Sono una persona senza tempo. O meglio, forse, sono rimasta indietro nel tempo. Mi soffermo spesso a pensare che sarei dovuta nascere in un'altra era, mi sarei sentita sicuramente più a mio agio e, per usare un gergo dell'epoca in cui viviamo, sicuramente più “nel pezzo”. E invece eccomi qui, a circa un quarto di secolo di vita, a non avere più un obiettivo chiaro davanti a me. Lo scopo di questa vita te lo devi trovare tu. Pensieri sconclusionati, idee pazze e convinzioni ancora più folli, stati d'animo instabili e scrittura di getto (che forse non è mai un bene). Nulla è cambiato, tranne l'età, lo scorrere del tempo che non ti lascia tregua e quest'ansia che, di conseguenza, cresce. Mi sento scoppiare. Ho un uragano dentro me che chiede soltanto di poter esplodere. Momenti critici per essere dentro o fuori. E se si rimane fuori, lo si resta per sempre. Voglio essere dentro con tutta me stessa. Pensieri riflessivi. Un enorme “boh” sul futuro. In mente un simbolo: un punto interrogativo grande quanto una casa. Come fare a essere diversi?
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Ce l'aveva fatta! Finalmente il suo talento letterario era stato riconosciuto da tutti e il suo primo romanzo, L'amore può stravolgerti la vita, era diventato un best-seller ed era stato tradotto in ben venticinque lingue diverse, per essere distribuito nei vari angoli della terra. - Lei è Linda Trunday? - - Sì, sono io - - Vorrei porgerle le mie congratulazioni, il libro che ha scritto è favoloso! Posso chiederle un autografo? - Questo era il genere di conversazione in cui era solita imbattersi per strada con qualche fan. Tutti sembravano conoscerla e il suo cellulare non smetteva di squillare. La prima opera che aveva redatto era riuscita a conquistare milioni di persone: giovani e meno giovani; in maggioranza donne, certo, ma era stata sorpresa di scoprire la quantità di uomini che pure amassero, ugualmente, leggere storie d'amore. Si trattava, per l'appunto, di un romanzo rosa, che Linda aveva composto di getto, nero su bianco: le parole erano sembrate scorrere come il corso di un fiume e lei non aveva più saputo fermarsi. Scrivere le faceva bene, era il suo modo di sfogarsi e di esprimere dei pensieri custoditi nella parte più recondita del cervello e del cuore; riusciva a far vedere il mondo dalla sua prospettiva. Si sentiva felice. Il suo più grande sogno, quello che aveva avuto sin da bambina, finalmente si stava avverando. Poteva continuare a scrivere e scrivere e scrivere ancora... la gente la apprezzava per questo! Non avrebbe immaginato né voluto niente di diverso per la sua vita. Finalmente tutti gli sforzi sembravano ripagati. Quante volte si era sentita una nullità; quante volte aveva pensato di non valere niente e di non aver talento! O, almeno, questo era ciò che le volevano far credere. In effetti, l'inizio della stesura della sua opera era risultato essere molto complicato... a tal punto che aveva avuto paura di non riuscire a portare a termine il manoscritto, deludendo per prima se stessa. Ogni volta che impugnava la penna e apriva il suo taccuino, tutte le idee che dapprima aveva in mente e premevano per essere esternate, rendendosi immortali tramite l'inchiostro, finivano invece per sfumare e lei sentiva di non aver più niente da raccontare. Frustrata, chiudeva tutto e imprecava. Restava lì immobile, seduta e con pensieri negativi a tenerle compagnia, rimuginando sulla differenza tra la vita che avrebbe voluto davvero condurre, con tutta se stessa, e l'esistenza che era obbligata a sopportare e supportare quotidianamente. La differenza, in poche parole, tra sogni e realtà: torniamo sempre a questo punto, per poi sentirci inutili e avere la sensazione che ogni sforzo o tentativo venga nel tempo vanificato. Ci aveva infatti quasi rinunciato, quando un giorno, dopo essere rimasta sola e con un senso di solitudine che le opprimeva l'animo, con le lacrime agli occhi iniziò ad architettare e a scrivere la storia di Helen, la protagonista del suo libro. Sotto quel finto nome Linda riusciva a nascondersi e scriveva di lei, delle sue paure, delle sue emozioni. Narrava ciò che non avrebbe mai avuto il coraggio di raccontare in prima persona, esponendosi senza veli né filtri. Helen le era venuta in mente così, all'improvviso, e in qualche modo le aveva cambiato la vita. Era una sua creazione, certo, ma in cuor suo la trattava da pari a pari. Si soffermava spesso a pensare a come avrebbe agito Helen in una certa situazione, cosa avrebbe detto o progettato all'interno di un determinato contesto. Si era interrogata sui suoi gusti, chiedendosi quale fosse il suo colore preferito, quali cibi prediligesse gustare e quali alimenti, invece, non fossero proprio di suo gradimento. L'aveva architettata alla perfezione, tanto da renderla per lei reale, quasi tangibile. In un momento particolare della sua vita, Helen era l'unica vera amica che aveva. Personaggio frutto della sua fantasia, non avrebbe mai potuto tradire la sua fiducia né l'avrebbe giudicata negativamente. L'avrebbe compresa. E lei era grata di tutto ciò. Tempo addietro aveva ricevuto una telefonata dal suo agente. La American Book editor aveva accettato di pubblicare il suo romanzo e le aveva offerto in cambio una cifra modesta. Aveva riagganciato sentendosi al settimo cielo. Linda non scriveva per averne un guadagno. È vero, in assenza di ulteriori impieghi, sapeva di dover pur vivere dignitosamente, ma i soldi non le importavano granché. Le bastava assicurarsi un adeguato sostentamento. La soddisfazione più grande per lei era piacere alle persone. Voleva che anche gli altri guardassero il suo libro così come lo guardava lei; e che se ne innamorassero, così come era accaduto a lei. Camminava sulla Steinway Avenue ed era giunta all'angolo con Broadway, decisa a non farsi rovinare quella magnifica giornata da niente e da nessuno. Si fermò al bar all'angolo, ordinò un'abbondante colazione e offrì il caffè ad ogni presente. Mangiava con gusto e aveva un sorriso per tutti. Parlava, stranamente, con sconosciuti, uomini e donne, e sembrava essere proprio a suo agio, rivolgendosi a chiunque in modo molto cordiale e gentile. Assaporò ogni singolo boccone del suo muffin. Dalle vetrine del bar poteva scorgere i raggi del sole illuminare d'immenso lo spazio circostante: era una splendida giornata, che sembrava riflettere il suo umore. Pagò il conto e lasciò una generosa mancia alla cameriera. In fondo, si disse, era una giornata speciale e bisognava festeggiare. Pescò dalla borsa i suoi occhiali da sole Tiffany di colore nero e verde acqua e si diresse alla volta del parco. Aveva deciso di sedersi per un po' su una panchina libera e rilassarsi all'aria aperta, godendosi un bel venticello primaverile, che sembrava accarezzarle il volto. Solitamente pensava che fosse spiacevole passeggiare per le strade di quella città da sola, e avere così tanto tempo libero, decisamente troppo, da dedicare a se stessa. Purtroppo non aveva nessun altro di cui occuparsi, ora. Ma quella mattina a Linda non importava. Non voleva offuscare la magnifica giornata di sole con pensieri negativi, e si disse che prima o poi avrebbe trovato qualcuno con cui condividere un po' del suo tempo. Incamminandosi quindi tra le ampie vie, fece una sosta in un negozio di alimentari e acquistò qualche mela gialla, il suo frutto preferito. Era intenzionata, per l'appunto, a pranzare fuori casa, all'aperto. Finalmente giunse all'Astoria Park. Si fermò per pochi istanti e rimase lì impalata a scorgere, meravigliata, la bellezza della natura, che avrebbe potuto ammirare per lunghe ore intere. Ne restava sempre sorpresa e affascinata, non importava quante volte avesse già avuto modo di contemplare quello spettacolo ameno che si dispiegava avanti ai suoi occhi. Trovò la panchina che cercava. Mentre vi si adagiava comodamente e si apprestava a godere del clima mite, la vista iniziò ad offuscarsi. I contorni si fecero sfocati e, per quanto si sforzasse di rimanere lucida, venne risucchiata in un baratro.
Yvonne Tirino
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