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Autore: Stefano Carloni
Glitter, avventure di una fatina
Fantasy Storico
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Glitter, avventure di una fatina
La Trilogia delle Fate - Volume I

- Sveglia, dormigliona! È l'ora della lezione di astronomia! - .
- Mmmmmmh, aspetta ancora un po', Charlie - mormorò Glitter - si sta così bene, sdraiati al sole... - .
- No-no-no-no-no - cantilenò lui scuotendo la testa e agitando un bastoncino. - I bambini apprendono meglio se studiano a orari regolari - .
- E va bene - sbuffò aprendo gli occhi e drizzandosi in tutti i suoi tre pollici di altezza. Spiegò le ali blu, si sollevò in aria e guardò il giovane. - Sono pronta, signor maestro - .
- Prima domanda: forma e diametro della Terra - .
Tsk, pensò Glitter, questa è facile. - La Terra è una sfera schiacciata ai poli. La lunghezza del diametro, misurata sul meridiano di Parigi, è di quaranta milioni di metri francesi - .
- Questa era facile - ribatté Charlie, - ma a quante miglia equivalgono? - .
- Ventiquattromilaottocentoquaranta! - scandì lei.
- Bene - disse lui carezzandole la testolina. - Impari rapidamente e ricordi tutto, Glitter - .

***

- Chi sei tu? - . Il suono della sua voce l'aveva sorpresa mentre odorava un bellissimo fiore. Si era voltata di scatto e l'aveva visto: era chinato su di lei, grande, grandissimo – in seguito avrebbe appreso che allora era solo un bambi-no. L'aveva guardata con occhi curiosi e aveva ripetuto: - Chi sei tu? - .
Come mai lo capisco? - I-io sono la Fata delle Rose - aveva mormorato.
- Come sei bella, Fata delle Rose! - aveva esclamato. E lui come fa a capire me? Poi si era presentato: - Il mio nome è Charles... Charles John Huffam Dickens. Ma tu puoi chiamarmi Charlie, se vuoi - .
- Lo voglio... Charlie - . Da quel giorno erano divenuti amici.
Quando era andato a lavorare in “fabbrica”, lui l'aveva portata con sé, chiusa in una scatola, e così pure quando era tornato a “scuola”. Charlie le aveva insegnato a legge-re, scrivere e contare, le aveva impartito lezioni di storia, geografia, astronomia e matematica. Era stato lui a chiamarla Glitter, perché, diceva, - le tue ali risplendono di tutti i colori dell'arcobaleno - .

Il giorno in cui aveva riscosso il suo primo stipendio, erano andati a festeggiare a Portsmouth. - Guarda, Glitter! Quello è il mare! - .
Lei non aveva mai visto tanta acqua tutta insieme, distesa fin dove poteva allungare lo sguardo. - Com'è bello! E adesso cosa fai? - .
- Mi faccio un bagno - aveva risposto lui levandosi giacca e camicia. Un istante dopo era a mollo. - Se vuoi lavarti per bene devi toglierti anche i calzoni - gli aveva detto, - su, ti aiuto io... - .
- No, lascia stare! - aveva esclamato Charlie tentando di fermarla; lei non lo aveva ascoltato, glieli aveva tirati giù e... aveva visto quel coso. L'aveva toccato, e si era irrigidito...
- Non guardare! Voltati! - aveva gridato lui rosso in volto, coprendoselo con le mani.
- Perché mi tratti così? Non ho fatto nulla di male - .
- P-perché io sono un uomo, e tu sei una donna! E adesso voltati! - .
Non le aveva rivolto la parola per due giorni, poi le aveva chiesto: - Vuoi vedere cosa fanno insieme uomini e donne? - . Lei aveva annuito entusiasta; le era sempre piaciuto vedere gli animali della foresta accoppiarsi e dare alla luce i piccoli.
La Casa delle Orchidee era uno dei tanti bordelli di Londra, e neppure dei più malfamati. - Salve, ragazzo - lo aveva accolto una donna che dimostrava ben più dei suoi anni - sei venuto a divertirti? - .
- Sì - aveva risposto lui un po' incerto - mi hanno parla-to bene di una certa Janine... - .
- Ah, mi dispiace - fece lei accompagnandolo nel corridoio - Janine non è disponibile stasera, ha i suoi giorni... e io non voglio certo che tu me la metta incinta, capisci? Ec-co - e aveva indicato una fanciulla dai capelli corvini, - lei è Claire, per te andrà benissimo... Una sterlina e sei pence per mezz'ora, pagamento anticipato - .
Claire lo aveva preso per mano e condotto in una stanza illuminata fiocamente da una candela. - Cosa tieni in quella scatola? Il tuo animaletto portafortuna? - .
- Qualcosa del genere - aveva risposto Charlie collocandola su un piccolo ripiano. - Ti dà fastidio? - .
- No... purché non ti venga voglia di fare giochini strani - aveva risposto lei con un sorriso, iniziando a spogliar-si.

***

In principio, luce. Una luce accecante. Poi la luce era diventata colore, tanti colori. Infine i colori erano divenuti cose, cose colorate. Così era nata, dentro un fiore dai grandi petali rossi. Si era guardata intorno, e aveva visto tanti esseri alati che la osservavano. Uno di essi si era fatto avanti e le aveva parlato.
- Benvenuta nel mondo, nuova Fata delle Rose. Io sono la Fata Regina, la più anziana della comunità, e queste so-no le tue sorelle - . Poi aveva fatto un cenno a una creatura dalle grandi ali bianche: - Fata dei Gigli, la affido a te - .
- Non ti deluderò, Fata Regina - aveva risposto la Fata dei Gigli.

Non sapeva quanto tempo avesse passato in quella foresta: allora non conosceva i numeri. All'inizio era stato tutto bello e interessante. Fata dei Gigli le aveva mostrato ogni prato, fonte e anfratto nascosto; le aveva fatto scopri-re di saper parlare le lingue di tutti gli animali, e di poter ammansirli quando la minacciavano. Poi le giornate erano divenute noiose, una uguale all'altra... Un giorno aveva detto in mezzo all'assemblea: - Voglio vedere cosa c'è al di fuori di qui - .
- Fuori di qui ci sono gli umani - aveva risposto la Fata Regina.
- Cosa sono gli umani? - aveva chiesto lei.
- Sono la cosa più affascinante e terribile che esista - .
- Voglio conoscerli - aveva insistito.
- Se li conoscerai, non tornerai più tra noi - .
- Perché? - l'aveva sfidata. Lei aveva sorriso mestamente.
- Perché loro ti prenderanno il cuore - .

***

Il 2 aprile 1836 Charlie tornò a casa con una donna. Già questo era una assoluta novità; di solito era lui ad andare da loro. Ancora più sorprendente fu la sua decisione di lasciarla fuori, nel giardino.
- Perché non posso guardare? - chiese Glitter.
- Perché Catherine è mia moglie - rispose lui chiudendo la finestra e tirando le tende. Quella sera lei si addormentò piangendo.
Il giorno dopo lui venne a cercarla, come faceva sempre. - Adesso che hai una moglie, mi scaccerai? - gli do-mandò.
- Non dire sciocchezze - replicò. - Sai cosa diceva il grande Demostene? Le mogli ci servono per avere dei fi-gli, le prostitute per i piaceri del corpo, e le etere per quelli dello spirito - .
- E io sono la tua... etera? - .
Le porse le mani a coppa e lei vi si posò dolcemente. - Noi continueremo le nostre amabili conversazioni - pro-mise. - Coniunctio animi maxima cognatio: l'unione delle anime è superiore a quella dei corpi, è la migliore. Sei d'accordo? - .
- Sì - mormorò lei posando il capo sul suo palmo. Era bello sentire i battiti del suo cuore, il suo calore. Ora ne era certa. Le altre non importavano. Lui sarebbe sempre stato il “suo” Charlie.

***


Il 1836 fu un anno molto intenso. Oltre a prendere moglie, Charlie redasse un dramma e il libretto di un'opera. Era sempre intento a scrivere, e spesso le faceva leggere le bozze o ne declamava ad alta voce ampi brani chiedendo il suo parere ( - Mi fido del tuo gusto - , soleva ripetere). In quel periodo Glitter imparò due parole nuove: “Dio” ed “ebreo”.
Avvenne durante la stesura di Oliver Twist. - Cos'è un ebreo? - aveva chiesto.
- Gli ebrei sono persone cattive - aveva risposto Charlie incupendosi. - Sono avidi e crudeli, perché hanno rifiutato il Cristo, il Figlio di Dio - . Un lungo silenzio, poi: - Tu credi in Dio, Glitter? - .
- E chi è, Charlie, perché io debba credere in lui? - .
Da quel giorno alle lezioni abituali si aggiunse un nuovo capitolo: Teologia e Catechismo. Charlie la portava con sé alla messa domenicale – di nascosto, come al solito – e al ritorno le spiegava i sermoni e rispondeva alle sue do-mande. Volle che fosse presente anche al battesimo di suo figlio, Charles Culliford Boz, e al funerale della sua giovane cognata Mary. A Glitter non piacevano molto i di-scorsi che ascoltava in chiesa; le facevano paura i continui riferimenti al “fuoco eterno” che attendeva i peccatori dopo la morte. - Anch'io sono una peccatrice, perché ti di-stolgo dai tuoi cari - , si lamentò una volta.
- Tu non sei una peccatrice - le aveva risposto lui. - Sei il mio caro, piccolo angelo - , e lei non aveva più avuto il co-raggio di riparlarne.

***

- Ti prego, non abbandonarci - la supplicò Fata dei Gi-gli. - Se ti mescoli con gli umani diventerai come loro, e ci dimenticherai - .
- Io non vi dimenticherò mai - disse Fata delle Rose al-largando le braccia, - e niente potrà cambiare ciò che sono. Ma il mondo è più grande di questa foresta, e io voglio conoscere tutto quel che contiene - .
- Sei ostinata... ostinata e cattiva - . La tristezza della Fata dei Gigli si era mutata in rabbia cieca. - Ho sbagliato a di-venire tua amica - disse allontanandosi.
Cercò di trattenerla per un braccio, ma si divincolò. - Non voglio vederti mai più - sibilò volgendole le spalle, e spiccò il volo.
Glitter si svegliò con un sussulto, poi il suo respiro tornò regolare. Era solo un sogno, il ricordo di un passato lontano.
Erano trascorsi ventisei... no, ventisette anni da quando aveva conosciuto il suo Charlie. Da un po' di tempo era diventato famoso, e aveva iniziato a compiere viaggi sempre più lunghi: Boston, New York, Philadelphia, Washington, Richmond... e poi Genova, e adesso Roma... - Domani andremo a Santa Maria del Popolo - le disse - ti mostrerò un capolavoro del Caravaggio - .
Questa volta il contenitore era decisamente più stretto del solito. - Halt! - intimò una guardia. - Cosa tiene in quel-la skatola? - .
- Il mio tabacco da fiuto preferito - si schermì Charles Dickens. - Non me ne separo mai, sa, è così difficile trovarne... Posso entrare? - .
- Bitte, mein Herr! - esclamò il gendarme. Charlie entrò nella vasta penombra rischiarata da pochi candelabri, fece qualche decina di passi, si fermò e sollevò la scatolina. - Ecco, Glitter - sussurrò - il capolavoro di cui ti ho parlato: la Crocifissione di san Pietro - .
La prima cosa che la colpì furono le dimensioni del di-pinto: non ne aveva mai visto di così grandi! La seconda fu il soggetto: al centro della scena un vecchio, pratica-mente nudo, giaceva inchiodato mani e piedi su due assi di legno incrociati, mentre tre uomini lo sollevavano per piantarlo in terra a testa in giù. D'un colpo percepì la sofferenza di quell'umano come fosse la propria; cominciò a respirare affannosamente, e mormorò: - Portami via, Charlie! - .
- Come? - chiese lui. - Cos'hai detto? - .
- Portami via! - ripeté. - Portami fuori, all'aria, al so-le... - .
Uscì di corsa sull'ampia piazza, aprì la scatolina e la sol-levò in alto. Glitter provò la carezza del vento sulle ali, il calore dorato del sole, e si sentì rasserenata. La sorte di quell'uomo, morto ormai da chissà quanto tempo, non la riguardava. Lei era viva. Era libera di fare quel che le piaceva, era insieme al suo “fidanzato”. Era felice.

***

- Stai ancora pensando a quel brutto incidente? - chiese vedendolo meditabondo. - Non devi pensarci; è accaduto tanto tempo fa, e comunque tu non ne hai colpa. Dimentica - . Stavano tornando a casa dalla Francia, dove lui si era recato a far visita a una certa Ellen, quando sei carrozze del treno su cui viaggiavano erano cadute giù da un ponte.
- Non ci riesco - mormorò Charlie, - li ho sempre davanti agli occhi... tutto quel sangue... tutti quei morti... - .
- Calmati, ti prego - gli disse, - non ti fa bene agitarti... Ecco, siediti su quella panchina, ti farò un massaggio... - .
Da quando lui aveva avuto un attacco di paralisi, Glitter aveva scoperto di poter lenire le sue sofferenze con il toc-co delle proprie mani. Charlie fece ancora qualche passo, poi lasciò cadere il bastone e si accasciò al suolo. - Charlie! - gridò lei. - Charlieee!!! - .
Charles Dickens morì alle 18.10 del 9 giugno 1870. Cinque giorni dopo fu sepolto con grandi onori nell'abbazia di Westminster. Quando il luogo sacro fu de-serto, Glitter, con il cuore spezzato, si posò sulla tomba nuova e con tutta la voce che aveva in corpo gridò al cielo e alla terra: - Io, Glitter del Popolo delle Fate, giuro che non verserò più lacrime per nessun altro essere umano! Giuro per la mia vita che nessun altro umano mi farà piangere! - ; poi mormorò: - Da ora in poi tutte le mie la-crime sono e saranno solo per te, mio amato Charlie - e finalmente poté dar sfogo al proprio dolore.

Stefano Carloni

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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