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Autore: Giuliana Papi
Quell'incontro inatteso
Narrativa Contemporanea
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Quell'incontro inatteso
I lampadari di cristallo brillavano, i camerieri andavano e venivano e cominciai a conoscere i coniugi Morris, Blair, Irving, Smith, Moore, la contessa ...insomma la festa cominciava a entrare nel vivo. Stavo parlando con Alice quando si presentò una sua amica che incurante del mio inglese scolastico, cominciò a parlare... Improvvisamente sentii di essere osservata, mi voltai appena e poco lontano da me, vidi gli occhi di James che mi osservavano divertiti, mi salutò con un cenno del capo ed io feci altrettanto. George mi presentò un suo carissimo amico; l'ambasciatore Hofmann che quando seppe che parlavo tedesco, mi bloccò e soltanto dopo dieci minuti, riuscii a congedarmi da lui. Lo champagne con solo due tartine cominciava a farmi brutti scherzi, mi girava la testa e con i tacchi alti, avevo paura di cadere. Decisi perciò di andare un po' in giardino. L'aria era fredda, probabilmente avrebbe piovuto e mi sentii subito meglio. Stavo rilassandomi quando James mi raggiunse e avvicinandosi a me sottovoce sussurrò: - Un penny per i tuoi pensieri - . Mi voltai e sorrisi: - Troppi inglesi per una sera, non ricordo tutti i loro nomi - . Si mise a ridere e mi domandò se ricordavo il suo. - James Foster, ma solo perché ti ho conosciuto altrove. - Aggiunse poi che se non mi sentivo a mio agio potevamo andare via, la sua auto era parcheggiata fuori. Mi sembrava scortese farlo ma fu convincente, andammo dai padroni di casa e spiegammo loro che volevamo fare un giro per la città e che se non saremmo arrivati in tempo per la mezzanotte gli facevamo gli auguri, salutai anche Alice e partimmo. Prese la mia mano e fui felice di portare un tacco dodici, perché pur essendo alta un metro e settantacinque, riuscivo a parlare con lui e guardarlo negli occhi.
La città era illuminata a festa, girammo a lungo in auto e ci fermammo sotto un grattacielo. James parcheggiò e mi aprì la portiera; rimasi un po' incerta se scendere o no e gli chiesi dove fossimo. Lui sorrise, prese la mia mano e disse che saremmo andati nel suo studio. Stava piovendo, si tolse il soprabito, me lo mise sulle spalle e mi accompagnò all'ingresso. Entrammo in un ascensore e salimmo in alto, molto in alto. Poi, la porta si aprì, la moquette attutiva i nostri passi; c'era tanto silenzio lassù, avrei dovuto usare la testa ma in quel momento sentivo soltanto il mio cuore che batteva veloce e decisi di farmi guidare da lui. Attraversammo un lungo corridoio, con tante vetrate opache. Entrammo in una stanza, accese la luce soffusa della lampada da tavolo, aprì un mobile, sicuramente frigo, prese una bottiglia di champagne e due bicchieri di cristallo. Mi guardai intorno; scrivania con poltrone, divano di pelle morbida, un normale ufficio pensavo ma poi lui spinse il tasto di un telecomando, le tende si aprirono e davanti a me si presentò uno spettacolo meraviglioso. James spense le luci e Londra era ai nostri piedi, con tutta la sua bellezza, i suoi colori ed anche la sua pioggia che adesso era aumentata d'intensità. Era quasi mezzanotte e cipreparammo a brindare al nuovo anno. Nella mia borsa il cellulare cominciò a vibrare, per un momento quel ronzio mi riportò alla realtà, ma non reagii. Eravamo di fronte alla grande vetrata, mi voltai e lui era lì, molto bello; guardavo i suoi occhi blu, e mi domandò: - Is there anything wrong? - . (C'è qualcosa che non va?)
Ed io: - I like you - . (Mi piaci)
Sorrise divertito e io continuai: - I would like to lose myself in your eyes - . (Vorrei perdermi nei tuoi occhi)
E lui: - Why don't you? - . (Cosa ti impedisce di farlo?)
Ascoltai il mio cuore e risposi: - Because I know that everything would change and that I would only hurt myself - . (La consapevolezza che niente sarebbe più come prima e mi farei solo del male).
Brindammo al nuovo anno, guardai nuovamente la città davanti a me ed esclamai qualcosa che mi venne dal cuore:
- This night is magical! - . (Questa notte è magica!)
Lui era dietro di me, sentivo il suo respiro, mi abbracciò dolcemente e quando mi girai verso di lui mi baciò. In quel momento il mondo intorno a noi era come sparito, volatilizzato, eravamo lì, solo noi. Ci guardammo negli occhi, baciammo, accarezzammo, annusammo; sapeva di buono la sua pelle e anche se avevamo tanta voglia di andare oltre, volevamo aspettare, godere di quella notte rubata alle nostre vite. Mentre mi baciava, molto lentamente, con una mano sfiorava il mio corpo e quell'attesa era straziante, arrivò al mio fondo schiena, mi attirò a sé, sentii il suo desiderio, poi guardandomi:
- Giulia do you really want to lose yourself in my eyes? -
(Giulia, vuoi davvero perderti nei miei occhi?)
Non ci fu un attimo di esitazione nella mia voce e con un sussurro:
- Yes, I do - . (Si, lo voglio)
In un attimo il mio vestito fu a terra e le scarpe non so. Mi accorsi che eravamo nudi quando ci trovammo sul divano e lui era su di me, dentro di me. Mi abbandonai completamente, il mio respiro adesso era accelerato, provai un piacere immenso, e quando il calore che sentivo nel mio corpo aumentò, arrivò per entrambi l'orgasmo. Lentamente i nostri gemiti si placarono e nella stanza tornò il silenzio. Stranamente, non mi sentivo a disagio, i miei capelli adesso erano sciolti, lui li spostò delicatamente, accarezzò il mio corpo, i miei seni, mi baciò, mi strinse a sé, mi lasciai avvolgere dalle sue braccia e dolcemente mi addormentai.
Il risveglio fu scioccante, mi guardai intorno e mi domandai se quella donna ero io, forse stavo sognando o perdendo il contatto con la realtà, ma la situazione era inequivocabile. Ero stretta a lui, lo guardai incantata, avrei voluto accarezzare il suo viso e ringraziarlo per avermi regalato quella notte meravigliosa. Lentamente, cercando di non svegliarlo, mi alzai, raccolsi la mia biancheria sparsa a terra e cominciai a rivestirmi. Nonostante avessi fatto tutto in silenzio, James si svegliò e mi abbracciò da dietro chiedendomi perché volessi andare via senza salutarlo e mentre aspettava la mia risposta, baciò la mia spalla e cominciò a vestirsi anche lui. Risposi che sentivo soltanto un po' freddo.
Usciti, andammo in un piccolo locale dove facemmo colazione, parlammo appena e trovai strano quel silenzio dopo una notte passata insieme.
Gli chiesi: - A cosa stai pensando? - .
- A noi. -
- E tu? - mi domandò.
- E' imbarazzante per te se dico che è stato molto bello? -
Lui sorrise. - No, non lo è. -
Osservavo i suoi occhi ed era come guardare l'orizzonte e perdersi.
Aggiunse: - Giulia questa notte... - .
Non lo lasciai proseguire, gli posai un dito sulla bocca e gli dissi: - Sshh, don't say anything, please - (Sshh, non dire nulla, per favore).
Non mi ascoltò, e continuò dicendo che era stato bene con me. Alle due doveva accompagnare suo figlio all'aeroporto e poi se volevo, potevamo passare la serata insieme. Nonostante fossi stupita dalla sua richiesta, ammisi che avevo piacere di rivederlo e ci scambiammo i numeri dei cellulari. Poi da buon cavaliere mi riaccompagnò a casa di Katherine, dove fortunatamente tutti dormivano e non dovetti dare spiegazioni imbarazzanti. Prima di salutarmi mi abbracciò e baciò di nuovo. Come promesso James mi telefonò per incontrarci. Non mi creai nessun problema e lo aspettai a casa. Quella sera andammo a spasso per la città e poi a bere in un locale.
Londra, città molto bella, nel periodo natalizio lo è ancora di più, nei giorni seguenti ne approfittai per uscire e fare shopping, non solo con lui ma anche con gli altri. Andai spesso a pranzo con Katherine e George ma soltanto quando noi donne eravamo sole, trovavamo il coraggio di parlare delle nostre cose personali, di come si sentisse dalla morte di Jackie e di quanto le mancassi quando non c'ero. In una di queste occasioni disse che voleva mostrarmi qualcosa di molto importante. La sera stessa, in un ristorante ne parlai con James ammettendo che Katherine mi aveva meravigliato con il suo comportamento inspiegabilmente misterioso.
Il mattino andammo prima a far colazione e poi ci recammo in una zona residenziale nel centro di Londra. Non conoscevo la strada, ma lei con passo sicuro si avviò verso un'abitazione, senza tentennamenti e aprì la porta. - Qui abitava Jacqueline, vieni - e m'invitò a seguirla. Rimasi senza parole. L'appartamento era bellissimo e si sviluppava su due livelli. La zona giorno, al piano inferiore, comprendeva un salone con un bellissimo piano a coda nero, caminetto in marmo, salotto, zona pranzo, cucina con isola tutta in marmo e lo studio, in un angolo nascosto un bagno. Tutto si fondeva in un unico spazio, mentre al piano superiore stanza da letto e guardaroba, con tanti vestiti, scarpe, borse, tutti griffati, s'intravedeva addirittura una cassaforte. La sala da bagno, molto grande con box doccia e una grande vasca idromassaggio; non mancava una poltrona per i momenti di relax, tutto era moderno, fresco e ben arredato. Guardavo senza capire e le chiesi:
- Perché siamo qui Katherine? -
- Jackie ha lasciato tutto a me e io vorrei donartelo! -
Rimasi senza parole e riuscii solo a domandare: - Perché a me? - - Pensaci ti prego, George ed io ne saremmo veramente felici. Naturalmente puoi sempre cambiare o eliminare le cose che non ti piacciono.
Ah dimenticavo, c'è anche un garage e una Mini che ti aspetta. - Confusa da tutta quella ricchezza e da tutte quelle attenzioni non sapevo cosa dire.
Katherine aggiunse che in accordo con George, volevano che diventassi legalmente la loro figlia per poi ereditare senza problemi, sempre che io lo volessi. Avevano pensato a tutto. Adesso avevo veramente bisogno di sedermi perché non ero pronta a questo. Guardavo quella casa, le pareti che davano sulla strada avevano delle enormi finestre, la struttura di ferro, doppi vetri, una vista sul Tamigi, la casa del Parlamento e in fondo il Big Ben. Quelle enormi vetrate erano il punto focale dell'appartamento perché oltre ad affacciarsi sul centro della città, donavano luminosità a quelle grandi stanze. Nessuno si era mai preso cura di me così ed erano tanti anni che non ero più una figlia. Risposi che dovevo riflettere anche perché per una o due settimane l'anno, che avrei passato a Londra, potevo essere loro ospite. Katherine mi assicurò che la sua casa era sempre aperta, ma dovevo pensare a me stessa. Mise il mazzo di chiavi nella mia mano e aggiunse che era ora di andare, George ci aspettava per il pranzo.
- Alla fine, sei riuscita ad avere la figlia che volevi, vero? -
- Eh sì - replicò ridendo, - ci ho messo tanti anni, ma ne è valsa la pena! - .
Quella sera mentre cenavamo al ristorante James notò che ero molto distratta, mi domandò se c'era qualcosa che non andava ma non essendo quello il posto adatto per le spiegazioni le rimandai a dopo cena. Scherzando mi confidò che lo stavo spaventando ma lo tranquillizzai con un sorriso. Quando uscimmo, gli chiesi se aveva tempo per venire con me e lui molto curioso accettò di accompagnarmi. Tornammo a casa di Jackie. Sorpreso, volle sapere come mai eravamo lì e a quel punto, gli raccontai tutto.
Rimase stupito e mi domandò: - Cosa vuoi fare? - .
- Ancora non lo so. Ho bisogno di pensarci. -
Mi strinse a sé e disse che soltanto io potevo decidere.
- Bene, spegniamo tutto e andiamo via, fin quando non avrai le idee chiare, passerai le notti da me o da loro - . Adesso mi sentivo più tranquilla e tornai a sorridere. Andammo nella sua casa. Era la prima volta che mi recavo da lui. Telefonai dal cellulare a Katherine e la avvisai che non sapevo a che ora sarei tornata, comunque ci saremmo riviste il mattino seguente, le augurai la buona notte e mandai un saluto a George.
Tolsi l'impermeabile, il camino era acceso, mi guardai intorno, la casa era bella, ben arredata ma essenziale, tutto molto, troppo ordinato. Mi domandò cosa desiderassi bere e quando risposi che avrei gradito un caffè decaffeinato, lo misi in crisi e risolvemmo il problema con del vino. All'ingresso, su una consolle, dove James in una ciotola aveva lasciato cadere le chiavi, c'era una cornice d'argento con il primo piano di un ragazzo che gli somigliava in modo impressionante. Chiesi se era suo figlio e lui annuì. David aveva sedici anni e ultimamente avevano avuto degli screzi per ciò che riguardava in particolare la scuola e il suo futuro. Con la sua ex moglie avevano immaginato per lui degli studi di economia ma David aveva espresso il desiderio di studiare cucina per poi aprire un ristorante. - Che padre sei? - gli domandai. Si stupì della domanda. - Sai, l'inizio della mia carriera è stato difficile e per molti anni ho anteposto il lavoro alla famiglia, fin quando mia moglie, stufa di aspettarmi, ha deciso per la separazione ed è andata a vivere in un‘altra città. David non me l'ha perdonato, non l'ho visto spesso e ancora adesso ho difficoltà a confrontarmi con lui. -
- Ma tu lo ami! -
- Certo, ma andiamo sempre a finire con il discutere. -
- Forse dovresti prima parlare con la tua ex e poi prendere una decisione insieme a David, devi fargli sentire che sei dalla sua parte, probabilmente è confuso, come spesso lo siamo anche noi adulti. Una cosa non esclude l'altra, potrebbe prendere la laurea e poi fare quello che vuole, non pensi che sia un buon compromesso? E' la sua vita James e non potete imporgli le vostre idee, per quanto pensiate siano giuste. -
Rispose che forse avevo ragione. Domandai se aveva dei fratelli, genitori. Soltanto sua madre che vedeva raramente. Adesso era lui a fare domande. Raccontai della mia laurea, di come, consigliata da mio marito, sebbene intimamente contraria, mi fossi dedicata alla gestione della casa, all'educazione dei bambini che erano venuti e dei piccoli spazi che a fatica ero riuscita a prendermi pubblicando libri sui giardini; come adesso mi ritrovassi con due figli grandi quasi estranei, un marito sempre più distante e di quando prima di partire, gli avevo chiesto se avesse un'amante e lui aveva negato. James mi spiegò che per gli uomini è più facile non ammettere qualcosa, è meno complicato che dare chiarimenti che possono far male. Lo guardai e ammisi che era confortante parlare con lui, ma precisò che purtroppo era così. Adesso i suoi occhi erano fissi nei miei e domandò: - E' per questo motivo che l'altra notte sei stata così arrendevole con me? - .
- No, lo volevo; per te James è stato soltanto sesso? -
Eravamo seduti sul divano, la mia testa era appoggiata alla sua spalla, era una sera di dolce intimità e guardandomi sussurrò: - Non solo! - .

Giuliana Papi

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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