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Autore: Eleonora Castellani
L'ultima goccia di profumo
Romanzo
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L'ultima goccia di profumo
Il coraggio delle scelte

- Signora Marchi? - La voce della segretaria la ri-portò alla realtà, Marchi era il cognome da nubile di Sophia - Sì, eccomi! - rispose.
- Il Dottore la riceverà tra qualche minuto, si scusa, ma ha un'importante telefonata da fare! - .
- Ci mancherebbe, nessun problema! - . Una strana sensazione la attraversò come un brivido improvviso. Passarono una decina di minuti che le sembrarono eterni, quando finalmente l'interfono suonò, la signorina alzò la cornetta e annuendo rispose. - Va bene dottore, faccio passare la signora Marchi! - .
Un attimo dopo, rivolgendosi a Sophia le disse
- Signora Marchi si può accomodare - e con un sor-riso amichevole aggiunse - in bocca al lupo! - .
Sophia si alzò, si sistemò il suo tailleur, e ostentando sicurezza, si avvicinò alla porta, bussò, e una voce all'interno rispose - Prego venga! - Tirò un lungo respiro, aprì la porta e ... Un profumo intenso l'avvolse, era un profumo che conosceva, che per un lungo tempo l'aveva coccolata e amata, un profumo che la inebriava, e che non aveva mai più sentito, e mentre quel profumo la scuoteva così tanto, il suono di una voce, che avrebbe riconosciuto tra mille, esclamò - Ho sperato con tutto me stesso, che la Signora Marchi annunciata, fossi stata tu! - .

Erano passati esattamente diciannove anni dall'ultima volta che Sophia sentiva quel profumo e ascoltava quella voce. L'aroma era di un raro e costoso profumo francese, deciso, forte, speziato quanto basta per far si che l'uomo che lo usava non passasse inosservato. Conosceva bene quel profumo perché fu ciò che lasciò indelebile nel tempo la sua prima importante “data d'inizio”, e conosceva bene anche quella voce, una voce calda, avvolgente e pacata di un uomo speciale, era la voce di Giacomo Sarti. I due si fissarono per un lungo istante, lei ferma sulla porta, le batteva così forte il cuore, che probabilmente poteva sentirlo anche la segretaria. Lui immobile, in piedi dietro la sua scrivania, la fissava e i suoi occhi neri erano gli stessi di vent'anni prima. Brillavano di una gioia palpabile, respirava velocemente, era sorpreso, incredulo e visibilmente felice, allungò la mano e le disse - Entra, ti prego! - .
Sophia varcò la porta, e la chiuse dietro di se, os-servò a malapena l'ambiente che la circondava. Notò che era un ufficio semplice e molto spartano, e che era ben diverso dagli ambienti che aveva visto fino a quel momento, ma maledettamente preciso, ordinato e pregiato in ogni suo angolo, ma la felicità e l'incredulità che aveva in quel momento erano tali, che spazzato via lo stupore, l'unica cosa che fece, fu andare lentamente verso di lui e abbracciarlo. Rimasero stretti l'una all'altro per diversi minuti, come se, dal loro ultimo abbraccio non fosse passato nemmeno un giorno. Gli occhi neri e profondi di lui, si ritrovarono di nuovo persi in quelli verdi di lei, si fissarono, senza dire nulla per un tempo indefinito. L'uno rivedeva negli occhi dell'altra immagini e momenti che solo loro e i loro silenzi potevano capire. Si staccarono dal loro abbraccio, restarono immobili, mano nella mano a fissarsi. I loro profumi, e i loro battiti s'intrecciavano di nuovo.

Dopo quell'incontro, Sophia, alle tredici era di nuovo davanti alla scuola, se ne stava chiusa in macchina, assorta e frastornata dall'incontro inaspettato. Ripensava a quello che si erano detti. Dopo il lungo abbraccio infatti, il Dott. Sarti, la fece accomodare. Attraverso l'interfono, chiese a Roberta, la ragazza della reception, di non far passare nessun'altro e di portare due caffè. Erano passati diciannove anni dall'ultimo loro incontro, ma sembrava che il tempo non lo avesse nemmeno sfiorato, il suo solito fisico asciutto, il suo solito portamento, la sua eleganza, erano sempre gli stessi, e i suoi occhi scuri erano ancor più penetranti. Aveva sessant'anni, ma non li dimostrava. Rimasero insieme al lungo, si raccontarono un po' le loro vite. Sophia orgogliosamente parlò della famiglia che si era creata, e a quanto ci tenesse. Lui invece raccontò che suo figlio Matteo viveva a Milano fin dal primo anno di università, e che era diventato un bravo Manager. Il matrimonio con sua moglie Livia, invece, era finito proprio l'anno che Matteo si trasferì. Senza più il figlio in casa, che era l'unico collante tra i due, la loro unione era diventata sempre più logora, fino a finire. Sophia gli chiese del suo vecchio lavoro, e lui le spiegò che lo lasciò sei mesi dopo il loro ultimo incontro. Uscì dalla società, perché, dopo tutto ciò che era successo, aveva bisogno di cambiare e di staccarsi da quel luogo, e da ciò che gli ricordava.

Il rumore di qualcuno che picchiettava il finestrino la distolse dai suoi tanti pensieri, era la sua amica Mia.
- Ehi, allora? Com'è andato il colloquio? - . Era troppo curiosa per non chiederle nulla. - Non lo so! - Le rispose, con un tono diverso da quello che aveva la mattina, era come se fosse stanca.
- Non ti senti bene? Sembri stanca. - Le chiese in-fatti Mia.
- Non ho più l'età per fare colloqui di lavoro - le rispose ridendo, cercando di scrollarsi di dosso i troppi ricordi che in quel momento l'assalivano. - Bhe, non mi racconti niente? - Mia, era la persona più curiosa che avesse mai conosciuto, e quello era motivo di battute ironiche continue tra le due. - Ci avrei scommesso che non saresti stata capace di non chiedermi nulla, è più forte di te, è inutile, la
curiosità ti ucciderà! - .
- Ma falla finita! - Le rispose ridendo.
- Hai appuntamenti domani? -
- Nel pomeriggio un paio, la mattina invece sono libera, perché? - .
- Perché domani vengo io, e sai che con me servirà tutta la mattinata. -
- Bene, non potevo chiedere di meglio, così avrai tutto il tempo per raccontarmi. - Le rispose Mia.
Si conoscevano da circa cinque anni, all'inizio solo come mamme delle rispettive figlie, poi con il tempo trovarono delle affinità che le faceva essere buone amiche. Non avevano mai condiviso momenti memorabili da ricordare, ma il tempo aveva permesso loro di fidarsi l'una dell'altra.
Lavorava in un centro estetico, ed era specializzata in nail-art. Da quando la conosceva, non l'aveva mai vista con le mani fuori posto, sempre curate e con unghie impeccabili, cosa che di certo non poteva dire di se stessa. Così quando aveva bisogno di tempo per raccontarsi, quello di curare e smaltare le unghie era il migliore da sfruttare. Era come una seduta terapeutica, di solito l'una tirava fuori quello che le pesava, e l'altra saziava la fame di curiosità. Una curiosità sana, che non usava mai come arma a doppio taglio, ciò che le si raccontava, lei lo costudiva gelosamente, e per questo ci si poteva fidare. Così il giorno dopo, lasciarono le bambine a scuola, e insieme si diressero al centro estetico. Mia, aveva il suo piccolo laboratorio, dove tutto era meticolosamente sistemato. Poteva muoversi anche ad occhi chiusi, perché non c'era mai nulla fuori posto. - Caffè? - Le chiese, prima di iniziare, qualsiasi cosa. - Si grazie, e bello forte, se possibile. - rispose Sophia.
- Insomma mi racconti? Non sono ancora riuscita a capire se questo colloquio è andato bene o male. -
Non poteva più aspettare, e così Sophia iniziò con il raccontarle della mattina prima, di tutto ciò che aveva visto. Del prestigio di quell'immobiliare, della bellezza degli ambienti, dell'acquario nell'atrio, dell'ascensore a vetri, dei dettagli dell'arredamento, e persino della ragazza sfrontata che aveva avuto il colloquio prima di lei.
- Pagherei per lavorare in un posto come quello! - Esclamò Mia, incantata dalla descrizione dell'amica.
- Già, anch'io, fino a ieri. - rispose Sophia sospirando.
- Perché sospiri? Perché fino a ieri? É andato male l'incontro? - Le chiese a raffica.
- No, al contrario, anche fin troppo bene per alcuni aspetti. Il posto è già mio, devo solo decidere se accettarlo o meno. - .
- Sul serio, ma è fantastico! Dov'è il problema? - .
- Il problema è l'amministratore delegato, ovvero la persona che cerca la sua segretaria personale. - .
- Perché? Lasciami indovinare, è uno stronzo! - .
Mia, di certo non era la persona che aveva timore di apostrofare persone o situazioni con termini coloriti.
- Si chiama Giacomo Sarti, lo conoscevo già, e no, non è uno stronzo. - Rispose Sophia sorridendo.
- Giacomo Sarti? Chi è? Come fai a conoscerlo? - .
- Lo vuoi sapere? - .
- Che domande, certo, siamo qui per questo no? Anche i dettagli, voglio sapere. -
- Allora preparati a fare un bel lavoro, perché devo tornare indietro di vent'anni, e ci servirà un bel po' di tempo. - .
E senza tralasciare il minimo particolare, anche perché tutto era nitidamente impresso nella sua mente, Sophia iniziò a raccontare la sua storia.

Eleonora Castellani

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