Ego Alter - Nella vita di un altro
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Ero di fronte allo specchio e mi guardavo con poco interesse, ormai il mio aspetto fisico mi era indifferente. Per troppo tempo era stato una gabbia che mi aveva condizionato, che mi aveva costretto a vivere una vita non mia.
Anche se ormai non aveva molta importanza, ora che questa maledetta storia stava per finire, mi venne spontaneo domandarmi quando e come in realtà fosse iniziata. Era cominciato tutto quindici mesi due settimane e tre giorni fa o dovevo spingermi molto più indietro nel tempo? Magari una decina di anni prima? Mi appariva tutto così nebuloso e confuso. Decisi di provare a capire...
***
Scesi dal treno di cattivo umore. In una specie di processione, come centinaia di altri pendolari, lentamente uscii dalla Stazione Cadorna delle Ferrovie Nord. Milano mi accolse con una giornata triste e grigia di metà novembre. Una leggerissima nebbia velava la città e le conferiva un aspetto impalpabile ed evanescente.
Non c'era un motivo preciso che giustificasse il mio stato d'animo, eppure un senso di malessere e una inspiegabile frustrazione, quel giorno, mi stavano attanagliando l'animo e nulla sembrava in grado di mitigare tali sensazioni. Avevo sempre pensato che il mese di Novembre fosse il peggior mese dell'anno. Privo di qualsiasi pregio, non aveva le ultime giornate di sole di Ottobre e nemmeno le luci sfavillanti di Natale. Lo giudicavo un mese insulso, di transizione, un periodo incolore che doveva passare in fretta. Non mi ritenevo particolarmente meteoropatico ma questo clima mi disturbava e non facevo nulla per nasconderlo. Se a ciò aggiungiamo che era lunedì mattina il quadro era completo.
Avevo alzato il bavero del cappotto, quasi a proteggermi dal mondo ostile che mi circondava . Camminavo silenzioso a fianco dei miei due amici. Anna e Andrea sembravano non accorgersi del mio cattivo umore o, forse, c'erano abituati e non apparivano turbati dal mio comportamento. L i vedevo conversare piacevolmente. Scrollai le spalle quasi infastidito da tanta loquacità ma non dissi nulla. Non capivo come potessero affrontare la giornata in modo così tranquillo e rilassato. Questo mi irritava. Possibile che in quella pessima mattina fossi l'unico a non accettare passivamente la situazione? Non riuscivo a darmi una risposta soddisfacente. Meglio non farla tanto lunga, gli altri non avrebbero mai capito.
Sapevo che, per fortuna, il tragitto dalla stazione all' Università era abbastanza breve e che questa seccatura sarebbe finita presto. In aula, finalmente, avrei potuto rientrare negli schemi quotidiani e ritrovare una certa normalità. Avrei, finalmente, potuto ricomporre il mio equilibrio. Non ero certo che avrei ascoltato con attenzione la lezione di Diritto Privato, la voce monotona e leggermente cantilenante del professore sarebbe stato un ottimo sottofondo per i miei pensieri. Certo, pensare con tranquillità alle mie cose, astraendomi dal contesto circostante, mi avrebbe fatto bene. Con questa determinazione seguii docilmente i miei amici verso l'aula che ci attendeva per la lezione.
Entrammo, un leggero brusio ci accolse. Diedi una rapida occhiata ai presenti, i soliti visi noti. Scegliemmo un posto, più o meno a metà della fila. Una sistemazione strategica, non troppo in evidenza ma non troppo lontana dal docente. Mi sistemai e preparai un quaderno per prendere degli eventuali appunti. Scambiai un paio di frasi con Anna, per lo più di circostanza.
Dalle finestre vidi che la nebbiolina lentamente si stava diradando. Volsi uno sguardo distratto ai ragazzi che stavano seduti più o meno alla nostra altezza nell'aula. C'era un gruppetto di tre studenti.
Colsi, quasi per caso, lo guardo intenso di uno di questi; sembrava guardare verso di noi. Non ci volli dar peso, quasi nemmeno lo conoscevo.
Ebbi nuovamente l'impressione di essere osservato. Guardai da quella parte e vidi chiaramente che uno dei tre ragazzi salutava con la mano. Aveva un modo strano di farlo. Mi guardai attorno per capire a chi fosse rivolto quel gesto. In quella zona c'eravamo solo noi. Anna e Andrea stavano parlottando tra loro. Sembrava ce l'avesse proprio con me. Mi guardai di nuovo attorno, nessuno gli stava rispondendo. Sempre più perplesso pensa i stesse proprio salutando me. Scrollai la testa per esprimere il mio dubbio. Quello insisteva appoggiato, ora, anche da un suo vicino. L 'altro imperturbabile mi fissava. Nella indifferenza generale, mi persuasi che i loro gesti erano rivolti unicamente a me. Non capivo che diavolo volessero. Non potevo restare tutto il giorno lì a guardare quei tre strani tipi ma non mi era chiaro che cosa fare. Dopo un attimo di riflessione:
- Scusate, avete bisogno di qualcosa? -
- Ma come, non ci saluti nemmeno? -
- Perché? -
- Beh, insomma... Adesso fai anche finta di non conoscerci? -
- Scusate ragazzi, continuo a non capire. Sono mesi che ci incrociamo a lezione ma non abbiamo mai avuto occasione di parlarci. Oggi, è cambiato qualcosa? -
I ragazzi, a loro volta, si guardarono e apparvero perplessi. Un altro intervenne :
- Sabato sera, ci sembra che qualcosa sia successo. Preferisci far finta di non ricordare? -
- Ragazzi, non capisco di che cosa stiate parlando. Non so nemmeno chi siete... -
Nel frattempo Anna, incuriosita dal dialogo si era girata verso di me e mi guardava interrogativa . Le risposi allargando le braccia in un gesto di perplessa impotenza.
Il primo dei ragazzi, con un sorriso beffardo, riprese:
- Ah, allora... Se la mettiamo su questo piano! Prima fai il furbo e poi non ci riconosci . Bravo! -
- Senti spiegati meglio perché io proprio non capisco! -
- Certo che sei un fenomeno! Prima fai lo splendido, freghi la ragazza al nostro amico e poi ti comporti come se non fosse successo nulla. Fai addirittura finta di non conoscerci nemmeno. Hai un bel coraggio! -
Non sapevo che cosa rispondere. Quello che stava dicendo, per me, era assolutamente assurdo. Sabato sera ero stato con i miei soliti amici a Varese, quindi non potevo certo essere stato anche in loro compagnia.
- Vi state sbagliando di grosso. -
- Dai, dai... Falla corta, non hai il coraggio di guardare in faccia il nostro amico, dopo quello che gli hai fatto. Ammettilo. -
- Ma voi siete matti! Completamente matti! Se è uno scherzo, è di pessimo gusto. -
- Vorresti farci credere che sabato sera, a casa della Betty Dordoni, non eri tu? Ti abbiamo visto e bene alla festa. Ti sei anche molto divertito, la sua ex ragazza ne sa qualcosa. -
Sembrava non stessero scherzando, erano convinti di quello che stavano affermando. Per contro io, realmente, a quella festa non c'ero stato. Non riuscivo a immaginare in che modo avrei potuto convincerli della mia estraneità. Stavo per aprire bocca e ribattere in qualche modo le loro accuse quando si intromise Anna:
- Scusate, avete finito di rompere? Questa storia sta diventando stucchevole. Volete lasciare in pace il mio ragazzo? Sabato sera era con me! Quindi non poteva essere dove dite voi! Vi sarete sbagliati. Questione chiusa. Ora lasciateci seguire la lezione che sta per cominciare. Grazie. -
Restammo tutti allibiti, io per primo. Non era vero niente ma in quel momento le sue parole, forse, avrebbero chiuso la questione. Io mandai ad Anna un silenzioso sguardo di sincero ringraziamento.
I tre ragazzi persero la loro baldanza. Questo alibi imprevisto li costrinse a riconsiderare la questione. Per qualche interminabile istante tacquero. Poi, quello che più si era esposto:
- Non so più che cosa dire... Mi spiace. Deve esserci stato un malinteso. -
- E' quello che avevo detto fin dall'inizio. Io, in questa storia, non c'entro nulla. Vi siete sbagliati . Magari era uno che mi somiglia. -
- Evidentemente è così, scusaci. Ci spiace anche per la tua ragazza. Non volevamo crearti problemi ma eravamo convinti che fossi proprio tu. -
- Già, per fortuna c'era lei a chiarire. Vabbè, è andata così. -
Feci un cenno della mano a definitiva chiusura della vicenda. Ricambiarono anche se un certo dubbio sembrava ancora presente nei loro occhi. Si alzarono e andarono a posizionarsi nella parte finale dell'aula. Con la coda dell'occhio li vidi ancora discutere animatamente, probabilmente avevano ancora qualche perplessità. Per fortuna era una faccenda che non mi riguardava.
Mi avvicinai di più ad Anna e bisbigliai:
- Grazie. Il tuo intervento è stato geniale. Ha chiuso una storia assurda, senza di te non so come ne sarei uscito . -
- Tranquillo, solo una donna poteva farla finire, voi uomini siete incasinati per natura. -
- Beh, forse hai ragione, comunque sei stata credibile. Ma come hai fatto a decidere che non avevano ragione? -
- Ti conosco da troppo tempo, quello che raccontavano non potevi essere tu. Sei un bravo ragazzo, un po' imbranato , mai saresti andato a una festa a Milano a fregare la ragazza di uno sconosciuto. -
In quattro parole mi aveva massacrato, un quadro desolante ma concreto.
- Hai ragione, io non ce la faccio a fare cose così; forse è anche per questo che in questo periodo sono single. Quando hai detto che sei la mia ragazza, mi sono sentito lusingato e mi ha fatto piacere vedere la loro faccia. Beh, potremmo sempre pensarci... -
- Beh, adesso, perché una ti da una mano a venir fuori da un pasticcio non è che ti devi sentire in diritto di fare il cascamorto. Siamo sempre stati amici, ecco... -
- Certo, scusa. Non volevo farti innervosire. -
Lei sorrise amabilmente ponendo fine al discorso. Nel frattempo, era entrato il professore. La lezione stava per cominciare, non c'era ulteriore spazio per le chiacchiere, in un certo senso era meglio così.
Mi ritrovai finalmente solo con me stesso per tirare le somme di una mattina cominciata male. Guardavo la figura sfuocata del professore, probabilmente aveva cominciato a parlare. Le parole si perdevano nel vuoto tra me e il resto del mondo.
La situazione appariva assurda. Mi ero trovato in un imbarazzo che non avrei saputo superare se non fosse intervenuta Anna. Mi aveva aiutato ma con le sue parole aveva inferto un forte colpo alla mia labile autostima. Mi chiesi se, effettivamente, fossi così impacciato e sempre a disagio come ero apparso in quella circostanza. Cercai di essere imparziale nella valutazione ma non ero sicuro di esserci riuscito. Il verdetto non era totalmente catastrofico, era prevalsa la mia solita indulgenza nel minimizzare i miei difetti. Che ci potevo fare? Ero fatto così. Non che ne fossi particolarmente soddisfatto ma mi accettavo per quello che ero, magari col tempo sarei potuto migliorare. Che cosa potevo diventare? Un vincente? Uhm... Difficile, mai porre , comunque, limiti alla provvidenza.
Travolto e impastoiato in pensieri contorti non mi resi nemmeno conto di come qualcosa di nuovo e di imprevisto si fosse insinuato nel mio animo. Un 'idea impertinente sbocciò nella mia testa, l'approccio di quei compagni, quasi sconosciuti, mi aveva lasciato una sensazione strana, una specie di orgoglio. M i avevano fatto capire che uno come me poteva essere uno che poteva dar fastidio, che poteva partecipare alle loro feste, che poteva farsi notare e che poteva permettersi di andare a caccia delle ragazze degli altri. Esatto! Io! O per lo meno, una persona che aveva le mie sembianze. Avevo sempre pensato che il mio aspetto fosse molto banale e privo di particolari pregi o attrattiva ma la persona di cui loro stavano parlando non era considerata proprio così. Loro erano convinti che quella persona fossi io. Facendo due ragionamenti, avrei dovuto cominciare a ricredermi e ad approcciare il mondo in modo diverso. Forse avrei dovuto avere più fiducia in me stesso e comportarmi in modo più disinvolto, come quell'altro che affrontava tutto tranquillamente con la mia faccia!
Un simile pensiero mi fece sorridere, ero quasi divertito da quanto la mia mente aveva elaborato in quei minuti.
Mi accorsi che Anna mi stava osservando curiosa, evidentemente non comprendeva il motivo di quel mio cambiamento di umore. Le feci cenno di stare tranquilla, tutto era a posto. Sì, veramente a posto!
Giampaolo Creazza
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