Verona – Sabato, 9 settembre 1995. - Forza ragazzi, tra due minuti è il vostro turno. Appena finisce la pubblicità il conduttore vi annuncia e salite sul palco. Non preoccupatevi per gli strumenti, tanto andate in playback. Per qualsiasi necessità avete il gobbo elettronico davanti a voi - . Il tono di Cesare, assistente di studio da una vita e, per l'occasione, assistente di palco, era essenziale e sbrigativo. I tempi tecnici erano serrati e non ci si poteva permettere il lusso di dilungarsi in convenevoli e smancerie. D'altro canto, i Supernova non erano certo alle prime armi e non avevano bisogno di ulteriori consigli. Dopo aver girato in lungo e in largo lo Stivale nelle loro numerose tournée, sapevano benissimo come muoversi sul palcoscenico e conoscevano tutti i trucchi del mestiere. L'Arena, gremita in ogni ordine di posti e illuminata a giorno dai potenti riflettori, urlava contro il cielo affollato di stelle tutta la gioia e l'entusiasmo di un pubblico festante ed eccitato dalla presenza dei più grandi nomi del panorama musicale italiano e internazionale. La serata finale del Top Summer Festival aveva richiamato nella città scaligera oltre quindicimila appassionati provenienti da tutta Italia, mentre diversi milioni seguivano l'evento in diretta nazionale sul piccolo schermo. - In onda! - . Cesare sancì la fine dell'interruzione pubblicitaria e la ripresa della diretta. L'apparizione sul palco dei Supernova fu accolta con un fragoroso boato. Se il vincitore della manifestazione fosse stato decretato in base al gradimento del pubblico presente, la band non avrebbe avuto rivali. Effettivamente, il brano che presentavano in gara stava spopolando dall'inizio dell'estate: era il più trasmesso dalle radio e risultava in testa a tutte le classifiche di vendita. Si trattava, senza ombra di dubbio, del miglior pezzo che avevano inciso nel corso della loro ultradecennale carriera: una canzone trascinante e coinvolgente, un esempio perfetto del loro personalissimo stile, un misto tra pop, rock, new wave e melodia tipicamente italiana. Nonostante il playback, resosi necessario per esigenze televisive, il loro affiatamento sul palco e una certa presenza scenica, dovuta all'esperienza, avevano dato vita a una performance memorabile, scandita da innumerevoli applausi a scena aperta e da un tripudio finale, con tanto di standing ovation. Dovevano ancora esibirsi sette artisti, ma era già chiaro che l'ambito trofeo, un CD dorato incastonato al centro di un'arena stilizzata, non poteva che essere assegnato a loro, anche in base ai risultati ottenuti nelle tappe precedenti del tour. Il fatto che fossero i favoriti per la vittoria finale non li esimeva dal provare una certa trepidazione per l'esito della votazione. Si trattava, pur sempre, della manifestazione canora più importante d'Italia, dopo il Festival di Sanremo, e quel trofeo avrebbe rappresentato il degno coronamento di una stagione straordinariamente felice, culminata con il primo posto in classifica del loro album. L'attesa si divideva tra le quinte e il loro camerino, perfettamente attrezzato e dotato di ogni comfort, compreso un fornitissimo frigobar e un televisore dal quale potevano seguire le fasi finali dello spettacolo. - Riccardo, passami una birra ché sto morendo di sete! - chiese Paolo all'amico. - Non credevo che cantare in playback mettesse tutta questa arsura. Te ne sei già scolate due! - rispose Riccardo con fare ironico. - Sicuramente, si fa più fatica a far finta di cantare che a far finta di suonare una batteria! Passami ‘sta birra e falla finita, Ringo Starr dei poveri! - replicò, scherzosamente, Paolo. Era sempre così tra Paolo, il leader, chitarrista e cantante dei Supernova, e Riccardo, il batterista. Un continuo punzecchiarsi, sfottersi, prendersi amabilmente in giro a vicenda, ma sempre con grande senso dell'umorismo e senza alcuna cattiveria, come si fa tra due amici che si conoscono da una vita. Giorgio, il bassista, se ne stava in disparte, appoggiato sul muro del corridoio che dava sui camerini, con l'aria un po' assente e il suo immancabile bicchiere di scotch in mano. Dei quattro era il più introverso e taciturno, a volte un po' ombroso, anche se sapeva stare allo scherzo e si lasciava andare quando si trovava in buona compagnia, soprattutto in occasione di cene goliardiche tra amici. - Dov'è Gianni? - chiese Riccardo, con aria interrogativa, a Paolo. - Starà pomiciando con qualche ragazzina in calore. Sai com'è fatto il nostro Gianni? Non riesce a tenere a freno l'ormone! - rispose Paolo con una punta di sarcasmo. - Giannetto il pomicione! Ah ah! - ribatté ridendo Riccardo. - Stai attento Riccardo, che se ti sente te le fa ingoiare le tue bacchette! - lo ammonì Paolo, fingendosi serio. In effetti il debole di Gianni, tastierista del gruppo e inguaribile sciupafemmine, che Riccardo si ostinava a chiamare Giannetto nonostante lui non sopportasse quel nomignolo, faceva strage di numerose ammiratrici che, a ogni concerto, si assiepavano nel backstage o intorno ai camerini con la speranza di un autografo o di un innocente quanto indimenticabile bacio. L'ultimo cantante in gara stava per terminare la sua esibizione, quando Gianni rientrò in camerino tutto scarmigliato e con la camicia mezza di fuori dai pantaloni. Il vocione di Cesare risuonò nel corridoio: - Supernova preparatevi: tra cinque minuti dovete salire sul palco! - - Dai ragazzi, ce l'abbiamo fatta! - esclamò ad alta voce Riccardo con il suo entusiasmo contagioso e un po' infantile. Giorgio, finito il suo whisky, rientrò nella stanza, ostentando un raro sorriso a trentadue denti. In due minuti erano già tutti belli e sistemati, pronti a ritirare il prestigioso premio e a concedersi alla folla in delirio e alle telecamere di Canale Quattro. Il tappo dello champagne schizzò con violenza dalla bottiglia e andò a colpire un quadretto, raffigurante l'anfiteatro scaligero illuminato, appeso a una parete del camerino. - Abbiamo fatto colpo sull'Arena, stasera - sentenziò, divertito, Riccardo, scatenando l'ilarità del capannello che, nel frattempo, si era raggruppato intorno ai quattro per festeggiare la meritata vittoria. C'erano i discografici, il loro impresario, alcuni responsabili televisivi e qualche collega cantante. Il trofeo faceva bella mostra di sé su un tavolino, in un angolo della stanza, dopo essere passato di mano in mano per le foto personali, seguite a quelle ufficiali scattate sul palco. L'atmosfera era di grande euforia, tra risate, battute, voglia di scherzare e di divertirsi. Non c'erano invidie né gelosie, anche perché, nell'ambiente discografico, i Supernova non avevano nemici, avendo sempre dimostrato la massima lealtà e correttezza nei confronti di colleghi e addetti ai lavori. Anche questa esperienza era conclusa. L'ennesimo successo di una carriera esemplare stava per essere archiviato. Non rimaneva che radunare le ultime cose e incamminarsi verso l'albergo, a due passi dall'Arena, per regalarsi qualche ora di meritato riposo. - Ragazzi io non vengo, andate voi - annunciò Paolo, a sorpresa. - Ma dove vai a quest'ora, sono quasi le due - rispose Riccardo, stupito dalla decisione dell'amico. - Faccio un salto a Milano, voglio fare un'improvvisata a Valeria - chiarì Paolo. - Sei proprio sicuro? - ribatté Giorgio. - Tranquilli ragazzi, andate a dormire. Ci sentiamo domani - disse il cantante, congedandosi dai suoi amici. - Ciao Paolo, buonanotte - risposero quasi in coro gli altri tre. - Buonanotte a voi e non combinate troppi casini, mi raccomando! - salutò Paolo, dirigendosi verso il suo coupé giallo parcheggiato proprio dietro l'anfiteatro. Capitolo 2 Verona – Domenica, 10 settembre 1995. La notte era ormai fonda quando Riccardo, Gianni e Giorgio riuscirono, finalmente, a trovare un po' di sano e meritato riposo nella grande suite dell'hotel, a pochi passi dall'Arena. Una bella e lunga dormita era quello che ci voleva per smaltire l'euforia procurata dal trionfo nella gara musicale e da qualche bicchierino di troppo. Delle quattro camere a loro disposizione, una, quella destinata a Paolo, era rimasta desolatamente vuota. Il frontman dei Supernova aveva preferito fare armi e bagagli e partire alla volta di Milano per fare una sorpresa a Valeria, la ragazza conosciuta un anno prima alla fine di un concerto e con la quale aveva allacciato una relazione sentimentale. Guidare di notte, in autostrada, con lo stereo a tutto volume, lo rilassava e lo faceva sentire bene. L'asfalto correva veloce sotto il motore potente del coupé giallo e Paolo riusciva, in quei frangenti, a non pensare a nulla e a farsi cullare dalle note sparate dagli altoparlanti dislocati nell'abitacolo. L'unica immagine che gli veniva in mente era il volto, bellissimo, di Valeria e l'espressione di sorpresa che avrebbe assunto nel vederlo arrivare così, di colpo, senza alcun preavviso. D'altra parte, se l'avesse avvertita, non sarebbe stata più una sorpresa. Continuando con quell'andatura e considerando il traffico pressoché inesistente, sarebbe riuscito a coprire i centocinquanta chilometri che dividevano Verona da Milano in poco più di un'ora. La sua storia con Valeria, venticinquenne impiegata in uno studio commerciale, nata per caso sotto un palcoscenico con la complicità della musica dei Supernova, procedeva tra alti e bassi. L'infatuazione iniziale, amplificata dall'alone di notorietà che circondava Paolo, era riuscita, col passare del tempo, a trasformarsi in un sentimento più solido, in una passione autentica, che però veniva continuamente minata e messa in discussione dalla lontananza. La vita da rockstar che Paolo conduceva li teneva lontani e le occasioni per incontrarsi si facevano sempre meno frequenti e sempre più complicate. In alcuni periodi dell'anno, tra concerti, tournée, ospitate televisive e impegni in sala di registrazione, riuscivano a vedersi anche solo una volta al mese e questa situazione stava rischiando di mettere seriamente a repentaglio il loro rapporto. Con il suo stipendio da ragioniera, Valeria riusciva appena a permettersi un bilocale in affitto in zona Bovisa, un appartamento piccolo, ma arredato con gusto, in un edificio di recente costruzione. Si sentiva una giovane donna realizzata e indipendente, con un lavoro che le piaceva e con una situazione sentimentale soddisfacente. Era una ragazza solare e ottimista, che amava la vita, che credeva nell'amore e che confidava molto nel futuro. Il suo sogno era quello di mettere su famiglia con Paolo, un giorno, ma era ancora troppo presto per pensare a queste cose e, per il momento, stava bene così.
Fabio Rosati
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