Bergamo è la mia città, ci sono nata e cresciuta, la ritengo un luogo magnifico e bellissimo e per tale motivo ho deciso di ambientarvi questo mio nuovo romanzo. I luoghi geografici citati e i monumenti nominati sono reali, mentre il liceo classico no, è frutto della mia fantasia. Tutti i personaggi presenti nella storia sono inventati e qualsiasi riferimento a persone realmente esistenti è puramente casuale.
Mattia infilò gli ultimi libri nello zaino, lo chiuse e, prima di uscire dalla sua stanza, si ricordò del dizionario di greco. Aveva la verifica quella mattina e non poteva certo dimenticarselo a casa! Che poi, se anche avesse preso un misero sei, cosa alquanto improbabile, non sarebbe cambiato nulla alla sua terribile media. Purtroppo il greco era la sua bestia nera e, se in latino riusciva a barcamenarsi sulla sufficienza, in greco non si schiodava quasi mai dal tre. Non era una questione di studio, non lo era mai stato, perché lui passava pomeriggi interi a ripassare la grammatica, a cercare di memorizzare i verbi irregolari, a fare schemi su schemi, ma, ogni volta in cui si trovava davanti una versione, si bloccava e non sapeva nemmeno da dove partire. Nonostante questo, era arrivato in quarta, ma sempre con la compagnia del debito di greco in estate. E anche per quell'anno sarebbe stato così, perché il secondo trimestre era ormai agli sgoccioli, la scuola quasi finita e un quattro di media era ormai irrecuperabile. Che palle! Un'altra estate a tradurre versioni in compagnia del suo solito professore di ripetizioni, che sembrava Albus Silente per l'età, ma non certo per la simpatia. L'unica cosa positiva di quelle lezioni era l'eccellente limonata fredda che preparava sua moglie! Con questi pensieri in testa, Mattia scese in cucina, diede un bacio a suo padre Giacomo sulla guancia e si versò una tazza di caffè. "Verifica di greco?" chiese l'uomo, alzando un sopracciglio con fare a metà fra l'ironico e il disperato. "Sì..." rispose Mattia, con il tono di voce tipico di un condannato a morte. "Magari andrà bene questa volta..." cercò di rincuorarlo il padre. "Scordatelo, anzi ti conviene contattare già il professor Cortinovis per le ripetizioni di questa estate. Non ho speranze..." "Non essere disfattista come tuo solito! L'anno prossimo è l'ultimo e magari la tua insegnante sarà più misericordiosa!" Mattia scoppiò a ridere al pensiero della parola "misericordia" associata al volto della professoressa Pozzi, una vera e propria arpia! Piccola, magrissima, capelli grigi sempre legati in uno stretto chignon, orecchini simili a lampadari e tacchi a spillo...una specie di befana pronta per andare in discoteca! "No, papà" mormorò Mattia, scuotendo la testa. "Quella donna andrebbe al Polo Sud a piedi pur di darmi il debito e poi alla maturità avrò greco di sicuro, motivo in più per farmi studiare d'estate..." "A proposito di quest'estate..." cominciò a dire Giacomo incerto. "Ti piacerebbe..." "È tardissimo!" lo interruppe Mattia, alzandosi in fretta dalla sedia, dopo aver dato un'occhiata all'ora sul cellulare. "Se non corro come un fulmine perderò il pullman! Scusami, mi racconti stasera!" Giacomo annuì suo malgrado e osservò il figlio precipitarsi come un pazzo fuori dalla porta, con lo zaino in spalla e il dizionario di greco sul punto di cadergli dal braccio. Sorrise e sparecchiò la tavola, mettendo i piatti sporchi nella lavastoviglie. Aprì il frigorifero, per vedere se quella sera sarebbe dovuto passare dal supermercato all'uscita dall'ufficio e scoppiò a ridere da solo. Un unico pomodoro, che aveva visto giorni migliori, faceva bella mostra di sé sul ripiano centrale e per il resto il nulla, il nulla più totale! Fortuna che Mattia si sarebbe fermato a mangiare al McDonald's con gli amici dopo scuola! Giacomo sbuffò e si disse per l'ennesima volta che avrebbe dovuto organizzarsi meglio! Il fatto è che aveva sempre vissuto da solo fino a due anni prima, quando la madre di Mattia era morta per una brutta malattia. Si era trovato così ad iniziare a vivere con un ragazzo di sedici anni, con il quale aveva un bellissimo rapporto, ma con cui non aveva mai trascorso più di una settimana. All'inizio era stato difficile e duro, ma poi gli era venuto naturale, spontaneo e aveva scoperto la piacevolezza di vivere con suo figlio, di avere qualcuno con cui guardare le partite di calcio ed insultare l'arbitro, qualcuno con cui ridere e mangiare una pizza a mezzanotte, qualcuno a cui raccontare della propria giornata, qualcuno da amare incondizionatamente. Mattia non gli aveva mai chiesto in modo specifico come mai fosse finita fra lui e sua madre e si atteneva alla versione che la donna gli aveva fornito. Incompatibilità di carattere e fidanzamento ad un'età troppo giovane. Giacomo aveva scoperto che sarebbe diventato padre a vent'anni, quando aveva appena iniziato a frequentare la facoltà di economia e Marianna, la sua ragazza, era all'ultimo anno di ragioneria. Avevano deciso di tenere il bambino, avevano provato ad andare a vivere insieme non appena era nato, grazie all'aiuto economico dei loro genitori, ma non aveva funzionato. Quando Mattia aveva iniziato a frequentare la scuola materna, avevano preso strade separate, ma erano rimasti in buoni rapporti. Giacomo aveva sempre provveduto economicamente al bambino e gli era stato accanto il più che poteva, finché Marianna non si era ammalata e tutto era cambiato. Ora lui e Mattia vivevano insieme ed erano felici. C'era solo una cosa che Giacomo non aveva mai avuto il coraggio di dire a suo figlio, una cosa personale e difficile da accettare. Giacomo non aveva mai avuto il coraggio di dire a Mattia che fra lui e sua madre era finita perché in fondo non si erano mai davvero amati.
Mattia corse come un pazzo attraverso le vie ancora poco popolate del suo paese e raggiunse la fermata dell'autobus proprio quando quest'ultimo stava svoltando all'incrocio. Tirò un sospiro di sollievo e salì sul mezzo non appena si fermò. Trovò un posto libero e vi si lasciò cadere, stringendo fra le braccia il dizionario di greco. Come faceva ogni mattina, osservò il paesaggio che scorreva fuori dal finestrino e si ritrovò ad amare un po' di più il luogo in cui viveva. Il suo paese non era grandissimo, poco più di tremila abitanti, ma si trovava ad un tiro di schioppo dalla città di Bergamo, dove aveva sede la sua scuola. Mattia non era un tipo troppo sentimentale, ma amava il paesaggio che lo accompagnava ogni mattina e lo sentiva suo, come se fosse parte del suo cuore. La sua scuola, il liceo classico Giacomo Leopardi, si trovava proprio ai piedi di Bergamo Alta e sembrava protetto dalle mura lombardo-venete, che da poco erano state dichiarate patrimonio dell'Unesco. I suoi amici non capivano tutto questo suo amore per le bellezze di Bergamo e a volte lo prendevano bonariamente in giro, ma lui se ne fregava e continuava per la sua strada. Non appena giunse alla fermata della scuola, scese dal pullman e si guardò intorno, cercando la testa rossa ricciuta del suo migliore amico Giuppi. Giuppi era una fusione fra Giuseppe e Ciuppi, nome e cognome del ragazzo più buono, altruista e simpatico che Mattia avesse mai conosciuto. Individuò la sua capigliatura inconfondibile fra un gruppetto di ragazzi e li raggiunse velocemente. "Ciao Mat!" esclamò Giuppi non appena lo vide. "Sei pronto ad un altro glorioso tre con la Pozzi?" "Sei proprio uno stronzo!" intervenne una minuta ragazza bionda. "Grazie, Chiara" disse Mattia. "Comunque Giuppi non ha tutti i torti, non vedo un sei in greco dalla prima verifica del primo anno! Ho già detto a mio padre di contattare il profe da cui vado a ripetizioni tutte le estati!" "Beh, non sarai l'unico a dover sgobbare sui libri" lo rincuorò Mauro, un altro suo compagno di classe. "Io mi becco di sicuro latino e matematica!" "Secondo me la Pozzi dovrebbe trovarsi un tipo con cui uscire" commentò Denise, dark incallita, piena di piercing e catene tintinnanti. "Dì piuttosto che dovrebbe scopare!" si lasciò scappare Giuppi con la sua solita delicatezza. "E con chi? Con Tutankhamon?" sbottò Mattia, suscitando l'ilarità di tutti. La campanella che segnava l'inizio delle lezioni interruppe la loro conversazione e tutti gli studenti si riversarono nella scuola. La verifica di greco, come previsto, fu una disfatta totale. Demostene! Come si faceva ad assegnare Demostene come ultima versione dell'anno? Mattia riuscì a tradurne solo metà e di quella metà non capì nemmeno una parola. Si ritrovò ad inventare verbi e ad aggiungere soggetti a caso e, ad un certo punto, scoppiò quasi a ridere da solo perché ciò che aveva scritto gli sembrava frutto di una mente malata o sotto l'effetto di qualche sostanza tossica. Alla fine della verifica tutti i suoi compagni avevano l'aria di aver appena affrontato un'orda di barbari infuriati e fu con vera gioia che la campanella annunciò l'intervallo. "Allora uscirai con Martina?" gli chiese Giuppi, mentre si infilavano fuori dal bagno. "Può darsi, ma non lo so, non mi prende tanto..." rispose sincero Mattia. Giuppi scosse la testa e alzò gli occhi al cielo. "Secondo me, se vai avanti di questo passo, resterai zitello" commentò. Mattia lo guardò storto e borbottò: "Ma sei sicuro che esista quella parola nel dizionario di italiano?" "No, ma a te calza a pennello!" Mattia lo mandò a quel paese e tornò in classe, non facendo caso alle occhiate che, come al solito, gli venivano rivolte da un buon numero di ragazze della scuola. Mattia era bello, decisamente bello, ma la sua bellezza non era comune, era insieme inconsueta ed esotica. Non era troppo alto, né troppo muscoloso, ma il suo fisico aveva una naturale eleganza e flessuosità, forse dovuta al sangue orientale che gli scorreva nelle vene. Sua madre Marianna, infatti, era di origini vietnamite ed era stata adottata da piccola. Da lei aveva preso anche il colore ambrato della pelle, i lisci capelli corvini e lucidi, che portava un po' lunghi e il taglio allungato degli occhi. Le iridi, però, non erano scure come tutti gli orientali, ma di un verde intenso, eredità di suo padre Giacomo. Mattia era quindi di una bellezza unica, ma lui sembrava non curarsene affatto, perso nei suoi sogni e nelle sue fantasticherie. Giuppi gli diceva sempre che sembrava vivere sulle nuvole, perché forse era vero o forse semplicemente non aveva ancora trovato la persona che gli facesse girare la testa. Nonostante i suoi diciotto anni appena compiuti non aveva nessuna storia alle spalle, se non qualche breve flirt durato un paio di settimane. A Mattia interessavano gli amici, il calcio e l'arte, il resto poteva aspettare.
Mattia pranzò con i suoi amici al McDonald's poco lontano da scuola e affogò i dispiaceri per il disastro della verifica di greco in un enorme Big Mac e in una doppia porzione di patatine. Rientrò a casa poco dopo le tre e si mise subito d'impegno a studiare per l'interrogazione d'inglese che ci sarebbe stata il giorno dopo. Fortuna che la media di quella materia era stabile sul sette! Suo padre Giacomo tornò poco prima delle sei, carico di borse della spesa e Mattia lo aiutò a sistemare gli acquisti, gioendo in cuor suo nel vedere il frigorifero finalmente più popolato. Cenarono con una pasta alla carbonara e una birra a testa e poi si sedettero sul divano, come ogni sera, a guardare la televisione. Per un po' nessuno dei due parlò, persi entrambi nelle immagini di uno dei tanti film d'azione che trasmettevano in prima serata, finché Mattia non si ricordò del discorso che suo padre aveva iniziato a fargli qualche ora prima. "Di che cosa mi volevi parlare questa mattina?" gli chiese curioso, azzerando il volume della televisione proprio quando l'eroe di turno stava per liberare la donna di cui era innamorato da un pericoloso criminale. Giacomo deglutì un paio di volte, cercando di riordinare i propri pensieri prima di parlare e rispose con voce non troppo sicura: "Volevo sapere se avevi dei progetti per questa estate o se ti andava di venire con me in un posto..." "Che posto? Parli per enigmi, papà!" Giacomo sorrise per darsi sicurezza e spiegò: "Una mia collega al lavoro ha una casa a Creta, in Grecia e mi ha offerto di andarci per tre settimane a luglio. Potrebbe essere divertente e poi ci sono i resti del labirinto di Cnosso, un bellissimo museo e un mare splendido." “E questa tua collega ti piace?” insinuò Mattia con tono malizioso. Giacomo divenne rosso come un peperone e balbettò: “Senti, non è come credi. Lei è...” “È tutto ok, papà” lo tranquillizzò Mattia, mettendogli una mano sul braccio. “Io sono contento se ti vedi con qualcuno...” Giacomo annuì rincuorato e sorrise, grato di avere un figlio comprensivo e buono. “Sono uscito con lei qualche volta” confessò “ma non ti ho detto nulla, perché non sapevo come si sarebbe evoluta la storia. Adesso, però, sembra diventare seria e ho deciso di parlartene, sperando nella tua approvazione. La vacanza in Grecia sarebbe un'opportunità per conoscerci meglio tutti...” "E la tua collega ha qualche figlio più o meno della mia età?" chiese Mattia, immaginando già una vacanza all'insegna della noia, ma sorridendo per non deludere il padre. "Ha una figlia di venticinque anni" rispose Giacomo, prendendo coraggio. "Lo so che è più grande di te, ma tu ti divertirai di sicuro perché la casa si trova vicino alla città e ci sono un sacco di villaggi turistici, non credo che avrai difficoltà a farti degli amici..." Mattia rifletté un istante. La vacanza non si prospettava certo il massimo della vita, ma non aveva nulla di meglio in programma, dato che i suoi amici non avevano certo soldi da spendere in viaggi e nemmeno lui per quello. Non brillava dalla voglia di passare il tempo con suo padre e la sua amica perché, anche se voleva bene a Giacomo, bramava di stare con i ragazzi della sua età, ma alla fine sorrise e quel sorriso confermò che aveva accettato. "Sono contento!" esultò Giacomo abbracciandolo. "Vedrai che ci divertiremo e che sarà un'esperienza fantastica!" "Speriamo!" borbottò ripensando alla verifica di greco. "Comunque, papà, dovresti proprio farmi il favore di sentire se il professor Cortinovis può darmi ancora ripetizioni. Come ti ho detto stamattina al telefono, oggi è andata peggio di schifo..." Giacomo annuì, gli scompigliò i capelli e prese il cellulare che aveva appoggiato sul tavolino accanto a sé. Cercò nella rubrica il numero dell'insegnante e fece partire la chiamata. Mattia, pur non sentendo ciò che il padre e il professore stavano dicendosi, capì subito che c'erano dei problemi e cominciò ad agitarsi. Quando Giacomo chiuse la comunicazione, i suoi sospetti si rivelarono fondati. "Purtroppo il professore ha avuto gravi problemi di salute durante l'inverno" spiegò l'uomo con calma. "È stato parecchio tempo ricoverato in ospedale e non si è ancora ripreso del tutto. Ha detto che non se la sente più di dare ripetizioni, ma..." "Oh cazzo!" lo interruppe Mattia. "Lasciando perdere il linguaggio" riprese Giacomo lanciandogli un'occhiataccia "mi ha consigliato di rivolgersi ad un suo ex alunno, che sta terminando l'università e che è molto bravo e competente." "Ma io ho bisogno di un professore, non di un universitario!" protestò Mattia. "Sono messo peggio del peggio più assoluto!" "Provaci almeno" insistette suo padre. "Se poi ci accorgiamo che non riesci a capire ne cerchiamo un altro e..." "Papà, a questo punto a me non serve capire. Non ho capito un cazzo in quattro anni e non lo capirò certo in un'estate, nemmeno se facessi ripetizioni con Mago Merlino! Devo solo superare l'esame a settembre e fare una maturità decente l'anno prossimo!" Giacomo alzò le mani in segno di resa e in quel mentre il cellulare squillò segnalando l'arrivo di un messaggio. "È il professor Cortinovis" disse leggendo. "Mi ha mandato il nome e il numero del ragazzo. Dai, facciamo un tentativo?" Mattia sbuffò platealmente e poi accettò suo malgrado. "Come si chiama il tizio?" chiese. "Ulisse" rispose Giacomo con un enorme sorriso. "Il suo nome non può essere che un segno del destino!" Certo, si disse Mattia, la cosa importante però era che lo aiutasse a salvare il salvabile in poche settimane...non avevano certo dieci anni come a Troia, dieci anni prima che al suo omonimo fosse saltato in mente di usare il famoso cavallo di legno! Che poi a lui Ulisse era anche sempre stato sulle palle, rimuginò rimettendo il volume alla televisione. A questo punto, fra vacanza e ripetizioni, l'estate non si preannunciava per niente bella!
Come prevedibile, il voto della verifica di greco si rivelò un drammatico tre e Mattia terminò il suo quarto anno di liceo con la consapevolezza, ormai divenuta sicurezza, che avrebbe passato l'estate in compagnia della sua amata lingua morta e del fantomatico Ulisse. Suo padre l'aveva già contattato nei giorni precedenti e il giovane si era detto disponibilissimo a cominciare le ripetizioni quanto prima. Mattia aveva fatto finta di essere felice, ma dentro di lui rimpiangeva già il vecchio professor Cortinovis, il che era tutto dire! Questo Ulisse gli era già cordialmente antipatico e non era da lui, perché non era tipo da basarsi sulle prime impressioni, fatto sta però che questa volta il suo istinto gli diceva che le lezioni con lui sarebbero state davvero un peso colossale. Visse il conto alla rovescia dei giorni che lo separavano dalla prima ripetizione come un condannato a morte spunta sul muro il tempo che gli rimane prima della sua esecuzione e, giunto il pomeriggio fatidico, uscì di casa con un'espressione così cupa che chiunque l'avesse visto avrebbe pensato che gli fosse successo qualcosa di grave ed irreparabile. Ulisse viveva, da quanto gli aveva raccontato suo padre, in un appartamentino alla periferia di Bergamo, facilmente raggiungibile con il pullman, dato che lui non aveva ancora preso la patente.
Ci arrivò in una ventina di minuti e si stupì di trovare lo stabile in cui Ulisse abitava piacevolmente decadente, con uno stile a metà fra il vecchio e il volutamente antico. Cercò sul citofono il nome "Ulisse Galimberti", suonò e rimase in attesa. Gli rispose una piacevole e roca voce giovanile che, una volta saputo chi fosse, lo invitò a salire fino al terzo piano. Mattia prese le scale invece dell'ascensore, giusto per fare un po' di moto e arrivò davanti alla porta che gli era stata indicata, trovandola già aperta. La occupava un giovane più o meno della sua altezza, con ricci capelli biondi e profondi occhi scuri, contornati da occhiali cerchiati da una leggera montatura d'oro. Abbigliamento informale, leggero sorriso sulle labbra...forse non era così male come aveva pensato. "Ciao, sono Mattia" disse subito allungando una mano per presentarsi. "Ciao, Ulisse, prego, accomodati" ribatté il giovane stringendola ed invitandolo ad entrare. Mattia si avviò lungo uno stretto corridoio con le pareti piene di fotografie che ritraevano i paesaggi più disparati e sempre lo stesso bellissimo Labrador nero. "È il tuo cane?" chiese, senza pensarci troppo. "Era il mio cane" precisò Ulisse. "È morto tre mesi fa di vecchiaia." "Mi dispiace" sussurrò Mattia. "Io non ho mai avuto un cane, ma posso capire come ci si sente quando si perde qualcuno a cui si vuole bene". "Grazie" disse semplicemente Ulisse, guidandolo verso una porta che si apriva sulla sinistra. Il locale in cui entrarono era indubbiamente il salotto e Mattia lo capì dal divano color crema e dalla televisione al plasma appesa ad una parete. Su un lato c'era una grande libreria stipata di volumi e sul tavolo al centro riconobbe subito il tanto odiato dizionario di greco, attorniato da tre o quattro eserciziari e grammatiche. Non riuscì a trattenere un sospiro di frustrazione e Ulisse si voltò subito ad osservarlo con un sorriso ironico dipinto sul volto. "Odi il greco con tutto te stesso, immagino" considerò. "No, non è che lo odio" ammise Mattia sollevando le spalle. "Diciamo che più che altro non ci capiamo a vicenda!" Ulisse scoppiò a ridere e lo fece accomodare al tavolo. Nelle due ore successive parlarono del programma svolto da Mattia durante l'ultimo anno e delle difficoltà che incontrava a tradurre. Per avvalorare quanto aveva ammesso, il ragazzo gli fece vedere le fotocopie di alcune sue verifiche e Ulisse le osservò attentamente e per lunghi minuti. "Da quello che posso capire" spiegò lentamente "i tuoi problemi risalgono a quanto hai fatto nei primi due anni. Sbagli le strutture, i verbi e non riesci nemmeno a trovare sul dizionario i giusti significati delle parole". "Hai perfettamente ragione" confermò Mattia. "Nella parte di letteratura studio come un dannato e riesco ad arrivare al sette, ma di più la mia professoressa non mi dà, proprio per il disastro che faccio allo scritto". "Sarò sincero con te" commentò Ulisse, guardandolo negli occhi. "Non riuscirai mai a diventare un traduttore perfetto, perché ormai sei in quarta e non si possono recuperare quattro anni in tre mesi. Cercheremo di salvare il salvabile e di farti sostenere un esame decente a settembre, va bene?" Mattia annuì, confortato da quelle parole e segnò sul telefono il loro prossimo appuntamento. Ulisse gli assegnò una versione da tradurre, invitandolo a non copiare da internet e lo accompagnò sulla porta, stringendogli nuovamente la mano. Prima di uscire, Mattia intravide, da una porta socchiusa, quella che doveva essere la camera da letto del suo nuovo professore. Accanto ad una poltroncina bianca, c'era ancora la cuccia del suo cane, con due peluches malconci e una pallina gialla al suo interno. Quegli oggetti gli fecero venire le lacrime agli occhi e si commosse al pensiero del legame che aveva unito Ulisse con il suo Labrador. Istintivamente pensò a sua madre e al suo maglione rosso che indossava di nascosto quando era particolarmente triste. Si asciugò gli occhi di nascosto e corse via in fretta, non volendo mostrare i sentimenti che riempivano il suo cuore.
Plinio Cupido
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