Mancava qualche giorno a San Valentino e nell'aria si sentiva quell'odore delizioso di cioccolato fondente e Baci Perugina, che gli innamorati si scambiano nella smania di scoprire quale curiosa frase d'amore gli possa toccare in sorte. Avevo la bizzarra sensazione che quel profumo di cacao si insinuasse attraverso le finestre chiuse del mio studio e giungesse ad impregnare i tanti libri stropicciati ed accatastatati confusamente sulla mia scrivania impolverata. Ero giunta finalmente all'ultimo esame universitario e avrei dovuto essere entusiasta; ma, in realtà, a quasi trentacinque anni, non avevo alcuna voglia di sentirmi emozionata, giacché per molta gente attorno a me questa seconda laurea in Filosofia era nient'altro che il capriccio di un'artista abbastanza stramba e senza figli da accudire, desiderosa quindi di perdere in qualche modo il proprio tempo. Mi stavo quasi lasciando condizionare da quest'idea e mi frullava nella testa che davvero avessi fatto tanta fatica solo per il gusto di arricchire la mia parete con un titolo (oserei dire) originale, giacché pochi oggi decidono di conquistarlo. La considerazione non mi piaceva affatto, anzi, mi avviliva e mi riempiva di un sentimento che non riuscivo bene ad identificare, rasente il fastidio. Con gli occhi arrossati per il nervoso e per la stanchezza, mi alzai frettolosamente e me ne andai a frugare nel frigo, in cerca di uno di quei cioccolatini con la nocciola che mi erano apparsi in sogno di frequente nelle ultime notti; ma scoprii con devastante delusione che il frigo era vuoto. No, meglio, era stravuoto. Avevo divorato qualche ora prima l'ultimo Bacio disponibile, stropicciando per mezzora la cartina con la citazione famosa che avevo letto frettolosamente e poi rimosso, ma che, a dispetto di tanta superficialità, mi aveva consegnato il molesto dubbio di avere qualche attinenza con l'esame da sostenere l'indomani. Cercai voracemente quella frase tra i rifiuti, ottenendo l'unico risultato di raschiarmi un dito vicino ad una lattina di legumi precotti, ormai il mio cibo prediletto da parecchi giorni. A tal proposito, mi rifiutai di chiedermi da quanto tempo mi fossi isolata in quella stanza, con l'obiettivo di memorizzare tutto ciò che poteva servire a svolgere una prova d'esame talmente gratificante da cancellare i pensieri di inutilità, conficcati nella mia mente dai commenti subdoli di chi guardava con superiorità questa mia superflua passione. Ai miei piedi, il mio cane mi scrutava perplesso, coltivando forse la vana speranza di acchiappare un biscotto come ricompensa per aver avuto molta pazienza con me in quell'ultimo periodo. Purtroppo erano ultimati anche i suoi biscottini, assieme a tutto ciò che di commestibile poteva esserci in casa, ed io non avevo il coraggio di comunicarglielo. - Flick, siamo messi male - sviai. Lui non replicò e continuò a guardarmi con quell'aria di severità che in questi casi finisce per urtarti. Infilai allora un improbabile giubbotto e un cappello a casaccio, agghindai Flick con cappottino, pettorina e guinzaglio, e lo portai a spasso, sperando di farmi perdonare. Passeggiammo con andatura decisa per interminabili minuti tra le vie della città rincorrendo cani, gatti e i riflessi luccicanti e suggestivi degli addobbi sdolcinati di San Valentino, scelti appositamente per ricordare quanto sia bello e fugace l'amore. Mi venivano incontro coppie sbadate, che mi travolgevano mentre guardavano le vetrine decorate di cuori rossi, in cerca di spunti per partire all'acquisto di regali costosi e, chissà, anche capaci di rendere più convincente il loro amore ormai distratto. Io e Flick le osservavamo indiscreti, e ci venivano in mente un sacco di domande banali, tipo: - Avranno anche un amante a cui dover scegliere un regalo per San Valentino? - Staranno già gustando l'invidia della loro migliore amica, quando le mostreranno il trofeo ricevuto? - Si ricorderanno l'uno dell'altro fra dieci anni, rivedendo i regali? - E soprattutto... avranno in tasca un buon biscotto per cani? L'ultimo in elenco era di certo l'unico interrogativo lucido e sensato, tra i tanti che mi balzavano in testa, mescolandosi con le possibili domande dell'esame di Filosofia Morale e con la stupida ossessione che stava prendendo forma, ossia che mi avrebbero chiesto giusto quella frase scritta sulla carta dell'ultimo Bacio Perugina che non riuscivo proprio più a mettere a fuoco né a trovare nella spazzatura. Ero talmente presa da non essermi nemmeno resa conto di aver varcato le vetrate scorrevoli dell'immenso ipermercato distante parecchi chilometri da casa mia. Quando, però, concretizzai il tepore dell'aria climatizzata, non riuscii a capacitarmi di come avessi fatto a percorrere tanta strada così velocemente. Anche lì dentro il mondo pullulava di giovani coppie sbaciucchiose, di vecchie coppie litigiose e di ipocrite coppie annoiate, sotto le ghirlande che fingevano di onorare la festa degli innamorati. Mi sovvenne che anche io avevo un compagno, scelto molti anni addietro, con cui era ormai passato il tempo del mazzo di fiori e della cenetta a lume di candela. Potevo essere stata davvero così distratta nell'ultimo periodo, da averlo quasi rimosso, assieme alla frase del Bacio Perugina? Provai un senso di vergogna, pena e delusione per il ricordo della grande aspettativa sull'amore, anche se subito dopo mi venne stranamente da sorridere. Scovai il cellulare nel marasma di una borsa che appariva più confusa di me e provai a chiamarlo, ma non c'era campo. Insomma: un segno del destino. Intanto Flick prese a seguire una scia odorosa con notevole interesse e mi trascinò ansimante nella folla di gente che si destreggiava coi regali. Camminammo spintonando barbaramente gli avventori del centro commerciale, a rischio di parolacce e anche mazzate; invece ciò non sembrava che stesse creando fastidio ad alcuno, fatta eccezione per la mia spalla che aveva da lamentarsi. La conclusione dell'ansiosa galoppata di Flick fu di farmi ritrovare di fronte Marco, il mio fidanzato. Mi sembrò più bello del solito... Ammesso che fosse effettivamente bello e non si trattasse solo dell'illusione ottica di una donna che doveva costantemente convalidare con se stessa la propria scelta. Mi soffermai a riflettere per diversi secondi. Aveva tante qualità, molte più della maggior parte delle persone che avevo consciuto negli anni. Molte più dei tanti uomini che per lavoro avevo incontrato, interessati solo a far soldi ed arricchire la collezione di donne e di autovetture. Eppure, nonostante tutto, c'era qualcosa in noi che non andava, ed io sapevo bene cos'era: un noioso inabissarsi della vita nella quotidianità delle liti banali e pressoché evitabili, a scapito di quegli sguardi innamorati che invece fanno battere il cuore. Continuavo a sentirmi dire che tutto ciò era normale, perché questa è la normalità della coppia. Lo diceva perfino Freud (da qualche parte lo avevo letto). Avevo però anche letto che Freud parlava di complicità e condivisione, come unico modo per divergere dalla monotona decadenza del legame di coppia. Certo... utopistico. Il mio fidanzato a stento ci guardò, preso com'era dall'osservare le vetrine. Cominciai a camminargli di fianco, come un automa, con lo stesso passo cadenzato col quale incedevamo nella vita di tutti i giorni; finché scorsi, qualche metro dopo, alcuni amici che circolavano nella stessa galleria commerciale, tutti rigorosamente folgorati dal bagliore delle vetrine. Man mano che camminavamo, la comitiva aumentava e si aggregavano la maggior parte dei nostri amici, conoscenti, e perfino i nostri parenti vicini e lontani. Giovani, vecchi, rimbambiti più o meno, tutti procedevano in una direzione prestabilita, come se fossero sotto l'effetto di potentissime sostanze stupefacenti. Formulai l'ipotesi complottista di una strategia del centro commerciale che avesse iniettato nell'aria qualche sostanza allucinogena, al fine di costringere le menti ad acquisti pazzi; ma, nonostante una mia prima laurea in Marketing che faceva gioco, non mi sembrava una teoria convincente. Era piuttosto una teoria cretina.
Carmen Trigiante
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