Ethan si svegliò di soprassalto e corse alla finestra.
L'astronave fluttuava placidamente al suo posto.
“Che fortuna” pensò: “Pensa se mi fossi perso l'evento del se-colo!”
Doveva prepararsi bene per quella giornata così importante!
Scelse con cura tutti i suoi vestiti, schierandoli sul suo letto. Sarebbe andato a “conoscere” gli alieni con una bella cami-cia, di quelle sagomate, a righe blu e un paio di pantaloni gri-gi, che si intonavano perfettamente ad un paio di mocassini scamosciati, dello stesso colore della camicia.
Fece colazione velocemente, senza nemmeno prestare atten-zione al televisore acceso davanti a lui, preparò lo zaino e si avviò per uscire.
“Ethan” lo chiamò sua madre
“Si dimmi”
“Esci così? Senza nemmeno salutare?”
“Hai ragione, vieni qui” rispose, cingendola dalle spalle e ab-bracciandola
“Stai attento oggi”
“Perché?”
“Non lo so. Sono inquieta. Per questa storia degli alieni”
“Stai serena mamma”
La baciò, rapidamente, sulla guancia ed aprì la porta di casa.
“Ci vediamo a pranzo” le disse.
Negozi chiusi e strada deserta...
Peccato, si sarebbe fermato, volentieri, a prendere il caffè al bar.
“Ragazzi, oggi niente appello. Adesso segno che siete solo questi” disse il Prof. Pulvirenti, scrivendo sul registro in un'elegante calligrafia da scuola d'altri tempi –“Tutta la clas-se assente, tranne Ethan, Gabriel, Sven, Elia e Julia”- chiuse il registro con uno schiocco, stando bene attento a non piegarne le pagine, e aggiunse: “Oggi, Julia sei beata tra gli uomini!”
“Ma quali uomini, prof.? Ce ne fosse almeno uno!” ribatté ri-dendo la ragazza
“Ragazzi non fate baccano mentre sono via, oggi, verso le un-dici, ci è stato comunicato ufficialmente che sbarcheranno gli alieni, per cui comportatevi bene e non fate fare brutta figura a tutto il pianeta!” “Okay” disse la classe.
Un mazzo di carte da poker fu la prima cosa che uscì dagli zaini, non appena il professore chiuse la porta.
“Poker Texas Hold'Em o Omaha?”
“Vada per quello texano” disse Ethan: “oggi vi farò uscire in mutande da qui”
“L'ultima volta mi sembra che è finita diversamente” disse Elia
“Non rigirare il coltello nella piaga”
“Ma io non so giocare!”
“Pazienza, Julia. Puoi sempre fare la ragazza ponpon” le rispo-se Gabriel, facendole l'occhiolino
“Fanculo” ribatté lei alzando il dito medio: “Sapete che vi di-co? Me ne vado in un'altra classe, che almeno mi diverto un po' '”
“Okay, ciao, ma non farti scoprire dal prof”.
15 partite e 6 € in meno dopo, gli altoparlanti della scuola ri-suonarono con la voce del vice-preside.
“Studenti, professori e personale, siete tutti invitati ad uscire fuori nel cortile antistante la scuola perché, fra circa una de-cina di minuti, potremo assistere ad uno degli eventi che se-gneranno la storia di questo millennio. Grazie e buona giorna-ta”.
Julia rientrò di corsa in classe, col respiro affannato, seguita trenta secondi dopo dal professore. “Appena in tempo” sospirò.
“Siete tutti qui, giusto?”
“Si, professore”
“Bene. Lasciate dentro tutto e andiamo in cortile”.
Gabriel afferrò il giubbotto di pelle e lo indossò. Fuori era pur sempre inverno, ormai.
Il cortile dell'istituto era largo, più o meno, come un campo da calcio. Una spianata in cemento armato e asfalto, dove le uniche piante, simbolo della natura, erano le erbacce ai quat-tro angoli del rettangolo.
Una volta, nello spazio fra il cancello principale e l'entrata della scuola, esistevano delle aiuole con i fiori colorati e dei sentieri delimitati da verdi siepi. Si diceva che fosse stato co-struito per essere adibito ad uffici, ma il progetto fosse cam-biato in corso d'opera, diventando, infine, un istituto gestito da ecclesiastici. In seguito era stato acquistato e ristrutturato dal comune, che aveva ritenuto non opportune e economica-mente dispendiose tutte quelle piante, preferendo cementare ed asfaltare tutto. Solitamente, tutto quello spazio veniva riempito solo all'entrata e all'uscita.
Ma oggi era diverso.
Non che il cortile fosse pieno, tutt'altro in verità, ma era cu-rioso vedere delle classi formate da meno di dieci persone, perfettamente schierate come quando si facevano le esercita-zioni antincendio.
L'astronave era immobile. E silenziosa.
I professori chiamarono l'appello e consegnarono gli elenchi degli alunni al preside.
“Vorrei tenere un breve discorso” disse il preside a voce alta, richiamando l'attenzione di tutti e facendo cessare, di colpo, il chiacchiericcio
“Oggi siamo tutti qui, ed abbiamo la fortuna di poter assistere tutti insieme ad un evento che cambierà per sempre il corso della storia. Oggi, come tutti sapete, una specie tecnologica-mente avanzata e pacifica ha deciso di prendere contatto con la nostra. Noi, oggi, siamo gli ambasciatori di questo pianeta, della Terra, e siamo tenuti a far fare bella figura a tutto il pianeta. Ai visitatori leggerò, per suggellare una pace duratu-ra, una poesia del celebre Paulo Coelho – “Apprezza ciò che sei perché tu sei amore, quell'amore che cerchi in ogni cosa e in ogni dove. Accogli ciò che tu sei perché tu sei ciò che cerchi di essere, ciò che tu vuoi essere, tu sei la vita che crea la tua vita. Accetta te stesso, amore del tuo amore, perché tu sei ciò che hai tanto bisogno di essere. Sorridi all'amore che tu ema-ni perché tu sei quell'amore che cerchi in ogni luogo, pace dei tuoi sensi.”
“Si, ed è così che gli alieni scapparono via dalla Terra!” sus-surrò Ethan all'orecchio di Gabriel, rischiando di farsi sentire
Un sorrisetto si allungò sulle sue labbra, facendogli beccare un'occhiataccia dal suo professore
“Concludo dicendo che per quest'evento consegneremo ai vi-sitatori la bandiera, simbolo, della nostra nazione e lo stemma della città” terminò di dire il preside.
Rimasero fermi ad aspettare.
Nulla.
L'astronave era lì. Immobile.
Ma nulla.
In compenso, erano comparsi dei nuvoloni, che non promette-vano nulla di buono.
Una forte folata di vento gelido, colpì, indistintamente, alunni e corpo docenti, facendo intirizzire ben più di un elemento.
Troppo freddo.
“Professore, mi scusi” “Si, Ethan, dimmi”
“Posso rientrare a prendere la giacca?”
“Okay, ma non metterci molto”
“No, no, ci mancherebbe!”
“E posso andare anche io?” chiese Gabriel “E io?”
“E io posso? Ho freddo!”
“Va bene, va bene, basta! Facciamo una cosa. Andate dentro tutti voi! E basta! Resto io qui. Però, vi avverto, state qui da-vanti, perché appena stanno per atterrare dovrete uscire di nuovo!”
“Okay, professore” disse Julia
“Non fatemi fare brutta figura davanti al preside”.
Rientrarono nella scuola, passando dalla porta principale, e tornarono in classe.
Gabriel si avvicinò alla finestra e appiccicò il naso al vetro per controllare fuori.
“Sembrano tanti soldatini” disse, appannando il vetro a qual-che centimetro dal suo viso
“Dai, Julia, sbrigati” la incitò Sven
“Si, si, arrivo!”
“Ma c'era bisogno di truccarsi? Ti sembra che devi fare colpo sugli alieni?”
“Mah... Se ce n'è uno carino...”
“Peccato che non si può avere tutto nella vita!” rispose Ga-briel: “Un vero peccato!” Sven guardò il cellulare. Nessun messaggio. Gli mancava.
“Avete preso tutto?”
“Si, possiamo andare”
“Ragazzi venite”
“Che c'è Gab?”
“L'astronave... Qualcosa si è mosso...”
Ethan, Sven e Julia si avvicinarono alla finestra e strizzarono gli occhi, per cercare di mettere a fuoco i particolari dell'astronave.
“Guardate!” esclamò Ethan: “Si sta aprendo”.
Il ventre della nave iniziò a vibrare e muoversi.
Un disegno a forma di alveare si delineò, e si mosse fino a ri-velarne l'interno.
Buio.
Scuro.
Nel cortile tutti avevano lo sguardo in alto.
Tutti fuori e solo loro dentro.
Che invidia!
Per una decina di secondi non accadde nulla...
Poi...
Qualcosa iniziò a scendere dall'astronave...
Molto lentamente...
“Ma che sono?” chiese Julia
Piccoli dischetti, grandi come monete, stavano cadendo giù...
Ma non in caduta libera...
Sembravano leggerissimi...
O che in qualche modo ne fosse frenata la caduta...
Si posarono lentamente sulle spalle e sui volti di tutti nel corti-le...
Una folata di vento ne spinse una manciata sulla finestra sotto la pensilina da cui guardavano.
Avevano la forma dei cristalli di ghiaccio.
Pieno di ramificazioni.
Ma molto più grande. Era come guardare la neve attraverso un microscopio, l'ingrandimento era lo stesso.
Ma a differenza della neve, non si sciolse a contatto con la fi-nestra ed arrivò a toccare la balaustra del davanzale con un secco “tac”.
Sembrava legno, più che ghiaccio. Almeno dal rumore.
Il cortile si riempì di una coltre di questi strani cristalli e chiunque era fuori si incuriosì, tenendoli in mano e cercando di capire cos'erano.
“Ho un brutto presentimento” disse Ethan
“Dai, usciamo” disse Sven
“Infatti, ci stiamo perdendo l'evento del millennio!” continuò Julia
“No, fermatevi, ho un brutto presentimento” “E quindi?”
“Vi prego, datemi ascolto. Stiamo qui, appena atterrano ci andiamo”
“Sei un fifone!”
“Smettila, Sven” disse Gabriel
“Sento che sta per succedere qualcosa di terribile! E' troppo brutta come sensazione. Datemi ascolto, vi prego!”
“Va bene”
“Dai, stai tranquillo. Rimaniamo qui e appena atterrano an-diamo dal professore”
“Okay, grazie Gab”
“Di nulla”.
I cristalli continuavano a cadere...
Lucidi...
Trasparenti...
Anzi no...
Prima erano assolutamente trasparenti...
Come il vetro...
Ora avevano assunto una tonalità di azzurro molto chiaro...
“Guardate” aveva detto Ethan: “Stanno cambiando colore”
“Ma che dici? Secondo me ti stai solo prendendo di ansia” ri-spose Sven
“No, ha ragione lui. Prima erano completamente trasparenti, adesso sono azzurri”
“Ehi, lo sentite?” chiese Gabriel
“Cosa?”
“Questo sibilo”
Sembrava un fischio lievissimo... Come uno spiffero di vento...
Ma aumentava il volume per ogni secondo che passava...
Lo sentirono tutti... Anche fuori...
Continuava ad aumentare... Sempre di più...
“Aiuto! E' insopportabile!” gridò Sven
Ethan si portò le mani alle orecchie. Cercò di ripararsi dal rumore ma gli entrava nella testa. Penetrava ogni suo singolo pensiero.
Le orecchie gli stavano esplodendo.
Un rivoletto di sangue colò fuori dal padiglione auricolare.
Pensò che stesse per svenire. L'aria gli bruciava nel petto.
Poi tutto cessò...
Senza nessun motivo.
Non s'era nemmeno accorto che, nel frattempo, si era acca-sciato in posizione fetale.
Si alzò e si guardò intorno. Anche i suoi compagni erano crol-lati a terra.
Si asciugò il sangue prima di farlo seccare, incurante di aver sporcato la manica della camicia più bella che aveva.
Dette un'occhiata fuori dalla finestra e stavano cercando di riprendersi anche loro.
L'astronave era immobile...
I cristalli avevano assunto un colore blu elettrico vicino al cen-tro, andando, poi, a sfumare verso il bordo con tonalità dal blu al glicine.
Era incredibile vedere una distesa blu come il mare davanti la scuola.
“Ma che è stato?” chiese Gab, ancora stordito.
L'astronave iniziò a tremare.
Sempre più forte.
Fece vibrare l'aria. Fortissimo.
E poi tutto si quietò...
I cristalli caduti iniziarono a pulsare di blu dal loro cuore...
Sembravano le onde di un mare in tempesta...
Ethan guardò il suo professore prendere in mano uno dei cri-stalli, per guardarlo più da vicino.
E successe qualcosa che nessuno si sarebbe aspettato...
Il cristallo, fino a quel momento, solido, lampeggiò di una luce accecante, si trasformò in vapore e, come spinto da un vento invisibile, si assorbì nel corpo del professore.
Fu preso dagli spasmi...
E cadde a terra...
Immobile...
Morto...
In un attimo, il cortile fu tempestato da flash di luce e nean-che dieci secondi dopo, più di un centinaio fra personale e alunni, nessuno escluso, era riverso per terra...
Morto...
Julia lanciò un gridolino e svenne...
Mentre gli altri si prendevano di panico...
Giuseppe Anastasi
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