Correva, ormai senza più forze, consapevole che la sua corsa sarebbe terminata di lì a breve contro quel muro grigio, troppo alto. Era infreddolita dal gelo di quella notte, completamente fradicia per la pioggia che cadeva senza tregua. Correva, continuando a guardare indietro, inseguita da una figura più grande di lei con le mani sporche di sangue, che si avvicinava sempre di più. A un certo punto il muro. La piccola era arrivata, vi si era schiacciata contro, quasi volesse essere inghiottita da quell'enorme ammasso grigio, mentre la figura dello sconosciuto la stava raggiungendo. Ora le mani insanguinate erano ben visibili, come lo erano le grosse macchie rosse che coprivano tutto l'impermeabile. Poi la bambina si era gettata contro di lui, singhiozzando la parola mamma.
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4 Marzo 2004
Quando l'ispettrice Stefania Rosati riagganciò, bastò il suo sguardo per far comprendere all'agente Luciano Marri che quella chiamata non prometteva niente di buono.
“Il sarto si è rifatto vivo” furono le uniche parole pronunciate dalla donna. L'uomo misterioso aveva appena chiamato, dando indicazioni sul luogo dove li attendeva una nuova sorpresa.
“Perché non domani?” pensò Stefania a voce alta, emettendo un sospiro che trasmetteva il suo stato d'animo.
Era fuori dalle sei, dopo aver trascorso l'intera mattinata a cercare di dissuadere un pazzo dal commettere una sciocchezza. L'uomo si era introdotto in una casa di riposo minacciando di fare una strage se non avesse riavuto il suo posto di lavoro come cuoco. C'erano volute diverse ore per farlo tornare in sé. Era stato licenziato da alcuni mesi, dopo aver messo a rischio per ben due volte la salute degli anziani ospiti per aver usato ingredienti scaduti.
La prima volta se l'era cavata con una sospensione, poi la casa di cura aveva dovuto prendere provvedimenti più seri e lo aveva licenziato.
L'ispettrice era rientrata in centrale solo alle diciotto e trenta, dopo aver mangiato un toast gommoso in uno squallido bar, mentre si recava a un appuntamento fuori città per un grave caso di suicidio, ancora da chiarire. Aveva sistemato velocemente i due fascicoli e dato una scorsa alle mail, poi aveva spento il computer.
Mancavano cinque minuti alle diciannove, la testa le scoppiava, era stanca e aveva già radunato le sue cose per tornarsene a casa. Si era già pregustata la sua serata solitaria: cena con un bella bistecca, un bicchiere di vino rosso di ottima annata e la visione di un buon film sul comodo divano allungabile.
Progetto che, con quell'ultima chiamata, era svanito di colpo.
Furono subito mobilitate tre pattuglie e inviate a perlustrare la zona, anche se, come al solito, non era stato indicato il punto preciso dove sarebbe stata rinvenuta la sorpresa.
Era buio e solo dopo due ore di ricerca l'auto fu ritrovata dietro folti cespugli in prossimità di una spiaggia, cui si accedeva tramite una strada sterrata.
Considerata la difficoltà nell'arrivarci a causa delle buche formatesi durante l'inverno per le piogge, era il luogo adatto dove potersi recare indisturbati senza dare nell'occhio.
All'interno dell'auto, una station wagon di una marca piuttosto prestigiosa, c'erano gli abiti e i documenti del conducente, un certo Roberto Cassiani, tentasei anni, separato. Vi erano anche tutti gli effetti personali, portafoglio, orologio, una catenina d'oro, mancava solo il cellulare che sicuramente era stato rubato e sul cruscotto era stato lasciato l'ormai noto biglietto color rosa tenue con su scritto a presto, firmato il sarto.
L'ispettrice andò verso lo schedario, estrasse la cartella contenente i fascicoli di Marco Forza e Simone Guarducci e aggiunse una cartellina con il nome di Roberto Cassiani.
Stefania Rosati aveva quarantun anni ed era follemente innamorata del suo lavoro. Per quel motivo non si era mai sposata; aveva avuto un paio di relazioni importanti, la prima durata sette anni e la seconda cinque. Ma in entrambi i casi gli uomini che le erano stati accanto non avevano mai compreso a pieno la passione che aveva per il suo lavoro e lei aveva troncato entrambe le storie.
Vantava un curriculum di tutto rispetto, era riuscita a risolvere casi ritenuti impossibili, aveva un'intuizione fuori dal comune, notando particolari spesso considerati ininfluenti e si era conquistata il soprannome di maga, considerato che era riuscita a risolvere la maggior parte dei casi che le erano stati affidati.
Dopo la laurea in giurisprudenza aveva vinto un concorso e nel 1988 aveva iniziato la carriera di agente. Non si era mai tirata indietro ogni volta che le era stato proposto un trasferimento, così aveva trascorso alcuni anni girando per tutta Italia.
Aveva lavorato per quasi tre anni all'FBI a New York, città nella quale però non era mai riuscita ad ambientarsi, così era rientrata in Italia quattro anni prima, aveva vinto un nuovo concorso e da tre aveva preso servizio presso il distretto di Pisa con la qualifica di ispettrice. “A questo punto non resta che attendere la seconda busta” disse l'agente Marri rivolgendosi all'ispettrice mentre si metteva il piumino per andarsene.
“Si” rispose la donna “direi che adesso non resta altro da fare.” Poi guardò l'orologio: erano le ventidue e cinquantacinque. Prese il fascicolo con la nuova cartellina e lo rimise a posto, indossò anche lei il cappotto, spense la luce e si avviò verso l'uscita, seguita dal collega. Ora aveva davvero bisogno di staccare.
Entrò in casa intorno alle ventitré e quindici, guardò il fagottino con la bistecca che rimandò al giorno successivo, augurandosi che non vi fossero ulteriori intoppi, poi estrasse dal freezer una pizza congelata.
Mezz'ora dopo era sul divano, esausta. Accese la TV ma non riuscì a concentrarsi sul programma che aveva scelto. La sua mente vagava ai casi del sarto, purtroppo irrisolti. Non c'era una benedetta traccia, non un indizio. E una tempistica che non doveva essere casuale, poiché molto particolare.
Si addormentò con quel pensiero e si svegliò intorno alle due infreddolita, realizzando di non essere ancora andata a letto. Poi, finalmente, si coricò.
Alle otto e trenta era in centrale. I fascicoli erano già sulla sua scrivania, l'agente Marri era arrivato da una decina di minuti e li aveva tirati fuori, certo che sarebbe stato il primo pensiero della collega. La Rosati si diresse a lasciare il cappotto e tornando in ufficio fu inebriata dall'odore inconfondibile del caffè.
“Grazie Luciano, non saprei come fare senza di te” disse guardando il collega.
Lavoravano quasi sempre insieme ed erano diventati ottimi amici. Il caffè mattutino che lui le preparava era ormai divenuta un'abitudine irrinunciabile per l'ispettrice. Si sedette alla scrivania assaporando il gusto intenso di quella bevanda calda, poi gli raccontò della sua triste cena e di essersi addormentata sul divano, dove era rimasta fino alle due. Dopodiché si mise al lavoro.
Divise le cartelline sul tavolo e mise a confronto i tre casi, modificando il file con i dati relativi all'ultima auto ritrovata. Quasi sicuramente ci sarebbe stato lo stesso epilogo nel giro di dieci, quindici giorni al massimo.
Marco Forza – trentanove anni – celibe – carrozziere – data ritrovamento auto 20 marzo 2002 – data ritrovamento cadavere 27 marzo 2002
Simone Guarducci – quarantacinque anni – celibe – rappresentante – data ritrovamento auto 7 Marzo 2003 – data ritrovamento cadavere 20 marzo 2003
Roberto Cassiani trentasei anni – separato – avvocato – data ritrovamento auto 4 marzo 2004.
Restava da indicare la data del decesso che sarebbe sicuramente sopraggiunta in pochi giorni e avrebbe avuto le caratteristiche dei primi due omicidi.
In entrambi i primi due casi il modus operandi era stato lo stesso. Una telefonata aveva avvisato la centrale di polizia sui luoghi dove avrebbero trovato una sorpresa.
L'auto di Marco, contenente i suoi abiti e tutti gli effetti personali era stata abbandonata nei pressi di una discarica, quella di Simone in un bosco. Entrambi i cellulari spariti e ritrovati il giorno successivo, grazie alla loro localizzazione, in dei cestini dell'immondizia. I controlli effettuati successivamente su entrambe le linee non avevano portato alcun beneficio all'inchiesta.
Il cadavere di Marco Forza era stato rinvenuto a una settimana di distanza dal ritrovamento della sua auto. Una busta, di colore rosa tenue, era stata spedita per posta alla centrale di polizia. All'interno vi era una macabra fotografia che ritraeva il corpo dell'uomo, con qualche indicazione sul posto dove lo stesso sarebbe stato ritrovato.
La stessa cosa era successa per Simone Guarducci. In quel caso però il biglietto era stato attaccato al portone della centrale con del nastro adesivo. Qualcuno aveva suonato il campanello ed era scappato, lasciando la busta ben visibile, una volta aperta la porta.
In entrambi i casi le forze dell'ordine si erano mobilitate immediatamente, dando il via a intense ricerche nelle zone circostanti la città, seguendo le indicazioni date. C'erano volute alcune ore e diversi agenti per ritrovare i cadaveri che corrispondevano ai due uomini scomparsi nei giorni precedenti.
Il corpo di Marco era stato abbandonato all'interno di un bosco piuttosto fitto, a circa sei chilometri dal più vicino centro urbano, quello di Simone in un capannone chiuso da diversi anni, in una zona isolata.
In entrambi i casi, la scena che gli inquirenti si erano trovati davanti era da film horror. Il corpo, nudo, era posizionato su una sedia, immobilizzato in ogni parte con del nastro adesivo molto robusto che non lasciava scampo alla povera vittima. Il busto era stato legato saldamente allo schienale, al quale era stata applicata una tavoletta in legno piuttosto alta dove era stata fermata anche la testa. Le cosce erano bloccate alla seduta, le gambe legate alle zampe sia all'altezza del ginocchio che alle caviglie, le braccia legate dietro. In quel modo non gli era permesso alcun movimento. Era bendato.
Erano stati riscontrati diversi tagli su tutto il corpo, alcuni molto superficiali, altri un po' più profondi, nessuno dei quali però mortale. Alcune ferite si erano infettate. Entrambi i corpi erano stati congelati ma i due cadaveri presentavano una differenza importante.
Il corpo di Marco doveva essere stato prelevato da una cella frigo almeno da due giorni. Le condizioni della sua pelle erano pessime. Quello di Simone invece era ancora molto rigido, il che faceva pensare che fosse stato estratto dal congelatore poco prima di essere trasferito sul luogo del ritrovamento. Era stata tralasciata la descrizione delle condizioni igieniche in cui versavano entrambi i corpi.
L'esame autoptico aveva confermato che la causa della morte fosse l'assideramento e che i due uomini fossero stati chiusi in una cella frigo quando erano ancora vivi.
Era risultato anche che alle vittime fosse stata somministrata dell'acqua salata, che aveva causato una forte disidratazione. Sicuramente, dopo atroci torture, era stata una morte lenta e molto dolorosa.
Le mani, giunte come in segno di preghiera, erano state cucite insieme con del filo da pesca piuttosto grosso, ed era stato unito ogni singolo dito. A giudicare dal sangue secco, e dal nastro adesivo trasparente per evitare che le muovesse, l'operazione era stata fatta senza dubbio quando la vittima era ancora viva, procurandogli, oltre a un dolore atroce, la terrificante consapevolezza di essere finito nelle mani di un pazzo criminale.
Alle mani era attaccata una bustina di plastica con all'interno lo stesso biglietto di colore rosa con su scritto a macchina le donne sposate non si toccano.
Sonia Alcione
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