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Autore: Tiziana V. Paciola
Myra
Romanzo
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Myra
All'imbocco del sentiero che costeggiava l'uliveto, trovò suo marito seduto contro il suo albero preferito, un maestoso ulivo secolare.
Le prime gocce di pioggia cominciarono a cadere, insistenti.
- Loris! - esclamò sorpresa - che ci fai qui? - .
Non le rispose subito, stese le gambe, con studiata lentezza: - ...E alla fine... - si fermò a giocherellare con i sassi sotto le sue mani - ...vi siete ritrovati - .
I tuoni continuavano a scaricarsi, producendo un rumore forte e cupo, ma nessuno dei due pareva curarsene.
Parlava con voce bassa, cavernosa, roca, di una tristezza disarmante. - Tu e il giovane cacciatore - .
Lo guardò sconcertata. Impiegò un attimo ad assimilare ciò che le stava dicendo: - Tu lo sapevi? - .
Ignorò la sua domanda. - E da come sei zuppa, avete anche ritrovato il vostro posto segreto - . Prese un sassolino e lo lanciò in mezzo a un cespuglio alla sua sinistra, seguendo con gli occhi l'arco disegnato dalla pietruzza, poi riabbassò la testa. - Raccontami, ti ha fatto godere come allora? - .
Il vento sferzava gli alberi e ne piegava le chiome, la pioggia continuava a scendere sottile e fastidiosa.
Mia era sconvolta, le aveva taciuto tutto quanto - Tu, hai sempre saputo. Sapevi chi ero. Chi sono - .
- Non mi hai risposto - ripeté pazientemente - ti ha fatto godere come allora? Hai urlato di piacere come facevi nella capanna? Quante volte lo avete fatto? - .
Era furibonda: - Non è successo niente!!! - , urlò.
- Ma non mi dire!? - alzò le sopracciglia e aggrottò la fronte. - Stavolta non ti ha soddisfatto? Non ti è bastato? - , fece una smorfia.
- Lo sapevi e non mi hai mai detto niente, hai lasciato che gli incubi mi tormentassero in tutti questi anni - .
Erano in balìa della tempesta perfetta di vento, tuoni, fulmini, e una pioggia che era diventata torrenziale. Ma niente, al confronto con la burrasca scatenata fra di loro.
- Tormento - , disse lui soppesando la parola, poi rise amaramente - che vuoi saperne tu, del tormento? - .
Alzò la testa faticosamente, dondolandola da un lato all'altro e massaggiandosi la nuca.
La guardò a lungo prima di continuare, e Mia si accorse che gli occhi erano rossi e gonfi, doveva aver pianto, e molto anche.
- Vuoi che ti spieghi cos'è? Ti accontento: tormento è crescere con la persona che ami fingendoti suo amico, nascondendole ogni singolo palpito che provi quando le stai accanto. Proteggerla da ogni minaccia. Custodendola, come fosse il tesoro più prezioso di questo mondo.
Tormento è saperla imprigionata, esiliata e portata via da un altro uomo - . Si era alzato da terra a rilento, continuando a parlare: - Tormento è spiarla da lontano senza poter interferire nella sua nuova vita - . Gradatamente, la voce da flebile era diventata più possente. - Seppellirla, sapendo che l'universo è vuoto senza di lei - .
Fece una pausa e riprese in maniera sempre più aggressiva, sovrastando il rombo dei tuoni e l'ululato del vento, senza smettere di guardarla. - Tormento è attenderla per secoli e scoprire che lei ha solo finto di amarti, e per tutto il tempo non ha fatto altro che sognare di essere fra le braccia di Leonardo! - aveva sputano fuori quel nome, come un boccone amaro.
Si avvicinò e alzò la voce, in un crescendo - Tormento, è sapere che i miei figli sono suoi - .
L'ultima frase fu un ringhio feroce in faccia a Mia. - Tormento è sapere che hai appena fatto l'amore con lui - .
- Non è vero, non è come c... - .
La schiaffeggiò forte in viso, incapace di ascoltare altre menzogne.
- Taci - . Era fuori di sé.
Lei rimase senza parole, non aveva mai alzato neanche un dito contro di lei.
Si portò la mano alla guancia, scioccata. Faceva fatica a riconoscere suo marito nell'uomo che aveva di fronte.
Gli occhi di Loris lampeggiavano d'ira, continuò a urlarle contro tutto il suo dolore, mentre la pioggia si scaricava su di loro, sempre più forte. - Non hai idea di quello che ho dovuto sopportare per averti. E tu cosa fai? Tu scegli lui. Ancora! Come hai potuto ingannarmi in questo modo? Mi hai illuso di avere te, dei figli, una famiglia. Non ho mai avuto niente. Niente! - e la colpì di nuovo, con più forza, tanto da farla barcollare e cadere in terra.
- Dovevo capirlo da quella volta in erboristeria, cos'è che mi dicesti? “Non sei il primo e non sarai l'ultimo.” Quella frase mi ha perseguitato negli anni, come una maledizione. Fino a quando non l'ho visto. Oh, l'ho riconosciuto subito il tuo Leo. Ti eri riferita a lui. Vero? Lo stavi aspettando da allora - . La prese per i capelli e tirò forte. - Dimmelo, ti toglie ancora il fiato quando ti guarda? Ti senti ancora mancare il terreno da sotto i piedi quando ti tocca? - .
Urlava e la colpiva in modo così brutale da lasciarle vistosi lividi al volto e sulle braccia.
Continuò, finché lei rimase a terra immobile sotto al grande ulivo, singhiozzando sommessamente, con le mani sulla testa.
Non riusciva a parlare.
Avrebbe voluto spiegargli quanto si sbagliava, che la comparsa di Leo le aveva creato una grande confusione, ma proprio grazie a lui i suoi ricordi si erano sbloccati e adesso aveva con sé tutte le risposte.
I dubbi erano svaniti: voleva dirglielo con tutta se stessa che amava solo suo marito, la loro famiglia, che non desiderava altro.
Ma sembrava impazzito, non le avrebbe mai creduto e tutte le certezze che, finalmente, aveva fatto sue, non avevano, ormai, alcuna importanza.
Si chiese se fosse rimasto qualcosa del suo Loris in quello sconosciuto saturo di un odio trascinato nei secoli.
Lo aveva perso per sempre.
Nonostante tutta la sua ira, il corpo di lei steso inerme sull'erba bagnata lo attraeva come una calamita.
Si avvicinò, la guardò languidamente, le accarezzò i capelli, il collo e scese fino alla scollatura, aprendole il primo bottone.
Poi il secondo e insinuò un dito nel reggiseno.
Le strappò senza fatica il resto del vestito completamente fradicio.
La inchiodò a terra con il suo peso e si stese sopra di lei.
La sua pelle era un richiamo irresistibile, gli provocava brividi lungo la schiena, lo incoraggiava a non smettere.
Il suo profumo lo supplicava di avvicinarsi.
Il corpo pronto, in attesa del suo. Come era giusto che fosse.
Era lì per lui, solo per lui.
Mia cercò di divincolarsi. - No, ti prego, non farlo. Ti supplico non farmi questo. No. No. Fermati! - , ma lui le bloccò i polsi in alto con la mano sinistra, mentre con la destra iniziò a slacciarsi i pantaloni.
Un fulmine si scaricò a poche decine di metri da loro, nel vigneto.
Cercava di baciarla mentre iniziava a muoversi sopra di lei. La penetrò con forza, e a ogni spinta la guardava, senza rimorso, facendola sua, come avrebbe dovuto fare dall'inizio.
Non lo avrebbe mai creduto capace di tanto, quello che le stava infliggendo adesso era più doloroso di tutte le percosse che aveva subìto da lui nell'ultima ora. Non aveva modo di difendersi, era impietrita dalla violenza di Loris.
Suo marito stava abusando del suo corpo come della sua anima, prosciugandola di qualsiasi sentimento d'amore lei avesse mai custodito nel suo cuore.
Piangeva per se stessa, per la violenza, e per suo marito, masticato e ingoiato da un mostro pieno d'odio che aveva preso le sue sembianze.
Si fermò solo un momento, accostò le labbra al suo orecchio per dirle con voce eccitata: - Io sarò l'ultimo, che tu lo voglia o no - .
Non aveva la forza di spingerlo via, non si capacitava di come suo marito potesse dimostrare tanta crudeltà.
Non poteva fare altro che rassegnarsi a subire il male e l'umiliazione.
Loris era al culmine dell'eccitazione, si avvicinò in cerca della sua bocca. Mia non si spostò, aspettò che si avvicinasse, piegò la testa contro di lui e gli morse forte il collo, tanto da staccargli un lembo di pelle.
- Ahhh! - . Il dolore andò di pari passo con lo stupore, non si era aspettato alcuna reazione.
Si portò una mano sulla ferita sanguinante e la lasciò andare gridando: - Sei una lurida puttana - .
Mia si trascinò sulla schiena, cercando di trattenere i brandelli del vestito.
La fissò con disprezzo, iniziò a roteare la mano destra fino a creare un vortice, sempre più potente, la issò in aria e la lanciò contro un albero.
Rimase a terra svenuta.

Tiziana V. Paciola

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