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Autore: Gabriele Giuliani
Il giorno prima delle nozze
Narrativa sociale
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Il giorno prima delle nozze
La gelosia della stabilità.

Il risveglio

La stanza era ancora immersa nel buio e inutilmente gli occhi cercavano di distinguere qualcosa. Manlio si girò verso il comodino per vedere che ore fossero.
Le otto meno dieci, ne era sicuro. Come al solito.
Da quando la faccenda era iniziata non aveva più bisogno della sveglia, ormai la anticipava sempre.
Non poteva più nasconderselo: era inquieto.
Pigramente si alzò per andare in bagno e pensò a Carlotta. Lei non sembrava affatto inquieta; frenetica, tutt'al più: strano per una donna in procinto di sposarsi. Del resto, per quanto si sforzasse, non ricordava di averla mai vista turbata in vita sua. Pensando a lei, la rivedeva sempre con la sua aria compunta e indaffarata.
Sposare Carlotta era la scelta giusta? Si domandò all'improvviso. Ma allora? Ci facciamo venire questi dubbi il giorno prima delle nozze?, concluse subito dopo con un sorriso.
Mentre iniziava a vestirsi si soffermò a riflettere che forse era comune a tutti i futuri mariti avere certi dubbi.
Eppure più ci pensava e più si convinceva che l'irrequietezza non era solo dovuta all'imminente matrimonio; doveva esistere una ragione più profonda per quella sorta di disagio: come un vago senso che qualcosa di inaspettato stesse per accadere. Scacciò quei pensieri con un gesto nervoso della mano e aprì le imposte della finestra.
Era una calda mattinata di fine maggio, guardò il suo giardino ricolmo di piante in fiore, ascoltò il cinguettio degli uccelli e inspirò profondamente l'aria calda e densa di profumi della campagna; adorava quel posto. Casa sua. Annuendo soddisfatto scese per fare colazione.
La vecchia Adele lo accolse con maggiore gentilezza del solito e gli preparò un' abbondante colazione che era uno spettacolo anche per gli occhi; sulla tavola con la tovaglia bianca erano disposti pane caldo, composte fatte in casa, burro e un invitante aroma di caffè si diffondeva tutto attorno. Una colazione che normalmente lo metteva di buon umore, ma che non servì però a rasserenarlo. Anche l'anziana governante, dietro la facciata gentile e premurosa, sembrava nervosa e Manlio, che la conosceva fin da bambino, se ne accorse subito. Nei suoi ricordi d'infanzia Adele era sempre stata presente, addirittura più di sua madre di cui aveva solo pochi e vaghi ricordi, dal momento che era molto piccolo quando lei era morta.
La cara vecchia e fedele Adele.
Non le fece domande, ben sapendo che prima o poi si sarebbe decisa a rivelare il motivo di quel nervosismo.
Quando tuttavia la tazzina fumante del caffè che gli stava per porgere finì in pezzi per terra, Manlio non riuscì a trattenersi.
- Ma insomma, cos'hai? È un quarto d'ora che giri attorno al tavolino e non parli. È successo qualcosa? -
La governante teneva gli occhi bassi, con l'aria di chi si sente male al solo pensiero del compito che deve svolgere.
- Ecco signore, è solo che... insomma, dovrei dirle che... -
- Ma che succede? Parlami! -
Con un gran sospiro, Adele si decise. Pronunciò le parole ad occhi chiusi e in fretta.
- Il signor Carlo è qui, è arrivato stamattina. -
Il tempo parve congelarsi: l'atmosfera era carica di tensione e passò un singolo istante che sembrò durare un secolo.
Poi l'espressione di Manlio si rilassò, per lasciare spazio a una fissa incredulità. Carlo?
Ormai neanche il nome gli era più familiare, tanto era il tempo che non si pronunciava in quella casa. Erano anni che non pensava più al fratello, constatò sorpreso.
- Carlo è qui? Ma come? Ha forse saputo che io... ? E come ha fatto? -
Non un solo pensiero coerente si affacciò alla sua mente per svariati secondi, poi se ne presentò uno, serafico, come uno spiritello maligno che gli sussurrava qualcosa di familiare.
Ecco, pensò, il senso di inquietudine di stamattina!
Si irrigidì sulla sedia e con aria grave si guardò attorno.
Adele lo scrutava ansiosa, in attesa di disposizioni. La fissò anche lui, quindi si decise a chiederle:
- Ha detto perché è qui? -
- No, ha soltanto chiesto di parlare con lei, ma si è raccomandato di lasciarle prima finire la colazione tranquillamente, perché non ha dimenticato che lei è solito farla a quest'ora. -
Bastardo pensò Manlio, anche questo si ricorda.
- D'accordo, aspetta un paio di minuti e poi fallo entrare. -
Manlio si adagiò sulla poltrona e cercò di sfruttare quei due minuti per riflettere sul fratello. Ma per quanto si sforzasse non ci riusciva, era come se Carlo fosse morto per lui. Non era questione di cattiveria: lui se n'era andato via anni prima in cerca di gloria e per Manlio era come se non fosse mai esistito, tutto qui.
Il filo dei ricordi fu spezzato dal rumore di passi che si avvicinavano e una figura alta e slanciata entrò nel soggiorno.
- Ciao, fratellone! Come stai? -
Le parole erano uscite con falsa allegria e un sorriso usato per scaricare la tensione, ma, pensò Manlio, suo fratello doveva essere era ben consapevole del momento particolare che si stava consumando.
Manlio lo fissò e tutti i ricordi gli tornarono alla mente in un istante. Dio, è sempre uguale, neanche invecchiato più di tanto.
Ricordò che lo detestava per quell'atteggiamento un po' strafottente e spavaldo, che lo faceva apparire sempre sicuro di sé.
Lo stesso che esibiva in quel momento.
Stava lì, con una mano in tasca mentre con l'altra gesticolava accompagnando le parole, come sua abitudine, vestito in un bel completo in giacca blu, elegante ma sobrio e senza cravatta.

Carlo aveva cinque anni di meno ed era sempre stato più bello di lui. Con gli anni il paragone si era fatto impietoso.
Manlio rivide la propria immagine riflessa nello specchio quel mattino: un quarantacinquenne quasi calvo, con gli occhiali e una folta barba ormai ingrigita, con cui tentava di nascondere il viso scialbo; dal corpo tozzo e basso spuntava una pancetta assai poco estetica.
Carlo, invece, era alto un metro e ottanta, con un fisico ben proporzionato, i lineamenti del viso delicati e un sorriso affascinante su cui spiccavano due occhi verdi di grande intensità. Era il tipo d'uomo che affascinava le donne e riusciva simpatico agli uomini. Anche ora, a quarant'anni, manteneva intatto il suo fascino e il carisma, arricchiti anzi da una leggera imbiancatura alle tempie e qualche filo di barba bianca. Per il resto era il ragazzo brillante che lui aveva sempre invidiato, non tanto per l'aspetto fisico, quanto per il carattere.
Per il suo modo di essere, a ben guardare.
Fin da ragazzo Carlo aveva mostrato la capacità di trovarsi a proprio agio in qualsiasi situazione. Non c'era argomento che lo cogliesse impreparato e sul quale non avesse un'opinione. Molte cose le sapeva davvero, perché era un lettore curioso e amava informarsi di tutto. Altre nozioni le inventava di sana pianta, ma sapeva esporle in tono cosi autorevole che l'interlocutore non dubitava mai della loro esattezza.
Era una qualità che Manlio gli invidiava fin da quando aveva commesso l'errore di presentargli una ragazza a cui teneva molto.
Si chiamava Laura ed era una studentessa di medicina. Una sera erano usciti a cena per festeggiare il compleanno di una sua cara amica. Fin dall'antipasto lui aveva iniziato a dissertare di vaccini e di ricerca con una competenza tale che Laura era rimasta di sasso nell'apprendere che studiava sociologia.
Ma suo fratello era così.
Schiacciato dall'ingombrante presenza di Carlo, Manlio capì che Laura non sarebbe mai diventata la sua ragazza.
Fu quella sera che forse nacque il suo astio per lui.
Erano molto diversi tra loro e il padre se ne rese conto ben presto.
Manlio aveva preferito abbandonare gli studi e iniziare da subito a lavorare nella piccola ma eccellente azienda vinicola familiare, che ora lui aveva ampliato, affiancandole un agriturismo che gestiva interamente da solo dopo la scomparsa del padre.
Carlo invece si era iscritto all'università, dove aveva trovato la sua dimensione e aveva conseguito due lauree, in sociologia prima e in lettere poi. Dopo un periodo come assistente volontario, a cui aveva fatto seguito il dottorato, era diventato in breve tempo uno stimato docente di sociologia con parecchie pubblicazioni alle spalle. Spesso invitato a conferenze, non di rado veniva chiamato in televisione come esperto in programmi che avevano per oggetto la sfera del sociale.
Due persone: due fratelli molto diversi che avevano imboccato strade divergenti.
Mentre questi pensieri gli si affollavano nella mente, incapace di qualsiasi reazione, Manlio fissava il fratello. Sul volto si leggeva solo un grande stupore per ritrovarselo di fronte dopo tanti anni.
Carlo si rese conto del suo imbarazzo e prese in mano la situazione come al solito.
- Sarà meglio sedersi, non credi? - disse con un sorriso impacciato, mentre si accomodava su una poltrona e lasciava correre lo sguardo attorno a sé, con aria di approvazione.
- Vedo che è rimasto tutto uguale, non hai cambiato nulla. Bene. Mi sono fermato per un caffè al bar sulla provinciale e ho scoperto di essere arrivato in un giorno davvero molto particolare per te. Così domani ti sposi con Carlotta. -
Manlio lo fissò, incerto sul significato da attribuire a quella frase.
- Carlo, perché sei qui? - disse infine.
- Perché ho deciso di tornare, semplice. -
- Tornare? Qui? -
- Non qui, fratellone: questa è casa tua, papà l'ha lasciata a te. Intendo dire che tornerò ad abitare in paese e mi sembrava giusto informarti. Certo non pensavo di arrivare in un giorno simile e me ne dispiace. -
- Ma perché... come mai? - riuscì solo a balbettare Manlio.

Gabriele Giuliani

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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