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Autore: Lucia Santucci
Un amore così
Narrativa
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Un amore così
Anna viaggiava nella felicità totale, quella che fornisce ali poderose e trasporta ovunque si desideri andare. Quella gioia che ha in sé la sicurezza di un futuro radioso e che a nessun pensiero estraneo è permesso entrare.
Tutto era pronto per la festa del suo compleanno: il 20 agosto. Il padre si era offerto di mettere a sua disposizione il giardino di casa. L'aveva aiutata a liberare gli spazi e a posizionare alcuni tavoli con qualche panca. La gioia di Anna fu completa quando vide William e capì che sarebbe rimasto anche dopo averle dato il regalo. La musica, i regali, la torta e poi la serata si sarebbe conclusa al mare. Era un'organizzazione perfetta.
Ed erano proprio al mare quando, come in un castello di carta, quel mondo cominciò a sgretolarsi.
Fabio era entrato in un mutismo di ghiaccio. Anna all'inizio pensò che si trattasse di stanchezza o che qualcosa l'avesse infastidito, forse la presenza di William. Ma sarebbe stato da sciocchi credere che lui non ci sarebbe stato, tanto più che la festa si doveva svolgere proprio a casa sua.
Allora cominciò a considerare che si trattasse dell'esuberanza di Vanessa dalla quale, nell'ultimo periodo cercava di tenersi alla larga. Poi, dietro la sua insistenza di sapere che cosa lo turbasse, lui si alzò, si ripulì i pantaloni dalla sabbia e dichiarò che se ne sarebbe andato.
Salutò tutti con garbo, come se fosse la cosa più naturale del mondo abbandonare a metà la festa di compleanno della propria ragazza. Risalì le dune con tutta calma. Anna dapprima rimase a guardarlo incredula che potesse realmente lasciarla lì in quel modo, poi, vedendo che lui procedeva senza voltarsi, lo seguì salendo di corsa le dune e, raggiungendolo prima che attraversasse la strada per entrare nel parcheggio, gli urlò:
- Vuoi dirmi che cavolo è successo? - Faticava a respirare a causa dell'affanno.
- Ne parliamo domani - rispose lui mettendo in moto. - Tanto, sicuramente troverai un passaggio per tornare a casa. - Rimase a guardarlo incapace di dire o fare qualsiasi cosa. Le braccia abbandonate lungo il corpo e lo sguardo fisso sul motore che accelerando rumorosamente s'immetteva sulla strada.
La festa declinò immediatamente. William, che aveva seguito tutta la scena, evitò di dire qualsiasi cosa. L'aiutò a portare a termine quella serata assurda, diventata una specie di agonia per lei. Agli altri fu detto che Fabio non si sentiva bene e che aveva preferito tornare a casa un po' prima.
Era arrabbiata con lui, non poteva credere che le avesse fatto questo. S'impose di non chiamarlo, di aspettare che fosse lui a farlo, se non altro per scusarsi: era il suo compleanno e aveva avuto il potere di rovinare tutto. La mattina dopo non lo sentì. Ogni ora che passava distillava nuove gocce di ansia dentro di lei. Resistette fino al tardo pomeriggio quando, non potendo contenere più la preoccupazione, lo chiamò al cellulare. Non ebbe risposta. Lui la richiamò la sera dopo cena, quando l'attesa l'aveva ormai fiaccata e avrebbe fatto di tutto per un suo contatto. Era in camera e quando la sua immagine apparve sul display, ebbe l'effetto di un paracadute che si apre poco prima dell'impatto. Rispose immediatamente.
- Posso sapere che cosa ti è preso? - chiese senza nemmeno salutare. Non le piacque il tono di voce strozzata che le era uscito dalla gola. Cercò di calmarsi. - Hai idea di come mi sia sentita e di come mi senta ora? Non hai risposto nemmeno alle mie telefonate. - Le sfuggì un singhiozzo. - Non si fa così. -
- Dobbiamo parlare. Seriamente - rispose lui.
Non alzò la voce, non vi era nessun segno di rimprovero nel suo tono. Sembrava che avesse preso coscienza di qualcosa e che gliela dovesse comunicare con una rassegnazione e una serenità che la allarmarono. Dietro a quella frase vi intravvedeva già una decisione presa, dalla quale non si poteva tornare indietro.
- Ci vediamo domani alle sei - le disse. Fece una pausa. - Andiamo al mare, così possiamo parlare. -
- Alle sei? -
- Sì, alle diciotto. - Non diceva mai le ‘sei' invece delle diciotto. Ma Anna in quel momento riuscì solo a pensare che non ce l'avrebbe fatta a resistere fino al pomeriggio del giorno dopo.
- Perché non prima? - tentò.
- No, domani alle diciotto. -
La notte fu terribilmente lunga e le ore della mattina sembravano moltiplicare ogni minuto per mille. Quando il pomeriggio arrivò Fabio, Anna era in apnea. Si fece trovare già pronta sulla bicicletta. Ormai l'agonia era diventata talmente opprimente da non poter resistere un minuto di più tra quelle mura.
La prima cosa che notò fu che lui la salutò con un semplice ciao, sfiorandola appena con lo sguardo e non le si avvicinò per baciarla come faceva di solito. La seconda fu che si avviò senza aspettarla e senza mai girarsi. Percorsero lo stradone della pista ciclabile in silenzio, lui davanti e lei dietro. Solo in alcuni punti si trovarono uno accanto all'altro, ma sempre ognuno immerso nei propri pensieri. Fu il tragitto più lungo della sua vita, percorso quasi in trance, nell'attesa di una sentenza assurda che il suo animo percepiva come già ricevuta.
Quella sensazione di fine imminente le attanagliava i muscoli del corpo, rendendo faticoso ogni movimento. La situazione non migliorò una volta arrivati in spiaggia. Il silenzio comunicativo che spesso li univa, in quel caso aveva la freddezza del ghiaccio, di un muro invalicabile. Più volte lei provò a parlare, provò anche a sorridergli, ma lui non rispose. Lo vide più volte ingoiare un magone e aprire la bocca per dire qualcosa, per poi sfumare in un gesto di sconforto.
- Mi stai facendo spaventare! - urlò lei a un tratto, non riuscendo più a contenere l'angoscia. - Mi vuoi dire che diavolo c'è che non va? -
Lui era in piedi sulla riva, l'acqua gli lambiva i piedi nudi per poi ritirarsi quasi furtivamente. I suoi occhi erano fissi sulle piccole onde schiumose che nel loro retrocedere lentamente si dissolvevano. Era perso in quel mondo liquido come se volesse farne parte, attraverso una sorta di fusione.
- Fabio, che c'è che non va? - Insistette lei scandendo le parole. Lui si girò e la fissò. Conosceva quell'espressione, riconosceva l'angoscia che traspariva in ogni particella della sua pelle. Trattenne il respiro mentre si costringeva ad aspettare con pazienza. Nel frattempo analizzò cosa potesse aver fatto per farlo soffrire così tanto. Pensò anche che c'entrasse la sua malattia, magari non era vero che tutto fosse così a posto, come le diceva sempre lui. Ma le aveva giurato che glielo avrebbe detto se si fosse verificato questa possibilità, e lei gli credeva. Comunque c'era qualcosa di grave che presto l'avrebbe colpita in modo devastante, come un'esplosione. Lo sentiva.
- Vorrei da parte tua più sincerità e serietà - disse con voce rauca lui. Aveva sollevato lo sguardo su di lei mentre pronunciava quelle parole. Anna pensò per un attimo di aver capito male. Sincerità e serietà?! Ma di che diavolo la stava accusando? Sentì il sangue defluire sul collo e poi raggiungere il viso, come risucchiato da una calamita.
- Non riesco a capire a che cosa ti riferisci. - La voce era uscita a fatica dalla gola, ebbe la sensazione che non fosse nemmeno la sua e che non fosse arrivata alle orecchie di Fabio. Quindi ripeté la frase più volte e con più energia: - Ma di che cosa stai parlando? - Lo sguardo di Fabio era stanco e disperato, tanto che il cuore di Anna si strinse in un pugno.
- Lo sai perfettamente. -
- No, non lo so! - urlò lei.
- William - .
- William? Che c'entra William adesso? -
- È nella tua vita più di quanto ci sia io. -
- Lui c'è in un modo diverso, è un amico, un fratello per me! - Fabio continuò a fissarla e dall'espressione Anna comprese che non le stava credendo e non avrebbe creduto a qualsiasi altra affermazione avesse fatto, per confermare quello che aveva appena asserito.
- William per me è come un fratello; è un amico! Come puoi pensare che ci sia qualcosa tra noi? - ripeté abbassando la voce e pronunciando ogni parola lentamente. Penetrò quello sguardo alla disperata ricerca del ragazzo che amava e pensò che se non avesse fatto qualcosa lo avrebbe perso. Sapeva che con lui non si discuteva, non c'era questa possibilità. In quel silenzio prolungato gli ultrasuoni assordavano, penetravano nell'animo e lo incidevano inesorabilmente, innescandovi una nuova realtà, quella alla quale lui aveva deciso di credere.
- Non riesco a capire perché non vuoi credermi. Questa è mancanza di fiducia. - Anna ebbe la sensazione di deglutire veleno, quello che stava dando inizio alla demolizione del suo mondo fatato e l'avrebbe fatta ripiombare nell'oscurità più profonda.
- Cosa ti fa pensare che ci sia qualcosa tra me e William? -
- Anna non ti sto incolpando di nulla, soltanto mi sto rendendo conto che... -
- Che cosa? Che non mi ami più? -
- Tu non puoi nemmeno immaginare quanto io ti ami. -
Fabio disse quella frase d'istinto, quasi fosse sfuggita a un controllo serrato che si era imposto. Spostò subito lo sguardo dagli occhi di Anna al mare.
- E allora? - lo sollecitò lei.
- I tuoi occhi, il tuo modo di reagire quando arriva lui, quando lui se ne va. La tua agitazione quando non lo vedi da qualche giorno, sei pensierosa, guardi spesso il cellulare... -
- Ma è assurdo! Stai dicendo una sciocchezza dietro l'altra. Io credo che tu stia cercando il pretesto per chiudere con me. - La voce le tremava e la nebbia cominciava a invadere il suo cervello come una coltre compatta, determinata, con la quale non si poteva arrivare a patti.
- Se ti sei stancato di me, se hai scoperto di non amarmi più, devi dirmelo. Devi essere tu onesto e serio con me e dirmelo. Non cercare altrove cause che non esistono. -
Lui le prese il volto tra le mani e lo avvicinò al suo, tanto da sentirne il calore. Per istinto Anna socchiuse le labbra e chiuse gli occhi, aspettando un bacio che mettesse fine a quel supplizio. Per un attimo ebbe la sensazione che uno spiraglio di luce stesse cercando di riconsegnarle una piccola speranza. Ma Fabio la trattenne solo pochi secondi, quel tanto da percepire il suo tremore mentre le diceva: - Tu non puoi nemmeno immaginare... Non puoi immaginare che cosa sei per me. -
Il cuore di Anna batteva all'impazzata e una sete dei suoi baci le arse la gola.
Ma Fabio lentamente l'allontanò da sé e lei si sentì scaraventare nel luogo più freddo dell'universo.
- Io amo te e non lui, è te che voglio, sei tu la mia vita.
Non ti rendi conto di quanto io ti ami? -
- Io invece credo che tu non ti renda conto di quanto ami lui. -
- Ma che diavolo dici? Se amassi lui non sarei così disperata a sentirti dire che... Vuoi chiudere con me? Vuoi lasciarmi? -
Anna sentì la voce di Fabio rimbombare come in un'eco che si perdeva nel rumore delle onde, fino a essere inghiottita. Non sentì le parole che seguirono, vide solo il movimento delle labbra senza raccoglierne il suono. Poi lo vide allontanarsi, risalire la duna deserta e sparire.
Rimase attonita, come un mucchietto di cristalli rotti gettati lì sulla spiaggia, in attesa che l'onda, un po' alla volta, li avvolgesse e se li portasse via. Il tempo evaporò nella sua coscienza e quando risalì le dune, come fossero montagne, e sbucò sulla strada dove aveva lasciato la bicicletta, era quasi l'imbrunire.
Percorse il tragitto dal mare fino a casa in una disperazione priva di ogni tipo di sostegno, singhiozzando fino ad accusare dolori al petto.
Passarono giorni senza che Fabio si facesse vivo e lei viveva come se aleggiasse senza riuscire a toccare terra, né a respirare. Aspettava. Non sapeva che cosa, ma aspettava. Aveva detto: non puoi nemmeno immaginare quanto io ti ami. E questa era la frase a cui si aggrappava con tutte le sue forze, quando la disperazione le negava la speranza. Ma allora perché cavolo se ne era andato e non si era più fatto sentire? Non si fa mica così! Che ne sa lui di chi io ami e chi no! E poi... sparire così...!

Lucia Santucci

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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