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Autore: Giovanni Romano
Ricomincio da noi
Romanzo
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Ricomincio da noi
Erano molte le notti che Massimiliano trascorreva insonni, disteso sul letto a fissare il soffitto e a riflettere sul suo sentirsi come un'entità astratta. Sapeva che quello che stava vivendo non gli apparteneva.
La sua vita trascorreva avvolta nell'ombra, facendolo sentire simile a un fantasma.
Aveva bisogno di riprendersi in mano la sua vita.
Molti pensieri continuavano ad affollare la sua mente, ma nessuno gli dava la soluzione al suo disagio. Continuando a cercare di collegare il presente al suo passato, ripeteva sempre la solita domanda, - in realtà chi sono? - Non riusciva a capire come potesse aver vissuto quarant'anni nell'anonimato.
Quando si alzò dal letto, era quasi l'alba. Sulla sua pelle sudata c'erano tutte le tracce dell'ennesima notte insonne. Lento e bar- collante si diresse in cucina. Mise il bollitore sul fuoco pensando che, una buona tisana gli avrebbe dato l'energia necessaria per affrontare un'altra giornata di lavoro. Massimiliano era agente di commercio in una società di biancheria intima.
La forza che impiegò per arrivare in bagno, derivava dalla voglia di chiudersi nella doccia. Era l'unico posto dove poteva iso- larsi, lasciando fuori il suo “non essere”. Chiusa la porta alle spalle, aprì l'acqua fredda e la lasciò cadere sul suo corpo spento.
Quando uscì, l'acqua del bollitore era del tutto evaporata, e con essa l'opportunità di godersi, tranquillamente, una calda ti- sana.
Non restava che vestirsi e iniziare la giornata. Per Massimiliano era molto importante la sua immagine. Gran parte del tempo, che trascorreva nella stanza da bagno, lo dedicava al radersi con cura la barba, operazione che eseguiva con la stessa metodicità con la quale trascorreva la sua vita.
Come sempre, scelse l'abito che più celasse il suo umore. Se tutti pensavano che il modo di vestirsi rispecchia il proprio stato d'animo, per lui non poteva essere così, perché in tal caso l'unico indumento che avrebbe potuto indossare sarebbe stato solo un cencio. Fissò per alcuni minuti gli abiti nell'armadio. Decise per un completo marrone, leggermente gessato, camicia bianca e cravatta scura, quasi bordò.
Prese le chiavi dell'auto, impugnò la sua ventiquattrore, e chiuse la porta di casa dietro di sé. Raggiunse l'auto, una sporti- va italiana, l'unica cosa che nella sua vita era in grado di stimo- largli emozioni.
Prima di mettere in moto, diede uno sguardo alla sua agenda elettronica.
Controllare tutti gli appuntamenti, gli avrebbe dato la possibi- lità di programmare l'itinerario.
Il percorrere ogni giorno le strade di Roma, il trambusto delle vie della città, la velocità di ciò che gli stava intorno, evidenziava ancora di più il suo sentirsi fermo, riconoscendosi esclusivamen- te nella temporizzazione metodica dei semafori. Come sempre si diresse verso l'edicola a ritirare il suo quotidiano, per poi fer- marsi al bar, dove era solito mangiare la prima colazione. Si se- dette all'unico tavolo che potesse permettergli di sbirciare il me- raviglioso panorama quando la lettura diventava troppo noiosa. Il cameriere avvicinandosi al tavolo, gli chiese:
- Il solito, signor Palladini? -
Massimiliano confermò, con leggero movimento del capo.
Pochi minuti e gli furono serviti la spremuta di arancia, un croissant ai frutti di bosco e un piccolo panetto di burro. Guar- dando l'orologio capì che era in ritardo sulla tabella di marcia. Per recuperare il tempo che aveva impiegato ad ammirare il pa- norama, che oggi gli sembrava più incantevole del solito, dovette sfruttare gran parte della potenza del suo piccolo bolide.
Arrivato in ufficio, percorse il lungo corridoio ai cui lati, nel living-room, erano già tutti alle loro scrivanie a dar vita alle loro idee, coperti dal vociare delle centraliniste, concentrate ad ac- contentare i desideri dei futuri clienti.
Nonostante lavorasse da anni presso l'azienda, non conosceva i volti, né i nomi dei suoi colleghi. Con passi lenti ma decisi, te- nendo lo sguardo basso, giunse alla porta di vetro, dietro la qua- le lui pensava ci fosse la causa del suo esser fermo nel semplice ruolo d'agente; l'amministratrice delegata dell'azienda. Quella donna, non era una donna qualsiasi, ma era una che quando la incontravi, ti segnava per sempre il destino. Di sicuro molto femminile, ma aveva uno sguardo che quando s'incrociava con il tuo, era capace di programmarti come un robot, rendendoti completamente incapace di pensare, almeno questo era ciò che lui pensava di lei.
Prima doveva passare, quello che lui definiva, il posto di con- trollo, l'assistente della dottoressa. Era una persona che rispec- chiava ciò che era l'amministratrice. Una persona fredda e schi- va, che si limitava a rispondere senza mostrare alcun interesse, rimanendo sempre con la testa bassa.
Massimiliano si avvicinò alla sua scrivania, la salutò con voce afona, e disse:
- Buon giorno, la dottoressa può ricevermi? -
- Certo Signor Palladini. A dire il vero mi ha da poco riferito, appena l'avessi vista, di dirle che le doveva parlare. -
- Bene. Buon proseguimento di giornata. -
- Mi scusi, volevo solo avvisarla che la dottoressa oggi è molto nervosa. -
Nell'allontanarsi dalla scrivania, accompagnava il passo con un leggero movimento del capo, pensando che la dottoressa oggi dovesse essere oltremodo nervosa, se l'iceberg si era spinto oltre nel parlargli. Più si avvicinava alla porta, più erano chiare le urla della dottoressa, avendo conferma di quanto appena appreso.
Bussò e, mentre attese che la luce diventasse verde, si accertò che l'abito fosse in ordine, controllando prima la cravatta, poi la giacca.
Finalmente la luce cambiò colore. Fece passare altri secondi prima di entrare. Dopo aver concentrato quanta più compostez- za, varcando la soglia disse:
- Buon giorno, dottoressa Laurenzi. -
- Buon giorno, Signor Palladini. -
- Mi hanno appena riferito che voleva parlarmi. -
- Sì. Prego, si accomodi. Non le ruberò molto tempo. So che la sua agenda è piena d'impegni. -
Gli sembrò tutto un po' strano. La dottoressa, aveva un aspetto insolito, nonostante apparisse ancora più severa, riusciva ad es- sere finanche seducente. Restò a fissarla, gli sembrava che l'espressione del volto cambiasse ripetutamente, a volte freddo e inespressivo, altre molto intenso, tremendamente piacevole. Fi- nanche il movimento delle labbra, nel pronunciare determinate parole; aveva un movimento molto sensuale, gli occhi da gelidi, improvvisamente diventavano seducenti.
- Che cosa ha stamattina, cosa fa lì fermo? Devo forse ricre- dermi sul fatto che lei è considerato un uomo sveglio, brillante? - Massimiliano riprendendosi dal disorientamento in cui era precipitato, proseguì il suo cammino verso la scrivania. Mentre
si accomodava:
- No, Dottoressa era solo... -
- Ah bene. Per quello che le sto per proporre di certo non mi serve un omone che s'immobilizza davanti ad una donna, facen- do sminuire finanche la sua prestanza fisica e il suo sguardo da maschio ammaliatore. Io ho bisogno di qualcuno che con il solo sorriso possa far sciogliere qualsiasi donna, fosse anche una suora. Capisce di cosa ho bisogno? Di un uomo sicuro di sé. -
Accennando un sorriso e con evidente stato d'imbarazzo, scuotendo leggermente la testa, Massimiliano disse:
- No, no si figuri! -
- Mi scusi. L'ha turbata che lei potesse far... perdere le staffe finanche a una suora? Mi scusi ma non volevo offendere la sua fede religiosa... mi scusi ancora, di certo non volevo turbare il mio migliore agente. -
Massimiliano continuando a vivere in un'altra realtà farfugliò:
- Il suo migliore agente? Veramente io. - La dottoressa lo interruppe nuovamente.
- Su, non faccia il modesto, la credevo più aggressivo, più combattivo, devo forse ricredermi? Forse dietro questa corazza da uomo duro e determinato si nasconde un bambino timido e introverso? Beh se così fosse, sarei costretta a rivedere i miei programmi su di lei, per me, ma soprattutto per la mia azienda. -
- No, no. Non faccia caso a quanto sinora ho detto. La prego continui - , rispose prontamente.
Il dialogo proseguiva con i convenevoli, ma a un tratto fu in- terrotto dallo squillo del telefono.
Era il collaboratore della dottoressa, che la avvertiva che c'era in linea il Dottor De Marinis da Madrid...
Il volto della Dottoressa lasciò trapelare un'espressione di sod- disfazione. Massimiliano approfittò della pausa per guardare fuori dalla grande vetrata che era di fronte a sé. Gli era sempre piaciuto ammirare quel panorama, quel tratto di verde, gli rega- lava sensazioni contrastanti: tranquillità mista ad ansia.
La dottoressa a gesti lo invitò a uscire.
Massimiliano abbandonò mestamente l'ufficio, ma quando fu davanti alla porta, sentì la voce della Dottoressa:
- Signor Palladini, presto continueremo il discorso appena in- terrotto. -
A queste parole si voltò, sorrise e salutando nuovamente chiu- se la porta alle sue spalle.

Quando ritornò a casa, si sentiva diverso. Per tutto il giorno non fece altro che pensare all'incontro con la dottoressa Laurenzi, cercando di immaginare cosa avrebbe voluto proporgli e tutti quei complimenti, “il suo migliore agente”, gli apprezzamenti sul suo modo di essere uomo. Un sorriso gli segnò il volto. Scrollò il capo e, ritornò nel mondo reale.
Preparò in fretta la borsa della palestra, si tolse la giacca, i pantaloni e poi la camicia. Restò per un attimo a guardarsi allo specchio, ad ammirare il suo corpo nudo, controllando se ogni singola fascia muscolare avesse le forme ben delineate e scolpite. S'infilò i pantaloni della tuta e giù di corsa. Amava prendersi cu- ra del suo corpo, dedicando gran parte del suo tempo libero all'attiva fisica. A passo veloce raggiunse la palestra; andare a piedi e a passo veloce era un buon riscaldamento per i muscoli, così da essere già pronto a reggere le fatiche alle quali lo avrebbe sottoposto il suo Personal-Trainer. Arrivato in palestra, si recò negli spogliatoi, posò lo zainetto nell'armadio e ritirò la scheda giornaliera degli esercizi. Mentre percorreva sul Tapis Roulant i chilometri programmati, diede uno sguardo al programma gior- naliero. Terminò la corsa quando iniziavano a scendere le prime gocce di sudore. Pochi minuti e proseguì negli allenamenti. Do- po un'ora d'intenso impegno fisico, andò negli spogliatoi, si libe- rò degli abiti sudati e si preparò per una doccia rigeneratrice. Indossò la tuta e, ripercorse la strada che lo conduceva a casa, ma stavolta non si sentiva soddisfatto! Non era riuscito a dare il meglio di sé, era distratto! Il suo pensiero era costantemente fis- so sulle parole della Laurenzi.
Ripose la borsa sul solito scaffale della lavanderia. Si avvicinò con passo lento alla televisione, afferrò il telecomando poggiato sul tavolino e si lasciò cadere sulla sua amata poltrona.
Fissava il televisore senza alcun interesse, poi lanciò un'occhiata alla ventiquattrore. A questo punto avrebbe dovuto fare il resoconto della giornata, ricontrollare gli ordini, i contrat- ti, ma non ne aveva voglia, anche perché sapeva che c'era poco da controllare. Era stata la giornata meno redditizia da quando lavorava alla “CHARM & SEDUCTION”. Per tutto il giorno aveva pensato al colloquio avuto con la dottoressa.
Ora che la dottoressa aveva deciso di puntare su di lui, si sa- rebbe presentato al prossimo colloquio, se mai ci fosse stata un'altra occasione, con una giornata negativa. Nonostante fosse- ro trascorse molte ore dal colloquio non distolse mai il pensiero dalla dottoressa Laurenzi. Non sapeva se si sentiva lusingato per gli apprezzamenti professionali o per quelli personali, se era più attratto dalle nuove prospettive di lavoro che finalmente si sta- vano presentando o dalla donna che gliele aveva proposte. Chiu- se gli occhi e provò a cambiare pensiero, cercando di trovare la sua concentrazione di sempre.
La solitudine era la sua unica amica, e per evitarla organizza- va la giornata con una sequenza interminabile d'impegni, in modo da essere talmente stanco da non avere né il tempo né la forza di poter pensare e riflettere. Sapeva benissimo che dopo il lavoro, la palestra, il resoconto, non c'era altro che il silenzio, la noia, le notti insonni a fissare ora il soffitto, ora lo specchio, pensando a quella che era stata la sua vita, erano già abbastanza lunghe ed estenuanti da far passare. Di certo non era facile dover fare tutti i giorni i conti con il passato e peggio ancora con quel trascorso che non c'era, ma che continuava a condizionargli il presente.
Ogni volta che ritornava a casa e restava solo con sé stesso, di- ventava un'altra persona. Di certo non poteva essere la sola vo- glia di realizzarsi nel campo lavorativo che lo rendeva così cupo e infelice. C'era dell'altro, quello che non ricordava o che lui stesso, più semplicemente, cancellava.
In effetti, era strano che un uomo, la cui vita privata lo rende- va un uomo solo, avesse un lavoro che gli imponeva di confron-
tarsi con gli altri. Che avesse una vita privata arida si poteva no- tare anche nell'arredamento della casa, per il quale era evidente l'assenza di una donna.
Le pareti erano tutte monocromatiche e l'arredamento certa- mente di gusto, moderno, ma ridotto all'essenziale. La cucina composta di pochi pensili e un piccolo tavolo in vetro per quat- tro persone. Nel soggiorno c'era una parete attrezzata nella quale faceva da padrone un grande televisore di ultima generazione. Poche mensole, ma stracolme di libri. Nell'angolo della parete che divideva il soggiorno dalla stanza da letto, c'era un bar poco fornito, ma sul quale c'erano tanti cd sparpagliati di quei pochi cantanti che lui amava ascoltare, quasi come una scelta ben se- lezionata, musica anni 70-80 e nient'altro. Nessun quadro, nes- suna foto a immortalare una donna o un momento che si ama ricordare. La stanza da letto a differenza delle altre stanze aveva una nota di colore. C'era una rosa rossa, posta sul comò nell'angolo destro, tenuta in braccio da un peluche, un piccolo orsetto.
Quello che lo rendeva particolare erano i nastrini che lo avvol-
gevano, uno di colore rosa e uno azzurro.
Mentre una trasmissione televisiva era la sola a rompere il si- lenzio, si alzò di scatto e si diresse verso la cucina, aprì il frigori- fero e, dopo uno sguardo veloce, tirò fuori quelle poche cose che lo riempivano: un'insalata, una carota, qualche pomodoro, una scatola di tonno e una di mais. Con una precisione da vero chef, tagliò la carota alla julienne e i pomodori a cubetti, raccolse l'insalata che aveva già accuratamente lavato, aggiunse il tonno, dopo averlo lasciato sgocciolare, e il mais, condì il tutto con un pizzico di sale iodato e una spruzzatina di aceto balsamico. Stappò una bottiglia di vino italiano, ne versò un po' nel bicchie- re, ne bevve un piccolo sorso, quasi come a volerne assaporare la fragranza.
Non aveva ancora terminato la cena, quando sentì squillare il cellulare che aveva dimenticato nella tasca interna della giacca. Si precipitò alla ricerca, affinché non smettesse di suonare.
- Pronto? -
Una voce non del tutto sconosciuta, ma di sicuro molto fem- minile e sensuale:
- Mi scusi per l'ora, sono la dottoressa... -
Gli sembrò di avere il cuore in gola, “la dottoressa Costa che mi chiama sul cellulare a quest'ora?” Pensò.
- Sono la Dottoressa Costa, la disturbo perché da poco mi hanno chiamato dall'ufficio e la donna delle pulizie ha trovato la sua agenda elettronica, ho pensato di avvisarla, anche se forse è un po' tardi, potrebbe essere importante per lei. -
Con voce un po' tremante Massimiliano rispose:
- Ah, sì grazie... -
- L'ho disturbata forse? - aggiunse la dottoressa.
- No, no. Anzi la ringrazio... Ero preso da altro e la telefonata mi ha colto di sorpresa. La ringrazio. Certamente sarei andato in confusione qualora non l'avessi trovata... - accennò una risata. Proseguendo:
- Sa bene che per noi l'agenda è gran parte della nostra memo- ria. Senza di lei saremmo persi, brancoleremmo nel buio. -
- Bene se è così, mi sento più sollevata, ero combattuta, ma poi ho deciso di telefonarla. -
Massimiliano voleva terminare quella conversazione.
- Grazie dottoressa, domani sarà mia cura venire a ritirarla.
Grazie, grazie ancora. -
Spense il cellulare e, accompagnato da una profonda delusio- ne, lo lasciò cadere sulla poltrona. Un po' di sudore gli inumidì la fronte.
Strani pensieri, gli affollavano la mente, quasi a turbarlo. Lui stesso non capiva cosa stesse accadendo. Che cosa voleva signifi- care quello stato d'animo. Iniziò a farsi tante domande. Era inte- ressato alla donna o più semplicemente all'imprenditrice?
La telefonata certamente non poteva essere l'unica causa, for- se con l'avanzare degli anni la solitudine gli iniziava a pesare. Di certo non avere una compagnia, uno svago al di fuori del lavoro o della palestra, e ciò non giovava al suo umore. I contatti con il mondo esterno non potevano essere limitati esclusivamente alle persone che gravitavano intorno al lavoro.
Continuava a camminare, con passo nervoso, come un leone in gabbia. Passò davanti al grande specchio che riempiva una parete del salone, si fermò e restò lì a fissarsi. Più vedeva la sua immagine riflessa nello specchio e più la sua ansia aumentava.
Avvertiva come se, dentro di sé, si stesse scatenando una vera e propria tempesta. Si vestì con quello che trovò a portata di mano. Scese di corsa le scale, aprì la portiera dell'auto, si sedet- te. Il respiro diventava sempre più affannoso. Si portò le mani al volto, sudava come avesse appena terminato una lunga seduta in palestra. Tentò di mettere in moto l'auto, ma una forza esterna sembrava glielo impedisse.
Continuava a chiedersi cosa stesse accadendo. Finora la sua vita era trascorsa senza alcun sussulto, tanto da poterla parago- nare a un elettrocardiogramma piatto.
Per la seconda volta nella giornata, una donna gli stava susci- tando turbamento, eppure erano donne che conosceva da sem- pre, e quasi non le aveva mai notate, o meglio, fino a quel mo- mento le aveva considerate solo come persone con le quali poter parlare di lavoro. Ora le stava apprezzando nel loro essere don- ne, più che alla loro mente, si sentiva attratto dal loro corpo.

Trascorse tutta la notte seduto in auto a riflettere su cosa era sta- ta la sua vita. Quello che più lo sconvolgeva era che, quando cer- cava di ricordare un giorno preciso del suo passato, la mente era come se si fermasse, capace di generare le solite domande: chi era? chi erano i suoi genitori? cosa era stata la sua vita fino a quel momento? Le uniche cose che ricordava, pur se con imma- gini molto sbiadite, erano la scuola e l'università, ma non i com- pagni, gli insegnanti. Possibile che non aveva avuto una ragazza alla quale legare un ricordo della sua gioventù, un amore che va- lesse la pena ricordare, che gli avesse fatto battere forte il cuore, o un amico con il quale avesse condiviso scorribande notturne.
Le prime luci dell'alba .......

Giovanni Romano

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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