Persia 331 a.C.
Non era ancora spuntata l'alba, quando Alessandro, rivestito con la sua armatura lucente da combattimento, passò in rassegna le truppe, in groppa al suo fidato cavallo Bucefalo.
Il volto era fiero, il portamento regale e gli occhi fiammeggiavano per la brama di combattere.
"Uomini!" gridò. “Finalmente gli dei hanno esaudito i nostri desideri e, per la prima volta da quando siamo arrivati in Asia, fronteggeremo l'esercito persiano e la sua guida, il Gran Re Dario! Ci ha sorpresi alle spalle e le sue truppe tendono agguati alle nostre retrovie, ma è tutto inutile per lui! Crede che sia possibile, per il grosso del suo esercito, avanzare lungo la costa e progetta di schiacciarci contro le montagne che abbiamo alle spalle, ma sta compiendo un unico, grande sbaglio. Dario confida troppo nella sua superiorità numerica e sul fatto che noi, come stupidi, staremo qui ad aspettarlo... Ed invece no! Noi gli andremo incontro, lo sorprenderemo in un luogo stretto, quando le sue truppe non avranno agilità di movimento e lo batteremo! Possiamo solo vincere, altrimenti, saremo annientati! Non avremo un'altra possibilità, tenetelo a mente. Ricordate, inoltre, che il Gran Re è sempre al centro del suo schieramento... Se riusciremo ad ucciderlo o a prenderlo prigioniero, avremo vinto la guerra!"
I soldati lanciarono verso il cielo il loro grido di battaglia e molti iniziarono a battere le lance sugli scudi.
Alessandro spronò in avanti Bucefalo e il cavallo avanzò maestosamente fra i cavalieri, che subito lo seguirono.
Dietro di loro risuonò il passo ritmico e pesante della falange, mescolato al rumore di centinaia e centinaia di zoccoli.
L'esercito di Dario apparve alla loro vista verso mezzogiorno, disposto su un vasto fronte a nord del fiume Piramos.
Erano almeno duecentomila guerrieri, schierati in ordine di battaglia su varie file e protetti da imponenti carri da guerra armati di falci, che sporgevano appuntite dalle ruote.
Alessandro fissò il centro dello schieramento nemico alla disperata ricerca del carro di Dario, ma uno dei suoi generali, Kimon, gli si avvicinò e gli disse in tono concitato:
"Alessandro, guarda! I Persiani ci aggirano sulla destra!"
Il re macedone si girò verso le colline e notò che un gruppo di cavalieri stava scendendo a tutta velocità dalle alture con l'intenzione di circondarli.
Alessandro diede allora il segnale all'esercito e quello si mise in moto, fanteria e cavalleria insieme.
La riva del fiume Piramos era vicina e loro dovevano raggiungerla!
Secondo quanto detto dagli esploratori, il fiume non era profondo, ma era gonfio di acqua fangosa in seguito alle piogge dei giorni precedenti e andava guadato con cautela.
Alessandro alzò la mano e le trombe suonarono il segnale di attacco.
La falange abbassò le sarisse e caricò, la cavalleria sulla sinistra si lanciò al galoppo ed Alessandro spronò i suoi Eteri.
I soldati entrarono nel fiume e cominciarono a risalire verso la riva destra, ma si trovarono di fronte i soldati persiani.
Il terreno fangoso e scivoloso rallentò la loro avanzata e disgregò lo schieramento macedone, lasciando ampi varchi al nemico.
La battaglia scoppiò ed infuriò per ore, con i Persiani che mandavano avanti truppe sempre fresche dalle loro inesauribili riserve.
La situazione era incerta e l'esito dello scontro sempre in bilico.
Note
La falange macedone era una particolare formazione dell'esercito di Alessandro Magno ed era costituita da fanti, armati pesantemente. La sarissa era una lancia, lunga fra i cinque e i sette metri, che portavano i Pezeteri, soldati che componevano il cuore della falange. Gli Eteri erano “i compagni del re” e formavano la cavalleria armata pesantemente.
Ad un certo punto, un gruppo di scudieri guidato da Efestione riuscì ad infilarsi alle spalle della fanteria nemica, ad isolarla dal resto dello schieramento persiano e a spezzarne la compattezza.
I fanti, quindi, cominciarono a cedere e a disperdersi.
Allora gli scudieri si disposero sui lati, la falange si ricompattò, abbassò le sarisse e avanzò verso il fronte dei diecimila Immortali di Dario, che avanzavano con un ritmo incalzante, con le lance puntate in avanti.
I soldati della falange macedone si gettarono contro di loro di corsa, ma gli Immortali non si spaventarono ed attaccarono a loro volta, con grande vigore.
I due schieramenti cozzarono quindi uno contro l'altro, simili ad un mare in tempesta battuto da venti impetuosi.
Quando il sole cominciava ormai a tramontare, la cavalleria guidata da Kimon riuscì finalmente a prevalere sulle truppe persiane e poté aiutare i reparti di fanteria impegnati in un duro corpo a corpo.
Alessandro, esaltato dalla battaglia, si accorse che il carro da guerra di Dario era ormai a meno di cento piedi di distanza e questo moltiplicò a dismisura le sue energie, tanto che si aprì la strada, abbattendo uno dopo l'altro, a colpi di spada, tutti quelli che cercavano di fermarlo.
Ad un certo punto, il sovrano macedone si trovò di fronte al suo avversario e i due re, per un istante, si fissarono negli occhi.
Alessandro però, proprio quando stava per attaccare, sentì un dolore terribile alla coscia e vide che una freccia gli si era conficcata, di lato, poco sopra al ginocchio.
Strinse i denti e la strappò, chiuse gli occhi, cercando di tenere a bada il dolore, ma, quando li riaprì, Dario non c'era più.
Lanciò un grido di frustrazione, si strappò un lembo del mantello, si fasciò la coscia e si lanciò all'inseguimento del re, tallonato dai compagni.
La corsa dietro Dario si protrasse per ore.
Il carro reale a volte appariva in lontananza, per poi sparire di nuovo nascosto dalla fitta vegetazione che copriva le cime dei colli.
Ad un tratto però, dietro ad una curva della strada, Alessandro ed i suoi compagni dovettero fermarsi, perché si trovarono di fronte, abbandonata, la quadriga di Dario.
Il carro sembrava essere stato lasciato in fretta e furia, tanto che la veste del re pendeva dall'orlo e la faretra d'oro, la lancia e l'arco giacevano sul fondo.
"È inutile proseguire" osservò Kimon. “Ormai è buio e Dario starà fuggendo sicuramente con un cavallo che qualcuno gli ha fornito: non lo prenderemo mai...."
"E in più tu sei ferito..." aggiunse Efestione, guardando la coscia insanguinata di Alessandro.
"Torniamo, allora, in effetti gli dei ci hanno già concesso molto in questo giorno" disse il re macedone.
Note Gli Immortali erano la guardia imperiale del re Dario.
L'esercito macedone si mosse il giorno dopo verso oriente, tenendo sulla sinistra i monti dell'Armenia e sulla destra il deserto.
Percorse sei tappe di cinque parasanghe ciascuna e, dopo due giorni di marcia, attraversò il fiume Araxes, in Siria, addentrandosi in un territorio quasi privo di vegetazione.
I Macedoni incontrarono ogni tanto gruppi di macilenti asini selvatici e di gazzelle, che sembravano aver perso l'orientamento ed essersi allontanate troppo dal loro branco.
Non videro mai alcun essere umano nel corso del cammino, a parte un paio di carovane che venivano dall'India con un carico di spezie e stoffe preziose e che si accamparono di notte a notevole distanza dall'armata.
Al tramonto del sesto giorno di viaggio, arrivarono sulle sponde del fiume Tigri.
La luce del sole era ancora sufficiente per poter vedere che non c'era nessuno dall'altra parte del corso d'acqua.
Non c'erano segni di bivacchi, né resti di fuochi accesi, sembrava che nessun essere umano si fosse fermato lì dalla notte dei tempi.
Non tirava un alito di vento e il caldo era afoso ed opprimente.
Alessandro diede ordine di accamparsi e, in breve tempo, l'accampamento macedone sorse sulla riva del fiume.
Il generale Kimon, dato che aveva notizie da riferire, marciò risoluto verso la tenda del re.
"L'esercito di Dario si trova a circa cinque parasanghe da qui” riferì una volta entrato. “Gli esploratori hanno detto che è disposto sulla strada che porta a Babilonia, non lontano da un villaggio che si chiama Gaugamela."
“Si trova solo ad una giornata di cammino?” chiese Alessandro pensieroso. “È strano, avrebbe potuto bloccarci qui, sulla sponda del fiume e fermarci chissà per quanto tempo..."
"Già” rispose Kimon. “Sembra che lo faccia apposta! Però avrai notato com'è il terreno, sia da questa, sia dall'altra parte del Tigri...”
"Irregolare, con buche e sassoso..." spiegò Alessandro, iniziando a sorridere.
"Appunto. Non adatto per i carri falcati persiani!” disse Kimon, sorridendo a sua volta. “Dario ci aspetta sicuramente su un terreno perfettamente piatto. Avrà fatto riempire le buche e spianare le dune in modo che i carri possano raggiungere la massima velocità..."
"Deduzione perfetta, amico mio. Comunque c'è un lato positivo in tutto ciò, ci siamo potuti rifornire nei villaggi e ora potremo passare il Tigri senza problemi. Grazie Kimon, sei sempre prezioso....” disse Alessandro, addentando una mela.
"Il fatto è che sono unico ed inimitabile, mio re. Sono sempre stato il migliore e decisamente più bravo di te a scuola, questo è il punto!" aggiunse Kimon, infilandosi fuori dalla tenda e sentendo la risata di Alessandro accompagnarlo nella sua uscita.
Il giorno dopo, attraversato il fiume senza problemi, il re tenne un consiglio di guerra.
Era il tramonto e ormai i due eserciti erano così vicini che, da un capo all'altro della vasta spianata di Gaugamela, le sentinelle macedoni potevano udire i richiami di quelle persiane.
Note La Parasanga è un'antica misura lineare usata in Medio Oriente. Non esiste una vera e propria corrispondenza con il sistema metrico che utilizziamo noi, comunque dovrebbe equivalere a circa 5 o 6 chilometri. I Carri Falcati erano dei carri tipici dell'esercito persiano. Avevano lame taglienti sui mozzi delle ruote e sulle sponde, quindi, quando passavano, facevano letteralmente a pezzi il nemico.
Al calar della notte si accese una lucerna nella tenda di Alessandro e cominciarono ad arrivare, uno dopo l'altro, i compagni e i generali dell'alto comando: Kimon, Koinos, Meleagro, Parmenione, Clito ed Efestione.
Tutti salutarono il re e lo baciarono sulla guancia, poi si radunarono, in piedi, attorno al tavolo su cui alcuni ufficiali avevano disegnato lo schema della strategia di battaglia.
I reparti di fanteria e di cavalleria erano rappresentati da pedine di diverso colore, rosse per la fanteria, blu per la cavalleria.
Alessandro, che zoppicava lievemente a causa della ferita alla coscia, per fortuna solo superficiale, espose dettagliatamente il suo piano, dopodiché chiese se qualcuno avesse domande da porgli.
"Una" disse Efestione. “Perché accettiamo il combattimento su un terreno scelto dagli avversari?"
Alessandro sembrò incerto se rispondere o no, poi gli si avvicinò e lo guardò dritto negli occhi verdi.
"Sai quante fortezze sono sparse nell'impero di Dario da qui alle montagne del Paropamiso? Sai quanti passi e città fortificate dovremmo superare? Diventeremmo vecchi in uno sforzo inutile e sfiancante e il nostro esercito sarebbe decimato. Dario ha escogitato un piano proprio per attirarci in quel posto ed annientarci. Io ho finto di avere abboccato, ma lui non sa che ho deciso di mia volontà e che all'ultimo momento lo batterò comunque!"
"Su questo non ho dubbi" mormorò Efestione, sorridendo e venendo subito imitato dal re macedone.
Dopo che ebbero preso gli ultimi accordi, i generali uscirono dalla tenda, uno per volta, ad eccezione di Efestione, che, come al solito, dormiva insieme ad Alessandro.
Kimon si diresse alla sua tenda, salutò le sentinelle poste all'ingresso e ne varcò la soglia, togliendosi subito l'armatura e deponendola con cura in un angolo.
Con una semplice tunica si sdraiò sul letto da campo e lasciò vagare i suoi pensieri.
Rifletté su come si sarebbe potuta svolgere la battaglia il giorno dopo e su quali sarebbero state le mosse di Alessandro, in caso di vittoria.
E poi, come al solito, pensò a quello che avrebbe potuto fare una volta finita la guerra.
Si sarebbe trovato ricco, più ricco di quanto già non fosse e, nello stesso tempo, solo, tremendamente solo.
I suoi compagni di armi avevano una famiglia, una moglie, dei figli, genitori, fratelli, lui, invece, era solo, completamente solo.
Aveva perso i genitori quando era soltanto un bambino e l'unico fratello qualche anno dopo, tutti per malattia.
Aveva degli amici, quelli sì, ma non potevano essere definiti simili ad una famiglia.
Giorno dopo giorno, invidiava sempre di più Alessandro ed Efestione, il cui amore aveva visto crescere e consolidarsi fin dai tempi della scuola, che avevano frequentato insieme.
Si amavano davvero e lui avrebbe dato qualsiasi cosa per avere accanto a sé qualcuno che gli volesse bene nello stesso modo in cui se ne volevano i suoi due amici.
Non era per il sesso, dato che poteva avere chiunque volesse, ma era per vincere la solitudine, per l'affetto, per l'amore.
Desiderava qualcuno che lo ascoltasse parlare, che gli facesse compagnia nei momenti di solitudine e che lo confortasse in quelli bui e difficili.
Era consapevole, però, che chiedeva veramente troppo...
Non era bello come Alessandro ed Efestione, era solo un tipico uomo macedone senza troppe pretese.
Era alto, quello sì, muscoloso al punto giusto, ma il suo viso era comune, senza nulla di particolare e la cicatrice che gli attraversava una guancia non aiutava di certo a creare armonia nei lineamenti.
Aveva occhi belli, quello glielo si poteva concedere, occhi di un blu profondo, scuro, simile al colore di un mare in tempesta, ma nulla più.
Ai ragazzi non piacevano i tipi come lui, di questo si era convinto nel corso degli anni e nessuno riusciva a fargli cambiare idea, nemmeno Alessandro ed Efestione.
Scoppiò a ridere da solo nel silenzio della tenda e si disse che sarebbe stato meglio pensare alla battaglia del giorno dopo e non ai problemi sentimentali.
In fondo era un soldato, un generale e combattere gli riusciva dannatamente bene.
Forte di questa convinzione, cedette alla stanchezza e si addormentò.
Note
Il Paropamiso è una catena montuosa asiatica.
Plinio Cupido
Biblioteca
|
Acquista
|
Preferenze
|
Contatto
|
|