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Autore: Giampiero Momi
Un autunno di tenerezza
Narrativa
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Un autunno di tenerezza
Luglio 2011
Con passo svelto stava rientrando a casa. Uno dei due shopper era pesante e le segava la mano.
Per recarsi al supermercato aveva deciso di lasciare l'auto in garage e di fare quel breve tragitto a piedi. Era rimasta tutto il giorno chiusa in casa a stirare e doveva pur muoversi un po'. Anzi, non appena rientrata, avrebbe dovuto dedicarsi all'ora quotidiana di ginnastica, senza la quale proprio non riusciva a sentirsi in forma.
Odiava stirare. In tutti i sensi, sia come impegno domestico, che come azione in sé. Quello stupido ferro da muovere continuamente qua e là le dava proprio la nausea. Un'azione insulsa che si andava a sommare a tutte le altre azioni insulse che quotidianamente era costretta a sobbarcarsi. Almeno nei giorni in cui non veniva la donna delle pulizie, che erano, invero, la maggior parte dei giorni della settimana.
Il caldo insopportabile che si sprigionava da quel coso, poi, le dava completamente alla testa. Se non fosse stato per le sue delicate camicette, avrebbe rinunciato. Ma le poche volte che le aveva mandate a stirare in negozio, gliele avevano rese che erano un vero schifo. Due erano state addirittura rovinate, e lei non era abituata a indossare camicette stirate alla bell'e meglio.
Teneva così tanto alle sue camicette, come pure a tutti i suoi vestiti e soprattutto alla lingerie, scelta con gran cura, che andava letteralmente fuori di testa quando qualcuno le rovinava un capo. Senza contare poi che era tutta roba di altissima qualità, che costava un occhio della testa. Era stata ben chiara con la donna che prestava servizio a ore, la quale si era sforzata in ogni modo di soddisfare la signora. Macché: alle proprie cose, ci doveva pensare lei. Solo lei.
Le faccende domestiche le pesavano moltissimo e odiava quella vita da casalinga che si stava impossessando sempre più di lei. Non era una casalinga. Non lo era mai stata e non lo sarebbe mai diventata.
Ora quella maledetta borsa le stava lasciando un solco profondo nel polso destro e le bloccava la circolazione. Rimpiangeva di non aver preso l'auto, ma un piccolo sforzo ancora e ce l'avrebbe fatta. Sarebbe stata a casa, al sicuro.
Clementine per certi versi odiava anche la sua casa. La quotidianità di quella presenza la faceva sentire vecchia. Eppure quella era la casa in cui aveva sempre abitato. Almeno sin da quando si era trasferita a Colchester, nell'Essex, ed erano trascorsi ormai ben ventisette anni.
A quei tempi l'aveva scelta con entusiasmo: una villetta immersa nel verde della campagna, a qualche miglio dal castello normanno, che le avrebbe permesso una vita lontano dal frastuono di Londra, pur essendone poco distante.
La circondavano immensi campi di grano e di colza e proprio quelle vaste estensioni, con nessun edificio intorno, avevano convinto Clementine all'acquisto. Si era appena sposata e quella casa rappresentava il rifugio tranquillo per i due amanti che, a causa del loro lavoro, erano, per contro, continuamente sottoposti al frastuono della città.
Quella campagna, che conservava ancora intatto il fascino rurale dei campi fioriti e dei gorgoglianti ruscelli di Constable, l'aveva affascinata fin dal primo momento, al pari dell'antico castello, la cui costruzione risaliva a poco dopo l'anno 1000 per opera di Guglielmo d'Inghilterra.
Allora, qualche metro fuori dalla porta di casa, poteva immergersi nella natura. Le lunghe passeggiate del sabato o della domenica nei campi circostanti le ricordavano la sua prima infanzia, quando abitava ancora con i genitori nella campagna di Ipswich, alla casetta in mattoni rossi con le galline che le starnazzavano tra i piedi e il cavallo del padre che brucava il fieno intorno lì intorno. Quella scelta le dava l'illusione di rivivere il suo passato, quando le semplici gioie della campagna e della vita contadina riempivano la sua vita di bimba.
Il suo lavoro, a quel tempo, la portava continuamente in giro per l'Europa e Clementine, responsabile del dipartimento export di un'importante azienda di giocattoli, trascorreva gran parte del suo tempo nelle principali capitali del continente.
Anche per il giovane marito, a sua volta direttore tecnico di un'azienda che produceva articoli in gomma destinati all'industria, con sede nella periferia sud di Londra, era più il tempo che era costretto a trascorrere in città che quello che poteva dedicare alla nuova casa. I gravosi impegni di lavoro lo costringevano spesso a trascorrere anche la notte nella capitale, dove aveva preso in affitto un monolocale situato non molto distante dalla fabbrica in cui lavorava.
Lei, al contrario, aveva scelto di continuare a vivere comunque in quella casa e, quando il tempo glielo permetteva, si tuffava nel verde dei campi, lontano da ogni contatto umano, per ritemprarsi nello spirito, liberando la sua anima dai pensieri degli impegni lavorativi.
Dopo qualche anno, però, il matrimonio aveva cominciato a scricchiolare, fino a che i due non si erano separati e lui si era definitivamente stabilito in città, lasciando a lei la casa nell'Essex. Poco tempo dopo quella decisione, lui era rimasto ucciso in un incidente stradale mentre tornava a Londra dalla succursale di Liverpool.
Ma Clementine a quel tempo stava vivendo già un'altra vita.
Completamente assorbita dal suo importante lavoro, viaggiava in Europa e in America senza tregua, mentre la sua professionalità cresceva e la sua carriera diveniva sempre più prestigiosa. Mrs Clementine Phillis aveva raggiunto in un decennio il livello di direttore generale della più prestigiosa marca di bambole al mondo e con tale carica era rimasta fino al suo pensionamento. Era ormai trascorso un anno da allora, ma Clementine non si era per niente abituata al suo nuovo ruolo di pensionata.
Finalmente a casa, pensò. Non ce la faccio proprio più a sostenere questi pesanti sacchetti.
Depose le chiavi su un tavolino, chiudendosi la porta alle spalle. Era una bella casa quella in cui Clementine abitava, spaziosa e molto luminosa, con due ampie vetrate in sala che si affacciavano sul giardino.
L'edificio, a due piani, godeva di un ampio spazio circostante, tale da garantire ancora, nonostante il notevole incremento abitativo di Colchester negli ultimi anni, un'accettabile privacy dagli edifici più vicini.
Clementine aveva arricchito quello spazio con qualche albero, soprattutto aceri e betulle, che amava molto, e una grande varietà di piante che fiorivano in tempi diversi durante tutto l'anno, dimodoché non vi era mai un periodo in cui quel giardino restasse senza colori. Un cancelletto in legno, che consentiva l'accesso dalla strada, faceva parte della recinzione che correva all'esterno, tutt'intorno all'edificio.
Subito dopo la sua uscita dal lavoro, Clementine aveva pensato bene di ristrutturare l'abitazione, imponendole un nuovo look più giovanile, più fresco. Aveva quindi fatto sostituire dall'impresa i pavimenti in ceramica con grandi liste di rovere di una calda tonalità rosata, i vecchi infissi di legno con quelli più moderni in pvc bianco, e aveva fatto ridipingere tutte le pareti in un colore grigio chiaro, morbido e caldo.
Anche i due bagni erano stati completamente rifatti e tutti i sanitari sostituiti, mentre lei stessa si era incaricata di ridisegnare il giardino prospicente, dotandolo di nuovi arbusti e grandi vasi di fiori.
Colchester negli ultimi due decenni aveva avuto un forte sviluppo demografico e ora la casa di Clementine non era più isolata come un tempo. Riassorbita nel suburbio, lambiva l'estrema periferia della città. I servizi quindi non erano più distanti come un tempo e a piedi si poteva raggiungere agevolmente
Clementine si affrettò a grande riporre quanto aveva acquistato nel frigo e negli scaffali della cucina e del bagno. Si liberò in camera dei vestiti, che le davano fastidio a causa delle etichette cucite all'interno. Si ripromise di tagliarle e di liberarsene definitivamente una volta per tutte.
Normalmente lei provvedeva subito dopo l'acquisto all'eliminazione delle fastidiose targhette che indicavano la composizione del tessuto e le indicazioni di lavaggio: stupidi rettangolini di stoffa, con istruzioni stampate in molteplici lingue, che la maggior parte della gente trascurava di leggere o esaminava solo superficialmente. Ma tant'era: le regole del commercio internazionale imponevano che fossero sempre più dettagliate e complicate, e soprattutto sempre più numerose e affastellate tra loro. Quindi aumentava il fastidio per coloro che le tenevano cucite sugli abiti e che, come lei, proprio non le sopportavano.
Il vestito che indossava aveva ancora l'etichetta, che lei ave-
va dimenticato di togliere e che le dava tanto noia. Si sentiva sudata e decise di fare subito una doccia. Sì, l'acqua avrebbe contribuito a rilassarla, ne era convinta.
Avrebbe anche sperimentato il particolare gel rivitalizzante acquistato recentemente in Internet, insieme ad altri prodotti parafarmaceutici che riempivano i suoi già stracolmi mobiletti del bagno. Erano tutti articoli che lei scovava con il pc e di cui conosceva alla perfezione l'impiego e gli effetti, nonché le controindicazioni.
Se li faceva recapitare a casa dopo averli ordinati online e averli pagati con la carta di credito. Si trattava per lo più di prodotti vitaminici, antistress, particolarissime creme emollienti per il corpo e il viso, che non riusciva a trovare neppure nei negozi di cosmesi più importanti di Londra, e articoli per il trucco, della cui qualità però doveva essere assolutamente certa.
Lei sapeva bene che erano la stretta osservanza nell'uso e il sapiente impiego di quei prodotti che contribuivano indubbiamente a mantenere smagliante il suo sorriso e affascinanti i suoi occhi, come pure morbida la pelle del suo corpo.
Estrasse dallo stipetto il dosatore del gel ed entrò nella cabina della doccia. Girò la manopola del rubinetto, miscelando accuratamente l'acqua, e si introdusse sotto il getto copioso. Subito avvertì il senso di caldo benessere che l'avvolgeva.
Chiuse gli occhi e lasciò che il liquido le rilassasse le membra.
Dopo, pensò, si sarebbe dedicata alla ginnastica.

Giampiero Momi

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