In cerca di frecce, conchiglie e ricordi verso Santiago di Compostela
A scuola durante la ricreazione, ero solita isolarmi dalle mie compagne per rimanere da sola a pensare. Poi strappavo una pagina dal quaderno e con la penna blu, dato che quella nera non mi piaceva e mi metteva tristezza, iniziavo a scrivere quello che mi passava dall'anima in quel momento. Subito dopo soddisfatta e appagata, ripiegavo il pezzo di carta, lo sistemavo nella tasca destra del grembiule e uscivo dal mio mondo fantastico per tornare a quello reale. Talvolta quello che era fluito da quella mia penna magica, veniva mostrato alla professoressa di lettere, che era sempre felice di leggermi: "Ricordati bene quello che sto per dirti Cinzia ..." "Si signora, la ascolto." "Tu devi scrivere e non intendo così ogni tanto. Devi studiare e diventare una scrittrice. Quello che mi fai leggere mi emoziona sempre e sarebbe un vero peccato, se finisse nel vento! Io sorridevo e poi felice, ripiegavo il foglio tornando al mio banco. Naturalmente non ascoltai le sue parole e feci mille altre cose. Però non smisi mai di scrivere. Ogni tanto quando meno me lo aspettavo la voglia di strappare un foglio e cercare una penna blu tornava sempre. Non potevo resisterle, nemmeno quando stavo facendo qualcosa di importante. Ricordo di quella volta, che mentre guidavo dovetti arrestare la macchina, per bloccare sulla carta una poesia o di quando stavo cambiando uno dei miei figli sul fasciatoio e gli infilai in fretta il pigiamino, per scrivere qualcosa che non potevo dimenticare. Riuscii ad immortalare i miei pensieri, ma dimenticai il suo pannolino e la sorpresa fu immediata e particolarmente bagnata. Per non parlare delle avventure estive vissute insieme a tutti gli amici con la coda, che mi emozionavano al punto da farmi inventare storie nelle quali ognuno di loro, prendeva le sembianze di strani personaggi fantastici, dando così vita ad improbabili avventure, che si trasformavano sempre in racconti bizzarri e divertenti. E più passava il tempo, più questa cosa invece di sparire si rafforzava. Fino a quando percorsi il Cammino di Santiago, che fu qualcosa di magico nella mia vita. Anche quando ero laggiù scrivevo, ma a differenza degli altri momenti passati e casuali, lo facevo ogni giorno. Non appena tornai a casa presi tutti i foglietti di carta, la penna blu e li riposi in una scatola, anche perché tutti in tasca non sarei riuscita ad infilarli e lì rimasero fino al giorno in cui decisi di creare un diario da condividere e che raccontasse ogni cosa, possibilmente inducendo altre persone a vivere questa esperienza o nel caso l'avessero già fatta a ricordare. Inoltre avevo un dubbio da molto tempo: “Chissà se i miei pensieri, potrebbero ancora emozionare qualcuno? E poi sarà stato vero tutto quello che mi diceva o la sua era solo gentilezza?Sento che è il momento di scoprirlo! "Ha visto signora? Sono stati necessari tanti lunghi anni, ma quel foglio scritto con inchiostro blu, non è finito nel vento!”
Introduzione “C'era una volta una bambina pigra...” Proprio così! Io da piccola non amavo molto camminare, anzi per dirla tutta non mi andava proprio di muovere un passo da nessuna parte e per nessun motivo, specialmente quando si trattava di fare gite all'aria aperta, magari per sentieri scoscesi o in salita nei boschi. Solo al pensiero mi rattristavo fino alle lacrime e ancora prima di cominciare ero già stanca, annoiata e demotivata. E quello che devi sapere è che questo fantastico status, è durato fino alla tenera età dei miei cinquant'anni. “ E poi cosa ti è successo Cinzia?” Ecco questa è proprio una bella domanda alla quale neanch'io ho ancora trovato risposta. Quindi capirai di certo quanto possa essere difficile da spiegare anche te, ma ci proverò ugualmente ... In un pomeriggio di marzo del duemiladodici, me ne stavo tranquillamente seduta sul divano insieme a Nicholas il minore dei miei due figli. Erano gli ultimi giorni che passava in famiglia, dato che da lì a poco sarebbe partito per Londra, iniziando una nuova stagione lavorativa. In quel momento alla televisione stavano trasmettendo un documentario dedicato ai cammini. Raccontavano di un viaggio particolare che molte persone chiamate pellegrini, intraprendono da millenni attraversando tutta la Spagna a piedi, oppure a cavallo e di recente anche in bicicletta, partendo da Saint Jean Pied de Port, una piccola cittadina adagiata all'inizio dei Pirenei francesi, cercando di arrivare a Santiago de Compostela e oltre fino all'Oceano. La strada è lunga circa ottocento chilometri e chi la percorre deve attraversare diverse regioni prima di poter arrivare a destinazione: la Navarra, la Rioja, la Castiglia y Leon e la Galizia. Cominciavo a farmi le prime domande: “Cos'è mai questa storia? E perché dovrei camminare tanto? Devono essere tutti fuori di testa, per decidere di fare una cosa come quella però, che panorami fantastici e quanti animali!” Stupita e incuriosita presi un grande cuscino e me lo sistemai dietro alla schiena, continuando a seguire quel video, ma con il distacco e la presunzione di chi non si farebbe mai coinvolgere da una cosa così assurda. Però mi accorsi subito che malgrado cercassi di tenermi a distanza di sicurezza dall'argomento, ci stavo finendo dentro con tutte le scarpe! Qualcosa di simile al timer di una bomba si era già innescato nella mia testa veloce, inarrestabile, inevitabile e da lì a poco avrebbe fatto un bel botto! Quel giorno non potevo immaginare che un banalissimo racconto di viaggio, mi avrebbe cambiato la vita per sempre. Era ancora troppo presto per capire. Ma quella strana idea di mettermi uno zaino da sette chili sulle spalle e partire per fare un milione di passi, mi faceva sentire felice nel profondo e già mi vedevo in mezzo a quei campi di grano, trasformata in un minuscolo puntino in movimento su una mappa della Spagna. Appena realizzai quanto mi piacesse l'idea, ebbi un sussulto che fece sobbalzare anche Nicholas. Lo guardai abbozzando un sorriso, come se niente fosse successo. Intanto quel pensiero continuava a rimbalzarmi nella testa, proprio come avrebbe fatto la pallina impazzita di un flipper, mentre scontrando ovunque accende luci colorate e suoni: “Ottocento chilometri a piedi? Come si possono fare tutti a piedi? Forse con un treno o con un altro mezzo di trasporto e forse anche a piedi, ma in cinque vite e non in trenta giorni!” Si perché quello era il tempo necessario per poter percorrere il Cammino o almeno era ciò che diceva il quel reporter. In effetti il pensiero metteva paura e quella sembrava davvero un'impresa impossibile. E poi fino a quel pomeriggio, non avevo mai preso in considerazione l'idea di camminare da sola, in un luogo straniero e senza poter contare sull'aiuto di nessuno. Però mi piaceva e tanto! Sarebbe stata una gran bella sfida e io non sono mai rimasta insensibile davanti a una prova di forza, specialmente quando la diretta avversaria ero io. Testarda come un mulo quando decido qualcosa non torno mai indietro, anche se qualche volta sarebbe stato meglio farlo. Non sempre infatti questo mio modo di agire è risultato positivo. Però è così che nel tempo mi sono forgiata un carattere che oltre ai difetti non manca certamente di tenacia e determinazione. Ma in quel percorso avrei dovuto superare numerose difficoltà, come la mia pigrizia nel camminare o l'inesperienza di luoghi solitari e sconosciuti e anche un menisco rotto, che probabilmente sarebbe peggiorato rispedendomi a casa dopo pochi giorni: “Pazienza! Vorrà dire che se si spaccherà del tutto, mi farò operare in un ospedale spagnolo, altrimenti andrò avanti e rinforzerò la muscolatura del ginocchio” “Ecco questa sono io! Piacere di conoscerti!” Ormai ero partita e me la stavo raccontando in tutti i modi, trovando soluzioni per ogni problema e nessuno sarebbe mai riuscito a dissuadermi da questa cosa né a farmi cambiare idea: “Dove potrei arrivare? Chi incontrerei? Ci saranno pericoli? E tutti quegli animali li vedrei davvero? Perché non tentare?” Continuavo a farmi domande e intanto con gli occhi sbarrati e la bocca semichiusa, cercavo di carpire ogni dettaglio dal racconto. Ma quella non era più solo semplice curiosità né tanto meno il distacco di prima. Avevo già cominciato a raccogliere tutte le informazioni e stavo preparandomi a partire. A dire il vero avvertivo anche uno strano tremore allo stomaco e nelle mani. Mi sentivo nervosa ma felice e anche se ancora non lo sapevo, ero appena stata contagiata dal morbo del Cammino o Santiaghite come la chiamano i pellegrini. Quel giorno scoprii qualcosa di unico. Un mondo parallelo a quello che avevo conosciuto fino a quel momento fatto di alberghi, villaggi vacanza, animatori, comodità di ogni genere, con i pacchetti del tutto organizzato e le situazioni prevedibili. Qui si raccontava di fatica e sudore e di un sole caliente, che bruciava a quaranta gradi cuocendo il cervello ai viandanti, delle improvvise bufere di neve nei tratti montani più alti e dei forti temporali con piogge scroscianti e fiumi di fango. Il giornalista continuava a parlare dicendo che in alcune tappe, non ci sarebbe stata nemmeno la possibilità di trovare l'acqua per molte ore, ma che al contrario la polvere non sarebbe mai mancata. In alcuni momenti le riprese si focalizzavano su nuvole polverose di terra alzate dal vento che correndo veloce sui sentieri, faceva finire inevitabilmente tutto nel respiro affannoso dei pellegrini seccando loro la gola e bruciando gli occhi. L'inviato spiegava che al mattino tutti si svegliavano sempre prima dell'alba, per evitare di camminare nelle ore più calde e che per tutto il giorno, non sarebbe mai mancata la stanchezza costante data dal peso dello zaino, dai giorni passati in cammino e dai chilometri percorsi. In un altro momento sarebbe bastata anche solo una delle cose elencate per farmi scappare a gambe levate e senza pensarci troppo. Invece non feci un solo passo e rimasi lì pietrificata davanti a quel tipo che ignaro da dietro allo schermo, mi stava facendo capire chi fossi e cosa desiderassi veramente nella vita. Non mi sarei scollata da quel divano per nessuna ragione al mondo, specialmente quando iniziò a parlare di amicizia, condivisione e dell'abitudine che avevano i pellegrini di aiutarsi tra loro e anche delle esperienze di grande solidarietà o delle fratellanze che si creavano. Ricordo che ad un tratto mentre lo ascoltavo, sentii un grande calore dentro al cuore e alcuni brividi lungo la schiena come quelli che vengono quando si ha la febbre, ma io stavo bene anzi sempre meglio! Le immagini scorrevano veloci: piccoli villaggi si alternavano a grandi città, campi di grano a prati ricolmi di fiori colorati e poi che dire degli alberi? E dei boschi in Galizia? Ero rapita da tanta bellezza e mentre immaginavo di camminare in quel sottobosco umido, avevo la sensazione di percepire il profumo intenso degli eucalipti. Sentieri di terra dai quali uscivano prepotentemente enormi radici, salivano lungo montagne per poi ridiscendere in mezzo a vallate impreziosite da una moltitudine di animali. Sarebbe stato davvero fantastico essere una di quelle persone arrivate da ogni angolo della Terra. Viandanti senza tempo in continuo e lento cammino, che ricalcavano orme e storie passate prima di loro, affrontando pericoli e insidie di ogni genere. Nel Medioevo era questa la situazione, ma attualmente il percorso è sicuro e ben segnato da frecce gialle e conchiglie che aiutano i pellegrini a trovare la strada. * Perdersi sembrava impossibile. Ecco appunto sembrava ... Non so dirti cosa mi successe quel giorno, ma quando il video terminò, avvertii subito una sensazione di mancanza e di vuoto. Un insieme di emozioni fortissime e contrastanti tra loro e mi prese un'agitazione irrefrenabile. Inoltre ebbi come la sensazione di avere due mani che spingevano le mie spalle, talmente reali che mi girai per vedere chi fosse. Ma non vidi nessuno. Pensai di essermi sbagliata anche se col passar del tempo, ho scoperto che tanto immaginarie non erano. Mi voltai verso mio figlio, che nel frattempo aveva seguito tutto con interesse senza proferir parola e gli dissi: “ Senti Nichi, cosa ne diresti se al tuo ritorno da Londra facessimo il Cammino di Santiago insieme?” Lui impassibile continuò a fissare lo schermo, malgrado non ci fosse più niente da vedere e non rispose. Pensando che non avesse sentito o che fosse distratto, gli rifeci la stessa domanda. In realtà aveva capito benissimo già la prima volta e stava solo cercando un modo indolore per evitare di darmi la risposta, ma vista la mia insistenza dovette affrontare la questione. Dolce, comprensivo e sensibile, come solo gli adolescenti riescono ad essere rispose: “Oh mamy ma cosa ti salta in mente? Queste sono cose da giovani. Cosa vuoi fare tu? Non ce la faresti mai! Ma dove vuoi andare? Lascia perdere dammi retta!” Eccomi sistemata! Colpita e affondata nella mia zona comfort pre menopausa, dove tutte le brave mamme con un po' di sale in zucca dovrebbero stare: “Quindi spiegami? Sarebbe un no?” Ribadii subito decisa e anche un po' delusa. E lui prontamente mi tolse gli ultimi dubbi rimasti: “Ma certo che è un no mamma te l'ho detto. Non ci riusciresti mai, mettitelo in testa! Non è difficile da capire!” "Assolutamente no, anzi è facilissimo! " - Aggiunsi. - Non puoi farcela! - Non ci riesci! - Non è una cosa per te!
Da sempre frasi come queste sono riuscite solo ad accrescere la mia autostima e le mie motivazioni. Ogni tanto qualcuno ha provato ad utilizzarle nel tentativo di dissuadermi e per farmi cambiare le mie idee. Ma l'unica cosa che hanno guadagnato è stata quella di darsi un bel morso sulla lingua visto che tali asserzioni, hanno sempre ottenuto l'effetto contrario rispetto al loro significato, stimolandomi ancora di più a proseguire e di solito a realizzare. Certo non sono piacevoli da sentire anche se sono certa, che siano dettate da preoccupazioni e paure, dato che di solito chi le afferma mi vuole anche molto bene. Ma proprio per questo fanno ancora più male! Infatti rimasi a godermi la benefica sensazione che si prova un attimo dopo che qualcuno, ti ha appena sferrato un bel calcio nel sedere. Quando succede la botta fa un gran male e lascia non poca amarezza. Ma il trucco sta nell'evitare di farsi frenare da tristezza e delusione, prendendo una bella rincorsa per sfruttare la spinta ricevuta, andando avanti e arrivando fino al traguardo. E questo perché ai sogni non si rinuncia mai. Mio figlio partì per l'Inghilterra dopo qualche giorno e anche io feci la stessa cosa, ma dopo un mese e in direzione Lourdes, iniziando così la mia grande avventura! Grazie Nicholas è stato anche merito tuo!
sabato, 9 giugno 2012 GENOVA – LOURDES
Non so da dove sia cominciato il mio Cammino o meglio non so perché, ma eccomi qui sul treno che da Genova mi sta portando a Bergamo. Non appena arriverò a destinazione mi metterò subito alla ricerca della navetta per l'aeroporto di Orio al Serio, dal quale decollerò con un volo verso Lourdes. Tutto ha inizio un giorno in cui per caso intercetto un video alla televisione sul Cammino di Santiago de Compostela. Era molto bello, coinvolgente e ben dettagliato. Ecco che nella mia vita si spalanca un mondo nuovo e a me sconosciuto, fatto di pellegrinaggi e cammini. Il treno ha accelerato improvvisamente e mi ha dato uno scossone che mi ha scaraventata fuori dai pensieri, facendomi ripiombare su questo sedile di pelle strappata. Mi accorgo che sta andando velocissimo, ma la mia euforia corre ancora più forte insieme all'ansia, che è al mio fianco da quando sono salita sulla carrozza. Questo non è uno scherzo e per me oggi sta iniziando qualcosa di grande, sconosciuto e mio, proprio là fuori dal finestrino e oltre quel cielo. Il treno continua la sua folle corsa, mentre io alterno pensieri a domande e timori a curiosità. In alcuni momenti mi sento quasi sopraffatta dalla paura, ma subito dopo divento sicura e piena di coraggio. Mi sembra di giocare a carte con me stessa e che ogni carta sia un sentimenti diverso e contrastante, ma necessario per poter fare una buona partita. Guardo i campi, le case la gente che passano veloci. Questo treno mi sta portando sempre più lontano dalla mia famiglia e dalle mie sicurezze, per abbandonarmi in mezzo ad un pezzo di mondo a me sconosciuto. Ed ecco ancora lo stupore che viene a trovarmi: "Incredibile io pellegrina! Per quale motivo sono salita su questo treno? Sarò forse impazzita? Proprio io che fino a ieri avevo camminato solo per far felici i miei cani!" D'altra parte l'entusiasmo per questa nuova avventura mi aveva travolta da subito e avevo capito fin troppo bene che non l'avrei scampata. Il Cammino non è una decisione normale sul fare o non fare un viaggio. È una piccola cellula che ci sceglie entrando silenziosa nella nostra essenza più profonda, dove cresce lenta fino a quando rapisce ogni pensiero, occupando inesorabilmente ogni piega dell'anima. La cosa utile da sapere è che quando questo succede resistere è praticamente impossibile. E questo probabilmente è il motivo per il quale mi trovo su questo treno da sola e sto per iniziare un viaggio così lungo, inaspettato e credo difficile, anche se in verità mi sento tutto tranne che sola, visto che ho la sensazione che qualcosa mi stia accompagnando da questa stamattina. La sveglia aveva appena suonato, quando ho avvertito ancora le due mani che mi spingevano. Le avevo già percepite anche dopo aver visto quel video. Ricordo bene che più le immagini facevano breccia su di me e più la loro presenza diventava evidente. E quella forza misteriosa probabilmente è la stessa, che mi ha spinta a partire e che chissà dove mi porterà ancora. La piccola cellula è cresciuta e sta decidendo il mio destino. Il volo è stato breve anche se un po' movimentato, con qualche vuoto d'aria di troppo e il motore dell'aereo che sembrava quasi fermarsi durante il decollo, ma per fortuna era solo una mia sensazione. Abbiamo atterrato a Lourdes in perfetto orario alle sedici e trenta minuti. L'aeroporto è piccolo e silenzioso : " Che pace. Ma è anche normale siamo a Lourdes!" Il centro dista circa trenta chilometri dall'aeroporto e l'attesa per la navetta risulta abbastanza lunga e un po' noiosa. Durante questa sosta obbligata, si è formato un gruppo di pellegrini e alcuni di loro decidono di accordarsi per prendere un taxi insieme e velocizzare un po' i tempi. Io preferisco approfittare della pausa per chiamare casa e tranquillizzare la mia famiglia. Alle sei meno un quarto di sera l'autobus mi si ferma davanti. E siccome avevo appena pensato che questo fosse un piccolo aeroporto tranquillo, ecco che arriva l''autista francese a farmi subito cambiare idea. Infatti apre le porte dell'autobus e senza nemmeno salutare, inizia ad urlare : "QUATRE EURO! QUATRE EURO!" Sembra un replicante che qualcuno ha programmato solo per pronunciare queste parole. Anche il suo modo di fare non ricorda molto quello di un umano, perché è freddo, antipatico e scostante. E per dirla tutta anche le persone che stanno salendo a bordo non sono da meno e sicuramente neanche tra le più educate. Si sentono urla e schiamazzi ovunque, come se stessero nel bel mezzo di una partita di calcio o dentro a una fiera. Forse adesso comincio anche a capire il modo di fare dell'autista, perché se ogni volta che li viene a recuperare si comportano a questo modo, non può di certo trattarli con rispetto. Prendiamo posto sulla navetta e finalmente la mia tappa di avvicinamento verso Lourdes può iniziare. Il francese accende il motore e dopo un attimo tira un urlo disumano e tutti si azzittiscono. Il vociare rumoroso e poco educato, le urla e i fischi che fino a quel momento avevano risuonato nella cabina del pulmino, sembrano usciti come per magia dai piccoli finestrini, mentre all'interno tutto si è fatto molto più tranquillo e silenzioso. Il percorso è rilassante e da dietro al vetro si vedono prati, che si alternano ad alberi immensi e graziose casette dalle quali sembra possano uscire da un momento all'altro piccoli elfi dei boschi. E poi ci sono i fiori, tantissimi di ogni colore e appesi dappertutto: ai balconi, nei giardini davanti a ogni porta. Ovunque si respira una sensazione di grande tranquillità. All'improvviso e dopo circa mezz'ora di strada, l'autista rompe l'incantesimo tirando in modo brusco il freno a mano. Poi senza dire una parola spegne il motore, spalanca le porte e inizia a fissarci con uno sguardo poco amichevole, che tutto ci comunica tranne che sia ancora il caso di rimanere lì sopra. Che il tizio non avesse un buon carattere lo avevamo già capito, ma quello che proprio non riusciamo a comprendere, è cosa dovremmo fare adesso. Interdetta e confusa per il suo comportamento, cerco conforto nello sguardo degli altri passeggeri o magari una risposta logica per quel suo modo di fare così poco gentile. Guardo fuori ma non mi sembra di vedere niente, tanto meno il centro della città. Tutti sono agitati e si interrogano su quanto accaduto, ma il francese continua a non dare spiegazioni. L'unica certezza in mezzo a tutta quella confusione generale è che il nostro autobus non andrà più da nessuna parte. Decidiamo di scendere dalla navetta ma siamo tutti abbastanza infastiditi per l'esagerata maleducazione del francese. Qualcuno borbotta fra i denti mezze frasi di disapprovazione. Un ragazzo particolarmente arrabbiato lo manda al diavolo e altri si rassegnano all'evidenza smettendo quasi di parlare, ma tutti cominciamo a camminare lungo il marciapiede. Dopo pochi minuti le porte dell'autobus si chiudono e il motore si allontana. Non sapendo bene dove andare di preciso, decido di seguire il flusso delle altre persone. Attraverso un paio di incroci e finalmente scorgo il cartello Centre ville che mi indica la direzione, ma adesso devo riuscire a trovare il primo albergue quello prenotato da casa. Chiedendo a qualche passante riesco, anche se con un po' di incertezza a prendere la strada giusta, ma del mio albergue ancora nessuna traccia. Dall'altro lato della strada mi viene incontro una crocerossina, una di quelle che fanno servizio e assistenza ai malati. Mentre si avvicina mi accorgo che sta venendo proprio dalla mia parte. Alta e magra ha un viso dolce, molto giovane e sorridente. La prima cosa che penso appena si ferma davanti a me, è che i malati non possano che sentirsi meglio solo vedendola: " La ragazza saprà di sicuro dove si trova il mio albergue." Non le avevo ancora chiesto niente, che lei vedendomi incerta sulla strada si era già fermata per aiutarmi. " In un cuore grande, c'è sempre posto per tutti!" Oltre ad essere bella è anche di una gentilezza disarmante. La sua voce è dolce e ha la pelle bianca e delicata. Sorride e con un filo di voce e la serenità che le esce dagli occhi, allunga le dita affusolate e mi indica la giusta direzione. Dice di fermarmi solo quando incontrerò un cancello verde con una grossa conchiglia sopra. La saluto e mi allontano. "Certo che sono stata proprio fortunata: non ho ancora cominciato il mio Cammino e ho già incontrato un Angelo!" Continuo a camminare e la strada è un po' in salita, ma dopo qualche minuto trovo il cancello che la ragazza mi aveva indicato. “Per fortuna sono arrivata!” Oltre il cancello c'è un piccolo giardino interno e dopo alcuni passi la porta. Busso, chiedo permesso ed entro. Subito si apre un'altra porticina cigolante e con un bel sorriso mi viene incontro Federica una ragazza francese che avrà circa una trentina d'anni. Non conosce l'italiano ma siccome parla lentamente riesco a capire tutto quello che mi dice. Lei è una degli hospitaleros volontari, che si occupano dell'accoglienza e del benessere dei pellegrini quando arrivano a La Ruche. Mi accompagna nella mia stanza, dove vedo che è già arrivata un'altra pellegrina. Devi sapere che le camere degli albergues non sono mai singole. Talvolta al loro interno si possono trovare tre o quattro letti, ma nella maggior parte dei casi sono vere e proprie camerate comuni, simili a quelle dei nostri ostelli della gioventù o come quelle di alcuni rifugi in montagna. *E anche se questa realtà a primo impatto potrebbe sembrare un problema non da poco, posso assicurarti che ci si abitua molto in fretta e che dormire ogni notte con persone appena incontrate, diventerà una costante di vita normale. Capisco bene che detta così non sia facile da digerire, ma la condivisione e il saper stare sempre con gli altri, saranno alcune tra le prerogative più importanti che sperimenterai per tutto il Cammino. Inoltre anche se potrà sembrare strano, saranno tra i doni preziosi che conserverai nel cuore quando tornerai a casa. La pellegrina si chiama Gabriella è una signora di sessantadue anni e arriva da Livorno. A prima vista sembra simpatica, molto sicura, organizzata e superattiva quasi peggio di me. Facciamo subito amicizia e mentre stiamo cominciando a conoscerci, ecco che la porta si riapre ed entra Federica. Con lei c'è un'altra signora che tra l'altro avevo già notato in aereo, dato che non aveva un trolley come tutti gli altri passeggeri, ma un grosso zaino. Si chiama Marcella viene da Padova e ha cinquant'anni e mi sembra che sia una persona tranquilla e molto discreta. Dopo le prime presentazioni, il buonumore e le risate non tardano ad arrivare e non ci mettiamo molto ad entrare in sintonia. Non c'è che dire ci siamo proprio trovate e se qualcuno ci vedesse in questo momento potrebbe pensare che siamo amiche da sempre, visto che le sfaccettature dei nostri caratteri sono davvero molto simili.Sembra quasi che questo non sia affatto un nuovo incontro. E invece è proprio così e tre donne sconosciute hanno già cominciato a capire, che sul Cammino nulla avviene per caso. Federica ci chiama pregandoci di raggiungerla nell'ufficio semibuio, ma accogliente e ci informa sulle regole della casa. Poi ci guarda e chiede le nostre credenziali. La credenziale è il passaporto dei pellegrini e viene rilasciata prima di partire dalle apposite associazioni che se ne occupano e anche sul Cammino stesso, negli albergues e in alcune parrocchie. È un documento importantissimo, perché raccoglierà tutti i timbri che segneranno il percorso, dando la certezza agli hospitaleros che ci accoglieranno nelle loro strutture che siamo pellegrini e non turisti di passaggio. Come tali avremo la possibilità di dormire ad un prezzo nettamente inferiore rispetto alle altre strutture alberghiere spagnole, tenendo conto che non siamo viaggiatori normali. E questo concetto secondo me andrebbe approfondito in tutti i sensi, dato che percorrere ottocento chilometri a piedi non è proprio da persone sane di mente! Un'altra cosa che devi sapere è che quando e se riusciremo a raggiungere la nostra meta, presentando il documento con i timbri nell'apposito ufficio del pellegrino che si trova a Santiago potremo ottenere la Compostela, che è il documento ufficiale e nominale redatto in latino rilasciato dalle autorità ecclesiastiche. Questo certificherà l'avvenuto e compiuto pellegrinaggio fino alla tomba dell'Apostolo San Giacomo. Intanto nell' ufficio Federica ha appena finito di darci tutte le informazioni. Afferra la scatolina con l'inchiostro e anche le nostre credenziali. Le apre velocemente appoggiandole sul tavolo di legno. L'emozione mi aggredisce improvvisa, non appena vedo che sta prendendo la mia. Lei sembra accorgersene subito e prima che io possa allagarle l'ufficio con le lacrime, afferra il timbro. Capisco che è arrivato il momento e che ci siamo! Un colpo deciso ed eccolo qui! Ho il mio primo sello! Lo guardo e quasi non ci credo! Ho il sangue freddo e caldo allo stesso tempo e la faccia piena di lacrime, ma ho anche una gran voglia di ridere e di mettermi a saltellare per la stanza. Non avrei mai creduto che un'azione semplice come questa, potesse provocare in me un terremoto così violento di emozioni. “Ma cosa mi sta succedendo?” Mi tremano le gambe e anche le mani. Non riesco più ad essere lucida e la cosa più strana, è che nemmeno voglio esserlo! Continuo a fissare questo pezzo di carta, tremando come una foglia e gocciolando pianto: “È solo un timbro! È solo un timbro!È solo un timbro!” E mentre la razionalità tenta di vincere sulla follia, resto lì ferma in mezzo alla stanza con gli occhi gonfi, fissando un cartoncino aperto a forma di fisarmonica, con una macchia di inchiostro ancora fresco. Il cuore batte talmente forte che temo possa schizzarmi fuori dalle orecchie, mentre non riesco più a distogliere lo sguardo da quel prezioso tesoro appena conquistato e da tutte quelle caselle, ancora da riempire con nuovi traguardi da raggiungere: “E più li guardo più capisco che non sono solo carta e inchiostro. Questo è l'inizio di tutto!”
LA MAGIA DI LOURDES
La prima cena comunitaria ci viene presentata in una sala imbandita a festa con tutto il necessario per un ricco banchetto. Uscendo sul terrazzino la vista è strepitosa. L'albergue si trova un po' più in alto rispetto a tutto il resto della città e da quella posizione privilegiata, basta affacciarsi per poter godere della vista su Lourdes e del meraviglioso Santuario. Sotto lo scrosciare delle acque del fiume Gave di Pau che attraversano la zona scorrendo lente ma impetuose. Questo sarà l'unico rumore che sentirai in questo luogo armonico e tranquillo. Nel frattempo i pellegrini hanno iniziato ad uscire dalle loro camere e sono quasi tutti nella sala per la cena: c'è Roger un signore inglese che viene da Londra anche se i suoi tratti somatici, la carnagione chiara e i capelli rossi, ricordano molto più un irlandese. Lui è sempre sorridente e cordiale con tutti. Ecco che arrivano anche Angelika e Jan, una coppia di coniugi olandesi sposati da cinquant'anni e originari di Utrecht. Sono abbastanza anziani e molto affiatati tra loro. Entrambi hanno capelli bianchissimi che continuano ad accarezzare a vicenda ogni volta che si parlano. E mentre lo fanno si guardano con dolcezza infinita, quasi per paura di poter perdere il contatto l'uno con l'altra: “ Che gesto delizioso!” Subito dopo entrano Armand partito da Lione e Alejandro che viene da Toledo. Sono due giovani ragazzi sui venticinque anni, che stanno percorrendo il Cammino in bicicletta. Si sono incontrati nel tratto di strada che precede Lourdes diventando subito amici. Ma essendo uno francese e l'altro spagnolo e non riuscendo a comprendersi, hanno deciso di parlare in inglese. E poi c'è Romana una signora di Roma che ha percorso il Cammino molte volte e che ogni anno durante l'estate, soggiorna nella struttura per dare il suo aiuto come hospitalera volontaria. E naturalmente ci siamo io, Gabriella, Marcella e Silvie. Ma il personaggio più importante della serata, l'attore principale di tutta questa fantastica commedia è sicuramente Monsieur Jean Louis Doux, che è l'hospitalero responsabile dell'albergue. I suoi capelli sono brizzolati e i suoi occhi gentili sorridono da dietro a due lenti da vista ovali e trasparenti. Porta una camicia bianca disegnata con piccoli quadretti neri, che mi fanno tornare alla mente quelli dei quaderni profumati di carta che avevo alle scuole elementari. Anche lui come Federica parla solo francese, ma grazie ai suoi sorrisi, alla sua grande umanità e al desiderio di darsi agli altri, riesce a farsi comprendere bene e in modo del tutto naturale da ognuno di noi. Monsieur Doux è un uomo davvero speciale, che si farebbe in quattro per rendere felice ogni pellegrino. Lentamente l'imbarazzo dell'inizio serata e del trovarsi a cena con emeriti sconosciuti, si sta trasformando in un piacevole momento di vita fatto di sorrisi, curiosità e racconti. L'hospitalero che era andato in cucina, nel frattempo rientra nella saletta insieme a Federica, che intanto mi sta porgendo una scodella con dentro una zuppa vegetariana, che è stata cucinata solo per me quando hanno saputo che non mangiavo animali. Monsieur Doux invece sta reggendo orgoglioso una grande casseruola di terracotta ricolma di paella mista, contro la quale comincia a battere forte il suo mestolo di legno facendo un gran baccano, con lo sguardo buffo di chi ha voglia di fare una marachella, divertito lui stesso da tutto quel rumore che sta rimbombando dentro alla stanza. L'espressione che ha sul viso è la stessa che ho visto in passato sulle facce dei miei figli, quando abbandonavano tutti i giocattoli per suonare le mie pentole da cucina con i cucchiai e i coperchi, improvvisando pezzi rock degni di una fuga immediata. Nel frattempo il rumore del mestolo continua a echeggiare dal grosso pentolone e Monsieur Jean Louis con lui: "Voici mes amis! S'il vous plait, asseyez - vous à ma table!" ( Ecco amici miei! Per favore sedetevi alla mia tavola! ) Senza farcelo ripetere due volte, ci sediamo tutti in modo ordinato. L'atmosfera che si respira è quella di una vigilia di Natale in famiglia, tra persone che si vogliono bene e che hanno voglia di stare insieme, con tanto di tovaglia rossa. Ed è proprio questo il momento nel quale succede qualcosa di inaspettato. Gli sconosciuti di poco prima sono scomparsi, lasciando il posto a tanti nuovi amici che sembrano conoscersi da sempre. Non ci sono più sguardi dubbiosi, timidezze o titubanze. Solo anime serene, intenzionate a comunicare con chi come loro, sta per iniziare un'esperienza incredibile. Intorno al tavolo si respirano fratellanza, amicizia, armonia e tante altre sensazioni fantastiche e inaspettate. Non mi era mai capitato di vivere un momento così vero, spontaneo e carico di energia pulita durante una cena, nemmeno con amici di vecchia data. L'empatia è alle stelle, ma la cosa davvero incredibile sta nel vedere come pervada ognuno dei commensali. Qui non ci sono più persone che parlano lingue diverse, ma solo amici che stanno facendo di tutto per capire gli altri. Intorno a questa tavola non ci sono più confini: “Sarà già questo il primo insegnamento del Cammino?” Monsieur Doux si alza all'improvviso ed esce sul terrazzino esclamando a voce alta: “ Elle passe, passe Marie!” Con uno scatto collettivo degno di veri atleti alla partenza di una gara, saltiamo tutti in piedi per raggiungerlo fuori e una scena quasi surreale appare sotto ai nostri occhi. La statua della Vergine Maria sta passando seguita da canti e preghiere, mentre sacerdoti e suore recitano insieme l'Ave Maria, alternando in modo preciso e ordinato molte lingue di tutto il mondo. Ogni persona presente alla processione tiene tra le mani un bastoncino sottile, che sulla cima ha una lanterna bianca di carta disegnata e all'interno una candela accesa. Le fiammelle sono moltissime anche se si vedono poco, perché c'è ancora luce. Rientriamo in casa e torniamo al nostro posto per finire di mangiare, ma siamo ancora tutti emozionati per quel clima così suggestivo. Verso la fine della nostra cena l'hospitalero ci offre un bicchiere di vino buonissimo, spiegandoci che viene prodotto in un luogo della Provenza sua zona d'origine, dove risiede ancora gran parte della sua famiglia. Di solito non bevo nessun tipo di vini o alcolici, ma non riesco proprio a rifiutare nulla a quest'uomo cosi' gentile e discreto. Decido di assaggiarlo e questa volta faccio bene, perché è buonissimo e stranamente non mi da nessun fastidio né mi crea nessuna reazione allergica. Ha un buon sapore di frutta selvatica e bosco d'inverno! Terminata la cena, con Gabriella e Marcella decidiamo di andare in centro. Usciamo in fretta per raggiungere la piazzetta sottostante e dopo la lunga discesa, troviamo una fila di negozietti colorati di quelli che vendono souvenirs. A dire il vero sono abbastanza pacchiani, ma mettono allegria e sono pieni di mille lucine colorate e ci accompagnano fino al ponte che attraversa il fiume poco prima del Santuario. Ci fermiamo ancora qualche minuto a scattare una foto e poi entriamo dal cancello. I fedeli sono aumentati rispetto a prima, quando li guardavamo dal terrazzino dell'albergue e la scena che si presenta ai nostri occhi è a dir poco commovente. Tutti pregano e molti piangono. Ci sono tante persone a mani unite che si sono inginocchiate per terra chiedendo aiuto e il mio cuore si stringe nel vedere i loro volti che disperati implorano la Vergine Maria. Qualcuno tiene il capo chino in avanti altri verso il cielo, ma quasi tutti sono in lacrime. Il silenzio è talmente denso da far rumore e l'odore di cera si respira dappertutto. Mentre la serata si è fatta scura le lanterne bianche, le stesse che prima non si vedevano, stanno illuminando a giorno ogni angolo del Santuario con la luce delle fiammelle. Una lenta e lunghissima onda luminosa segue la statua sorridente di Maria muovendosi al ritmo dei pianti, delle preghiere, del cigolio di ruote poco oliate delle carrozzelle e delle barelle dei malati. E dietro a ogni persona disperata che spera di poter lasciare la propria agonia in questo luogo ci sono loro, gli Angeli bianchi di Lourdes le crocerossine. Cosa dire se non che sono meravigliose? Sono belle, giovani e in questo momento potrebbero essere in giro per il mondo a divertirsi con gli amici. E invece sono qui in mezzo alla sofferenza e alla disperazione con il loro cuore grande, tentando di lenire angosce profonde regalando sorrisi, carezze e abbracci. Le parole dei sacerdoti vengono ripetute in tutte le lingue del mondo. Canti eseguiti da voci celestiali riescono ad arrivare in ogni punto del percorso e ad ogni persona grazie ai numerosi altoparlanti posizionati dappertutto. Insieme alle mie compagne ci dirigiamo verso la Grotta di Massabielle. Questo è un posto speciale dove l'intensità della fede diventa talmente forte da avere la sensazione di poterla toccare. “Come vorrei poter accarezzare l'anima di queste persone e strappar via tutta la loro sofferenza, ma non posso.” Ci mettiamo in coda insieme a tanta, tantissima gente.Quello che più mi stupisce è il silenzio, sempre più intenso malgrado la gente continui ad aumentare. In questo momento ci saranno migliaia di lanterne accese e l'unico rumore che si sente è quello delle monete che cadono nel contenitore delle candele. Procedo a piccoli passi sempre in coda e insieme a tutte queste persone e mentre avanzo lenta poso una mano sulla roccia e la sento talmente levigata da non sembrare nemmeno più di pietra dura, ma di una morbida stoffa vellutata. D'altronde sono migliaia i pellegrini, che l'hanno toccata nel tempo e quindi non c'è da stupirsi. Eccomi finalmente arrivata sotto alla statua della Vergine Maria, dove l'undici febbraio milleottocentocinquantotto, ci fu la prima apparizione a Bernadette. Tutta questa gente stasera è qui solo per merito della sua fede! Mormorio di voci, luci tenui di candele, odore di cera colata sui ferri, canti e un popolo di malati talmente numeroso da non sembrare neanche più tali. Creature messe a dura prova da un destino avverso, ma forti e piene di voglia di combattere e soprattutto di guarire. E quando per caso incontri i loro sguardi, sono sempre pronti a regalarti un sorriso: “Ma noi che abbiamo la grande fortuna di essere in salute, perché non sappiamo più sorridere come loro?” Tante sono le domande, i dubbi e le emozioni davanti a tutto quello che ho visto e sentito stasera. Un insieme di sofferenze e dispiaceri enormi e irrisolvibili e nel contempo tutto quell'amore smisurato e quel sapersi regalare completamente agli altri. Cuori immensi e silenziosi, che sotto a camici bianchi donano molto più di quello che possiedono, mentre con delicatezza spingono una speranza. E la potenza dell'amore che si respira in questo luogo, non è spiegabile a parole. Quello che so per certo è che non potrò mai dimenticare niente di quello che ho visto e percepito stasera dopo aver oltrepassato quel cancello e tutta la compassione, che ho respirato tra queste anime belle, la porterò per sempre con me. Commovente ed esaltante allo stesso tempo come poche altre situazioni possono essere. Lourdes è magica!
domenica, 10 giugno LOURDES SAINT JEAN PIED DE PORT Dopo un'abbondante colazione a base di caffè, marmellata di frutta e fette biscottate e dopo aver preso lo zaino in camera, insieme alle mie due compagne stiamo quasi per partire. Tra poco lasceremo l'albergue e queste persone squisite che con la loro gentilezza ci hanno fatto sentire come a casa. Un'ultima divertente foto con Roger il signore inglese sorridente conosciuto ieri, un abbraccio a tutti i presenti e poi esco dal cancello verde. Con Marcella ci dirigiamo per l'ultima volta nella piazza del Santuario, ma con un passo più lento e meditativo rispetto a quello di ieri sera che calpestava divorando in modo frenetico l'asfalto, con l'euforia di chi ha fretta di conoscere, ascoltare e soprattutto comprendere una grandezza collettiva di intenti e di speranze. Mentre cammino mi accorgo di annusare l'aria come farebbe un cane, cercando di scorgere ancora qualche piccola traccia dell'odore intenso delle candele che hanno bruciato per tutta la notte. I prati all'interno dei cancelli sono di un verde brillante evidenziato dalla brina ancora presente della notte e sono uno sfondo perfetto per gli innumerevoli rosari, fotografie e croci, posati ovunque da tutti i fedeli in preghiera passati nel tempo. Raggiungiamo gli interni delle chiese che si rivelano ancora più belli di come che avevamo immaginato ieri sera da fuori. Siamo ammirate e stupite nel vedere tutta questa bellezza, architettura e arte, concentrate in un piccolo luogo. Mi allontano un attimo da Marcella per tornare alla Grotta di Massabielle e per assolvere alla mia promessa di portare le foto e entrambi come infermieri professionali in ospedale e sono sposati da circa quarant'anni. Molto simpatici e gioviali, mi raccontano di aver già fatto il tratto da Leon a Santiago l'anno scorso e di aver deciso di portarlo a termine quest'anno, percorrendolo da Saint Jean Pied de Port a Leon.
*Lo stavano vivendo in modo un po' diverso da quello che ho capito essere il mio concetto di Cammino. Secondo me sarebbe meglio partire dall'inizio e arrivare fino alla fine anche se molti pellegrini, non avendo abbastanza tempo a disposizione per arrivare a Santiago, decidono di fare il pezzo finale, talvolta solo gli ultimi cento chilometri e troppi di questi solo per riuscire a conquistare la Compostela. Credo che non abbia molto senso riceverla a questo modo, perché il Cammino è molto più di un semplice pezzo di carta o di una Cattedrale in una piazza. Per godersi davvero quei premi come tali, bisogna sapere di esserseli guadagnati con la giusta fatica e impegno. Solo così ogni volta che ti capiterà di averla tra le mani, potrai sentire il cuore che ti salterà fino alla gola. Ma questo è il mio pensiero e ognuno è libero di percorrere il suo Cammino come meglio crede e con le modalità che preferisce, facendo la sua strada possibilmente rispettando gli altri, proprio come dovrebbe essere sempre nella vita di tutti i giorni. E anche qui, ci sarebbe molto su cui discutere. “Ma Cinzia allora perché mi dici di partire dall'inizio?” Per non vederti piangere dopo come ho visto fare ad altri. Il rischio che si corre è quello di accorgersi di essersi rovinati una delle esperienze più intense che la vita ci ha regalato. Mi piace paragonare il Cammino di Santiago a un bel libro. Tu leggeresti un buon libro iniziandolo dal centro? O ancor peggio leggendo solo gli ultimi tre capitoli, per poi dire di conoscere l'argomento trattato? Il Cammino di Santiago è più o meno la stessa cosa! Un bel racconto avventuroso, ma di vita vera. Dammi retta e non fare mai questo stupido errore! “Si Cinzia, ma io non ho un mese di tempo!” Non importa quale sia la tua disponibilità di tempo, dato che il Cammino non ha scadenza e per fortuna nemmeno la Credenziale dove apporrai tutti i timbri, quindi avrai tutto il tempo per poterlo percorrere anche a distanza di anni, ma fai la cosa giusta e goditi il tuo libro dall'inizio e non dalla fine. Sarà molto meglio per te arrivare dove riuscirai e poi tornare a casa, sapendo che la volta successiva potrai riprenderlo dallo stesso punto, piuttosto che percorrerlo da metà perdendo l'inizio della storia e tutto quello che ha da raccontarti in sequenza ordinata strada facendo. Comunque ne riparleremo più avanti. Ma come ti ho già detto ho visto molti pellegrini e di tutte le età piangere disperatamente dopo essersi accorti dell'errore. E poi c'è un'altra cosa da considerare. Quando si ha un tempo limitato e si vuole arrivare per forza in fondo, si rischia di andare troppo veloci non godendosi gli attimi lenti, che di solito risultano essere i migliori da ricordare e che invece con la fretta andranno di certo perduti. Quindi respira e non correre.
Dopo aver parlato a lungo insieme a Giovanni e Marisa ed esserci conosciuti un pochino meglio, ci accorgiamo che il nostro treno per Saint Jean Pied de Port non arriverà prima di due ore. Di comune accordo decidiamo di utilizzare questo tempo per fare una piccola visita al centro di Bayonne, città situata nel dipartimento dei Pirenei Atlantici. In stazione ci viene presentata come una cittadina di notevole bellezza, attraversata da natura, cultura, architettura, storia e arte. Non so bene quanto di tutto questo riusciremo a vedere, ma merita di sicuro una prova. E anche se l'intenzione è buona, dopo neanche un quarto d'ora che camminiamo arriva una pioggia torrenziale, che induce noi tutti a fare dietrofront e abbandonare l'idea. Peccato perché mentre stavamo attraversando il ponte sul fiume Nive si scorgevano benissimo tutte le qualità elencate dal cartello in stazione di questa città nel sud-ovest della Francia. Purtroppo la pioggia sta aumentando e dobbiamo per forza tornare indietro.
*Col senno di poi ho capito che fu solo mancanza di esperienza pellegrina, dato che dentro al mio zaino avevo tutto il necessario per affrontare tranquillamente quella pioggia, cosa che avrei fatto dal giorno dopo e per in ogni altro giorno talvolta peggiore di quello e per tutto il Cammino. Ma era troppo presto per saperlo e io ancora inesperta.
Da un altoparlante annunciano il nostro treno e sono euforica, perché adesso ho proprio voglia di arrivare a destinazione. Dopo un'ora di viaggio il binario finisce davanti a un ceppo di legno e il treno si ferma. La piccola stazione di Saint Jean Pied de Port è a dir poco commovente. Una casa bianca a due piani con le persiane color mattone e quell'unico binario con fine corsa dal quale domani quei pochi e comodi vagoni, ripartiranno verso la direzione opposta. Lettere bianche sul cartello a fondo blu confermano che la mia destinazione è stata raggiunta. Tutti scendono in gran fretta da quel mezzo così moderno, che contrasta con la semplicità del contesto un po' datato. Ad ogni modo stanca come sono adesso, avrei apprezzato anche una vecchia diligenza con panche di legno. Gli altri pellegrini e anche i miei compagni di viaggio, sono andati via veloci e io sono rimasta sola per la prima volta da quando ho raggiunto la Francia e devo dire, che sto provando una gran bella sensazione. Mi sono accorta di aver rallentato per rimanere indietro e facendolo ho avvertito una sensazione piacevole e incomprensibile. Credo che sia il vero significato della parola libertà. Avere la possibilità di fare tutto quello che ti passa per la testa in un determinato momento come rallentare o fermarti, anche quando tutti intorno a te stanno correndo. Da ora in poi voglio sentirmi sempre come mi sento ora, facendo solo ciò che mi farà star bene. L'aria è fresca. Un bel respiro profondo, poi abbasso lo sguardo sui miei piedi: “Va bene ragazzi ci siamo ... vamos!” Giro la schiena e inizio a camminare. Le indicazioni non si fanno aspettare troppo. Sto seguendo alcune piccole frecce gialle senza ancora sapere, che proprio loro insieme alle conchiglie, saranno da adesso in poi le mie fedeli e inseparabili compagne di viaggio e senza sospettare per niente, che sarà sempre loro il merito di non perdermi, trovando la giusta direzione verso Ovest. La strada, che prima era pianeggiante adesso è diventata salita e la vuoi sapere una cosa? Sono già stanca! “Come farò a percorrere ottocento chilometri, se dopo solo qualche metro di salita ho già il fiatone? Ma si, chi se ne frega! Un modo lo troverò di sicuro e anche se adesso mi sembra impossibile, non è detto che lo sia.” Riesco a ritrovare la calma nel giro di pochi secondi e anche la salita per fortuna finisce in fretta. Saint Jean Pied de Port è bellissima ed è anche la partenza ufficiale del Cammino Francese. Il centro storico costruito in gran parte con la pietra è attraversato dal fiume Nive, lo stesso che scorre a Bayonne. La presenza dei pellegrini che insieme ai loro zaini si muovono dappertutto qui è davvero notevole. Ho appena attraversato un arco e percorso un tratto circondato da negozietti, ma dopo poco la strada ricomincia di nuovo a salire. Sto seguendo gli altri quando in lontananza intravedo della gente ferma fuori da un negozio. Mi avvicino e capisco che non è affatto un negozio, ma l'ufficio che stavo cercando dedicato all'accoglienza dei pellegrini. C'è una fila di persone che aspettano di entrare e che domani mattina all'alba, cominceranno la loro ascesa verso i Pirenei Francesi. Alzo lo sguardo ed eccoli maestosi, immobili, silenziosi e insidiosi. Sono assorta nei miei pensieri, quando finalmente arriva il mio turno e l'anziano impiegato, mi fa segno di entrare e di sedermi. Il suo gesto è accompagnato da un gran sorriso: “Bonsoir madame comment vas-vous? ” ( Buonasera signora come sta?) Io che nel frattempo avevo già aperto e posato la credenziale sul tavolo e che come al solito ero in agitazione e in trepidante attesa di avere il mio secondo sello, rispondo: “Je vais très bien Monsieur merçi beacoup!” (“Va molto bene signore, molte grazie!”) Poi lo saluto e uscendo, sorrido ... “Non potrebbe andare meglio signore!”
Cinzia Muroni
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