, perché, mentre curiosavo tra le centinaia di annunci di proposte di lavoro, mi resi conto che nella maggior parte dei casi si trattava di offerte improbabili, o peggio ancora, di vera e propria spazzatura. Specchietti per le allodole, utili solo a ricavare dati personali da utilizzare a scopi promozionali. Offerte incomprensibili con termini tipo: component reserch engineer, lavoro in smart working, brand ambassador profilo junior, custode advisor, transfer programmer...” Forse risalire dalle sabbie mobili di Little Compton, Rhode Island (USA), sarebbe stata un'impresa meno faticosa, a confronto dell'immane sforzo richiesto per districarmi nella jungla del “job offers” del XXI secolo. Quando iniziai a riprogrammare il mio futuro, dopo la tragica fine del mio baby park, ero perfettamente consapevole che ad attendermi ci sarebbe stato un percorso arduo e pieno d'insidie ma, conoscendo la mia caparbietà e il mio carattere da lottatore, ero altrettanto sicuro che con le mie capacità e l'esperienza accumulata in oltre trent'anni di lavoro, trovare un'occupazione non sarebbe stato impossibile. Questione di tempo e le cose si sarebbero risolte. Un castello di certezze e di presupposti, che la realtà fece crollare in pochissimo tempo. Era evidente che nel corso degli anni mi ero perso qualcosa per strada senza che me ne rendessi conto, il mondo del lavoro era completamente mutato, uno sconvolgimento talmente radicale da rischiare di trasformarsi per me e per tutti i miei coetanei in una trappola mortale. Tecnologia esasperata, globalizzazione e necessità di ottimizzare i guadagni da parte delle grandi industrie sono tra le cause principali di un vero tsunami. Se è messa in crisi la dipendenza del lavoratore dai mezzi di produzione dell'imprenditore, inizia a crollare drammaticamente tutto un modello. Infatti, è la proprietà dei mezzi di produzione che impone un determinato luogo di lavoro e un determinato orario, in quasi tutte le professioni. Il fatto che la maggior parte delle attività lavorative possa essere svolta attraverso uno strumento elettronico connesso alla rete, e che attraverso di esso, attraverso la tecnologia “cloud” si possa entrare in possesso e modificare la totalità delle informazioni necessarie per svolgere la propria attività, ha una portata rivoluzionaria. L'eco-nomia della conoscenza non è più una componente centrale nel lavoro dipendente. Oggi essere il top, l'operaio con un curriculum pieno di esperienze, avere un bagaglio arricchito di conoscenza maturata con gli insegnamenti di vecchia concezione, non è più un privilegio. Con la tecnologia, la conoscenza e l'esperienza non sono più indispensabili. È l'evoluzione, che crea disoccupazione, che toglie il valore aggiunto di un essere umano, in favore di un modello sempre più standardizzato di risorsa lavoro. Iniziai a realizzare con queste considerazioni che i miei guai non erano finiti, ma forse dovevano ancora iniziare. I muri da abbattere erano indiscutibilmente molto più duri di quanto mi aspettavo, ma forse in qualche modo superabili, con il mio solito spirito di adattamento, magari mirando a posizioni più umili, o a ruoli secondari. Ero disposto a tutto, l'importante era ripartire. In che modo?
Dario Farinelli
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