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Autore: Nicole Ziche
La penna del futuro
Narrativa
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La penna del futuro
Sono le 14.30 e nella sala d'attesa del dottor Climpton sono rimasti un fastidioso bambino di otto anni e una timida bambina di dieci, alquanto taciturna.
Oltre a me.
Dicono che la disortografia può essere diagnosticata intorno alla seconda elementare: evviva! Sono in ritardo solo di otto anni!
- Emily, puoi smetterla di camminare su e giù per la stanza, per favore? -
Fortunatamente il dottor Climpton fa il mio nome prima che possa rispondere, non troppo elegantemente, a mia madre, così mi dirigo nella sua stanza dalle pareti color pastello e dal lieve profumo di vaniglia e tonka.

Dopo quarantacinque lunghi minuti scanditi dal grande orologio a parete, il dottor Climpton si alza dalla sua poltrona di pelle nera, bucata e cigolante, posa la penna e le sue considerazioni sulla lunga scrivania lucidata e chiama mia madre.
Lei entra con un sorriso tirato e mi si siede affianco.
- Signora Clara, sua figlia non ha alcun disturbo specifico dell'apprendimento - comunica il dottor Climpton.
Mi volto di scatto orgogliosa verso di lei, ma mia madre non sembra molto sollevata, sulla sua bocca una costante piega amara.
- Credo che la causa di tale fenomeno sia di natura psicologica, sua figlia forse sta attraversando un periodo di ansia o stress, non dimentichiamo di prendere in considerazione le difficoltà che si presentano a un soggetto della sua età in questa fase di transizione verso il mondo adulto - continua pacato il dottor Climpton.
Pronto?! Sono qui! L'unica quindicenne che a causa dello stress non riesce più a scrivere!
Ma nessuno sembra notare la mia presenza per il resto della favolosa chiacchierata.

L'orologio segna le 21.00 e mi sono appena rifugiata in camera, lontano da tutti, ma non da tutto.
Davanti a me, sulla piccola scrivania di legno di bambù, mi attende severo il quadernetto a quadretti di carta riciclata.
Sono tentata di virare a sinistra per tuffarmi nel letto, sprofondando nei cuscini morbidi e freschi e ...
E niente, le mie mani tremano, oh se tremano!
Posso provarci ancora, ancora una volta, solo una volta.
Posso, voglio, devo!
Senza accorgermene sono già seduta alla scrivania e inizio a scrivere.

Nella

Ok, forse non avevo pensato “della”, avevo pensato “nella”, ora scrivo “della”.

Nella. Nella. Nel. N. N.

- Emily ma che cosa hai combinato?! - urla svegliandomi dolcemente mia madre la mattina seguente, strappandomi il quadernetto da sotto il viso, facendomi quasi cadere dalla sedia.
La osservo assonnata, non capisco se sta trattenendo le lacrime o... ok, sta uscendo dalla mia camera piangendo.
Per fortuna mio padre, invece di seguirla, entra nella mia stanza, raccoglie il quadernetto, lo scruta e, guardandomi, mi sorride.
- La mamma è solo un po' tesa, sai che non è brava a gestire ciò che non conosce. -
- Tranquillo papà, lo so che è solo preoccupata, però potresti distrarla un po', così evita di controllare ogni minuto quello che faccio, sai, è opprimente. -
Il grande signor Mcgregory sorride di nuovo, fa un cenno con la testa ed esce dalla stanza.
Poco dopo chiude la porta di casa e si avvia passeggiando lungo il parco, portando con sé la signora Clara a prendersi un caffè in un bar a dieci isolati di distanza.
Sollevata mi alzo per andare a fare colazione, non prima di aver sbirciato quel quaderno un'ultima volta.
Devo essere proprio stanca e ansiosa, perché ci sono due facciate piene di N.

Sono passate due settimane dalla visita con il dottor Climpton e sono a letto con il polso fasciato, si è gonfiato a causa dello sforzo, invano, di riuscire a realizzare sul foglio quello che visualizzo nella mia mente.
I miei genitori hanno accompagnato mia sorella a prendere il treno e, per assicurarsi di non lasciarmi a casa da sola con la costante tentazione di scrivere, cosa severamente vietata dal medico, hanno pensato di chiamare la mia migliore amica, Cindy, a farmi compagnia.
- Ti sei ridotta proprio male quel polso! - esordisce entrando nella mia stanza e porgendomi una ciambella ricoperta di zucchero appena comprata, motivo per il quale mi strappa un sorriso.
- Non posso credere che da un giorno all'altro io non riesca più a scrivere! - sbotto.
Cindy fissa il mio quadernetto aperto, studiandolo con evidente interesse mentre mangia la sua ciambella e, probabilmente, ripensando ai racconti che le avrà propinato mia madre.
- Hai provato con un'altra lettera? Voglio dire, magari è solo un problema della D - esordisce speranzosa.
- Sì, ci ho provato. Volevo scrivere “della” e ho scritto “nella”, allora ho provato con “la” e ho scritto “da” e con “moglie” e ho scritto “foglie”. -
- E qui che hai scritto “via” cosa volevi scrivere? -
- Veramente quella è l'unica parola che volevo scrivere esattamente così e sono riuscita a farlo - sospiro disperata.
Cindy sembra prima corrucciata, poi apprensiva.
Chiude il quadernetto e si siede accanto a me, sul letto.
- Magari hai solo bisogno di zuccheri! Ti va un'altra ciambella? - sorride.
Dieci minuti dopo passeggiamo all'aria aperta con due ciambelle ricoperte di cioccolato.

Mia sorella ha perso il treno, così i miei genitori hanno dovuto accompagnarla a destinazione.
Cindy non ne vuole sapere di lasciarmi da sola, nonostante si sia già fermata a cena e a fare un paio di partite a memory.

Deve essere davvero tardi quando mi sveglio, perché il film che stavamo guardando è ai titoli di coda e Cindy sembra essere andata a casa.
Mi alzo e vado di sopra per vedere se i miei genitori sono rientrati, quando scorgo Cindy seduta alla mia scrivania.
Pietrificata.
La raggiungo, è circondata da post-it dove compare la stessa parola scritta con la sua grafia: Non.
- Cindy, che diavolo stai facendo? Ti sembra divertente? - la aggredisco un po' spaventata.
- Volevo lasciarti un messaggio prima di tornare a casa, ma non riesco a scrivere altro che queste tre lettere in fila - sibila tutto d'un fiato.
Fantastico! Adesso dovrò accompagnare anche Cindy dal dottor Climpton ad ammirare le sue pareti color pastello.
- All'inizio pensavo fosse un problema del quadernetto, ho pensato che fosse maledetto, così ho provato a scrivere su dei fogli, poi su dei post-it... oh Emily, cosa mi sta succedendo? -
- Innanzitutto direi che sei diventata matta a forza di guardare film che raccontano storie improbabili. Secondo poi... non lo so Cindy, non lo so davvero cosa ci è preso - concludo sconsolata sedendomi sul letto.
Cindy è davvero terrorizzata, non si è nemmeno accorta di avere ancora stretta in mano la penna blu, di essere cosparsa di post-it colorati, né di tremare come una foglia.
Senza accorgermene poso il mio sguardo sulla penna, una bellissima penna piuma a sfera, che ho trovato qualche settimana fa nel mio nuovo armadietto a scuola.
Cindy mi osserva e poi guarda la penna.
- E se... - non finisce nemmeno la frase, ma so già cosa vuole dire.
Un po' sarcastica mi alzo e prendo un'altra penna dal mio astuccio, questa volta una vecchia penna rossa mangiucchiata, e la porgo a Cindy incitandola nella sua incredibile impresa.
- Dai, scrivi cosa volevi scrivermi qualche minuto fa - insisto.
Cindy appoggia tremante la penna piuma blu sulla scrivania e afferra la vecchia penna rossa, poi inizia a scrivere sul mio quadernetto e, dopo qualche secondo, ancora più tremante, me lo porge.

Perdonami Emily, ma ora devo proprio andare. Passo a trovarti domani. Un abbraccio, Cindy.

- Ok, non è affatto divertente - dico offesa.
Cindy mi porge la penna rossa.
Esito.
Vorrei tanto dimostrarle che ha ragione e riuscire a scrivere di nuovo come ho sempre fatto, ma significherebbe essere impazzita come la mia migliore amica ed è meglio avere problemi di disortografia, che essere completamente dissennati.
Cindy è ancora seduta con il braccio teso a porgermi la vecchia penna rossa.
Mi siedo incerta sul letto con il quadernetto tra le mani e rileggo la frase che ha appena scritto Cindy, perfettamente composta accanto ai suoi insistenti, ma invani, tentativi di qualche minuto prima, poi osservo la penna rossa, ancora lì, ferma ad aspettarmi tra le dita di Cindy.
Meccanicamente allungo la mano, la afferro e, cercando di tenere a bada tutte le mie paure, ancora insicura ed esitante, faccio un lungo respiro e, trattenendo il fiato, la appoggio sul foglio.

Della via la moglie conosceva solo le prime tre case.

Nicole Ziche

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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