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Autore: Aurora Vasques
Le Terre di Irtemal: La Rinascita degli Elementi
Fantasy
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Le Terre di Irtemal: La Rinascita degli Elementi
Travis Pendragon, ultimo Comandante in vita dell'esercito di Darten, aveva combattuto molte battaglie durante la sua carriera di soldato. Fin da ragazzo, si era fatto notare per le sue doti nel combattimento corpo a corpo e nella strategia militare, risalendo in fretta i ranghi dell'esercito, raggiungendo in pochi anni una posizione di comando. In ogni guerra affrontata dall'esercito del Re, era stato un valido con¬sigliere, oltre che un eccellente soldato, e mai una volta si era tirato indietro, felice di perire facendo quello per cui era nato: combattere.
Ora che la morte bussava alla sua porta però, dovette ammettere a se stesso che la paura si era fatta strada nel suo animo impavido. Non per codardia, come qualcuno avrebbe potuto pensare, ma per il fatto che la guerra, che da anni devastava il suo amato continente, si sa¬rebbe conclusa quel giorno, ponendo fine alla resistenza che da lungo tempo tentava invano di contrastare Zerek e il suo esercito di demoni.
Si grattò la folta barba scura ripensando a quando tutto era inizia¬to; allora la sua chioma bruna non era screziata di bianco e il suo animo ardeva nella speranza di una gloriosa vittoria, sentimento che una guerra al suo inizio porta sempre con sé. Ben presto, però, aveva dovuto ricredersi... Una battaglia dopo l'altra, l'Alleanza di Mantedia era stata sconfitta dall'orda di demoni agli ordini di Zerek, e a ogni scontro perso, non solo il loro numero diminuiva ma i nekrodes, i cadaveri dei caduti in guerra rianimati con la negromanzia dai Guar¬diani dell'ombra, infoltivano le schiere nemiche rendendo l'esercito di Zerek sempre più forte.
Una folata di vento freddo gli scompigliò i capelli, distraendolo dai suoi pensieri. I primi giorni d'autunno erano arrivati portando via la calura estiva e quella mattina, in particolare, risultava più fredda e pungente delle altre, la giornata perfetta per uno scontro che li avreb¬be portati alla morte, pensò amareggiato.
I flebili raggi del sole nascente si facevano largo a fatica tra le tenebre della notte appena trascorsa, e quel giorno sembrava non vo-lessero lasciare il passo alla luce. Il cielo, grigio e plumbeo, era uno sfondo perfetto per la valle che aveva davanti, ormai brulla e secca, e con le sue nuvole scure la incorniciava, opprimendola sotto il suo sof¬focante peso.
Un'altra raffica più forte schiacciò l'erba ormai rada, rendendo visibile la terra arida sottostante. Insinuandosi tra le mura del castello, portò con sé l'odore acre della morte, che stagnante permeava ormai da giorni nella pianura.
Nella città di Darten i soldati si erano schierati sulle mura molto prima che il sole si affacciasse sulla valle, aspettando lo scontro ormai prossimo. L'aria umida penetrava maligna nelle ossa dei guerrieri che, immobili come statue, ornavano la cinta muraria della città, rabbrivi¬dendo nonostante indossassero una spessa armatura.
Il silenzio, assordante per quegli uomini in attesa dell'inevitabile, contribuiva a riempire le loro menti di angoscianti pensieri e a col-mare i loro cuori di paura. La consapevolezza della sconfitta era ben chiara per quei soldati, così come per il Comandante Travis. Il loro numero era di molto inferiore rispetto a quello dell'esercito nemico per credere di avere un'opportunità di scamparla. Le ultime speranze di vittoria erano sfumate dopo lo scioglimento dell'Alleanza di Man-tedia.
Gli abitanti di Darten erano rimasti da soli a combattere questa guerra. Le richieste d'aiuto inviate dal Re agli ex alleati, non avevano ottenuto risposta e, in tutta onestà, gli umani non avrebbero potuto pretendere granché dagli altri popoli. Molti di loro erano morti, altri dispersi, altri ancora avevano scelto di rintanarsi nelle loro case, convinti così di essere al sicuro. Ma con quei mostri a piede libero, esi¬steva davvero un posto sicuro?
Nel corso dei secoli la Capitale aveva resistito a numerosi assedi senza subire alcun danno, grazie alla protezione del monte sul quale era stata eretta. Le mura, forgiate dal fuoco dei draghi, erano solide e modellate nella montagna stessa, nessuno era mai riuscito a scalarle, o anche solo a scalfirle.
Le rocce che componevano la struttura di quella particolare altura erano costituite per lo più di mantedia, un tipo di minerale resistente ed elastico che, dopo essere stato modellato dal fuoco, diventava liscio e lucido. La cinta muraria della città circondava l'intera montagna, rendendo impossibile un attacco a sorpresa. Per centinaia d'anni, Darten aveva dominato indisturbata la valle, ma quel giorno il suo indiscusso predominio sembrava destinato a finire.
L'unico punto d'accesso del complesso, e forse il solo punto debole della fortezza, erano le grandi porte in legno massiccio, sbar-rate prima che la battaglia avesse inizio con otto grosse travi di legno. Ma questa precauzione non sarebbe bastata a fermare né i demoni, e la loro magia oscura, né i loro ibridi immondi, i cerburei, umanoidi con fattezze animali. Avrebbero riversato la loro forza smisurata sulle porte, abbattendole in poco tempo, lasciando i soldati privi di difese.
Il silenzio opprimente sulla cinta muraria fu interrotto da un fret-toloso rumore di passi. Dalla piccola porta della torre, adatta appena a farvi passare attraverso un uomo adulto, uscì un ragazzo sui vent'anni, capelli scuri e occhi azzurri, in cui si rifletteva il grigiore del cielo. Portava una spessa corazza sopra la quale era stato smaltato lo stem¬ma della città, un drago dormiente argentato su sfondo blu. Allacciata al cinturone teneva una spada lunga, sul pomolo della quale era stato inciso lo stesso emblema della corazza. Teneva l'elmo stretto sotto al braccio e, nonostante il suo volto impassibile non facesse trapelare alcuna emozione, i suoi occhi tradivano l'angoscia che in realtà stava provando.
Il soldato si diresse svelto verso il Comandante, intimorito appena dalla sua stazza e dal suo sguardo, specchio dell'esperienza accumulata nelle numerose battaglie combattute. Dopo l'usuale saluto militare, il ragazzo parlò. La sua voce era ferma e decisa ma tradiva la sua giovane età.
- Comandante Travis, il Re vi informa con gioia che gli elfi hanno risposto alle richieste di aiuto inviando i loro maghi in nostro soccorso. Sono arrivati pochi minuti fa e hanno già preso posizione nelle torri e davanti alle porte della città - .
- Quanti sono gli elfi venuti ad aiutarci? - Chiese il Comandante con voce greve.
- Venti, Signore - . Rispose il ragazzo rimanendo sull'attenti.
L'uomo serrò la mascella. Aveva sperato in un contingente più co-spicuo da parte del popolo elfico, ma non ci aveva mai davvero creduto. In fondo, la loro Regina era stata la prima a lasciare l'Alleanza, dopo l'ultima sconfitta che la coalizione aveva subito contro i demoni. Acce¬cata dal dolore, aveva incolpato il giovane re di Darten della morte del padre, ritirando le sue truppe dalla guerra. Era già una fortuna avesse deciso di mandare qualcuno ad aiutarli in questo ultimo e cru¬ciale scon¬tro.
Gli elfi erano un popolo longevo e non era raro che vivessero per sette o otto secoli quindi, nonostante avesse quasi cinquant'anni, la neo regina era considerata per la sua gente poco più che adolescente. Imma¬tura e troppo emotiva per assumere il comando dell'antico po-polo elfico e capire quanto per la guerra fosse importante che le loro razze rimanessero unite. Qualcun altro avrebbe dovuto prendere il co-mando, ma le tradizioni elfiche non venivano meno neppure durante una guerra di quella portata, e così, Shamsa Treelife era salita al trono, con il cuore in pezzi per la sua recente perdita e la mente offuscata dal dolore.
La giovane elfa non aveva neppure potuto rendere omaggio alle spoglie del padre, che non erano mai state trovate sul campo di batta-glia. Una voce terribile, che si era diffusa a macchia d'olio fra i soprav-vissuti all'ultimo scontro, sosteneva che Zerek avesse intrappo¬lato nel ghiaccio la salma del caduto re elfico, aggiungendola alla sua collezione di cadaveri.
Il comandante scosse il capo sospirando. Come poteva lui biasimare Shamsa? Il suo Re, un ragazzino di appena quattordici anni, si era tro¬vato a capo, non solo del suo popolo, ma dell'intera Alleanza di Mantedia, dopo la prematura morte del padre e del fratello maggiore. Il dolore per le sue perdite e la sua inesperienza nella strategia militare li aveva fatti cadere nella trappola architettata dai demoni: una battaglia in campo aperto. Nello scontro molti erano stati i caduti, ma la cosa peggiore fu che l'intera tribù dei Moonshine, un terzo dell'esercito umano, si sottomise ai demoni, ingrossando ancora di più le fila del nemico.
Travis Pendragon rimase qualche istante in silenzio, osservando con amarezza il decadimento di Valle Pandea, rimpiangendo il tempo in cui era stata rigogliosa e fertile.
- Torna al tuo posto soldato e ringrazia gli dei per l'arrivo degli elfi - . Disse congedando il ragazzo. Si rivolse poi a tutto il suo plotone. Lo sguardo deciso di chi avrebbe combattuto fino alla morte. - Questa sarà la nostra ultima battaglia. Non risparmiatevi perché o vinceremo o mo¬riremo! - I soldati, rassegnati ormai al loro destino, avrebbero venduto cara la pelle e combattuto con ferocia per la loro amata terra. Il futuro di Irtemal si sarebbe scritto quel giorno.

Il sole aveva appena superato la linea dell'orizzonte, facendosi largo a fatica tra le pesanti nubi colme di pioggia, quando l'esercito nemico giunse ai piedi della valle, pronto ad assaltare la Capitale. La luce rossa¬stra dell'alba filtrava tra le nuvole grigie, illuminando i volti degli inva¬sori e rendendo i loro occhi pozze di pura tenebra.
Il demone a capo di quella spaventosa armata aveva tratti somatici tipici degli elfi, ma presentava notevoli differenze da ciò che un tempo era stato. I suoi capelli corti biondo platino, la pelle grigiastra e gli occhi neri privi di pupilla, erano aspetti inequivocabili di ciò che ormai era diventato. Sorrise divertito nel vedere la fiacca resistenza che gli umani avevano imbastito contro di lui. I suoi denti, più aguzzi del normale, brillarono alla luce rossa dell'alba, rendendo la sua figura ancora più inquietante. Quando parlò, la sua voce, profonda e agghiacciante, tuonò nell'aria e si espanse come un'eco in tutta la valle, giungendo perfino alle orecchie dei soldati di Darten, immobili da ore in attesa dello scontro.
- La vittoria è ormai alle porte. Conquistando Darten, porremo fine a questa patetica resistenza e il mio impero avrà finalmente inizio! -
Il suo esercito ululò di gioia, bramando l'imminente massacro come un assetato desidera una goccia d'acqua. Un ghigno soddisfatto si allargò sul volto del demone, che già pregustava il suo trionfo.
Nell'ultima battaglia aveva risvegliato l'odio che le razze provavano l'una per l'altra e la loro insulsa alleanza si era dissolta come fumo nel vento. Gli umani sarebbero stati i primi a cadere, e poi sarebbe toccato agli altri. Li avrebbe presi tutti, uno alla volta, senza fretta, gustandosi ogni loro momento di dolore. Elfi, ylidir e fate. Tutti sarebbero stati sottomessi al suo volere. Tutti. Eccitato si leccò le labbra prima di dare inizio a quello che, ne era certo, sarebbe stato un sublime massacro. Il suo ordine echeggiò prepotente nell'aria.
- Attaccate! -
Le truppe demoniache si scagliarono con folle entusiasmo verso la loro preda che, impotente, non poteva far altro che guardare con ter-rore la loro rapida avanzata. Quando demoni e cerburei si trovarono a distanza di freccia, in tutta la roccaforte risuonò un unico grido.
- Caricare. Scoccare! -
Il sibilo delle frecce echeggiò nell'aria e il cielo fu oscurato dall'enorme numero di dardi. Uno stormo di uccelli con becchi di ferro pronti a investire con la loro furia il nemico. I demoni avanzavano senza indugio, eccitati al pensiero di poter spegnere così tante vite in una volta sola. Non fermarono la loro feroce avanzata nemmeno quan¬do le frecce scoccate dai difensori abbatterono tutta la loro prima linea. Calpestavano i caduti senza battere ciglio, concentrati solo sul loro obiettivo.
La risposta demoniaca a quel primo attacco non si fece attendere: gli arcieri nemici si misero in posizione e i primi dardi infuocati furono scoccati; le catapulte vennero azionate e i primi massi fecero il loro ingresso nella battaglia. I soldati di Darten si concessero un breve sor-riso nel vedere che nessuna delle armi nemiche riusciva a colpire le mura, ma sia frecce che massi si polverizzavano a qualche metro dai merli e dalla porta, merito della magia elfica. Le torri d'assedio e gli arieti dei demoni furono distrutti con successo dai difensori, rallen-tando, anche se di poco, l'avanzata del nemico.
Non tutti avevano preso parte a quella battaglia. Alcuni demoni erano rimasti al fianco del loro Re, in attesa che le porte cadessero. Osservavano lo scontro impassibili e immobili come statue di cera. Tutti tranne uno, che, invece, non riusciva a celare la sua impazienza. Il demone assottigliò lo sguardo, irritato dall'insuccesso dei suoi compa¬gni, e il rosso delle sue iridi prive di pupille sembrò farsi più intenso. Infastidito incrociò le braccia al petto, rivolgendosi al suo Imperatore.
- Le frecce non raggiungono i soldati e i massi scagliati dalle cata-pulte non colpiscono le mura. Non riusciamo ad abbattere i can¬celli - . Schioccò la mascella seccato. - L'esercito non riesce ad avvicinarsi. Di questo passo ci vorrà tutto il giorno - .
Zerek osservò i soldati umani mentre scampavano alle sue armi e sorrise divertito.
- Non essere impaziente, Amon. Sono protetti dagli elfi, ma non im¬porta - . Un ghigno deformò il suo volto. - Non reggeranno ancora a lungo e, quando gli elfi saranno esausti, abbatteremo le porte di Darten e la città-fortezza sarà mia! -
Amon non aggiunse altro ma si limitò ad annuire alle parole del suo Re, riportando l'attenzione sullo scontro.

Il sole, ormai alto nel cielo, filtrava fioco tra le nubi sempre più nere, quando gli incantesimi di protezione iniziarono ad affievolirsi da ambo le parti. Il comandante Travis aveva appena eliminato un cerbureo che era riuscito ad avvicinarsi alle mura, piantandogli una freccia dritta nell'occhio sinistro, quando un giovane messaggero era giunto di corsa dalla torre vicina.
- Signore! Gli elfi sono allo stremo delle forze, alcuni sono già a terra privi di sensi. Presto rimarremo senza protezione magica! - Il ra-gazzo esitò un istante prima di aggiungere: - le porte cadranno! -
Il comandante guardò con orrore l'immenso numero di mostri ancora in vita. Decine di migliaia! Era sempre stato consapevole che alla fine sarebbero stati sconfitti, tutti loro lo sapevano bene, i demoni erano maggiori di numero, ma aveva creduto che la loro resistenza sarebbe durata più di mezza giornata.
Qualcosa di inaspettato attirò la sua attenzione, riaccendendo la speranza nel suo cuore. Un guaritore delle ombre, distinguibile dagli altri demoni per il cappuccio e la lunga tunica nera bordata di rosso, che queste creature erano solite indossare, si accasciò a terra. Negli istanti che seguirono, molti demoni e cerburei in quella zona caddero, sfiancati o morti. Non c'era più nessuno a guarire le loro ferite e rifor-nire i loro corpi di energia oscura. Il comandante si concesse un breve sorriso prima di rivolgersi al messaggero.
- Comunica a tutti i plotoni di concentrare gli attacchi nelle zone dove manca il guaritore d'ombre! Anche loro sono allo stremo. Corri! -
- Sissignore! - Assentì l'uomo prima di congedarsi in fretta.
- Arcieri! - Chiamò rivolgendosi al suo drappello. L'euforia per quella nuova scoperta lo aveva ricaricato di energia. - Mi¬rate ai demoni privi di protezione da parte dei loro stregoni! -
- Sissignore! - Risposero i soldati come una sola voce.
Tutti gli uomini sulle mura scoccarono le loro frecce e più di cento nemici caddero trafitti. Una nuova ondata di speranza si diffuse lungo le mura del castello. Forse non tutto era perduto.

Le cose non si stavano mettendo come Zerek aveva previsto. Quella città sarebbe caduta nelle sue mani, questo era certo, e gli umani avreb¬bero pagato cara la loro insolenza, ma ci stavano mettendo troppo a sottometterli. Il suo volto era una maschera di ghiaccio che non lasciava trapelare alcuna emozione, ma la sua voce tradì l'ira che in quel mo¬mento gli faceva ribollire il sangue.
- Attaccate i cancelli! Abbatteteli! Se non volete diventare cibo per vermi! -
Demoni e cerburei attaccarono con rinnovato vigore le porte della città. Le catapulte vennero caricate più in fretta, le torri d'assedio fu-rono ricostruite e i guaritori d'ombra rimpiazzati. La minaccia aveva sortito l'effetto desiderato e l'assedio era ricominciato più feroce di pri¬ma.

Il comandante Travis osservava con crescente inquietudine la battaglia. I massi scagliati dalle catapulte demoniache raggiungevano ormai la cinta muraria, provocando i primi morti nelle loro fila; i guaritori d'ombra erano spuntati come funghi a ogni angolo, sostituendo chi non era più in grado di combattere. Soltanto le torri d'assedio erano state distrutte con successo dai difensori. Inorridì nel vedere un ariete, trasportato da otto grossi cerburei, abbattere la sua furia sulle porte della città. Nemmeno l'olio bollente, lasciato colare dai soldati da sopra le mura, aveva fermato quelle maledette creature. Era scivolato loro addosso come fosse acqua piovana.
Anche dentro la fortezza la situazione non era delle migliori. Tra gli elfi a difesa delle porte soltanto uno era ancora in piedi, ma dietro di lui si stavano già ammassando i soldati scesi dalle mura e pronti per lo scontro diretto. Il comandante imprecò. Le porte avrebbero ceduto. Dovevano prepararsi al dilagare dell'orda demoniaca all'interno. Rasse¬gnato, ordinò ai suoi uomini di abbandonare la posizione e di raggiun¬gere i compagni in difesa dell'entrata. Li stava mandando a morire, ne era consapevole, ma non c'era niente altro che potessero fare. La speranza aveva spento la sua fiamma, lasciandoli in balia del buio della disperazione.
A mandare nel panico i soldati fu l'abbandono degli elfi. Scesero dalle torri portando i loro compagni svenuti. Il loro leader, un elfo dalla pelle candida come la neve e i capelli dorati, richiamò l'attenzione del compagno rimasto a difendere i portali che, raccolti gli elfi privi di sensi ai suoi piedi, raggiunse il resto del gruppo. L'elfo dai capelli dorati par¬lò. La sua voce, melodiosa e carica di tristezza, contribuì ad aumentare il terrore dei soldati.
- Le forze ci hanno abbandonato. Ci ritiriamo dalla battaglia lascian¬do nelle vostre mani il destino di Irtemal - .
Nello stesso istante in cui l'elfo terminò la frase, le porte della città caddero e gli invasori, guidati dal loro Re, fecero irruzione nel castello. La folle eccitazione sul volto del demone a capo di quell'orda fece rabbrividire tutti i presenti.
- Catturate gli elfi! - Ordinò con voce stridula.
I suoi sottoposti si scagliarono come un branco di belve feroci contro di loro, ma furono troppo lenti. Gli elfi rimasti alzarono le mani al cielo e gridarono una parola nella loro lingua, incomprensibile per le orecchie umane. Un fascio di luce bianca li avvolse e in un istante sva¬nirono nel nulla.
Il sorriso scomparve dal volto di Zerek, lasciando il posto all'ira. Gridò di rabbia. Un suono terrificante, immondo, che fece breccia nel cuore dei soldati aumentando il loro terrore.
- Uccideteli tutti! Non fate prigionieri! -
In pochi istanti, demoni e cerburei invasero la fortezza, spronati dalle parole del loro Imperatore e, in un tempo ancora minore, riusci-rono ad avere il sopravvento sulle difese della città.
Uno dopo l'altro i soldati di Darten caddero sotto le lame, gli artigli e le maledizioni nemiche. Il comandante Travis era uno dei pochi che riusciva ancora a tenere testa alla ferocia degli invasori, nonostante le numerose ferite riportate durante lo scontro e la freccia conficcata nella gamba destra, che rallentavano i suoi movimenti. Intorno a lui le cose andavano di male in peggio: i soldati del suo plotone morivano uno do¬po l'altro. Giovani vite stroncate dalla crudeltà di quella guerra che coronava il sogno di onnipotenza di un pazzo. I demoni mutilavano e trafiggevano i corpi di quegli uomini come fossero fatti di burro, mentre i cerburei azzannavano e dilaniavano la carne di ogni nemico, guidati dall'eccitazione che il sapore del sangue provocava loro.
Con tutte le sue forze trafisse dritto al petto una di quelle immonde creature, intenta a squarciare il ventre di un soldato. L'elmo dell'uomo si era aperto nell'urto con il terreno e, con un tuffo al cuore, il comandante lo riconobbe: colui che, entusiasta, aveva portato la notizia dell'arrivo degli elfi. Un ragazzino che era dovuto crescere troppo in fretta, costretto a combattere in una guerra dall'esito già scritto. Se fosse sopravvissuto, Travis non avrebbe mai dimenticato quegli occhi azzurri in cui qualche ora prima aveva letto speranza, ormai privi della luce della vita.
Una risata glaciale echeggiò tra le mura della città, interrompendo per alcuni istanti la sanguinosa battaglia. L'attenzione di tutti si foca-lizzò nella direzione da dove era giunto quel terribile suono. Il coman-dante Travis rabbrividì davanti a quello che vide, e gli sembrò che il battito del suo cuore si fermasse per un momento. Zerek era uscito dall'interno del castello facendosi largo tra i suoi sottoposti, accompa-gnato da quattro cerburei che trasportavano un enorme blocco di ghiaccio. Il giovane re di Darten era stato bloccato all'interno di quel ghiaccio infernale, prigioniero in un sonno che l'avrebbe intrappolato in eterno.
- Il vostro amato Re è nelle mie mani! Deponete le armi, la vostra insulsa resistenza non ha alcun senso. Arrendetevi ora e vi farò dono di una morte veloce - .
Senza più un briciolo di speranza a nutrire il loro spirito, i pochi soldati rimasti si lasciarono sopraffare dalla paura. Il massacro riprese. Il comandante Travis sgozzò, con le sue ultime energie, un demone appena prima che questi lo trafiggesse con la sua lama. Fu dopo quell'ultimo attacco che le forze lo abbandonarono e anche lui cadde a terra sfinito. Non vedeva più la battaglia, non sentiva più le urla o l'odore del sangue a impregnargli le narici. Impresso a fuoco nella mente il ricordo del suo Re: un ragazzino intrappolato per sempre in quell'inferno di ghiaccio.
I suoni della battaglia giungevano ormai attutiti alle sue orecchie, come se fosse lontano da quel massacro. La sua mente stava divagando. Stava morendo, ne era consapevole, ma non aveva paura, anzi, ne era felice. Era stanco e voleva soltanto riposare, allontanandosi da quel luogo di dolore e di morte.
La speranza era ormai svanita dal campo di battaglia, quando un dolce canto melodioso irruppe all'interno della fortezza. Non prove-niva da qualcosa o qualcuno, né arrivava da un punto preciso, ma sembrava parte dell'aria stessa, come fosse il vento a cantare. Era questo che si udiva prima di morire? Questa musica era forse il dolce richiamo del regno dei morti? Si chiese Travis con il cuore ormai sereno.
Come se non fossero mai stati in quel luogo impregnato dal sangue, i superstiti scomparvero, lasciandosi alle spalle la Capitale dove ormai regnava sovrana la morte. Ci vollero alcuni istanti prima che Zerek si rendesse conto di cosa fosse accaduto. Il suo grido di rabbia echeggiò nella valle, terrorizzando chiunque avesse avuto la sfortuna di trovarsi a portata di orecchio.

Aurora Vasques

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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