Vita nuova, vecchia storia
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Ecco che ricominciava un altro lunedì e la settimana scolastica ripartiva. Almeno quella notte non avevo sognato stramberie e, se le avevo sognate, non le ricordavo. Quel giorno la classe era vivace, tutti parlottavano tra loro, specie le ragazze. Anche Virgilia non rimase indifferente alle chiacchiere e corse da me tutta eccitata. - Pare che oggi avremo una nuova compagna di classe. - Chi se ne importa? - - Dov'è finita la tua curiosità, Dafne? - - Mi basta solo che non sia la quarta fiera. - Ero fin troppo abbattuta. Il brutto tiro mancino che mi avevano fatto le tre fiere mi aveva scombussolato più di quanto credessi. Mi bastava solo guardarle di sfuggita per avvertire brividi di freddo, ma quella mattina non mi degnavano delle loro sgradevoli attenzioni, prese com'erano dai pettegolezzi. Io coglievo solo qualche parola a proposito di questa nuova arrivata. A quanto pare si era appena trasferita in paese. Io già mi dispiacevo per lei. Adesso erano tutti allegri, ma l'ultimo arrivato era sempre quello preso di mira e messo alla prova. Se questa nuova ragazza non si fosse fatta valere, sarebbe stata preda facile di Liuba, Leonia e Leonzia. D'altra parte, se così fosse stato, forse io avrei trovato un po' di respiro, ma non ero abbastanza egoista da desiderarlo davvero. Notavo con la coda dell'occhio le occhiate che mi lanciava Virgilia. Doveva essere preoccupata per me, in effetti non avevo una bella cera, ma non sapevo spiegarmi neanch'io il mio abbattimento. Sapevo solo che ero annoiata, stanca e l'unica cosa che mi sembrava allettante era il letto che avevo lasciato a fatica, al sicuro sotto le coperte. Se avessi potuto, avrei chiuso gli occhi e mi sarei tappata le orecchie, ma l'ultima cosa che ci voleva era che mi addormentassi davvero, attirando l'attenzione di tutti! Aprii allora il libro di letteratura e lessi le Rime di Dante. - Già ripassi? - mi chiese Virgilia. - L'interrogazione ce l'abbiamo alla quarta ora. - - Lo so, ma sto cercando di non addormentarmi. Ci manca solo che mi metta a russare in classe! - - Perché non ripassi matematica? È alla prima ora. - - Perché, ripeto, sto cercando di non addormentarmi. - I numeri avevano un effetto soporifero su di me, ma leggendo Dante mi davo una scusa per concentrarmi, analizzando il testo e individuando le figure retoriche. Era un lavoro quello che riusciva non solo a tenermi sveglia, ma anche a estraniarmi dalla realtà circostante. E ne avevo bisogno, stanca com'ero di quei mormorii. Tanto gentile e tanto onesta pare... Il flusso dei miei pensieri fu interrotto dal tonante “buongiorno” del professore di matematica che entrò in aula a passo spedito, posizionandosi in piedi dietro la cattedra e dando il permesso alla nuova studentessa di entrare. Tutti gli sguardi, compreso quello di Virgilia, erano rivolti a lei, io tenevo la testa bassa sul libro di letteratura che avevo repentinamente nascosto alla vista del professore e poggiato sopra le ginocchia. C'era troppo rumore per concentrarmi sulle rime, così diedi una lettura veloce alla vita di Dante. Forse si trattò d'uno scherzo del destino, ma non appena lessi nome e cognome dell'amata dal poeta, l'insegnante pronunciò quello della nuova arrivata: Beatrice Messana. Alzai lo sguardo, spalancai gli occhi e tenni la bocca mezza aperta. Accanto al professore, la ragazza appena entrata faceva una breve presentazione di sé. Era alta, capelli lunghi, bruni e un sorriso furbesco che conoscevo bene. Era lei. Virgilia mi picchiettò il gomito e, almeno questo, valse a farmi chiudere la bocca, ma non distolsi lo sguardo da Beatrice. Il cuore batteva impazzito, ero un bagno di sudore, non ci fu bisogno di confidarmi con la mia amica, perché lei capì subito. Dopo due ore che mi sembrarono interminabili, finalmente suonò la ricreazione e Virgilia poté chiedermi ciò che aveva tenuto sulla punta della lingua e che adesso premeva per uscire. - Non dirmi che è lei! - - Sì, ma abbassa la voce. - - Cosa aspetti? Va a parlarle. - - Ma scherzi? Forse neppure si ricorda di me. - - Tu che ne sai? Magari le farà piacere rivederti. - - E cosa dovrei dirle? - Mentre mi scervellavo per trovare uno spunto di conversazione, fu Beatrice ad avvicinarsi a me. Me la ritrovai dinanzi come la visione di un bellissimo angelo dal sorriso smaliziato. - Sei tu, vero? L'ho capito quando il prof. ha fatto l'appello – mi disse. Non riuscii a dire nulla, rimasi a guardarla fissa, non riuscendo a chiudere la bocca mezza aperta che mi dava sicuramente un'aria da scema. - Sai, anche da piccola avevi quest'espressione da baccalà – aggiunse, indicandomi. Poi andò via, rivolgendomi un dolcissimo saluto con la mano. - Tanto gentile e tanto schietta pare... - sussurrai, ricevendo subito dopo una gomitata da Virgilia. - Scema! Perché non sei andata con lei? Ecco, ora l'hanno avvicinata quelle tre fiere. Hai perso l'occasione. - E mentre la mia amica mi dava della scema, io guardavo incantata la bella figura di Beatrice che si dileguava per i corridoi della scuola.
Continuai ogni fine settimana a fare visita alla signora Maria Lucia. Sia perché fosse una anziana simpatica, sia perché era la mia unica scusa per parlare con Beatrice. Anche se a scuola mi trattava con freddezza, infatti, quando eravamo in casa della nostra amica in comune, lei mi salutava e mi rivolgeva la parola, forse solo per non far trasparire nulla. In ogni caso, mi accontentavo. Una calda mattina di domenica, Maria Lucia ci invitò in terrazzo e ci chiese aiuto per annaffiare le piante. Beatrice e io rimanemmo incantate, erano davvero numerose e belle. Il terrazzo era di forma rettangolare e le piante facevano da cornice. Ce n'era una ovunque mi voltassi, erano loro le vere padrone là fuori e mi commuoveva vederle così rigogliose e sane. Maria Lucia doveva esserci proprio affezionata. La bellezza di quel terrazzo e le numerose piante mi provocarono anche una certa nostalgia e mi chiesi se pure Beatrice la sentisse. Quello della sua vecchia casa era molto più piccolo, ciononostante c'erano anche lì tante piante ben tenute e lei e la madre ci dedicavano lo stesso amore e le stesse attenzioni che Maria Lucia doveva dedicare alle proprie. Beatrice era felice, lo vedevo da come sorridesse. Era il momento di mettersi al lavoro. Prendendo io una bottiglia di plastica, lei un secchio e Maria Lucia un tubo, cominciammo ad annaffiarle. Mi avvicinai timidamente a Beatrice. Intenta in quel lavoro sembrava meno fredda e anzi felice di avermi accanto. La nostalgia faceva effetto anche su di lei, non avevo dubbi che rievocasse quando da bambine ci prendevamo cura delle sue piante. - Nella tua nuova casa ce l'hai il terrazzo? - - Purtroppo no. Però c'è un bel giardino. - - Ah, che fortuna. Piacerebbe anche a me averlo. - - Se vuoi, puoi venire a casa mia a vederlo. - Trasalii, rovesciandomi un po' d'acqua sulla punta delle scarpe, non aspettandomi quella proposta. - Sei gentile, ma non voglio disturbare i tuoi genitori. Meglio di no. - - Hai una scusa pronta per tutto - sbottò Beatrice, posando a terra il secchio, in una maniera tutt'altro che delicata. - Ora non ti arrabbiare - la supplicai, poggiando a terra la bottiglia. - Anche tu sei strana, lo sai? - La sua reazione mi fece restare fin troppo male, tanto da spingermi all'ultima cosa che avrei voluto: litigare con lei. - A scuola non mi saluti ed eviti pure di guardarmi, ora mi hai addirittura invitata a casa tua! Quando sei qui sei tutta sorridente e poi d'improvviso hai queste reazioni. - - Io mi comporto in base a come ti comporti tu - replicò accigliata, rigirandosi verso di me e dandomi uno spintone. Barcollai un po', aggrappandomi forte al grosso vaso d'una pianta, che per fortuna non cadde giù. Era stato un gesto impulsivo, di rabbia, non l'aveva fatto con coscienza e lo capivo da come mi guardava, con un'espressione forse più stupita della mia. Maria Lucia accorse verso di noi, tutta agitata. - No, no! È così che si comportano due signorine ben educate? Beatrice, vergognati, non si alzano mai le mani! E tu, Dafne, cosa le hai detto per farla arrabbiare tanto? - Prima che potessi rispondere, Beatrice si allontanò da noi a passo spedito, scendendo al piano di sotto. Aveva accettato il rimprovero senza dire nulla e neppure io avevo qualcosa da ribattere. Maria Lucia, dal canto suo, non insisté nel porre domande. Più tardi avevamo, almeno in apparenza, dimenticato l'accaduto. La signora ci aveva preparato un tè e offerto qualche biscotto. Osservai Beatrice di sottecchi, mentre era intenta a bere, tenendo la tazza con entrambe le mani. Si accorse del mio sguardo. - O ti giri completamente verso di me o non mi guardi affatto - fu la risposta che mi colpì come uno schiaffo violento. Distolsi lo sguardo.
La sera, tornata a casa, rimuginai per tutto il tempo sul comportamento di Beatrice. Tra di noi c'era un muro, eretto dai pregiudizi della gente, ma ogni mio tentativo di aggirarlo o di approfittare di una minuscola crepa per poterle così parlare di nascosto, era reso vano dall'atteggiamento di lei. Se non mi veniva incontro in qualche modo, l'avrei persa. E stavolta per sempre. Mentre stavo mettendomi il pigiama, sentii nell'altra stanza la voce di mio padre: “Marta, passami il bicchiere d'acqua”. Quest'ultima parola mi fece ripensare improvvisamente e senza alcun filo logico alle parole di Virgilia riguardo al “gettare acqua al fuoco”. Non mi era ancora chiaro il significato e, scacciando via tutti quei pensieri con un sospiro, mi misi a dormire.
Mattia Vanfiori
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