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Autore: Marta Useli
Figli del tempo
Romanzo
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Figli del tempo
Rouen, 1760.

Le lisce pietre che ricoprivano le strade di Rouen riflettevano i raggi della luna, frammentandoli uno ad uno sulla loro superficie. Come un viale d'argento, una miriade di bagliori iridescenti ricopriva in modo surreale le vie del centro, che lentamente scivolava verso la parte più profonda della notte, avvolto dal silenzio delle botteghe e delle piccole abitazioni sopra di esse.
Solo il suono di alcuni passi interrompeva quella quiete.
Risuonavano sulle pietre, nascosti sotto il lembo del mantello di un uomo che percorreva le strette stradine con passo deciso e veloce.
La solitaria figura conosceva bene quel luogo, muovendosi con certezza nei meandri di case e ciottoli. Attraversò uno stretto arco raggiungendo la piccola piazza principale e qui si fermò, inspirando profondamente.
L'aria era piacevolmente fresca, intrisa di quell'umidità tipica dell'arrivo dell'estate sulle terre aspre e ancora selvagge dell'alta Normandia. Agli occhi dell'uomo era un luogo sempre meraviglioso, quasi un magico composto di terra rurale e maestose distese di mare che lo ammaliavano con la loro bellezza indomabile.
Amata terra ...di luci e di ombre...
Egli amava definire così il luogo in cui era nato, e verso il quale provava un senso di appartenenza e dedizione oltre ogni umana concezione dell'appartenenza stessa. Ogni frammento della sua storia era scritto tra quelle colline dolci e avvolgenti, ogni attimo della sua esistenza, così profondamente vissuta e densa di tutto ciò che la maggior parte delle persone non avrebbe mai sperimentato nelle proprie esistenze. Tutto era impresso in modo indelebile su quelle terre, come un marchio incancellabile, quasi eterno a tratti, in quella che era la percezione di sé stesso e di quei luoghi.
Osservò le opere d'arte che lo circondavano, lasciandosi incantare dal suono della fontana situata sulla base del beffroi, ornata da protagonisti mitologici ed immortali.
Luigi XV aveva fatto quello splendido dono alla città di Rouen in segno della sua benevolenza ed aveva colto l'occasione per simboleggiare sé stesso nelle forme di Cupido in volo sulla ninfa Aretusa ed Alfeo. Il Bìen Aimé, così chiamato nonostante il suo disastroso regno fantasma, possedeva una considerevole passione per la bellezza quanto per le guerre... E gli omicidi di innocenti, quale inevitabile conseguenza di ogni guerra di conquista... Pensò con rabbia.
Un improvviso suono che colpì l'aria lo distolse dalle lugubri riflessioni nelle quali stava per addentrarsi. Il Gros Horloge segnava l'arrivo dell'ora nella quale avrebbe dovuto separarsi dal suo preziosissimo bagaglio, se così poteva definirlo. Aprì un lembo del mantello, controllando che fosse ben saldo sul suo petto e riprese a camminare. Si guardò attorno, accertandosi che nessuno lo avesse seguito e si diresse verso la grande costruzione di cui poteva scorgere il profilo da quella distanza. Coprì con passo veloce gli ultimi metri che lo separavano dalla sua mèta. Sapeva cosa fare ed ogni cosa era andata come progettato. Non vi erano stati né intralci né pericoli di alcun tipo. Sapeva di potersi fidare esclusivamente del proprio istinto. Questo era ciò che gli era stato insegnato molto tempo prima ed egli si era sempre attenuto alla Regola, unica fedele compagna in ogni situazione.
Nel frattempo, il cielo si era oscurato, e i raggi della luna coperti da pesanti nuvole, che presagivano un temporale.
L'uomo salì gli scalini dell'imponente struttura sulla quale incombeva l'antica torre che ne dominava l'ingresso. Con mano sicura e ferma sollevò il pesante maniglione del portone, adorno di figure angeliche, e lo fece risuonare contro il metallo.
...Una
...Due
Tre volte.
Il suo corpo era teso e pronto all'azione, la sua mente lucida. Una mano era stretta sull'elsa della spada ben nascosta sotto le pieghe del mantello, l'altra attorno a ciò che doveva proteggere anche a costo della propria vita.
Passarono lunghi secondi di assoluto silenzio, poi, tre suoni sordi provenienti dall'interno ruppero l'attesa. Era il segnale di riconoscimento concordato, ed in pochi attimi, una flebile lama di luce si fece spazio nell'ombra delle scale.
Una donna minuta ed esile lo invitò ad entrare con un cenno del capo, richiudendo il portone alle loro spalle. L'uomo ispezionò rapidamente con lo sguardo lo spazio attorno a loro e solo dopo essersi accertato che fossero soli, si rilassò impercettibilmente, concentrandosi sulla donna di fronte ai suoi occhi.
Lei lo fissava a sua volta, con un'espressione intimorita e curiosa.
“Seguitemi Paula” - disse l'uomo dirigendosi verso il chiostro. Il suo tono di voce era basso e greve, privo di accenti particolari. La donna trasalì nel sentirgli pronunciare il proprio nome, ma lo seguì senza porre domande. Era ovvio che loro lo conoscessero...loro conoscevano ogni cosa... La donna sentiva il proprio cuore battere pesantemente nel petto. Non aveva paura, semplicemente si sentiva sopraffatta dalla sensazione che provava nel trovarsi così vicino a qualcuno che incarnava ciò in cui credeva ciecamente.
L'uomo raggiunse una panchina, defilata rispetto al centro del chiostro e la invitò a sedersi accanto.
“Sedete sorella, non ho molto tempo da dedicarvi” – le disse notando la sua titubanza. Il tono era gentile, seppur perentorio.
Paula prese posto al suo fianco, sul marmo freddo. Cercò di studiare lo sconosciuto: non c'era molta luce e poté solo scorgere una lunga cicatrice che correva dallo zigomo sinistro fin sotto al mento, pur non turbando l'armoniosità dei suoi lineamenti.
Il cappuccio che ancora indossava, non la aiutava nell'identificare l'età del visitatore, ma i suoi occhi, scuri e penetranti furono la cosa che maggiormente la colpirono.
L'uomo fece un respiro profondo, consapevole dello studio al quale la donna lo stava sottoponendo, ma lo ignorò. “So che siete a conoscenza del fatto che questa notte avreste ricevuto una visita da parte di un emissario dell'Ordine”. Paula annuì, chinando il capo nel sentire pronunciare quella parola.
“Ciò che non potevate sapere, è che la ragione di questa visita, è il dovervi consegnare qualcosa di molto prezioso da custodire per noi”. Paula alzò il viso, lo sguardo attento.
“...E sono certo – proseguì l'uomo – che se questo luogo è stato scelto per un compito così delicato, è per il semplice fatto che non esista posto più adatto nell'intero territorio di Francia”
Le aveva parlato lentamente, fissandola diritto negli occhi. La donna chinò nuovamente il capo sotto quello sguardo, ed il pesante velo che indossava le coprì parte del volto.
Non aveva mai considerato il proprio monastero al pari di una fortezza inespugnabile. Non ne aveva mai avuto motivo, per lo meno sino a quel momento.
“Sollevate il viso Paula, per favore”.
Nonostante l'invito gentile dell'uomo, un'improvvisa paura la colpì alla bocca dello stomaco, come una spiacevole sensazione di attesa verso qualcosa di ignoto e pericoloso. Alzò lentamente il viso, facendosi coraggio e ciò che vide, la lasciò senza parole.
“Mio D..!” disse coprendosi la bocca con la mano. Non voleva pronunciare il nome di Dio invano ma quasi le sfuggì dalle labbra non appena la vide.
Una bambina dormiva profondamente tra le braccia dell'uomo, una creatura ancora in fasce il cui viso possedeva dei lineamenti così particolari da imprimersi in un solo istante nella mente della donna, come un imprinting inverso da madre a figlio.
Paula si alzò in piedi, calamitata verso la creatura, per sfiorarne con delicatezza una guancia. Poi, con il viso corrucciato, ritrasse la mano, rendendosi conto, con quel semplice contatto, che ciò che aveva di fronte era reale. E questo implicava un chiaro compito...
“Non siate spaventata” – l'uomo, che stava osservando la sua espressione, le parlò in modo rassicurante, quasi fraterno.
“Crescerete la bambina in questo luogo di pace, come accade a molti orfani. La crescerete nella fede in Dio e nella regola del vostro ordine, istruendola e proteggendola attraverso la vita serena che le offrirete”. Fece una pausa che a Paula parve lunghissima. “Vi occuperete di lei con cieca obbedienza e onore verso il nostro volere. Noi non mancheremo di fornirvi quanto necessario, ma dovrete affidarvi e lasciarvi completamente guidare per tutto ciò che riguarda la crescita della bambina. E soprattutto, nessuno dovrà mai sapere... Di fatto questa notte non è mai esistita Paula, non nella chiave della realtà dei fatti. Io, non esisto, per voi e soprattutto per lei, quando una volta adulta, vi domanderà delle sue origini. Sono certo che saprete trovare le risposte, da domani sino al futuro che verrà”.
Fece una pausa.
“Sono stato chiaro?” aggiunse infine.
Paula era visibilmente scossa. Riusciva a stento a contenere il tremore che si era impadronito delle sue mani fredde a causa della tensione, strette attorno al rosario sotto la veste. Avrebbe dovuto mentire, pensò, mentire e ancora mentire. E se questo già le creava dei dissidi interiori, ancor di più gliene creava la presenza di quella bambina.
Erano stati mille i pensieri che l'avevano confusa non appena ricevuto l'avviso, due settimane prima.
Quella semplice lettera, recapitata al monastero da un ragazzino appena adolescente, recava poche sintetiche parole e nessun sigillo di riconoscimento, particolare che svelava ai suoi occhi la segretezza della missiva e soprattutto, la sua appartenenza. Le tre parole in latino costituivano la prova fondamentale ed inoltre, erano una novità, perché non le era mai capitato di ricevere una visita diretta, cosa che aveva tradotto nel messaggio stesso.
OCCULTIS PRIMUM LUNAE
Paula aveva subito compreso che l'incontro sarebbe avvenuto nel primo giorno di luna piena.
Era sempre stato così. In quegli anni, nei quali aveva servito l'Ordine, le era capitato di dover fornire riparo a degli sconosciuti, donne e uomini di passaggio, il cui volto e missione non dovevano e non potevano riguardarla. C'era un luogo preposto per questo, all'interno del monastero, ed il suo compito si era limitato a rendere possibile l'accesso a quelle persone, dopo aver ricevuto le comunicazioni. Ma ciò che le veniva chiesto di fare ora, era assolutamente fuori dalla sua portata.
Dopo aver letto la missiva e averne tradotto il significato. aveva trascorso la giornata domandandosi come sarebbe avvenuto l'incontro. L'unica certezza era che il luogo sarebbe stato, come sempre, il monastero. Aveva atteso pazientemente tutto il giorno, e, solo quando ormai credeva si fosse trattato di un errore di interpretazione, aveva udito quei tre suoni ...
Improvvisamente l'uomo le porse la bambina, interrompendo le sue riflessioni.
Paula la accolse meccanicamente, ed in modo riluttante, tra le braccia. La sua mente era in subbuglio, preda di un caos irrazionale, diviso tra l'istinto di protezione che già provava per la creatura, e l'istinto di conservare la sua vita così come la conosceva e viveva quotidianamente. Mille domande si accavallavano l'una dietro l'altra, insistenti sul fatto che, il suo concetto di esistenza come l'aveva desiderata e scelta coscientemente molti anni prima dinanzi ad un altare, sarebbe cambiato ineluttabilmente.
“Non c'è altro che dovete sapere Paula, se non ciò che provate in questo momento” disse l'uomo. Le posò entrambe le mani sulle spalle, facendola sentire ancora più minuta e schiacciata sotto il peso di quella nuova responsabilità.
“Non ci è mai dato un peso che non sia proporzionale alla nostra capacità di portarlo, sorella. Il vostro cuore conosce l'amore e sa donarlo con verità e dedizione. La vostra fede è incrollabile ed è solo questo ciò di cui avrete bisogno per lei”. Disse l'uomo, quasi a volerle leggere dentro l'anima.
“Abbiamo riposto bene la nostra fiducia in voi”.
Queste furono le ultime parole che pronunciò prima di sparire tra le colonne del chiostro.
Paula si sentì pervadere da una sensazione di benessere e forza, come se il tocco e le parole di quello sconosciuto avessero dipanato la profonda nebbia dei suoi dubbi.
“Aspettate!”
Con pochi passi veloci raggiunse l'ingresso, spalancando il portone, ma ciò che vide fu solo una pioggia pesante, copiosa e fredda. Non c'era alcuna traccia dell'uomo, come se fosse sparito improvvisamente tra le vie del centro, misteriose come non mai quella notte.
“Grazie ...maestro”.
Pronunciò quelle parole a bassa voce, con la certezza che non l'avrebbe più rivisto.
Poco distante una carrozza attendeva. Un uomo aprì la porta dell'abitacolo non appena lo vide arrivare.
I due uomini si salutarono con un cenno del capo, poi lo sconosciuto si accomodò sul sedile, chiudendo gli occhi.
Rivide nella propria mente lo sguardo della suora ed il volto della bambina, così sereno e quieto.
“Parti!” Impartì l'ordine con più veemenza del necessario. Si sentiva nervoso e stanco.
Si accomodò meglio sul sedile ed accese un sigaro. Aveva portato a termine la missione ed ogni cosa sembrava essere al proprio posto, pronta a lasciare spazio alla mossa successiva. Sapeva che era necessario del tempo, dei lunghissimi anni. Egli possedeva lungimiranza e costanza, questo era certo, ma non poteva sapere se il tempo avrebbe portato le giuste risposte e soprattutto se lui avrebbe vissuto così a lungo da poter vedere i frutti di quanto seminato ...ma anche se non ne avesse avuto la possibilità, qualcuno come lui avrebbe preso il suo posto, e dopo di lui ancora e ancora dopo, e questo avveniva da secoli. Non aveva alcun motivo di sentirsi così.
Si appoggiò allo schienale, dopo aver gettato il sigaro tra i rivoli di acqua che scorrevano veloci tra i ciottoli sotto le ruote. Osservò il buio attorno alla carrozza, mentre percorreva la strada che lo avrebbe riportato a casa, augurandosi di poter vedere presto il nuovo giorno.

Un fastidioso brivido di freddo percorse il corpo di Paula, costringendola a rientrare. Chiuse con delicatezza il portone e, dopo essersi accertata che la bambina fosse completamente coperta, si incamminò verso la sua stanza al piano superiore.
Il monastero era avvolto nel più totale silenzio.
Arrivò nella sua camera con la stessa furtività di un ladro nella notte. Accese le candele del pesante candelabro vicino alla finestra e adagiò la bambina sul letto, piena di una premurosa attenzione che le era del tutto nuova.
Il suo cuore non aveva cessato di battere all'impazzata durante tutta quella lunghissima ora. Erano troppo forti le emozioni che le serravano il petto e il solo guardare quella creatura le continuava a creare uno stato di tensione che non sapeva se, e quando, sarebbe riuscita davvero a dominare.
Che cosa avrebbe detto alle consorelle?

Marta Useli

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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