“Devi per forza riprendere il controllo del tuo corpo, Jordan. Così non puoi andare avanti. Hai raggiunto i centonovantasei chili. Per la tua altezza e la tua struttura ossea è un'esagerazione. Non mi importa che tu abbia qualche goccia di sangue delle Colonie dentro di te! Qui siamo sulla Terra, subisci la gravità di questo pianeta e ne respiri l'aria. In altri contesti forse potresti reggere ancora, ma non qui. Il tuo sistema cardio circolatorio è messo a dura prova dalla situazione, per non parlare dello scheletro. Vuoi tirare le cuoia con quarant'anni di anticipo?” “Non ti sembra di esagerare, Doc?”
In forma perfetta, con i capelli scuri e corti a incorniciare un viso dalla carnagione color bronzo, rischiarato da due profondi occhi bionici, Doc stava per perdere la pazienza. Noto ai più come Kevin Washington, Doc era uno dei più vecchi amici di Jordan G. Vampa. Allo stato dei fatti la probabilità di essere l'unico che gli era rimasto era molto alta, ma c'erano cose più importanti in quel momento. L'istinto omicida che provava era di certo la più pericolosa. Avrebbe ucciso il suo amico con le sue stesse mani. Giuramento di Ippocrate o meno. Puntò le iridi, bianche e metalliche, in direzione di Jordan. Sapeva che non erano utili per mostrare le emozioni, come le versioni biologiche erano in grado di fare, ma era sicuro che tutto il resto del suo corpo liberasse quintali di pura rabbia nell'aria. Un sentimento così violento, che di certo il suo amico non poteva ignorarlo. La postura rigida, le labbra strette e sottili, per finire con la tempia che pulsava al ritmo dell'arteria appena nascosta dalla pelle. Ognuna di quelle cose era un'evidenza di quanto fosse prossimo a perdere il controllo. Ebbe la certezza che il messaggio fosse arrivato a destinazione quando vide l'uomo seduto davanti a lui reagire a quell'occhiataccia e distogliere, imbarazzato, lo sguardo.
“Jordan, questo non è uno scherzo. Hai raggiunto il limite. Così non puoi andare avanti. Si può sapere cosa accidenti ti sta succedendo? Quando ti guardo non riconosco il mio compagno di racket ball, non c'è più traccia di lui in questo ammasso flaccido e depresso che ho davanti. Sono tre anni che cerco in tutti modi di riportarti alla ragione e sai benissimo che sono superiore alle stupide idee di questa nostra società malata. Non mi interessa dell'apparenza. Se ti presso in questo modo è solo perché ci tengo a te.” “Doc...” “Smettila! Non c'è Doc che tenga qui. A discutere del tuo stato di salute, anche mentale, ora sono Jordan e Kevin. In questo momento non sono il tuo medico, sono il tuo amico di sempre, quello con cui hai condiviso la stanza al college. Quello che hai fatto dormire fuori da quella stessa stanza, notte dopo notte, quando hai conosciuto Alejuth. Sputa il rospo!”
L'uomo assestò con difficoltà l'enorme massa corporea nella poltroncina. Chiuse gli occhi, mentre la vergogna di sé e di come si era ridotto in quegli ultimi cinque anni prendeva il sopravvento con il ritorno dei ricordi. Kevin conosceva la risposta alla domanda del suo amico e cercava la soluzione ai suoi problemi da tre intere rotazioni della Terra attorno al Sole. Sapeva il punto di origine di tutto e risaliva più indietro nel tempo, gli ultimi tre anni erano stati la goccia che aveva fatto traboccare il proverbiale vaso. Il semplice ricordare sua madre gli chiuse la gola in una morsa e, nel contempo, gli provocò un violento desiderio di cibo. Non era semplice fame, era bramosia. Sapeva che era sbagliato, ingozzarsi non avrebbe risolto niente, ma lo faceva stare meglio e dimenticare. Riaprì gli occhi nocciola per trovarsi a fissare quelli bionici del suo amico d'infanzia. Il vivido e luminoso bianco appena striato di azzurro lo costrinsero a tornare alla realtà. Poteva raccontargli come stavano le cose? Una parte di lui avrebbe anelato la possibilità di confessarsi. Poi c'era l'altra parte, quella che invece non se la sentiva di affrontare il problema. Chiuso in quella dicotomia sapeva di dover trovare il modo di sopravvivere, era l'unica possibilità per sistemare tutto il resto della sua vita. Morire non avrebbe risolto niente, anche se sarebbe stato un sollievo avere il coraggio di accettare quell'ipotesi.
“Non posso, Kevin. Non ora e forse mai, ma di certo non oggi. Però hai ragione, devo fare qualcosa, ma non so come. Non ho la forza di reagire, anche se vorrei farlo. Almeno una parte di me vuole. Pensavo di andare a vivere sulla Colonia Lunare. Il vantaggio gravitazionale potrebbe aiutarmi.”
Kevin abbassò le palpebre per non vedere il suo amico mentire in modo così spudorato. Quegli occhi, che si portava dentro le orbite fin da bambino, gli consentivano di notare cose che per altri non erano nemmeno percettibili. Quello che vedeva sulla pelle di Jordan e nel suo sguardo lo terrorizzava. Non c'era traccia di luce e questo era il vero pericolo. Con il capo chino, e la fronte poggiata sul palmo della mano, si domandò se l'uomo davanti a lui avrebbe accettato la più folle delle proposte che poteva fargli. Lo guardò di nuovo e lesse negli occhi quasi spenti una disperazione profonda, sperò fosse sufficiente a fargli dire sì.
“La Colonia Lunare non è la soluzione. Falliresti. C'è una sola cosa che può funzionare: l'UnderSkin Personal Trainer. Ne hai di sicuro sentito parlare.” “Vuoi cacciarmi fuori dal mio corpo?”
Lo stupore era un'emozione. Kevin prese quella reazione come una cosa positiva, quanto meno dimostrava che Jordan sembrava in grado di provare ancora qualcosa.
“Riassunto brutale, ma perfetto. Ci sono diverse metodologie e tempistiche Jordan. Devo essere onesto con te, io andrei sul pesante. Almeno un mese fuori dal tuo corpo per una bella scossa e poi se ne riparla.” “Cosa dovrei fare io nel frattempo? Dormire in qualche deposito di coscienze?” “Credo non ti sia proprio chiaro come funziona, il che è strano dato che sei un ingegnere. Mi sento un po' in imbarazzo a spiegarti la tecnologia applicata, ma ci posso provare così poi ne parliamo con calma. L'UPT è un'azienda, ma la cosa importante è il programma che usano. Di certo nato per fini medici, chi l'ha creato voleva farci soldi, parecchi soldi. L'abbonato medio dell'UPT è giovane e con poca voglia di fare attività fisica, ma desideroso di avere un corpo da mostrare. Lo sai come funziona la nostra società, quello che mostri fuori è quello che sei dentro. Quindi se non sei piacevole allo sguardo...” “La finisco io la frase, il concetto è ben chiaro, so molto bene come funzionano le cose. Se non sei attraente non vali niente. Cosa vuoi che conti tutto quello che hai fatto nella tua vita prima di perdere la forma fisica.”
Un'altra emozione. Rabbia, anche se troppo poca. Il medico ne avrebbe preferita una dose maggiore, ma almeno era riuscito a scuotere qualcosa dentro il suo amico.
“Jordan, fammi finire prima di negarti una possibilità reale di cambiare le cose. L'UPT ha una seconda grossa fetta di mercato negli anziani, che vogliono restare in forma per poter mantenere un tenore di vita accettabile e non perdere terreno a livello sociale. Giunti a una certa età si perdono gli stimoli, ma siamo tutti consci di quanto sia importante mantenere la facciata. Entrambe queste categorie non necessitano di un intervento radicale, come sarebbe indispensabile nel tuo caso. Di solito cedono il corpo per qualche ora, due o tre volte la settimana, per meri cicli di mantenimento. Non è quello che serve a te.” “Non girarci intorno. Quale sarebbe la tua proposta?” “Di cercare uno dei Trainer della UPT che sia disponibile a un intervento aggressivo iniziale, seguito da una seconda fase più leggera, di condivisione degli obiettivi, per poi passare al mantenimento.”
Questa volta lo stupore fu fin troppo percepibile. Jordan guardava il suo amico, nonché confidente e medico, con un'incredulità che nemmeno cercava di mascherare. Stirò la schiena, già stanca a quell'ora del mattino, e pensò che avrebbe fatto prima a spiegargli come stavano le cose. Magari avrebbe capito la portata della situazione e l'assurdità di quello che aveva appena proposto. Purtroppo, in quel momento, confessarsi era impossibile per lui, un ostacolo insuperabile e un denudarsi insopportabile da valutare, figurarsi da attuare. Eppure, nonostante le paure, il pensiero che forse se avesse accettato quella proposta al limite dell'assurdo, e se tutto avesse funzionato... L'idea di riappropriarsi della sua vita era inebriante. Kevin rimase in attesa, lo osservò passare dallo stupore alla quasi accettazione. Si preparò alle domande, che sapeva sarebbero arrivate. Conosceva Jordan e non era di certo quello che il suo aspetto esteriore mostrava. Era un ottimo ingegnere, una delle migliori menti analitiche della Terra e non era il sangue delle Colonie ad avergli dato quella marcia in più. Lo si poteva definire, in modo molto semplice e diretto, un genio. Una volta, un secolo prima, era stato quasi innamorato di lui e vederlo in quello stato lo distruggeva. Sembrava che persino la sua capacità di ragionare fosse rallentata dal peso corporeo, la sua intelligenza superiore pareva svanire di pari passo con la forma fisica.
Jordan si riscosse quando una delle gambe iniziò a fargli male. Non poteva stare fermo e non poteva muoversi. Si sentiva un rudere. Si spostò appena prima di sospirare e accettare, senza farlo davvero, la proposta di Kevin.
“Se ti dicessi di sì, come funzionerebbe il tutto?” “Per prima cosa dovremo contattare uno dei responsabili commerciali dell'UPT per verificare la fattibilità. Fino a ora si tratta solo di una mia idea, ricordatelo. Se sono disponibili, e sono quasi certo che lo saranno dato che aprirebbe per loro un nuovo possibile mercato, cercheremo la disponibilità di un Trainer che accetti la sfida. Perché di sfida si tratta. Penso ne troveremo di sicuro più di uno. Quel genere di persone amano mettersi alla prova. Non credo avremo l'imbarazzo della scelta, perché si tratta davvero di una cosa davvero impegnativa, ma potremo valutare di certo qualche nome. Giunti a quel punto, selezionato il Trainer giusto per il tuo caso, potremo partire.”
Martina Tognon
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