Sii spietato ma affascinante Sii astuto ma simpatico Sii paziente ma solerte Sii gentile ma letale. Don Juan Matus
La donna è movimento, l'uomo, fermo immagine. Grazia Capone
Riconoscimento Non si poteva dormire in quella casa. Mi affacciavo accaldata e seminuda dalla finestra e mi sarebbe piaciuto vedere scendere gocce di pioggia rinfrescanti, invece si alzava una terribile afa notturna, fumante sulla strada ancora rovente. Era d' agosto. 1987. Si soffocava. Incessantemente e senza tregua, automobili, moto ed autoarticolati transitavano senza alcuna interruzione. Decine e decine di mezzi motorizzati che strombazzavano, arrancavano, fumavano. Passavo le notti in bianco. Mi sarei abituata sì, ma poco a poco. Erano le 10 di sera. Ero da sola nella stanza, senza telefono nella mia camera, senza cellulare, senza computer, proprio un altro mondo. Libri tutti intorno a me: Yoga, Tantra, Astrologia, Arroyo, Barbault, Poesia. Telepatia e veicolo eterico di Madame Blavatsky . Tutto vivo in un grande calderone. Io scrivevo dalla mattina alla sera. Avevo un solo mondo, il mio. Tutto il resto mi era inutile. Volevo solo ampliare la mia coscienza. I libri di Carlos Castaneda, erano tra i miei preferiti. Don Juan era una figura di riferimento. Me l'ero scelta a mia misura. Non avevo fortuna in amore, questo era logico, ero di un altro mondo, non mi riconoscevo con nessuno. Avevo inoltre seppellito il mio cuore molti anni prima, in una vita segreta. Ero sulla terra per vivere di pensiero ed ideali. E avrei realizzato il mio fine. Lui aveva occhi verdi ed un sorriso obliquo, come obliquo era il suo mondo. Suonava male e cantava con una certa anima, un certo pathos. Ma certo, il talento lo perdi quando non sei circondato dalla giusta energia e lui si accompagnava solo con larve. Sarei sempre stata molto sensibile al suono delle voci e in seguito, molto fortunata, a vivere con una voce bellissima accanto. Ma, a quel tempo, mi ritrovavo in mezzo ad anime misere. (Io) ero una nuvola viaggiante. No, non appartenevo a nessuno. Ero un vegetale con un bagliore di sole nel gambo. Vivevo in una terra di mezzo, dentro l'anima. Mi bastava la mia poesia interiore: un mondo completamente avverso a quello esterno che mi era nemico. Conoscevo il mio tema natale, avevo visto quella Luna che mi rifletteva nel vuoto e poi tutta quella luce, quanto bagliore, quanto sole, nel mio nome segreto che era Flares, fiamma solare. Il mio soprannome, conosciuto da tutti, al contrario, era il mio doppio, l'ombra: “Smokey”. Cenere. Come Cenerentola che risplende solo nella vita notturna, circondata da maghi e presenze benefiche. Gli altri non vedevano la mia luce, non potevano, semplicemente. Anzi alla fine io riflettevo, priva di ego come sempre sono stata, come uno specchio, tutte le porte karmiche. Ero un portale dove il karma familiare poteva penetrare e brillare, formando brecce urticanti, soprattutto nel mio cuore. Sempre e per sempre. Ascoltavo musica. Claudio Rocchi, Doors, Traffic, i Renaissance, Battiato. Già, Battiato. Quel pomeriggio ero stata da Ennio. Da lui e dai suoi tarocchi che sapeva leggere alla perfezione. Mi guardava in un modo inconfondibile, gli piacevo e molto, ma certamente io non me ne rendevo conto. Ero tutta da nascere ancora, ero non-nata. il mio primo amore, il ragazzo di Hamas, mi diceva, con la sua voce melliflua e mediorientale, : “Io non voglio una donna che si deve ancora fare, io voglio una donna fatta”. Lo avrei visto anni dopo, in mezzo ad un paio di Ferrari, opere d'arte costose, case prestigiose. Di certo voleva apparire come un essere raffinato. Ma, davvero, più freddo del ghiaccio. Con il senno di poi avrei preferito mille volte, la casa più misera, piuttosto che accompagnarlo in cene dove l'anima è un sacco brillante, elegante e vuoto. Avevo conosciuto la perversione, avevo conosciuto il gelo. Io ero carta bianca. Dovevo farne esperienza. La stesa dei tarocchi aveva suscitato due lame: Gli Innamorati ed Il Sole. Il Sole, la mia carta, il mio astro guida. Tutto il buio che mi circondava si convertiva in una esplosione interiore. Ennio lesse: ci sarebbe stata una mia opera che avrebbe brillato come una stella nel buio, come brilla il sole, nella coscienza nuda, unendomi (per sempre) ad un essere speciale. Ma, per sempre tutto ciò sarebbe stato taciuto, rubato, ed avrebbe adornato altre vite. Non ci sarebbe stato nulla da fare. Per molte vite, avrei chiesto che la mia poesia nascesse sotto le mie mani. Ma, appena nata essa sarebbe stata da me stessa donata. Come in un dono incessante. Come l'acqua che scorre. La mia opera viva era nata in quella notte di afa. Lo spirito delle dee madri era entrato nel mio cuore di fiamma. Come la spuma da cui nacque Venere, come l'acqua che disseta la terra, nacquero parole d'amore che nutrirono quella porzione di terra. Immagina un cardine chiuso da mille anni: “La dea può aprire ciò che è chiuso, e chiudere ciò che è aperto”. Nacquero quella notte, parole che vennero cantate da tutte le generazioni, dal 1988 ad oggi. Il salto triplo e fortunato nell'abbondanza della creatività. Un grande onore, un grande furto, una ingiustizia che divenne perenne. Quando vidi lui per la prima volta, con me c'erano Venilia e Marcus che erano già amanti, anche se io non lo sapevo. Lui guardò la mia amica Venilia, bellissima. La gonna cortissima le copriva appena le gambe affusolate, con le cosce scure e scattanti di muscoli tesi. I suoi occhi bistrati sapevano di ardori muti. Lo sguardo era quello ardente di una sirena. Indubbiamente poteva essere notata anche da lui che guardò nei suoi occhi con attenzione. Al contrario, io, ai suoi piedi, chiesi il mio riconoscimento. Ero stata io a scrivere le parole di quelle canzoni che lo avevano reso immortale ad ogni strato di persone. Uno tsunami di consensi. Suo, ma anche mio. Come nel peggiore dei mondi lui si offese e mi offese. Penetrò il suo sguardo nel mio, che era deliziato e inconscio. Mi accarezzò con gli occhi, in un profondo ed involontario sussulto irrazionale. Mi guardò nell'anima: vide le mie pupille estatiche dilatate dall'emozione, nessuno mai avrebbe creduto a me, poteva con serenità offendermi e negare. Lo spazio era protetto. Non vi erano pericoli di sorta. Poi, si riprese. Con moto di fastidio, il divo mi offese con grande facilità. Calcolatore, cinico, maschio e potente. “Tu vaneggi” Così incisa, quella frase, da scorticare ogni certezza. Il reale ridotto a zero. L'attenzione di chiunque per sempre mutilata (quante persone, a conoscenza della storia, l'avrebbero negata? Tutte!) Intanto tutto l'amore donato sarebbe arrivato a lui per la via sinistra, perché quella dritta era smarrita. Ancora un altro uomo avrebbe negato l'esistenza di una donna. Ancora un altro uomo, Maestro. Per questa volta, anche tu maestro, avresti negato questo travasamento di linfa. Un omaggio negato al femminile, a me, incredibile, ed immortale. Ovidio disse di Cardea: "Può aprire ciò che è chiuso. Può chiudere ciò che è aperto". Tu, maestro, mi hai insegnato a camminare sul lato verde della strada. Un luogo umido e sacro. Mi hai offerto uno sterminato campo d'azione. Ma eccomi qui, nel destino di ombra che accompagna le figure femminili, in questo mondo, dove Marte ha tutti gli onori. Il tuo insegnamento collide con il tuo comportamento con me. Collide. Stride. Erode ogni ardente passione, maestro. Avrà un costo, tutto ciò, e lo sai. Come una Pizia io ti parlo, mio Flamen Dialis. Sacerdote di Giove, dagli onori sterminati, che non guardi l'umile Flares che brilla nel buio e non vedi l'atomo del suo bagliore sterminato nell'oscurità. Il suo nome sarà nei mille nomi. Nei bagliori di fiamma che accendono i nostri cuori. Il suo riconoscimento è inarrestabile e vicino. Perché ognuno deve tornare. Ognuno ritorni alla sua stella e che ciò sia scontato ed ineludibile Eravamo sedute in cerchio quasi formando una corona di colori. Al centro, Don Juan aveva un aspetto energico e vigoroso. Al suo petto una pietra traslucida di selenite veniva attraversata da raggi di luce e la vedevi palpitare di luce viola, come fosse viva.
Grazia Capone
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