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Autore: Pietro Bertino
Il granello di sabbia
Distopia
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Il granello di sabbia
Non c'è posto per l'amore in un mondo perfetto.

Il sovranismo è stato l'inizio, la rivendicazione della libertà di un popolo, la legittima tutela della purezza della razza, dei valori e delle tradizioni che costituiscono la base su cui poggiano istituzioni sane e realmente efficaci. Ma i sovranisti non hanno avuto il coraggio di andare oltre, sono rimasti imprigionati in quel limbo chiamato democrazia rappresentativa, aggrappati a falsi valori di pluralismo e rispetto della democrazia, privi di qualsiasi significato, se si vuole costruire un paese nuovo. I Signori della rete non sono democratici, non sono pluralisti, hanno un unico valore: la volontà del popolo espressa attraverso la Rete e alla volontà del popolo rispondono. Semplice, igienico, pulito. Il primo passo verso un mondo perfetto.
(Cittadino M, La giusta rivoluzione)

- Il certificato di purezza razziale, prego.
Il tono del giovane miliziano era cortese ma deciso. Ultimamente i controlli erano diventati ossessivi e le guardie alle porte della città cambiavano ogni giorno. A causa della grave crisi economica che aveva messo in ginocchio gli alleati, nel governo serpeggiava la paura e si difendeva nell'unico modo che conoscesse: diffondendola tra la gente, facendo aleggiare l'antico spettro del terrorismo. Marco estrasse dalla tasca interna della giacca il prezioso cartellino di plastica verde e lo porse al miliziano, che passò il tesserino sotto lo scanner e glielo restituì.
- Può andare, cittadino dirigente.
Disse salutandolo militarmente. Il cancello si aprì con un lieve ronzio e Marco entrò in città. I cartelloni di propaganda cominciavano ad accendersi in quel momento con un lieve ronzio, illuminando la sera: Diventa creatore di futuro: Partecipa alle votazioni on line- Uno vale uno- Connettiti, informati, scegli- la Storia è il farfugliare di un folle- La Rete dice sempre la verità perché la rete sei tu- Noi non guardiamo al passato, noi siamo il domani. Provò la strana sensazione di soffocamento che da qualche tempo lo prendeva ogni volta che oltrepassava il muro e vedeva quelle scritte apparire sulle facciate dei palazzi. Avrebbe dovuto sentirsi al sicuro, separato dagli impuri, protetto dalla cerchia di mura creata dagli Imprenditori per il benessere e la sicurezza dei cittadini, sul modello dell'antica cinta medioevale, era un privilegiato tra privilegiati. Invece aveva la sensazione di entrare in una gigantesca cella, impressione acuita dalle pattuglie della polizia etica che incrociava lungo la strada, dalle telecamere di sorveglianza a ogni incrocio, dagli sguardi sfuggenti dei rari passanti che non incrociavano mai il suo. Da qualche tempo, ricordava un passato diverso, un tempo senza muri, non aveva più dubbi al riguardo; in un primo momento aveva pensato che si trattasse di allucinazioni, come quelle di cui soffriva durante la rieducazione, ma adesso sapeva che non era così, e la cosa lo terrorizzava. Ricordava e sapeva che non era sempre stato come voleva far credere la propaganda ossessiva della Confederazione degli stati del nord. Ricordava che un tempo le città non erano governate dai Signori della rete, che il mondo fuori era accessibile e aperto e che impuri ed eletti vivevano gli uni accanto agli altri, mescolandosi, amandosi e, a volte, odiandosi, come esseri umani normali. Quello della normalità degli impuri era un pensiero blasfemo, contrario alla morale neocristiana e alle leggi sulla segregazione, un pensiero che gli faceva correre brividi lungo la schiena. Eppure, non poteva fare a meno di tornare con la mente al tempo in cui si facevano elezioni democratiche, durante le quali la gente sceglieva i propri governanti da un elenco di nomi e simboli, tracciando un segno su una scheda, non premendo un pulsante da casa come accadeva quasi ogni settimana. Quelle schede venivano contate una per una da persone deputate a questo, non da un software che nessuno poteva controllare. Ricordava un paese dove non c'era il divieto di aggregazione e la gente poteva riunirsi nei locali e mangiare e bere in allegria. Ricordava il mare, prima che venisse proibito l'accesso: l'acqua fresca e trasparente, le spiagge stracolme di gente chiassosa e sorridente. Ricordava i social e la rete, quando non era obbligatorio accedervi e si potevano anche ignorare. A volte rivedeva con la mente cose orribili: frammenti dei vecchi notiziari, il caos, le barche affondate, i volti terrei dei bambini annegati, l'odio che montava come una marea inarrestabile, le proteste nelle piazze, il razzismo dilagante come un fiume in piena, la repressione militare. Ricordava il presidente a capo chino, in manette e il nuovo partito dei Signori della rete che inneggiava alla libertà riconquistata e alla democrazia diretta. Erano flash, frammenti, impressioni che arrivavano improvvisi, di solito nel cuore della notte, come schiaffi sull'anima. Provò un brivido al pensiero di quello che poteva succedere se qualcuno fosse venuto a conoscenza di quello che gli stava succedendo: l'arresto, un veloce processo presso il Tribunale etico, la gogna in rete e il Trattamento radicale, che avrebbe cancellato per sempre tutti i ricordi. Ma, per fortuna, non riuscivano ancora a leggerti la mente, anche se la polizia etica ci andava molto vicino con le sue tecniche di interrogatorio. Una volta tornato a casa, dopo essersi cambiato, si sdraiò sul divano, fissando il soffitto. Ricordava, ma non sapeva che farsene di quei ricordi, restava fermo, al riparo dei propri privilegi, guadagnati rispettando le regole del Sistema. Come tutti. Solo che, da qualche tempo, si chiedeva se non ci fosse qualcosa di profondamente sbagliato in quell'inerzia, in quella indifferenza verso tutto e verso tutti, il quel restare fermo. Ricordava vagamente di essere stato una persona diversa, ma non riusciva ancora a mettere a fuoco la propria immagine, a capire in che modo era stato diverso. Era come se il passato fosse avvolto da una nebbia fitta e impenetrabile che non era sicuro di voler squarciare. Dopo le rivolte dei ghetti e la repressione, dopo la caduta dell'ultimo governo regolare, dopo la selezione razziale e la divisione del paese in due confederazioni, tutti i puri al di sopra dei dodici anni, censiti elettronicamente e non iscritti al partito, come lui, erano stati sottoposti a cinque anni di rieducazione forzata. Quando la legge era stata varata, lui era un detenuto in cella d'isolamento. Non riusciva a ricordare il motivo, ma quella era una pena riservata agli oppositori politici e, anche se gli sembrava assurdo, era logico presumere che lui fosse stato uno di loro. Ricordava poco di quel periodo, frammenti, brevi flash in cui si vedeva con gli occhi sbarrati e la schiuma alla bocca, immagini che gli procuravano una sensazione di terrore. Sapeva di aver accolto il campo di rieducazione come una liberazione, il che lo portava a pensare che fosse meglio della detenzione. I primi due anni erano stati di indottrinamento: lunghe marce estenuanti, i cori inneggianti al Sistema, lo studio dei fondamenti della rivoluzione sui libri del cittadino M, il padre del nuovo Sistema, le pillole che facevano ingurgitare a tutti a ore fisse del giorno e confondevano la mente. Per i successivi due anni, ogni giorno, dalle cinque del mattino alle cinque di sera, era diventato un propagatore di odio: dalla sua postazione, trasmetteva in rete le notizie che arrivavano dal ministero della nuova cultura, accendeva flame, incitava all'odio contro gli impuri, derideva quelli favorevoli a una razza meticcia, diffamava l'opposizione o quel che ne restava, diffondeva il verbo neocristiano, chiamava i cittadini alla lotta contro la minaccia islamica, smascherava le menzogne della vecchia cultura, diffondeva fake news per screditare i paesi stranieri. Ma era come se non fosse lui a farlo, seduto a quella tastiera si sentiva come un burattino a cui qualcuno muovesse i fili. Gli sembrava normale, non era consapevole di fare del male, mentre adesso... L'ultimo anno, dopo aver superato i test di ortodossia e la durissima selezione prevista, era stato reintegrato e promosso Cittadino Dirigente, aveva appreso come svolgere al meglio il proprio lavoro e preso coscienza del proprio ruolo nella società. Era diventato parte dell'élite che governava il paese. Ma prima che accadesse questo, prima che tutto cambiasse, c'era stato qualcosa, qualcosa che lo aveva piegato, gli aveva tolto la volontà di reagire. Aveva come un grumo di dolore nel petto, quando percepiva l'ombra di quel ricordo, come se si trattasse di qualcosa che non voleva dimenticare ma che cercava disperatamente di non ricordare, per non rinnovare il dolore. In attesa del nuovo lavoro, continuava ad animare flame ogni sera, a marciare ogni sabato dispari nella piazza principale della città insieme agli altri cittadini, gridando gli slogan del governo, a studiare le tappe che avrebbero portato alla creazione di un mondo perfetto, a sottoporsi, una volta al mese, all'ispezione del commissario etico per verificare la fedeltà al Sistema. Una mattina, era arrivata la lettera del Ministero, una tessera verde che certificava la sua purezza etnica e il nuovo status di libero cittadino dirigente. Niente più flame e marce obbligate, per lui. Aveva lasciato il centro di rieducazione senza salutare nessuno: i rapporti interpersonali erano sconsigliati, l'amicizia, tra uguali, non aveva senso, l'individualismo e l'intraprendenza a spese del prossimo erano considerate qualità importanti. Non aveva ottenuto il permesso di lavorare in città, privilegio che toccava ai Prescelti, gli uomini che ricoprivano importanti incarichi nel governo e nelle forze di sicurezza. Era il direttore di una delle case della Città del piacere, carica che comprendeva quella di ispettore della morale pubblica. Le case del piacere erano luoghi dove i puri potevano rilassarsi affittando una schiava sessuale impura per qualche ora a caro prezzo o una donna di conforto pura, a carissimo prezzo. Le emozioni non erano gradite al regime, quindi anche la trasgressione e la vita sessuale erano rigidamente regolate nei modi imposti dalla confessione neocristiana, la religione di stato, controllata e gestita dallo Stato che ne dettava anche i principi, che aveva mantenuto, estremizzandole, le posizioni misogine e sessuofobiche della chiesa tradizionale. La nuova religione, naturalmente, non si riconosceva negli insegnamenti di un ebreo vissuto duemila anni prima ed era direttamente sottoposta all'autorità del ministro delle credenze. Solo i cittadini di un certo livello sociale potevano accedere alle case del piacere, limitatamente alle ore consentite dal loro ruolo. Come dirigente, Marco aveva diritto a quattro ore di piacere trasgressivo gratis al mese, oltre alle interazioni sessuali libere con la donna di conforto che gli era stata assegnata per svolgere le faccende di casa e soddisfare le sue necessità. Era un privilegio non da poco, dato l'alto costo delle schiave sessuali, selezionate tra le impure più belle, sempre che il concetto di bellezza potesse applicarsi alle razze non elette, argomento su cui gli scienziati stavano ancora dibattendo senza trovare un accordo. Il brivido del proibito che accompagnava il sesso regolato con un'impura, era un articolo molto richiesto sul mercato, soprattutto dagli uomini sposati, nonostante la disponibilità di donne di conforto, qualcosa di simile a escort di lusso. Con loro le interazioni sessuali erano libere, senza vincoli, al contrario di quelle con le ragazze delle case del piacere, rigidamente vincolate a un protocollo, per questo costavano molto ed erano l'equivalente di un bene di lusso, accessibile a pochi e un complemento del sesso coniugale, esclusivamente finalizzato alla riproduzione. Marco, da quando aveva cominciato a ricordare, provava una ripugnanza crescente per il proprio lavoro, che fino a quel momento aveva svolto senza entusiasmo ma con il rigore che lo contraddistingueva. La donna di conforto che gli era stata assegnata lavorava al suo servizio come segretaria e aveva una clientela selezionata che, di tanto in tanto, richiedeva i suoi servigi. Le consistenti somme di denaro che guadagnava in quelle occasioni, andavano nel bilancio della casa, dal momento che lo Stato le aveva assegnato un appartamento accanto a quello del direttore. La Città del piacere si trovava poche centinaia di metri oltre le mura, ben distante dall'altra cinta muraria, quella che separava la Città Alta dalla Città proibita, dove gli impuri con il permesso di sopravvivenza, lavoravano per gli Imprenditori insieme ai cittadini lavoratori e dove si trovavano i ghetti in cui la maggior parte di loro viveva. Anche i ghetti erano luoghi di trasgressione, però proibita dalla legge, frequentati da reietti che avevano perso la cittadinanza e, in segreto, da imprenditori ed esponenti del governo in cerca di emozioni forti e sicuri di godere dell'impunità garantita dal loro ruolo. Il mondo perfetto era perfettamente regolato in ogni suo aspetto.

L'inferiorità naturale della donna è testimoniata dalla scarsa presenza di figure femminili di rilievo nella storia culturale del mondo. La civiltà è figlia della guerra e le guerre, a parte deprecabili scherzi di natura come Giovanna d'Arco, sono state combattute dagli uomini. Noi non siamo antifemministi noi siamo, al contrario, a favore del ritorno della femmina: ubbidiente, docile, prolifica, la donna assolve un ruolo fondamentale nell'economia della società. La parità dei sessi è una assurdità, retaggio della politica deviante, di quel progressismo che tanti problemi ha causato al mondo. L'uomo e la donna sono diversi e non esistono vie di mezzo. La naturale sensualità della donna, l'amoralità legata al ciclo mestruale, vanno controllate con una rigida disciplina e la rendono inadatta a ruoli di comando.
(Uguaglianza non significa essere uguali. Manifesto del Perfettismo)

Sentì suonare il campanello. Si alzò e guardò attraverso l'oculare digitale. Era un gesto meccanico, una precauzione inutile, dato che non aveva amici e non c'erano estranei che bussavano alla porta, da quando i venditori ambulanti erano stati messi fuori legge, ma l'acquisto dell'oculare era obbligatorio, per dare il proprio contributo all'economia autarchica: la felicità degli Imprenditori è la felicità del popolo, recitava lo slogan scritto a caratteri cubitali sulla parete del corridoio esterno. Sullo schermo apparve il viso sorridente di Lisa, la sua donna di conforto. Aprì la porta impugnando la pistola, come da regolamento condominiale, nonostante trovasse quel gesto assurdo. I tassi di criminalità erano stati azzerati dalle grandi purghe che avevano vuotato le carceri e, in ogni caso, viveva nella parte più protetta della città, in un condominio riservato ai dirigenti, dove su ogni piano stazionava un agente di polizia etica. Ma le fabbriche di armi costituivano la spina dorsale del Sistema, uno dei motori dell'economia e le nuove leggi sulla legittima difesa obbligavano tutti i cittadini a possedere almeno un'arma.
- Che la Rete ci protegga.
Disse meccanicamente.
- E tenga lontani gli impuri.
Rispose lei, secondo il saluto di rito. Marco inserì la pistola nella fondina, a lato della porta, e la invitò ad entrare. Lisa portava con sé una teglia rotonda da cui emanava un odore invitante.
- Immagino tu non abbia mangiato, fai sempre così, quando torni dal lavoro la sera. Così ti ho portato una torta di verdure. So che ti piace molto.
La guardò turbato.
- Non è fatta con ingredienti che fanno parte della lista dei cibi proibiti?
Lei fece un sorriso malizioso.
- Certo, ma lo sappiamo io e te, giusto? Comunque, l'ho portata io e tu non sei responsabile eticamente. È vietato acquistare questa roba, non nutrirsene. E a me la regalano.
Marco scosse la testa.
- Finirai per metterti nei guai.
Lisa fece una smorfia.
- A me non va di mangiare schifezze solo perché si aiuta lo Stato. Le verdure idroponiche non sanno di niente e le coltivazioni Ogm sono solo uno dei tanti veleni che ingurgitiamo.
- Spero tu non faccia questi discorsi con altri...
Lei lo fissò.
- Con chi dovrei farli? Con i clienti? Per quelli sono una cosa, non vogliono certo sentirmi parlare...
Disse con amarezza. Lisa lavorava al suo servizio da un anno ma Marco non aveva mai interagito sessualmente con lei, nonostante fosse molto attraente. Si era creata tra loro, quasi subito, una certa intimità, non proprio un'amicizia, ma qualcosa di diverso dai rapporti precedenti; Lisa parlava in modo ricercato, era interessante, spiritosa e cucinava divinamente. Sentiva, per qualche ragione che non riusciva a spiegare, che sarebbe stato sbagliato modificare il rapporto che si era stabilito tra loro. Odiava il cibo dei fast food che continuavano a moltiplicarsi in ogni via dopo la distruzione dei negozi etnici e la crisi irreversibile dei ristoranti tradizionali a causa della messa al bando di molti alimenti. Il cibo, in regime di autarchia, doveva essere razionato e le coltivazioni permesse erano quelle su cui si erano accordati i paesi del patto di Pontida, per mantenere un equilibrio tra importazioni ed esportazioni all'interno delle loro economie protezionistiche. Ogni sera, dagli schermi dei computer, il leader designato dimostrava quanto fosse falsa la propaganda dell'estinta lobby dei dietologi, esibendosi in flessioni e altre attività ginniche e poi ingurgitando enormi hamburger di carne prodotta nella nazione con contorno di patate fritte e salse dai colori diversi. Una sorta di rituale di iniziazione al cibo spazzatura a cui aveva dato il via il cittadino M. per incrementare i rapporti commerciali con gli Stati Uniti del presidente Grunf. Da quando il veganesimo era stato dichiarato immorale dalla Chiesa neocristiana e i negozi Bio avevano subito la stessa sorte dei chioschi di kebab, bruciati in roghi autorizzati, chiunque comprasse della verdura non idroponica, un tipo di coltivazione che assicurava grandi profitti alle aziende agricole, necessaria per raggiungere l'autosufficienza, ma che produceva prodotti privi di sapore, o cibi non Ogm, poteva essere segnalato alle autorità per sospetta mancanza di ortodossia. Le coltivazioni idroponiche e gli alimenti geneticamente modificati erano una delle basi dell'autarchia così come gli allevamenti intensivi. In realtà, la maggior parte della carne veniva segretamente importata dalla Nuova America di Grunf, ma il governo non gradiva pubblicizzare la cosa. Alcuni contadini avevano rifiutato l'assimilazione e la riconversione forzata e continuavano a gestire coltivazioni clandestine di frutta e verdura coltivate con metodi naturali, a loro rischio e pericolo. La frutta e la verdura naturali venivano spacciate a prezzi più alti delle droghe. Lisa era la cittadina più ortodossa che conoscesse, eppure, di tanto in tanto, trasgrediva quelle severe norme alimentari. Marco sospettava che fosse stata una vegana e non riuscisse a rinunciare alle sue vecchie e perverse abitudini. Mentre mangiava di gusto la torta di verdura, sotto lo sguardo divertito della donna, chiuse gli occhi e nella sua mente comparve un'immagine. Si arrestò, bevve un sorso di Coca cola e allontanò la teglia.
- Che succede?
Chiese Lisa preoccupata.
- Non lo so. Come un lampo nella mente. Ultimamente mi capita. Mi sono visto mentre cucinavo. Che idea idiota...un uomo che cucina!
Lisa gli carezzò i capelli scuotendo la testa.
- Gli uomini non cucinano, cittadino dirigente Marco, è uno dei compiti naturali delle donne. Dovresti andare dal naturopata a farti dare un'occhiata.
- Credi davvero che possa essere utile andare da uno che pretende di curarti con metodi naturali in un paese che ha devastato la natura?
I medici, che diffondendo i vaccini in Africa durante le grandi epidemie, avevano permesso che gli impuri potessero continuare a moltiplicarsi indiscriminatamente, erano stati dichiarati da tempo nemici della Confederazione ed espulsi o rinchiusi nelle prigioni etiche. La cura delle persone era demandata ai naturopati, agli omeopati e agli erboristi, gli scienziati del mondo perfetto. Lisa lo guardò con un'occhiata di rimprovero.
- Se vuoi costruire un modo perfetto, devi accettare i sacrifici che lo sviluppo impone. Lavoro per tutti significa fabbriche, le fabbriche significano commercio e altro lavoro. L'inquinamento è un effetto secondario.
Sapevo cucinare..., cuoco! Questa è la parola, ero un ottimo cuoco! Il pensiero si formò all'improvviso nella sua mente che, come sempre, divagava quando Lisa ripeteva i mantra della propaganda, ma non disse nulla: a parte le sue innocenti trasgressioni culinarie, Lisa era una neocristiana fervente e una seguace acritica del verbo dei Signori della rete: per lei, non esisteva felicità prima dell'avvento del Perfettismo.
- Vuoi saziare altri appetiti con me?
Gli chiese in tono suadente. L'interazione sessuale con le proprie sottoposte era un'attività diffusa e incoraggiata, ed era stata inserita nel piano per il ritorno delle donne ai loro scopi naturali. Le donne di conforto contrassegnate con una doppia x sulla scheda personale, come Lisa, avevano tenuto comportamenti immorali o troppo liberi e il tribunale le aveva condannate a una forma di rieducazione che contemplava la sottomissione perversa. La piaga del femminismo era ormai un lontano ricordo, come la parità, le quote rosa ed altre perversioni del passato. Ristabilire l'ordine naturale nei rapporti tra uomo e donna era uno dei principi fondanti del Perfettismo, la dottrina enunciata dal cittadino M. Marco si chiese perché non aveva ancora accettato l'offerta di Lisa. Non aveva mai avuto alcun problema a farlo, in passato. In casi particolati come quello di Lisa, lo Stato forniva gratuitamente manette, fruste e altri oggetti necessari per i giochi di sottomissione, che non erano penalmente punibili anche se diventavano violenti. Ma lui era come frenato, forse per quello strano bagliore che gli accendeva la mente, come se si fosse aggiunta una nuova emozione che non riusciva ancora ad aggiungere al proprio, limitato spettro emotivo, o forse era la tristezza nello sguardo della donna. A volte sembrava come persa nella notte, preda di un'angoscia che la gettava in uno stato di prostrazione profonda. Si avvicinò a Marco mentre era immerso nei suoi pensieri e lo baciò, un bacio caldo, voluttuoso, ma privo di passione, un esercizio virtuosistico di preliminare. Lui la strinse a sé e chiuse gli occhi, mentre la sua lingua le scivolava sul collo. Era eccitato e anche lei, la voleva, sentiva la sua pelle delicata fremere, ma qualcosa, come un campanello d'allarme nella mente, lo fermò. La scansò delicatamente.
- Non oggi, Lisa. Scusami.
Lei sorrise, scuotendo lentamente la testa.
- Quando, Marco, quando? Sai che devo relazionare ogni mese al tribunale etico e non posso continuare a mentire, potei essere sottoposta a un controllo sanitario obbligatorio e scoprirebbero la verità. Mi manderanno via, è questo che vuoi?
Gli chiese con tristezza accarezzandogli il viso. Marco scosse la testa.
- No, non voglio che tu vada via, al contrario... Io non so se puoi capirmi ma... è il mio modo di dirti che ti voglio bene.
Un lampo di sorpresa accese il suo sguardo.
- Tu...senti qualcosa per me? Provi sentimenti per una donna di conforto occasionale?
Marco esitò.
- Sento che è sbagliato interagire con te, non perché non ti desideri o tu non sia attraente, è questo modo di gestire la sessualità, questo trasformarti in un oggetto con cui giocare a mio piacimento... che è sbagliato, sento che è profondamente sbagliato.
Lisa si staccò da lui, visibilmente turbata.
- Non devi scusarti. Una vera donna sa accettare l'umiliazione di un rifiuto, la prossima volta saprò essere alla tua altezza.
Disse recitando una delle frasi di rito apprese durante l'addestramento. Marco scosse la testa, esasperato.
- Tu sei alla mia altezza ma, semplicemente, io non ti voglio...così.
Gli parve di cogliere un bagliore nel suo guardo, come se le sue parole l'avessero colpita più profondamente, questa volta.
- Cosa stai cercando di dirmi, cittadino Marco?
Gli chiese guardandolo negli occhi. Esitò di nuovo. Erano tempi in cui bastava una parola di troppo per essere accusati di blasfemia o di sovversione e le delazioni erano un ottimo strumento per guadagnare denaro e prestigio. Chi, come Lisa, viveva nel timore di essere declassata e finire sulla strada oltre il Grande muro, avrebbe fatto qualunque cosa per evitare quella sorte.
- Viviamo praticamente insieme da tanto tempo ma non ti conosco, non so nulla del tuo passato, di chi sei veramente e tu non sai nulla di me. Credo che dovremmo sapere qualcosa di più l'uno dell'altra, prima di farlo. Sento che è giusto così.
Lisa lo guardò stupita. Per un istante che gli sembrò lunghissimo, restò in silenzio.
- Il mio passato è la mia vergogna. Non posso dimenticare e non voglio ricordare. Ma se tu me lo ordini...
Disse in tono malizioso. Marco sospirò.
- Non è quello che voglio dire, non voglio ordinarti nulla. Io...non importa Lisa, scusami. Sono molto stanco.
La congedò bruscamente con un gesto. Lei prese la teglia e uscì in silenzio. Marco restò per qualche tempo seduto sul divano, al buio, cercando di mettere ordine nei suoi pensieri. L'approccio grossolano e meccanico di Lisa lo aveva, suo malgrado, eccitato e decise di smetterla di tormentarsi e sfruttare il suo bonus per la Città del piacere. Interagire di tanto in tanto con una schiava, non gli aveva mai creato nessun problema. Dopo una lunga doccia, si avviò di nuovo verso il quartiere del piacere. Faceva freddo e la città era, come sempre, deserta a quell'ora. Solo i dirigenti e i militari potevano frequentare il quartiere dopo il coprifuoco. Gli elicotteri passavano illuminando le strade con le loro luci abbaglianti. La notte non era mai tranquilla, nel buio si tramava e si commettevano crimini, il regime lo odiava. Passò di nuovo attraverso un paio di controlli e uscì fuori dal primo perimetro di mura. L'aria era maleodorante, satura delle esalazioni venefiche delle fabbriche, il cielo era oscurato da una perenne patina di smog che nascondeva le stelle.
La Città del piacere era situata in quello che un tempo si chiamava centro storico, un inutile cimitero di macerie, secondo la definizione degli Imprenditori, che ne avevano stravolto in parte l'architettura, lasciando però intatte una parte delle strutture fatiscenti più antiche. Le case cadenti, segnate dal tempo, tanto vicine l'una all'altra da sfiorarsi senza mai toccarsi, come amanti divisi da un incantesimo perverso, erano state ritinteggiate con colori che richiamavano le origini delle schiave sessuali che vi lavoravano: nere per le africane, gialle per le orientali, giallo più sfumato per le impure dell'est, blu cobalto per le zingare, ecc. Da secoli, quegli edifici ospitavano piaceri proibiti e mercenari e avrebbero continuato a farlo anche nel mondo perfetto prossimo venturo, secondo quanto aveva stabilito il governo, per liberare la classe dirigente dalla schiavitù delle passioni.
Ogni casa era fornita di un bagno di decontaminazione, nel quale si doveva passare prima e dopo aver consumato l'atto. I clienti, dopo aver pagato, si spogliavano nell'atrio, passavano attraverso il bagno e arrivavano nella stanza prescelta nudi. Le schiave si spogliavano davanti a loro e si inginocchiavano, senza mai guardarli negli occhi, quindi svolgevano il loro compito. Il tutto poteva durare pochi secondi o diversi minuti, a seconda dell'eccitazione, del desiderio e del portafoglio del cliente. Non erano concessi altri tipi di interazione sessuale. Dialogare era concesso ma sconsigliato: cosa potevano dirsi un eletto e una schiava impura? Le donne prestavano servizio fino ai trenta, trentacinque anni d'età, per le più attraenti o particolarmente capaci. Non c'era un'età minima per cominciare. Al termine del loro servizio venivano vendute alla mafia o espulse e destinate a una sorte anche peggiore. Per dodici ore al giorno, sei giorni alla settimana, stavano rinchiuse nella propria stanza, disponibili e impermeabili agli insulti e alle umiliazioni che gli venivano inflitte dalla maggior parte dei clienti. L'idea alla base delle Case di piacere era di eliminare qualsiasi interazione non meccanica con le donne impure e trasformarle in semplici oggetti, come le bambole umanoidi di certi bordelli orientali. Gli scienziati del comportamento, ritenevano che questo avrebbe velocizzato la de-umanizzazione degli impuri, rendendoli simili a elettrodomestici di cui servirsi quando era necessario. Gli esperimenti condotti durante la guerra con gli stermini di massa, avevano prodotto risultati incoraggianti. La gente, se debitamente motivata, si abituava a qualunque orrore. Il prossimo conflitto, nelle intenzioni del governo, doveva essere combattuto da una generazione che considerava il nemico non solo un essere inferiore che attentava alla propria sicurezza, ma un oggetto inutile e molesto da dismettere. Era una prima tappa sulla strada della schiavitù totale degli impuri, il vero obiettivo a cui tendevano le frange più radicali del partito. Lo Stato faceva comunque alle schiave alcune concessioni: ricevevano uno stipendio misero, per ogni prestazione, ma sufficiente a mantenere una piccola abitazione vicino al luogo di lavoro e a crescere gli eventuali figli che sarebbero stati selezionati come forza lavoro di basso livello per gli Imprenditori. Erano visitate da un naturopata regolarmente, avevano un giorno alla settimana di riposo totale. Per ovvi motivi morali, le impure nere e asiatiche non potevano sposarsi né accedere ai luoghi di culto, mentre il matrimonio era concesso alle impure slave e a quelle di sangue zingaro, in virtù di accordi sanciti con le tribù nomadi. Marco ingaggiava solo schiave maggiorenni ma era a conoscenza dell'esistenza di case di piacere esclusive e costosissime, dove esercitavano solo bambine. La pedofilia, se consumata in quelle case e solo con bambine impure, era tollerata, l'omosessualità era proibita e severamente punita. La Chiesa neocristiana assolveva a priori i clienti delle case del piacere in quanto le schiave sessuali esseri vi svolgevano il loro ruolo naturale ed era inconcepibile che una donna sposata provasse piacere nell'unione sessuale e si prestasse a certi atti innominabili. Marco si diresse verso il quartiere nero. Le ragazze erano in vetrina, immobili, come manichini, con il prezzo che pendeva da un cartellino legato al braccio. Mentre passeggiava lanciando occhiate distratte, una delle ragazze attrasse la sua attenzione: poteva avere trent'anni, era quindi vicina alla fine della sua carriera. Era ancora molto bella, i tratti del viso fini e fieri. Nel suo sguardo, apparentemente spento, c'era qualcosa che attivò un interruttore nella sua mente, un ricordo perso nel tempo. In preda a una strana agitazione, fece registrare il bonus al collega all'ingresso, entrò nello spogliatoio e si denudò, quindi passò attraverso la vasca di decontaminazione. Uscito dal bagno, indicò alla giovane inserviente, una ragazzina di circa quindici anni che attendeva fuori, anche'essa nuda, per non mettere in imbarazzo il cliente, il numero della ragazza e lei, senza alzare lo sguardo, annuì.
- Desidera una carezza eccitante preventiva?
Gli chiese in tono asettico.
- No, ti ringrazio.
Rispose Marco declinando l'offerta. La ragazza gli diede la chiave della stanza. Lui entrò e restò in piedi, provando una sensazione di imbarazzo, come se fosse la prima volta che usufruiva dei propri privilegi e non dovesse interagire con una schiava sessuale ma con una donna vera. La stanza era squallida, uno specchio sporco su una parete, un divano su quella opposta, nient'altro. La ragazza entrò da una porta laterale. Era bellissima: il corpo color ebano era snello e slanciato e, pur essendo molto alta, era perfettamente proporzionata. I seni erano ancora pieni e sodi. La peluria del pube era rasata con cura a formare la S di schiava. I lunghi capelli, neri e ricci, erano liberi e le ricadevano sulle spalle. Sembrava una statua d'ebano raffigurante una delle dee del pantheon impuro che Marco ricordava di aver visto in qualche museo, un tempo. Si inginocchiò di fronte a lui, e, prima di procedere, si scostò i capelli con un gesto civettuolo. Fu come se qualcosa esplodesse nella testa di Marco. Rivide quel gesto come in un lampo. Barcollò e sentì un sudore freddo formarsi sulla fronte.
- Aisha...
Mormorò con un filo di voce. Spaventata, la ragazza si allontanò con un balzo felino e lo guardò negli occhi. Lo fissò a lungo, prima di passare dalla paura allo stupore.
- Professore...
Disse, quasi sussurrando. Per un istante restarono immobili, a fissarsi, mentre lui rifletteva sul significato della parola professore. Gli ricordava qualcosa, rimbalzava nella sua testa facendola martellare ossessivamente. I Signori della rete avevano proibito l'uso di molti termini, che erano scomparsi dal lessico comune e, col tempo, il loro significato era stato dimenticato. Professore era una di quelle parole. Marco crollò sul divano coprendosi il volto con le mani e scuotendo la testa. Poi fece un cenno alla ragazza.
- Per favore, siediti accanto a me.
Le disse. Lei, turbata, obbedì. In preda a un impulso irrazionale, Marco prese il copriletto del divano e si coprì il basso ventre.
- Ti conoscevo, giusto? Ti conoscevo prima...
Chiese esitante. Aisha annuì, confusa, poi un lampo di consapevolezza illuminò il suo sguardo.
- La rieducazione...non ricorda nulla. È per questo che nessuno ha più avuto sue notizie!
Disse in tono triste. Marco scosse la testa.
- Sto cominciando a ricordare, a sprazzi, come se un lampo illuminasse una parte del paesaggio per qualche istante. Il trattamento non deve aver funzionato bene con me, so che a volte succede. Chi ero, Aisha? Cos'è quella parola che hai detto prima?
Gli occhi le si riempirono di lacrime. Marco la guardava confuso, incapace di comprendere il motivo di quella commozione.
- Davvero non ricorda? Lei era il mio professore di matematica e informatica applicata, lavorava in una scuola pubblica e insegnava ai ragazzi. Oltre alle sue discipline ci dava indicazioni su come orientarci nel mondo, imparando a ragionare con la nostra testa. La conoscenza ci dà la possibilità di scegliere e la possibilità di scegliere è libertà. Ce lo ripeteva sempre.
- La possibilità di scegliere è libertà...
Ripeté Marco sottovoce, come se il suono di quelle parole gli fosse familiare.
- Mi ha insegnato a scoprire la bellezza, a trovare la poesia nella geometria del cosmo, a cercare un senso, a scoprire nei numeri l'armonia del mondo. Lei ha aiutato me e la mia famiglia, quando il governo ha emanato le prime leggi di selezione etnica. Non ci ha denunciato e ci ha offerto riparo in casa sua per qualche giorno, rischiando molto. Dopo l'espulsione degli alunni stranieri, ha lasciato l'insegnamento ed è diventato un esponente politico dell'opposizione. Molta gente la ascoltava e la rispettava. Era un leader.
Professore, scuola...parole che nessuno usava più, parole proibite. Nel nuovo ordine l'educazione dei cittadini era demandata alla Rete, unica fonte attendibile di sapere e lo Stato selezionava per ognuno, tramite un software personalizzato, sia il tenore sia la qualità e la quantità delle informazioni a cui poteva attingere, a seconda del suo status sociale, con un programma annuale obbligatorio di quaranta ore, che non contemplava materie obsolete come la Storia e la Letteratura. Lo spirito critico o quel che ne rimaneva si esercitava sui social network e l'iscrizione ad almeno quattro gruppi di discussione sui social, da frequentare ogni giorno, era obbligatoria. Gli intellettuali non esistevano più. Strumenti obsoleti come libri, film, album musicali, che non portassero il placet governativo, erano stati banditi. I Classici, i famigerati libri polverosi, contenitori di falsa saggezza, erano stati dichiarati fonti di menzogna e dati alle fiamme in roghi pubblici. La parola d'ordine dei nuovi fondatori era stata tabula rasa, qualunque cosa volesse dire. Era nata una nuova forma di cultura, dove virtuale e reale si compenetravano e l'individuo non era considerato un buon cittadino se alla sua identità reale non corrispondevano una o più identità digitali vivaci e attive sulla rete. Per comunicare on line non era necessario saper leggere e scrivere, bastavano i programmi vocali e si imparava a leggere con la pratica. Un metodo pedagogico giudicato eccellente dal ministero della formazione. Marco in rete era Eternauta, nickname che era stato approvato con qualche riserva dalla commissione preposta all'assegnazione e di cui non conosceva il significato anche se il suono gli evocava ricordi piacevoli. Una serie di immagini cominciò a scorrergli davanti agli occhi: ragazzi e ragazze di tutti i colori seduti dietro i banchi che ascoltavano quanto diceva, lui che scriveva su una superficie nera tracciando linee con uno strumento bianco, i ragazzi che uscivano da scuola sorridenti e felici, il grande edificio grigio dove entrava ogni mattina. Guardò Aisha con occhi umidi di lacrime, barcollò, appoggiandosi a lei e provando un brivido al contatto con la sua pelle morbida e calda.
- Aisha... tu vieni dal Senegal, si chiamava così allora, avevi due fratelli, Issam e Bashir. Terza C.
Disse abbracciandola e baciandola sulle guance, prendendole le mani e lanciandosi in una danza infantile. Quando passò l'euforia del momento, la guardò negli occhi e vi lesse una domanda inespressa.
- Perché mi guardi così?
Lei gli carezzò il viso.
- Lei era molto rispettato e temuto da quelli che sarebbero diventati I signori della Rete. La consideravano un ribelle difficile da piegare.
- Io ero un...ribelle?
Chiese Marco incredulo.

III

Noi vogliamo un mondo di uguali, con pari diritti e pari dignità. La diversità divide, l'uguaglianza unisce, la diversità non è libera determinazione ma perversa deviazione dalla norma naturale. Noi siamo per il pensiero unico che unisce e spinge tutti a muoversi nella stessa direzione. (Manifesto per un nuovo futuro, 2025)
- Secondo il dettato governativo, sei peggio di un reietto: come intellettuale per anni hai propagato il veleno mendace della cultura ufficiale, hai difeso quel crudele strumento di controllo occulto e di selezione della specie che erano i vaccini, negato le scie chimiche, hai manifestato per i diritti degli invertiti come me e per una società multietnica ed egualitaria. Insomma, quelli che si chiamavano diritti civili, l'infezione del buonismo.
Marco annuì.
- Sì, l'ho fatto.
- Certo che l'hai fatto, io lo so. Spesso, quelle manifestazioni le hai organizzate tu.
Giacomo sorrise. Era un Imprenditore, categoria che godeva di libertà assoluta in quanto motori dello sviluppo e demiurghi dell'autarchia. Avevano voce in capitolo nell'amministrazione delle città e il monopolio della politica economica della Confederazione. Si erano incontrati anni prima nel campo di rieducazione, in cui Giacomo era transitato, grazie al suo censo, solo per qualche mese prima di entrare a far parte della direzione. Marco l'aveva difeso da un'aggressione di meridionali, nel momento in cui i contrasti tra nord e sud erano al culmine e la secessione non era ancora stata decretata. Da quel momento, era nata un'amicizia che aveva resistito nel tempo. Giacomo era stato il suo sponsor e il suo mentore, aveva contribuito al suo indottrinamento e aveva caldeggiato in seguito il suo passaggio a dirigente. Quando Marco lo desiderava, era ospite gradito nella sua ricca residenza, che distava pochi metri dal palazzo del Comune. Giacomo viveva da solo in quella enorme dimora, circondato da opere d'arte e con gli auricolari sempre alle orecchie per sentire come andavano i mercati. Era libero di viaggiare, anche se un chip sottopelle controllava tutti i suoi movimenti e, dopo aver bevuto qualche bicchiere di troppo, gli raccontava del mondo di fuori, di popoli che avevano rialzato la testa e si erano liberati delle oligarchie, di come la democrazia tornasse a mostrare il suo volto in molte nazioni. Marco aveva sempre dubitato della veridicità di quei racconti, convinto che l'amico lo prendesse in giro, ma adesso che aveva cominciato a ricordare, vedeva le cose sotto una luce diversa. Giacomo, per certi versi, era un uomo del passato che, al contrario di lui, aveva scelto di dimenticare e si era perfettamente integrato nel presente. Gli aveva confessato di averlo conosciuto prima che i Signori della rete prendessero il potere, ma non aveva potuto rivelarglielo per via dei severi divieti riguardanti i rieducati.
- Devo consegnarmi al tribunale etico?
Gli chiese guardandolo negli occhi. Per un istante l'amico lo fissò come se fosse impazzito, poi riempì il suo bicchiere di vino e sorrise.
- A quei fanatici medioevali? Sei impazzito, per caso? Vuoi che ti mandino in pappa il cervello definitivamente?
- Quindi? Che devo fare? Continuare la mia vita come se niente fosse? Non so se ci riuscirò, comincio già a sentire la mancanza di cose...proibite. Cose che erano normali un tempo.
- Per esempio?
- I libri, mi mancano i libri, libri veri: Dostoevskij, Manzoni, Platone, Cartesio. Ricordo che leggevo moltissimo, mi faceva star bene. Mi mancano i calcoli, la scuola, gli alunni, mi manca...non lo so...
Si bloccò in preda a un pensiero improvviso.
- Non so se lei mi manca, non credo.
- Di chi stai parlando?
Chiese Giacomo improvvisamente preoccupato.
- Una giovane donna che vedo nei miei sogni. Mi dice qualcosa e poi scompare.
Giacomo lo fissò allarmato.
- Ti ricordi chi è...?
Chiese con falsa noncuranza.
- No.
Sembrò sollevato.
- Allora probabilmente non è importante.
- Forse hai ragione. Eppure...
Rispose Marco poco convinto.
- Da quanto sei stato rieducato?
- Quattro anni nuovi.
- Quasi otto anni. È strano che tu cominci a ricordare adesso. Di solito, nelle persone di cultura elevata, il risveglio comincia prima.
Marco lo fissò confuso.
- Che vuoi dire? Conosci altri come me?
Giacomo scoppiò a ridere.
- Ebbene, sì, non sei così speciale. La rieducazione non è stata esattamente un successo, nonostante le ingenti somme di denaro spese. Chi gestiva i campi ha fatto affari d'oro, ma il trenta per cento circa dei rieducati è diventato quello che i naturopati chiamano un risvegliato.
- E cosa fanno i risvegliati?
Giacomo scrollò le spalle.
- La maggior parte di loro si confida con la persona sbagliata: vengono denunciati, processati e subiscono il trattamento radicale; un'altra parte, la più saggia, è soddisfatta di quello che ha e non si cura d'altro, altri ancora non accettano la propria sorte e finiscono per diventare reietti, tossici o si suicidano. I rimanenti, una piccolissima percentuale, hanno buone possibilità di diventare asociali, sovversivi, ribelli, individui sgraditi al Sistema.
- Una prospettiva davvero entusiasmante.
Commentò Marco tetro.
- Vuoi un consiglio da amico? Lascia perdere i ricordi e goditi la tua condizione.
- Quale condizione? Sono il gestore di un bordello.
- Allora? Svolgi un ruolo fondamentale per la società: controllare le pulsioni dei suoi individui. Sei circondato da belle ragazze, hai una donna disposta a soddisfare ogni tuo desiderio segreto senza i vincoli noiosi del matrimonio, guadagni uno stipendio decoroso per riempire le tasche a quelli come me acquistando oggetti del tutto superflui, cosa vuoi di più?
- Una vita mia e non controllata dal Sistema?
Rispose Marco fissandolo. Giacomo serio in volto, distolse lo sguardo.
- Faccio finta di non aver sentito. Ti ricordo che io sono il Sistema.
- Davvero? A me sembra piuttosto che tu abbia usato il Sistema perché ti conveniva, ma non sei mai stato un seguace vero. D'altronde non potresti esserlo
Giacomo lo fissò aggrottando la fronte.
- Perché sono gay?
Disse fintamente offeso.
Marco sorrise.
- Perché sei intelligente. Mi chiedo solo cosa ti trattenga qui, perché non te ne vai. Non dirmi che è il chip, potresti fartelo espiantare ovunque.
Giacomo fece una smorfia.
- Non credere che fuori di qui sia meglio. L'Europa non esiste più, è divisa in Stati regionali autarchici e chiusi, sottoposta a regimi autoritari più o meno violenti, e i cenni di risveglio di cui ti ho parlato sono ancora troppo deboli per lasciar ben sperare. Gli asiatici sono troppo diversi perché possa pensare di trasferirmi in uno dei loro paesi, gli americani sono sottoposti ai capricci di un presidente pupazzo che obbedisce agli ordini delle multinazionali. Un popolo di consumatori dissennati che finiranno per divorarsi l'uno con l'altro, come in un vecchio film dell'orrore.
- Quindi il nostro è davvero un mondo perfetto? Mi stai dicendo questo?
Chiese Marco senza nascondere l'ironia. Giacomo sorrise.
- No, non è un mondo perfetto, è un incubo, ma gli incubi, prima o poi, finiscono e ci si risveglia.
- Sei tu adesso a dire cose che faccio finta di non aver sentito.
Giacomo allargò le braccia.
- Preferisci che ti menta?
Marco scosse la testa.
- Tu sai chi ero e sai chi è la donna che mi parla in sogno. Ti conosco, ho visto la tua espressione spaventata, prima.
Giacomo lo fissò con una strana espressione.
- Sì, so chi è lei e so chi eri tu. Ma non è ancora il momento per...
- Per cosa? Continui a rispondermi con questa frase sibillina da quando ti ho confidato che sto ricominciando a ricordare. Cosa sai di me?
- E tu, cosa sai di me? O cosa credi di sapere? È così importante? O conta solo che siamo amici, che possiamo parlare liberamente tra noi senza tornare a casa con l'angoscia di ritrovarci in commissariato il giorno dopo?
Replicò l'amico alzando la voce. Marco fece un sorriso amaro.
- Hai costruito il grande Muro che ci separa dal sud, ti sei arricchito grazie alle leggi razziali, che ti hanno permesso di acquisire manodopera a costo zero, e hai patrocinato il riconoscimento politico della mafia, che ha fatto diventare te e i tuoi colleghi i portavoce del governo con quella gente. Eri già ricchissimo e famoso prima dell'anno zero. Sei molto ascoltato nel palazzo del governo.
- Tutto qui? Basta navigare in rete per trovare quello che mi hai appena detto.
Marco scrollò le spalle.
- È molto più di quello che so di me. Posso aggiungere che non credo di averti mai visto felice, quindi presumo tu non vada fiero di nessuna delle cose che ho elencato.
Giacomo annuì, cupo in volto.
- Non ne vado fiero, no. Noi ci conosciamo da molto prima dell'anno zero. Non ero molto popolare tra quelli che la pensavano come te in politica, eri un progressista, uno stupido idealista, ma ti rispettavo: non hai mai usato la mia omosessualità per denigrarmi, come altri tuoi compagni di partito. Mi criticavi sui fatti.
Marco fece una smorfia.
- Non so che uomo io fossi prima, ma anche oggi, nonostante quello che dice la legge, non offenderei né denuncerei mai qualcuno per le proprie inclinazioni sessuali. Ho votato no al referendum che proponeva la cancellazione dello status di cittadini per i gay.
Giacomo sorrise.
- Anch'io ho votato no. Ti credo, Marco, per questo siamo amici. Sei l'unica persona di cui mi fidi veramente. Quando mi hai difeso, quella volta, sono rimasto stupito. Ero un tuo avversario politico, ti avevo attaccato duramente, ti avevo...
Esitò.
- Avevo fatto qualcosa di poco piacevole nei tuoi confronti, ma tu mi hai salvato da quegli energumeni. Certo, non ricordavi nulla, neanche il mio volto. Mi sono chiesto molte volte se l'avresti fatto anche se avessi ricordato tutto: credo di sì, credo che l'avresti fatto.
- Chi sono io, chi ero? Sono un uomo senza passato, Giacomo. Che significa progressisti? A parte le idiozie che ci propina la propaganda.
L'amico si riempì un altro bicchiere.
- Essere progressista significava credere negli uomini, pensa tu che dottrina idiota. I progressisti non volevano sentire parlare di segregazione, contestavano il concetto di diversità razziale, erano favorevoli ai matrimoni gay, alla parità uomo-donna...
- Cucinavano?
Giacomo lo guardò confuso.
- Chi?
- I progressisti cucinavano?
- Certo. Prima del Cambiamento non c'erano leggi che impedissero agli uomini di cucinare. Anzi, i cuochi erano personaggi famosi. Tu eri molto bravo tra i fornelli.
- Lo immaginavo.
Marco sospirò.
- Cucinavo anche per la ragazza che vedo in sogno?
Giacomo fece una smorfia.
- Non lo so, penso di sì. Non posso essere io a dirtelo. Non sarebbe giusto.
- Perché?
Scrollò le spalle.
- Perché ci arriverai da solo e non voglio influenzare in alcun modo questo processo. Il condizionamento è la base dell'economia, la pubblicità è ormai diventata una scienza, dopo lo sdoganamento dei messaggi subliminali on line. Potrei indurti a ricordare certe cose invece di altre, indicarti una strada diversa da quella che sceglieresti tu liberamente. Sei in un momento molto delicato, il risveglio può essere traumatico. Non voglio farlo. Ogni giorno studio modi per convincere la gente a comprare un prodotto piuttosto che un altro, a privilegiare l'economia autarchica, cerco di convincerli che il Sistema ha portato prosperità e pace, non voglio fare lo stesso con un amico. Non voglio mentirti. Non voglio convincerti.
Marco scosse la testa.
- Non abbiamo mai parlato di com'era prima. Non può essere come dicono loro. Se sono riusciti a cancellare la Storia è perché ne hanno paura.
Giacomo distolse lo sguardo.
- Non dovremmo neanche fare questa conversazione, lo sai. E' pericoloso.
- Ma la stiamo facendo.
Esitò.
- Non è come dicono loro ma non era molto diverso da adesso. Solo più.. nascosto. Ma non voglio parlarne. Tanto, prima o poi, ricorderai tutto, purtroppo.
Marco lo guardò confuso.
- Perché purtroppo?
- Perché nutro forti dubbi sul fatto che continueremo ad essere amici quando succederà. Come ti ho detto, sono stato scorretto nei tuoi confronti.
- Mi hai fatto qualcosa di tanto terribile?
Si morse le labbra.
- Forse. Sono molte le cose di cui mi vergogno, atti imperdonabili che non posso cancellare né dalla mia memoria né dalla mia coscienza. Anche se vorrei farlo.
Disse come parlando tra sé.
- Ma quando accadrà, quando ricorderai tutto, vorrei che mi concedessi il beneficio del dubbio. Il dubbio che possa aver agito in buonafede e non per tornaconto personale.
- Sei un imprenditore, non sarebbe un dubbio credibile.
Scoppiarono a ridere entrambi.
- Allora il beneficio del dubbio che io sia realmente stato un buon amico per te.
- D'accordo.
- Mi basta.
Ci fu un lungo momento di silenzio che rischiava di diventare pesante. Fu Giacomo a romperlo.
- Qualcosa posso dirti. Eri una brava persona, un intellettuale colto e acuto. Coglievi sempre nel segno con i tuoi articoli e i tuoi discorsi, molta gente ti seguiva.
- Poi cosa è successo?
Giacomo lo fissò.
- Ti hanno tradito e ti sei perso.
- Sono passato dall'altra parte della barricata?
- Le cose non sono andate esattamente così. Preferirei fermarmi qui per stasera.
Marco si morse le labbra, sapeva che non avrebbe ottenuto altro dall'amico. Giacomo sospirò, vedendo il suo volto amareggiato.
- Davvero ti mancano libri?
Gli chiese improvvisamente. L'amico lo guardò sorpreso.
- Sai come si possono avere?
Sospirò.
- Seguimi. Credo di dovertelo, in un certo senso.
Uscirono dal palazzo ed entrarono in un piccolo cortile interno. Giacomo poggiò la mano su una sporgenza del muro che, con un ronzio leggero, rientrò, aprendo un passaggio. Invitò con un gesto l'amico ad entrare e, al termine di un lungo corridoio, si ritrovarono in una piccola stanza illuminata da una fioca luce elettrica.
- Questo posto non esiste in nessuna mappa catastale. Era un vano segreto del palazzo che ho fatto restaurare. L'ho comprato dopo la morte del proprietario.
Avanzarono lungo un altro corridoio e si trovarono di fronte a una porta blindata. Giacomo l'aprì, digitando una combinazione: dietro non c'era oro ma qualcosa che, agli occhi di Marco, era molto più prezioso. Una biblioteca enorme che si estendeva su tre piani e conteneva un numero di volumi che sembrava infinito.
- Non puoi portare con te nessuno di questi volumi: sono stati contrassegnati con un microchip che li segnalerebbe immediatamente agli agenti dell'indice dei libri proibiti, se uscissero di qui. Si sono salvati dai roghi perché sono prime edizioni e copie rare, di grande valore. Ci sono voluti anni per procurarmeli e molto denaro. Erano destinati a scomparire e ho dovuto corrompere e poi ricattare un numero abbastanza consistente di ispettori etici, mai nome fu meno azzeccato, tra l'altro. Il locale è schermato, quindi qui sei al sicuro e puoi leggere tutto quello che vuoi tranquillamente.
Gli porse un foglietto che recava delle cifre.
- È la combinazione. Hai visto come ho aperto. Puoi venire a tuo piacimento, basta che nessuno ti segua. Impara la combinazione a memoria e poi distruggi il foglio.
Marco era confuso.
- Perché? Perché fai questo per me?
L'amico scrollò le spalle.
- Niente è come sembra. Lo scoprono tutti quelli che si risvegliano. Questo è il tuo posto più di quanto sia mai stato mio. In un certo senso, credo di averlo allestito per te. Sono certo che saprai apprezzare quello che c'è qui. Io sono troppo indaffarato per usarlo o troppo cinico per ritrovare piacere nella lettura. Quando non si crede più a nulla ti irrita leggere le parole di chi credeva in qualcosa. Ora sarà meglio che tu vada, la tua zelante vicina si insospettirà, non vedendoti rientrare.

Pietro Bertino

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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