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Autore: Riccardo Pratesi
Racconti Piccanti
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Racconti Piccanti
Giangino.
Farniagrande, al tempo, era la città più mitteleuropea del Granducato. Si respiravano le novità culturali dell'Inghilterra, gli abitanti erano intrisi da idee illuministiche, il popolo non sentiva la morsa delle gabelle né oramai subiva le pretese esose dei feudatari. Non c'era terreno fertile per una rivoluzione di popolo, al più per quella che il Cuoco chiamò rivoluzione passiva, fatta dai governanti, cioè. Gli abitanti erano tra i toscani che più apprezzavano Pietro Leopoldo. Se ci fossero state all'epoca dei fatti, il 1786, le indagini demoscopiche, vi avrebbero rilevato il gradimento dell'arciduca come il più alto tra le città della Toscana granducale. In un paesino del suo territorio, Cerroalto, quello più sperduto e lontano, sua eminenza il vescovo aveva esiliato don Gervasio, un prete bonaccione, definito dai suoi confratelli in altra accezione, accrescitivo coloratamente toscano, che con bonaccione faceva rima. Sua eminenza meno lo vedeva, più contento era. Non poteva, però, da buon pastore, non corrispondere alle sue chiamate di bisogno, di confronto e conforto spirituale, di soluzione a questioni teologiche, così quel 17 gennaio del 1786 alle 11 in punto e fino alle 11.30 il vescovo avrebbe ricevuto a colloquio privato don Gervasio. Quella stessa mattina alle 6.30 il suono della campanella, che annunciava l'inizio della messa nella chiesa di Cerroalto, coincise con il rintocco del campanile. Non profferì parola all'omelia e portò di persona l'ostia consacrata a donna Amalasunta che ancora aveva da alzarsi dalla panca per recarsi alla balaustrata del presbiterio: Don Gervasio aveva furia. Mangiandosi le mezze parole nel recitare le formule di rito giunse alla fine. Finalmente.
- Ite, Missa est - dopo una breve pausa - Assuntina, chiudete voi la chiesa, ho da correre dal vescovo, che mi fa dire la fretta: da sua eminenza il vescovo -
Entrò nella stalla dove il cavallo era già sellato, di corsa, per quanto un uomo di appena 1.51 metri per 105 kg potesse correre, accostò il panchetto alla bestia e vi salì, e da lì, sopra il povero animale. Occorrevano tre ore per arrivare al vescovado, tre ore di stradaccia, tra boschi, campi, viottoli, guadi e anche un ponte. Dopo mezz'ora che cavalcava, dietro una curva coperta da una siepe scorse Gostino che gli veniva incontro con un carro trainato da una bella coppia di vacche maremmane, tirate a lucido e con i nastrini rossi tra le corna. La strada era stretta e don Gervasio si accostò per far passare il contadino, anche se fosse stata più larga la prudenza campagnola consigliava di soffermarsi per non assaggiare le punta delle corna, casomai una vacca avesse voluto scrollarsi una mosca da una palpebra. Sul carro aveva una grossa gabbia con due belle scrofe linde, una stia con due conigli e due galline legate per le zampe.
- Dove andate, don Gervasio? Quest'anno non le benedite le bestie? - chiese Gostino. Come aveva fatto a scordarlo? Oggi si festeggiava Sant'Antonio Abate, il protettore degli animali! La grave dimenticanza costituiva un esempio lampante. Tutto quello che succedeva nella curia non era colpa di un diavolo qualunque, ma di Satana in persona: come era urgente parlare con Sua Eminenza! Al ritorno si sarebbe fermato ad ogni crocicchio e da lì avrebbe benedetto le bestie, senza che fossero presenti alla funzione come solitamente avveniva a memoria d'uomo. Per quest'anno il contadino si doveva accontentare. Non lo sapeva che Pio VI aveva detto che la benedizione passava i sette muri? Visto però che l'aveva incontrato, se gli faceva piacere, poteva benedire i suoi animali, seduta stante, con rito abbreviato e purché dopo si scansasse. Gostino accettò ma ci rimase male quando si accorse che il prete non aveva né l'aspersorio né l'acqua santa.
- Vorrà dire, don Gervasio, quando passerete da casa mia vi darò un gotto vuoto di vino. -
Aveva prescia, il vescovo non poteva aspettare, ne avrebbero discusso in altra occasione. Finalmente arrivò a Farniagrande, ed anche in orario, nonostante gli intoppi; Sua Eminenza non avrebbe avuto da rimproverarlo per la sua proverbiale pigrizia. La scalinata del sagrato della cattedrale finiva su una strada in discesa, o in salita potrà obiettare il lettore, secondo un altro punto di vista. Ribadisco in discesa: ché il cavallo, se avesse visto la salita, dopo tutto lo sforzo compiuto si sarebbe rifiutato di andare avanti. Evidentemente l'alzata dell'ultimo gradino non poteva avere dimensione identica, in cima e in fondo, cosa che faceva estremamente comodo al prelato poiché era avvantaggiato nello scendere e nel salire a cavallo, in quanto variava la distanza tra groppa del quadrupede e piano d'appoggio del piede in funzione dello spostamento dell'animale e del cavaliere sulla strada. Si presentò, puntuale, al segretario particolare del vescovo, anzi con cinque minuti d'anticipo. Poco dopo fu ricevuto dal pastore. Baciò l'anello, fece un inchino, chiese come stava in salute sua eminenza, poi invitato a parlare, cominciò a lamentarsi:
- Belzebù, ma che dico, Satana si è stabilito nella mia parrocchia - nelle vesti di tre donne lascive, ma cosa diceva! Tre puttane, tre meretrici, tre prostitute tre lupe venute dalla Repubblica di Lucca, terra senza Signore, di costumi troppo permissivi, licenziosi, depravati, peccaminosi ecco. Gli uomini della parrocchia erano finiti nella loro rete come pesci nel tramaglio. Lui lo sapeva perché le loro mogli si erano venute a lamentare in confessione. I mariti costringevano queste sventurate a rapporti come fanno le bestie, o in modi particolari che avevano provato prima con le lucciole della repubblica lucense. Che poi, per uomini di mondo quali erano lui e sua eminenza, via mica erano poi così eccezionali queste pratiche, niente a che vedere con la Nunziatina o la Settimia, loro sì che facevano certi ricamini con la lingua.... Il vescovo s'inalberò. Aveva forse saggiato il particolare talento delle tre? No! di due soltanto e confrontato con quello assodato delle sue due parrocchiane. Come avrebbe fatto altrimenti a commisurare l'entità delle penitenze che dispensava nel confessionale se non avesse avuto un metro di paragone del quale si fidava? Ma si rendeva conto di quel che diceva? Controbatté il vescovo. Certamente! Ormai non c'era rimasto niente da fare: i predestinati al paradiso, vi sarebbero andati e agli altri, comunque si comportassero, la strada era preclusa, tanto valeva divertirsi in vita!
- Queste teorie gianseniste lasciatele a monsignor Scipione de' Ricci vescovo di Pistoia -
Il tempo scorreva inesorabilmente e si avvicinava alle 11.30; se avesse superato tale limite, il vescovo si sarebbe sentito in dovere di invitare don Gervasio a pranzo ed era più conveniente, economicamente, regalargli un vestito che pagargli il desinare.
- Orsù andate al dunque -
Era lì, da sua eminenza, per chiedere che gli inviasse un predicatore, ma di quelli bravi, che facesse aprire gli occhi agli uomini e chiudere le cosce a quelle tre donne! La settimana prossima sarebbe arrivato un confratello particolarmente loquace, promise il vescovo. Intanto don Gervasio doveva darsi da fare per organizzare un pellegrinaggio a Roma, con tutti i lussuriosi, lui in testa, a piedi. Poi, per festeggiare sant'Antonio abate, patrono degli animali, non sarebbe dovuto salire in sella al cavallo per far ritorno nella sua parrocchia. Conoscendo il tipo, il vescovo poco si fidava che avrebbe obbedito. Escogitò uno strattagemma: lo incaricò di consegnare personalmente tre missive ai titolari delle parrocchie che incontrava per strada, una ciascuno. In queste era riportata questa semplice frase “Reverendo ............. d'ordine del vescovo, annotate, in calce, l'ora in cui don Gervasio vi ha consegnato la presente lettera che vorrete restituire durante il prossimo incontro programmato con sua eminenza”. La velocità di percorrenza e le distanze intercorrenti tra una meta e l'altra, sarebbero dovute risultare congruenti con gli orari trascritti. All'imbrunire, stanco e assetato, col cavallo alla cavezza, intravide il campanile di Cerroalto. Il tempo di rifocillarsi ed entrò in chiesa per il Vespro. Come promesso a Gostino, finita la funzione, munito di aspersorio ed acqua santa benedisse dal sagrato gli animali che si stavano riposando nei loro giacigli. La domenica seguente, all'omelia, invitò la popolazione a partecipare, numerosa alla predica del Cappuccino fra' Deodoro da Montebenichi.
- In specie, sorelle care, portateci i vostri mariti che hanno introdotto nelle case tradimenti e intrighi delle diavolesse lucchesi -
Anche Cinzia, la ventiduenne figlia del vasaio, si propose di trascinare alla predica Giangino, il suo fidanzato, un armadio di oltre 190 cm, il più desiderato dalle ragazze in età da marito e pure dalle donne che il marito l'avevano già. Quando non aiutava in bottega il babbo, Cinzia era impegnata a respingere le pretendenti dal suo Giangio, come una mucca scaccia le mosche cavalline. Operazione abbastanza semplice con le giovani mosche, ma con quelle adulte, qualche pizzico ci scappava. All'epoca in paese, era uso mettere in mostra le lenzuola dove gli sposi avevano dormito la prima notte di nozze. Per questo motivo, Giangio mordeva il freno con Cinzia e con tutte le altre smorfiose che gli giravano intorno; invece galoppava a briglia sciolta con le spose mature che mettevano all'aria le lenzuola solo dopo averle accuratamente lavate.
- Mercoledì sera vieni con me in chiesa a sentire la predica - gli disse Cinzia con un tono che non ammetteva repliche.
- Veramente, io avrei da andare.... -
- In chiesa, giusto? Poi lungo la strada del ritorno possiamo fermarci dietro il pagliaio nel campo del prete -
- Ma come! Mi hai fatto una testa tanto con la storia della verginità e ora sei disposta a.... -
- a fare certi giochetti che ti piaceranno, no a quella cosa lì, a quella alla quale pensi di continuo - lo interruppe Cinzia. Sapeva che era sufficiente fargli balenare in testa idee lascive che Giangino si convinceva e l'avrebbe accompagnata come un somaro insegue una carota. Era una tecnica consolidata per allontanare quelle mosche fastidiose, metodo ritenuto estremamente efficace, tant'è che Giangio le aveva sempre dato l'impressione che funzionasse; l'impressione, si badi bene, perché in realtà di nascosto si cospargeva di miele per attrarle il più possibile. L'uomo si mise l'anima in pace: mercoledì predica! Il timore di essere scoperto dalla sua bella a rimirare le grazie altrui, in un luogo denso di femmine si dimostrò infondato. La predica, una volta entrata nel vivo, attrasse la sua attenzione. Per fortuna aveva seguito la richiesta di Cinzia! Fra' Deodoro da Montebenichi non usò mezzi termini, il vescovo era stato categorico:” fa loro prendere una strizza che li riporti sulla retta via.” Il predicatore cominciò col descrivere la soddisfazione di vivere in armonia con la propria sposa. Dio veglia e guida la coppia verso la felicità. Se uno dei due tradisce, commette peccato mortale. L'anima perisce, il rapporto degenera e rimane il marchio per sempre. Ora, il peccato verso Dio si cancella con la confessione e quello verso il coniuge resta fino a quando l'altro perdona ma il segno perdura, indelebile se l'atto sessuale si è fatto con una creatura del diavolo.
- Chi è stato con le tre meretrici, sappia che è stato infettato da un morbo, che nel giro di tre mesi, lo condurrà all'impotenza; ma un rimedio c'è. - urlò tra la folla atterrita. Poi, quasi sussurrando, in maniera che quasi nessuno sentisse - bagnare l'organo nell'acqua del convento dei Cappuccini di Anticoli di Campagna - Cosa ha detto? Che ha detto? Cosa si deve fare? Fu un rincorrersi di domande. Non ho capito, non ho sentito, forse suonare l'organo: la ridda di risposte. Il brusio che il frate voleva.
- E bravi! Guardate in fondo, al portone. Quanti uomini si rivolgono ai vicini per non aver inteso. Questa è un'autoaccusa bella e buona! Puttanieri chiedete al vostro parroco. In confessione - Se avesse voluto far scoppiare una mezza rivoluzione, fra' Deodoro c'era riuscito, in pieno. Scuse del tipo < ero solo curioso, non avevo proprio udito le parole del predicatore, non ti ho mai tradito> si frapponevano ai suoni tipici degli schiaffi, uomini che si piegavano ad accusare calcioni negli stinchi delle proprie consorti, gemiti che indicavano che la parte colpita si trovava ben sopra il ginocchio; per un attimo la chiesa si era trasformata in una piazza. Quando fu ristabilita la calma, fra' Deodoro ripeté ad alta voce la cura. Gli uomini interessati, parroco in testa, sarebbero andati in pellegrinaggio, toccando Chiusi, Montefiascone e camminando sulla Francigena per Roma, da lì percorrendo la Casilina, a Anticoli di Campagna. A Roma avrebbero detto tre rosari al giorno in sette chiese diverse e visitato un'abbazia di Cappuccini. Avrebbero impiegato un mese ad andare e tre settimane a tornare, che si spicciassero a tagliare le erbacce perché sarebbero partiti dopo la Pentecoste, quando la campagna richiedeva meno lavoro. Il diavolo faceva le pentole, dove avevano intinto, qualcuno più di una volta, ma non i coperchi: che se lo ricordassero per l'avvenire. L'indomani mattina don Gervasio si recò in chiesa alle 8. Aveva l'abitudine di distendersi sul letto, una volta detta la messa delle sei e mezzo, e alzarsi alle 9. Quella mattina il vocio sotto le finestre lo costrinse ad anticipare la colazione. Le sue parrocchiane accompagnavano, di buon ora, i mariti perché il parroco li confessasse ed avevano premura di accudire le faccende giornaliere e quindi tornare alle proprie abitazioni. Altre coppie, vedendo la ressa, preferivano rimandare. Nella piazza principale sembrava giorno di mercato. Il pericolo che i mariti potessero diventare impotenti aveva scalfito la certezza che alcune mogli avevano sulla fedeltà dei loro compagni. Da una parte, potevano anche chiudere un occhio se i loro uomini avevano curato altri orticelli, purché nei propri non avessero lasciato formarsi le ragnatele, sintomo dell'incuria. Dall'altra, spingerli a partecipare al pellegrinaggio comportava il passaggio da probabili fedifraghe a cornute certe. Fu l'ingenuità di Cinzia a risolvere il dubbio e far pendere le spose verso la soluzio
e del viaggio.
- Sul mio Giangino, metterei la mano sul fuoco, ché lui non mi tradirebbe mai -
- La sinistra, vi consiglio - le rispose Rosa che ancora portava i segni sul collo lasciati proprio da Giangio.
- Però se quell'acqua fa tanto bene, io ce lo mando in pellegrinaggio, con una fiaschetta da riempire e tener di conto -
- Deve essere consumata nel convento, ché conservata non fa effetto, così dicono - osservò una terza interlocutrice.
- Vero - rispose Cinzia - se la conservate nel vetro, ma nella terracotta ogni medicina mantiene le sue proprietà, come ha sempre detto il medico condotto. In bottega abbiamo una dozzina di piccoli orci a tracolla - Ai bisognosi di cure si aggiunsero così, spinti da consorti o fidanzate, quelli intenzionati a prevenire guai futuri. Il lunedì di Pentecoste, 28 maggio del 1786, una masnada di venticinque uomini più il prete, partirono alla volta del confine del Granducato, verso le terre di Chiusi. Il giorno successivo, il gruppo dal quale spiccava Giangino, si presentò alla torre di guardia di Beccati Quest'Altro, all'ingresso dello Stato Pontificio. Il gabelliere capo chiese chi fossero
- Un' lo vedi? Siamo pellegrini - il modo in cui il prete lo disse indispose il gendarme. Ci vedeva eccome e lo immaginava pure che fossero pellegrini dal modo in cui erano conciati e dal passo stanco della camminata. Dalla parlata, toscani certamente e di lontano, ma di dove?
- Dove andate? - Dove voleva che fossero diretti i pellegrini se non a Roma? Il gendarme fece richiudere il cancello alle loro spalle, in modo che si trovassero bloccati e non potessero tornare indietro né proseguire il viaggio. Mezzora di attesa avrebbe fatto benone allo spirito di quel prete: che credeva, per avere una tonaca nera, di potergli mettere i piedi in capo anche lui? Sbollita la rabbia, si ripresentò al loro cospetto:
- Venite dalla repubblica di Lucca? -
- Vade retro, satana - rispose il prete a sentir dire Lucca. Gli esattori di ogni tempo, per riprova basta una semplice trasposizione al nostro, sono sempre stati paragonati al diavolo, ma tra ironizzare e sentirlo dire apertamente c'è la sua differenza, per cui l'indisposizione si trasformò in intolleranza, né si placò quando seppe che venivano dal Granducato.
- Due baiocchi a testa, per venticinque che siete fanno cinque paoli, mezzo scudo tondo tondo, perché il prete non paga -
- Veramente per i pellegrini non corre dazio -
- Sì, fino all'anno scorso, quando il vostro Pietrino ha cassato la manomorta. Il papa Pio VI ha stabilito che i viandanti per religione provenienti dal Granducato paghino da uno a due baiocchi, e siccome reverendo mi state antipatico più dei preti che abitano al di qua del confine, applico la tariffa massima. -
- Prego il Signore che vi mandi tutte le zanzare, che prolificano in questa padule, e si troveranno spaesate, quando Pietro Leopoldo l'avrà bonificata - Con questo augurio il prete lasciò mezzo scudo nelle mani del capoposto e varcò il confine.

Riccardo Pratesi

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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