Finalmente è sabato! Mia madre mi sveglia come suo solito per rimettere in ordine la mia stanza e quella di mio fratello Alessandro. Sbuffo ed impreco perché vorrei dormire e riposare almeno i giorni in cui non ho l'impegno della scuola. Ma si sa che con le madri non si discute. E poi non posso far polemica oggi. Domani vorrei davvero uscire con i miei compagni di scuola e non posso rischiare una discussione che poi conoscendomi, porterebbe senz'altro ad una punizione. Mi alzo dopo la terza chiamata, mi infilo una tuta e sistemo le due camere: la mia è un campo di battaglia: abiti ovunque, l'armadio aperto a mostrare un garbuglio di indumenti, i libri ed i cd sono sparsi sulla scrivania, il letto un volgolo di lenzuola e piumone. La stanza di mio fratello, tutto il contrario: abiti piegati e appoggiati sulla sedia, libri impilati da un lato della scrivania e i cd riposti sulla mensola in ordine alfabetico. Mi domando chi abbiano scambiato in culla dei due... Il pomeriggio arriva. Mi sdraio sul letto con gli occhi al soffitto e con le cuffie nelle orecchie, immergendomi in una musica rock che risana un po' il mio costante malumore. Devo ammettere che ultimamente è sempre più frequente. Mi perdo nelle percussioni che mi fanno fremere dentro e nelle parole che mi fanno riflettere. E penso... in realtà, non a qualcosa in particolare. Penso alla famiglia, alla scuola e agli amici. Mi rendo conto che non ho ancora trovato una persona che ha fatto battere il mio cuore. Ultimamente rimugino molto su questa cosa. Mi ossessiona un po'. Simona ha una relazione fissa ormai da due anni e Serena si frequenta con un ragazzo da qualche mese, ed entrambi sembrano così felici e spensierate che spesso mi trovo ad invidiarle. È un'invidia buona la mia, perché sono felice per loro. Sono due amiche, due persone speciali che si meritano il meglio, ma nel frattempo questa situazione mi fa riflettere troppo sul mio stato attuale. Cosa ho di sbagliato in me? Sono in standby... In attesa. Il mio umore si fa ancora più nero. Mi alzo di scatto, metto il giacchetto e prendo le chiavi della mia compagna, scendendo le scale in fretta. Senza dire una parola, esco di casa, mi dirigo in garage. Spalanco il portone con fare aggressivo, con la necessità di dare ai miei occhi un po' di sollievo. E lo trovo subito, appena punto lo sguardo su di lei. Il primo istinto è di accarezzare delicatamente la carena, con la punta delle dita, come l'incontro tra due amanti. Con leggerezza e passione allo stesso tempo. Sento che ho bisogno di questo contatto. La guardo in tutta la sua bellezza. Mi fa palpitare il cuore e mi fa sorridere un po'. Mi trasmette l'adrenalina necessaria e una sintonia che sento solo quando sprofondo in lei. Lei conosce i miei più intimi pensieri ed è l'unica in grado di consolarmi, lei ascolta le mie riflessioni e non giudica, mi culla e mi coccola con le sue potenti e dolci vibrazioni. Monto in sella, stringo le manopole e do via al mio sfogo, guidando come una pazza nelle stradine strette di campagna, senza meta. Mi lascio trasportare dalla folle corsa e mi sento completa. L'adrenalina offusca i miei pensieri neri e mi fa sentire finalmente in pace. Tutto mi scorre accanto con rapidità, i miei capelli vorticano nell'aria, aggrovigliandosi. Guidando penso al giorno più felice della mia vita da adolescente, forse l'unico, quando i miei genitori me l'hanno fatta trovare in garage, per il mio compleanno. È stata una delle uniche emozioni che mi ha fatto venire le lacrime agli occhi; il cuore mi scoppiava dalla contentezza e un sorriso per tutto il giorno è rimasto sulla mia faccia. Forse l'unica volta da molto tempo, in cui i miei genitori mi hanno vista felice davvero. Per mio fratello, è stata un'operazione ardua convincerli ad acquistarmi una moto: secondo mio padre ad una signorina non si addiceva una moto così grande, secondo mamma era una cosa troppo pericolosa per un corpo esile come il mio... ma alla fine Ale ha ottenuto ciò che volevamo. Naturalmente con l'unica clausola di diplomarmi senza bocciare un'altra volta.
Guido finché non sento il bisogno di stendere le gambe. Mi ritrovo in collina e il verde che mi circonda mi avvolge come una coperta e mi rassicura. Penso che nonostante io mi vesta di scuro, il mio colore preferito sia il verde. È quel colore che mi tranquillizza. Il colore della mia moto. Il mio colore. La mia testa è sgombra da ogni cosa. Mi sento leggera adesso e non penso a niente. Percepisco solo gli uccellini cantare e i raggi del sole che mi sbattono sul viso e mi stiepidiscono un po'. Chiudo gli occhi per bearmi di questo benessere momentaneo. Ed è la sensazione più bella. La pace intorno a me, la natura, il silenzio. Tiro giù il cavalletto con un piede e scendo. Mi siedo sul ciglio della strada, incrocio le gambe e sono intenta a godermi il panorama e a deliziarmi ancora un po' di questa pace momentanea, senza pensieri né domande, quando un rombo assordante mi colpisce d'improvviso, mandando all'aria i miei buoni propositi. Mi giro di scatto. Inaspettatamente, una moto nera si ferma e due occhi scuri mi scrutano dalla visiera alzata. - Serve aiuto? - la voce mi giunge ovattata da dietro il casco integrale. Non interrompo lo sguardo e nego solo con la testa. Le parole sembrano non voler uscire. Forse la paura o forse la timidezza, ma non riesco a proferire parola. Vedo solo le sue iridi, non faccio caso ad altro, non ne ho il tempo perché il ragazzo fa un cenno con la testa, ingrana la prima e sparisce, lasciandomi imbambolata a guadare il fanalino posteriore della sua Ducati.
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Come concordato, domenica pomeriggio mi ritrovo con gli altri in centro per fare un giro. I primi ad arrivare in piazzetta, dove ci siamo dati appuntamento siamo io ed Andrea. Mi da un bacio sulla guancia e inaspettatamente mi dà un abbraccio veloce. Lo guardo stupita e un "ciao" forse troppo aggressivo esce dalle mie labbra. Non mi piacciono i contatti, mi irritano. La troppa vicinanaza è qualcosa di cui non sento il bisogno. Sono una ragazza che non ama le smancerie. Non le ho mai sopportate neanche quando ero piccola; se qualcuno mi dava un bacio per il compleanno oppure un parente quando veniva in visita o semplicemente mamma, per darmi il buongiorno, la prima cosa che facevo mi scostavo e mi pulivo la parte toccata, con il dorso della mano. Figuriamoci gli abbracci... Rimanevo impietrita letteralmente. Un pezzo di marmo. Il suo sguardo misto fra l'irritato e l'offeso, mi inchioda ma poi un dolce sorriso rilassa il suo viso. Arrivano anche Simona e Serena e intraprendiamo una discussione su dove trascorrere la giornata. Viene deciso il cinema perché la temperatura inizia ad esser rigida. Naturalmente le due "innamorate" scelgono un film strappalacrime. Inutile opporsi con Simona, con lei si perde in partenza. Sempre. Seguo le ragazze all'interno della sala come un cagnolino, con il capo chino e sbuffando lasciandomi cadere sulla poltroncina di schianto. Andrea mi guarda con un ghigno sulle labbra ed io ricambio con un finto sorriso. - Cami che hai fatto ieri? Sono passata da casa tua, ma non c'eri e tua madre non sapeva dove tu ti fossi cacciata - mi domanda Serena. Tutti gli occhi sono puntati su di me adesso. Ed io come mio solito, alzo lo sguardo al cielo e dico di getto: - Ieri dopo aver pranzato, mi sono buttata un po' sul letto ad ascoltare la musica, ma poi ho sentito la necessità di fare una scorrazzata con la mia moto - . Racconto loro anche del tizio che si è fermato pensando fossi bisognosa di aiuto, accennando un lieve ghigno al ricordo. Vedo Andrea irrigidirsi ed in quel preciso momento la luce si spegne e il film inizia.
Le vacanze Natalizie finalmente arrivano, purtroppo, insieme a una brutta notizia. La più brutta che potesse arrivarmi. Il nonno, una persona fondamentale nella mia vita, si è ammalato gravemente. Il mio nonno. Una figura per me importante, con un meraviglioso carattere e un grande affetto per noi nipoti. Lui colonna portante della famiglia. Colui che definirei il gigante buono. Con i suoi occhi azzurro cielo, e un abbraccio da togliere il fiato. Lui che quando ero bambina, insieme alla nonna, portavano noi nipotini al supermercato e ci facevano riempire il carrello di qualsiasi cosa potesse scaturire i nostri dolci sorrisi spontanei, pieni di felicità e di entusiasmo... Loro che ad ognuno di noi, in separata sede, ripetevano “voglio più bene a te, che a tutto il mondo...” Un amore incondizionato il loro! Un amore di quelli che nemmeno io riesco a spiegare perché non sono genitore, né tanto meno nonna, quindi un amore che realmente non conosco. Ma conosco quel senso di appartenenza che mi dava da piccola e conosco l'emozione che mi dà tutt'ora il solo ricordo! Avverto quella sensazione di esser amata. Di protezione e coccole interminabili. Di baci richiesti e baci rubati, con la sola intenzione di percepire il loro profondo sentimento. E la paura che tutto questo mi mancherà, mi fa annaspare. Il terrore di non provare più tutto questo, fa incrinare qualcosa dentro di me. Mi dedico interamente a lui. Non ci penso perché ne sento il bisogno. Necessito di sapere di aver sfruttato ogni singolo secondo in sua compagnia, di aver ascoltato tutte le sue storielle e averne riso insieme. Ho la necessità di farne tesoro per il futuro e tenerle da parte per i momenti bui, sapere di aver condiviso il più possibile. Quando lui non sarà più al mio fianco voglio ricordarlo così, come lui è... Speciale. Il nonno più speciale del mondo! Passiamo i pomeriggi insieme, facendo delle lunghe passeggiate a braccetto. Ogni giorno lui diventa sempre più debole ed io sempre più isolata dal mondo. Anche se dentro di me sono a pezzi, con lui cerco di apparire tranquilla. Chiacchieriamo e vedo che nonostante sia debilitato è entusiasta della mia compagnia e del tempo che gli dedico. In realtà che dedico ad entrambi. Si, perché sono io che ne ho bisogno. Perché forse ne rimane poco ed io cerco di sfruttarlo. Cerco di fermarlo il tempo. Ma lui scorre inesorabile, come le giornate in compagnia del nonno. E da un giorno all'altro mi ritrovo sola. E cado.
Viola Cinelli
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