Gli arcani della Radura 2
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Il tempo.
Un piacevole odore di tisana alla cicoria giungeva da basso. Oblion aveva ceduto al sonno seduto al tavolo delle sue stanze e l'aroma l'aveva risvegliato alla gradevole luce del sole di un nuovo giorno. Sorridente, assaporò ogni gradino della scala che ora conosceva bene, e si diresse alla cucina della Locanda. Una giovane donna stava versando la tisana calda in qualche ciotola, canticchiando un allegro motivetto. Era così famigliare vederla in quella posa, così spensierata e fresca, ma di fatto non sapeva chi fosse. Lo salutò con un sorriso e gli porse, gentilmente, una ciotola fumante. OBLION: “Ti ringrazio, ma... chi sei?”, corrugando la fronte con curiosità. Passando ad uno stato d'agitazione, si presentò come Nemi, del popolo degli Arbori; disse che, vedendo il ponte abbassato, era entrata nella Radura per cercare una mansione e un giaciglio, essendo scappata dalla casa dei genitori che volevano sacrificarla alla cura della scuola del Silenzio. OBLION: “Va tutto bene, sei la benvenuta”, amabile. Nemi rispose al suo sorriso e, messa da parte la ciotola appena offerta, si abbassò le spalline dell'abito, subito bloccata da un Oblion sorpreso. OBLION: “Non è necessario... davvero! Puoi restare... senza bisogno di ringraziamenti speciali, diciamo”. NEMI: “Sono abituata a ricambiare i favori; permettimi di farlo”, carezzandogli il mento leggermente ispido. OBLION: “No, davvero”, spostandole la mano con garbo e riprendendo la tisana. NEMI: “Sei veramente gentile. Vorrà dire che mi occuperò di te in altri modi. Potrei cominciare col raderti, sono brava”, sistemandosi l'abito. OBLION: “Questo te lo concedo. Potresti portare questo buon infuso ai miei ospiti per ora, per favore”. La porta della Locanda si era aperta, infatti, ed erano arrivati quasi tutti i sopravvissuti; mancavano Vir, allettato, e Occulto che si era dileguato ben presto con la sua carrozza. Oblion si dimostrò un ottimo padrone di casa e rifocillò i suoi compagni di sventura, allietandoli con discorsi ottimistici di rinascita e di rinnovamento della Radura. Esortò ognuno di loro a spargere la voce, di modo che tutto tornasse nel giusto ordine e anche meglio di prima. Al suo entusiasmo rispose solo Tristan, cogliendo l'occasione per proporre un suo sanatorio per tutti gli Spicchi e accontentato di buon grado, appena fosse stato istruito a dovere dal suo maestro, di cui Oblion si lanciò in lodi sperticate all'ingegno sublime. Semper incassava e, alzando gli occhi al cielo, si augurava che si mettessero in viaggio quanto prima. GAYL: “E... i Gonmil? Dovremmo andare a vedere cosa ne è stato...”, ruppe la situazione idilliaca. Nessuno parlò. La sera trascorsa non era stata un incubo da poter dimenticare svegliandosi. Avevano tutti la propria vita a cui tornare, ma quel mostro aveva sparso lutti e disperazione e non si poteva voltar pagina e far finta che non fosse successo niente.
Lion strinse la mano di Astrid sotto il tavolo, ma lei lo dissuase con un cenno dall'offrirsi volontario per visionare lo Spicchio. OBLION: “Per ora, potremmo alzare il ponte e, se qualcuno fosse sopravvissuto, c'è sempre la campana del richiamo”, e si guardò intorno in cerca di sostegno. Gli fu dato da tutti: non si aveva il coraggio di andare a contare i danni. Nemi si diresse al ponte senza bisogno di sentirselo dire; non aveva idea di quello che era accaduto ed era l'unica a non sentirsi scossa. Quindi si alzarono e presero a salutarsi.
Lier stava preparando qualcosa da portare a Vir, quando gli si avvicinò Gayl per informarsi del suo stato d'animo e, semmai, capire il motivo della sua disperazione, visto che l'aveva confortato a prescindere dai fatti noti. Con gli occhi ancora lucidi del pianto ininterrotto della notte, glielo rivelò, ricambiando l'appoggio morale a colui che ora era partecipe del suo dolore. LIER: “Mi sembra che tu conosca Luck...”, domandò. GAYL: “Certo, perché?”; poi ricordò il ritratto inconscio che gli aveva decifrato e immaginò che il destino si fosse compiuto e i due si fossero incontrati. LIER: “Ho il suo anello... A quanto ne so, erano felici e magari avevano pensato di sposarsi... Accompagnami, non ce la farei da solo”, prendendogli le mani. Era una missione veramente incresciosa, fungere da messo della morte e dare una così cattiva notizia ad un amico; ma non poteva esimersi. Annuì. GAYL: “E sua madre? Dov'è Nessa?”. Lier scosse la testa. Non si era ancora vista.
Lion aveva accettato, controvoglia, il nuovo incarico di Oblion, rimandando di qualche giorno, poiché poteva darsi il caso che ricomparisse con gli altri della Radura. Nessa era una donna forte e sicuramente se l'era cavata e sarebbe tornata, arcigna come sempre, ad occuparsi della casa del Piacere. Con un po' di fortuna, era presso i Piumati con tutte le sue ragazze, guidate da Aqui. Nello spiazzo trovò Zabar intenta a ristorare Pyro, vicino al cerchio di ceneri; quelle fiammelle avevano persistito imperterrite e lui stesso le aveva spente con i piedi. Quel cavallo era davvero eccezionale. Scherzarono un po', prima d'informarla dei suoi piani di rientro alle cascate; lei se ne rammaricò, ma sapeva che non era un addio e che Lion le voleva bene. LION: “Se vai con Gayl, magari Astrid potrebbe venire con me alle cascate per qualche giorno...”, tastò il terreno. ZABAR: “Lei torna al Traforo”, chinando la testa, triste. “Ha deciso di ricongiungersi al marito”, spiegò brevemente. La rivelazione lo lasciò di stucco e istantaneamente gli provocò una rabbia cieca: aveva visto una macchia di sangue vicino alle ceneri, ne era stato contento... Con passo deciso, andò a strapparla dalle braccia di Tristan che la stava salutando, e la trascinò lontana, seppur recalcitrante, sotto lo sguardo basito di tutti. Giunti nello spazio tra due alloggi, la inchiodò al muro guardandola deluso ed arrabbiato e
Astrid smise di ribellarsi. LION: “Perché? Ho visto il sangue, e non sono nato ieri. Spiegami perché...”, le urlava. ASTRID: “Perché cosa? Perché ho voluto farlo con te? Perché mi sono dovuta sposare? Perché cosa, Lion?”, lo incalzò, con un principio di pianto. Lui la lasciò libera e gli voltò le spalle un attimo, per darsi una calmata. LION: “Volevo che venissi con me, volevo stare con te e capire...”. ASTRID: “Capire... So chi sei, Lion. Una vale l'altra per te. Stanotte sono stata la tua valvola di sfogo, questa è la verità”, lo accusò. Quante parole avrebbe voluto pronunciare Lion, di uno strano sentimento che covava dal primo momento che l'aveva vista balzare giù da cavallo e che lo scopriva a pensare a lei con una frequenza mai saggiata; un sentimento che avrebbe voluto coltivare e che si era fatto più pressante alla scoperta che si era presa il suo fiore e, con orgoglio, la sentiva sua. ASTRID: “Non dici niente?!”, sfiorandogli un braccio. Si voltò di scatto e le parole che avrebbe voluto dire furono soffocate dalla rabbia del disinganno. LION: “Tornatene a casa”, e se ne andò via, da lei e dalla Radura.
Un altro aveva approfittato della libera circolazione ed era approdato alla Radura, quella mattina. Al centro dello spiazzo aveva attirato l'attenzione su di sé con canti e piroette, fino a giocolare con le mele e camminare sulle mani intorno al cerchio di ceneri. La fuga precipitosa di Lion a cavallo era passata del tutto inosservata e a nulla erano serviti i capricci di Semper di affrettarsi ad intraprendere il viaggio di ritorno. Anche Pyro si trovava d'accordo con Zabar che era una manna dal cielo quello spettacolo del giullare e assistevano tutti rapiti. Quand'ebbe finito il repertorio, acclamato e applaudito, ringraziò con vari inchini e si presentò. GIOBAL: “Il mio nome è Giobal e vengo ad offrire i miei ludici spettacoli alla maestosa Radura, se il signore del posto me ne concede la grazia”. OBLION: “Avremo senz'altro bisogno di un personaggio come te, Giobal. Hai il mio permesso”, gioviale. “Lier, accompagna il nostro nuovo amico al vostro alloggio”. Con sollievo di Semper, le futilità sembravano finite e, tenendosi ancora il braccio, s'incamminò seguito da Tristan che stava facendo amicizia col cavallo bianco. Prima di raggiungerli, Zabar corse dall'eunuco che stava dileguandosi col giullare e, una volta fermato, lo sorprese con un casto bacio sulle labbra e scappò via. Giobal fischiò compiaciuto del gesto e tentò di creare un'empatia con il suo compagno di stanza, congratulandosi per lo charme. Quella piccola donna lo aveva sorpreso mostrando un così disinibito e pubblico gesto d'affetto e Lier doveva sentirsi onorato di un tale interesse, gli disse entrando nell'alloggio dove Vir, ancora debole, attendeva qualcosa da mangiare. Sì, Lier era onorato e contento, e solo le braccia aperte di Gayl, impaziente di intraprendere il funereo viaggio, lo riportò alla realtà e si affrettò ad occuparsi delle ultime incombenze.
Nell'anomalo silenzio che era seguito, Gayl si avvicinò al cerchio pensando che fosse un altro arcano su cui far luce il fatto che un cavallo fosse capace di una simile magia; toccando le ceneri ormai fredde, trascese. Il posto era lo stesso di sempre, quello delle visioni alla scuola, ma aveva coscienza di trovarsi alla Radura, nonostante le grida e l'afa e i carboni sotto i piedi fossero altrove. Era solo e si sentiva osservato dal bambino con gli occhi rossi che avvertiva alle sue spalle come un'incombente minaccia. Le gambe sembravano di piombo e si aspettava, da un momento all'altro, la comparsa della donna dai capelli neri con i suoi pianti strazianti, ma vide solo delle nude gambe femminili, prima che una mano lo strattonasse via. Trafelato e sudato, con i piedi che gli bruciavano, ci mise un po' a tornare in sé e riconoscere Lier, che continuava a chiamarlo a gran voce, ignaro di cosa avesse interrotto.
Annamaria Ricco
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