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Autore: Marco Venturi
Morte alla fine dei Social
Thriller
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Morte alla fine dei Social
Appena entrarono nel Centro Commerciale Cento Stelle Mauro e Giacomo capirono che ci sarebbero state complicazioni non previste nello svolgimento del loro piano. Era in corso un sit-in di protesta contro il decreto legge blocca-social appena varato che impediva di spostarsi liberamente all'interno della mega struttura. Da un palco improvvisato allestito con una struttura prefabbricata probabilmente acquistata nel mega-store di ferramenta lì vicino un uomo sulla quarantina vestito in maniera impeccabile stava arringando la folla seduta ai suoi piedi.
- Questa legge liberticida ci riporterà nell'oscuro medioevo. Nessuno può negarci il diritto di trascorrere il nostro tempo libero come meglio ci aggrada. Le ragioni addotte dal governo durante la discussione in parlamento sono solo, perdonatemi la volgarità, stronzate! Il loro reale intento è quello di impedire ai partiti di minoranza di informare il popolo più ignorante, senza offesa per nessuno, sui disastri che giornalmente vengono provocati da una maggioranza falsa e ipocrita. In soli sessanta minuti diventa impossibile informarsi adeguatamente su ciò che accade intorno a noi. Lasciate perdere la balla delle fake-news, sono sempre esistite e a noi non interessa se qualcuno riesce a lucrarci sopra. Gli utenti oramai sono in grado di discernere il vero dal falso, le notizie inventate di sana pianta dai report atti a portare alla luce gli scempi amministrativi e legislativi perpetrati ogni giorno. Il governo sostiene che per informarsi correttamente ci sono giornali e TV che aggiornano in modo obiettivo il pubblico ma noi sappiamo benissimo che non è vero niente! -
Grida e applausi scroscianti interruppero il predicatore consentendogli di riprendere fiato.
- Da tempo immemore i media sono strumenti di propaganda del potere e diffondono solo ciò che viene ritenuto opportuno fare sapere. Proprio loro che hanno avuto voce in passato per mezzo dei social network adesso ne vogliono impedire l'utilizzo per evitare che possa succedere la stessa cosa con qualche altra campana che suona note diverse rispetto al loro spartito prestabilito. Siamo già in tanti qui ma dobbiamo essere sempre di più! Dobbiamo tornare a far sentire le nostre voci nelle piazze, negli stadi, sui pochi network che ancora ci concedono spazio in barba ai diktat provenienti dall'alto! Torniamo a usare piedi e voci per manifestare il nostro dissenso! Torniamo a usare mani e dita solo per affiggere manifesti e sventolare striscioni di protesta piuttosto che per scrivere sulla tastiera proclami e malesseri destinati a essere oscurati se non vengono condivisi nel poco tempo disponibile! -
Mauro strattonò Giacomo che era rimasto incantato da quel monologo di cui condivideva gran parte del contenuto. L'uomo con il microfono, che aveva riconosciuto come deputato alla camera nelle file della minoranza, stava omettendo la parte inerente l'uso sconsiderato che il suo partito aveva fatto degli strumenti social dopo aver perso rovinosamente le elezioni. Anziché essere utilizzati per proporre argomenti seri da cui ripartire venivano impiegati come macchina del fango virtuale, atta a ingigantire qualsiasi mossa dei vincitori anche facendo ricorso a notizie false create all'uopo e rapidamente diffuse.
- Dobbiamo andare. - Gli sussurrò all'orecchio Mancini: - Rischiamo di fare tardi all'appuntamento e non ce lo possiamo permettere. Usciamo e facciamo il giro per entrare dal lato opposto. -
- Hai ragione, andiamo. - Disse voltando le spalle all'assemblea proprio mentre un nuovo boato di approvazione echeggiò nell'ampia galleria i cui negozi avevano le serrande chiuse a metà in attesa che il comizio finisse.
Sul versante opposto non vi era traccia di manifestazioni analoghe decisero quindi che era giunto il momento di separarsi.
- Tu va al punto d'incontro stabilito, io sarò in ascolto nei paraggi finché mi sarà possibile starvi vicino senza destare sospetti. Lo voglio vedere almeno in faccia questo tizio. - Disse Mancini mettendosi gli auricolari wireless collegati al ricevitore del microfono anziché al cellulare: - Mi raccomando fai parlare soprattutto lui, tu limitati allo stretto indispensabile. -
Con un cenno della mano Giacomo dimostrò di aver capito le sue indicazioni, poi si voltò dirigendosi verso il luogo dell'appuntamento. Il centro commerciale era affollato nonostante fossero le prime ore del pomeriggio di un normale Mercoledì di Novembre. Come al solito si fece cullare dalle onde di passanti che sfrecciavano in ogni direzione assorti nei loro pensieri. Giunto a destinazione si soffermò a guardare lo stuolo di uomini e donne, pochi bambini vista l'ora, divertendosi a immaginare le loro storie, le loro preoccupazioni, i loro stati d'animo liberi di esprimersi in mezzo alla calca noncurante e inarrestabile. Se qualcuno si accorgeva di essere osservato dal sosia di Philip Noiret appoggiato al totem delle offerte cambiava bruscamente espressione abbassando gli occhi come per chiudere quel flebile canale di comunicazione da cui quello sconosciuto cercava di accedere ai loro pensieri.
- Che ne pensa del Phonewatch a metà prezzo? - Declamò una voce alle sue spalle.
Ci siamo..., pensò Giacomo e si voltò.
Davanti a lui vide un uomo dall'età compresa probabilmente tra i venticinque e i trent'anni, con una calvizie incipiente e occhi marroni non troppo svegli. Indossava un blazer blu scuro e jeans all'apparenza piuttosto vecchi. Ai piedi indossava un paio di Clarks vecchio modello anch'esse piuttosto vissute.
- Vogliamo spostarci da qui? - Chiese allo sconosciuto saltando direttamente i convenevoli.
- Volentieri. - Rispose l'altro con la medesima freddezza.
- Andiamo a berci un caffè al piano di sopra? -
- Ottima idea, se permette faccio strada. - E si avviò.
Mentre seguiva il presunto informatore Giacomo lesse un messaggio inviatogli da Mancini sul cellulare:

“Non l'ho mai visto prima, probabilmente è un forestiero. A prima vista non sembra un tipo pericoloso, tieni alta la guardia in ogni caso. Provo a seguirvi a debita distanza. Cancella subito questo messaggio non si sa mai”

Eseguì controvoglia l'ordine e si guardò intorno nel tentativo di scorgerlo tra la folla senza successo.
Scelsero di sedersi a un tavolino di un pittoresco bistrot che rievocava in tutto e per tutto l'atmosfera della Parigi di inizio '900. Il cameriere si fiondò su di loro porgendo a entrambi un menù di una decina di pagine. Giacomo non perse tempo e ordinò un caffè marocchino subito imitato dall'altro cliente.
Non appena il cameriere si allontanò Giacomo fece la sua prima banale mossa: - Lei sa chi sono io ma io non conosco nulla di lei, neppure il nome. -
- Ha perfettamente ragione, mi chiamo Alberto Spanò e ho chiesto di incontrarla perché ritengo di conoscere particolari sull'assassinio di Aldo Blanchard che per un giornalista arguto e professionale come lei rappresentano una vera manna dal cielo. - Rispose l'altro tamburellando sul tavolino di metallo come se stesse digitando su una tastiera immaginaria.
- Le lascio la parola allora, mi auguro di non perdere neanche un minuto del mio tempo prezioso con lei. - Lo sfidò fissandolo dritto negli occhi: - Se permette vorrei registrare la nostra conversazione per non correre il rischio di perdere qualche dettaglio importante. -
- Faccia pure ma a un patto, mi lasci raccontare tutto senza interrompermi, le eventuali domande me le farà soltanto alla fine. -
Brini acconsentì con un cenno del capo, estrasse il registratore poggiandolo tra lui e Spanò e contemporaneamente alzò il volume del trasmettitore collegato wireless all'apparecchio in modo che Mancini ascoltasse in tempo reale il racconto e potesse così intervenire se la faccenda avesse preso pieghe impreviste.
- Conobbi Aldo quattro anni fa e il nostro rapporto ebbe inizio pochi mesi dopo. Nonostante vivessimo piuttosto lontani ci vedevamo con regolarità e ci sentivamo per telefono o Skype praticamente ogni giorno. A causa del suo lavoro era frequentemente fuori provincia per reportage fotografici di ogni genere. Circa tre mesi fa notai un cambiamento nel suo modo di comportarsi: era nervoso, agitato, si capiva che aveva un rospo in gola che non sapeva come sputare. Usando tutte le cautele possibili provai a chiedergli quale fosse il pensiero che gli pesava sulla coscienza, lui provò a lasciarmi fuori da quella faccenda ma premendo i tasti giusti riuscii a farlo aprire con me non immaginando certo di venire a conoscenza della causa della sua prematura fine. -
Il racconto fu interrotto dal cameriere intento a servire i loro caffè e a riscuoterne il prezzo. Mentre Spanò si arrogava il diritto di pagare il conto Giacomo si appuntò mentalmente un paio di domande da fargli più tardi.
Dopo aver bevuto senza neanche gustarsi la calda bevanda corroborante riprese subito a parlare, come se avesse paura di dimenticarsi qualche dettaglio importante del copione che si era preparato: - Mi raccontò di essere venuto a conoscenza da una modella a cui aveva fatto un nuovo book promozionale di certi strani festini a luci rosse che si tenevano in una villa in Toscana. La ragazza si aprì con lui perché era stufa di partecipare a queste orge ma non sapeva come uscire dal giro, non che Aldo potesse risolvere quella situazione ma se non altro parlandone con qualcuno la poveretta riusciva ad allentare la morsa che stringeva la sua coscienza. Si trattava di incontri periodici tra persone molto influenti e giovani ragazze in cerca di visibilità e soldi facili. Aldo intravide in questa storia la possibilità di fare uno scoop clamoroso e la convinse a farsi dare qualche dettaglio in più soprattutto in merito alla location di quel genere di eventi. Mi confessò poi che si stava organizzando per fare una rischiosa missione da paparazzo non appena quella modella lo avesse informato sulla data del festino successivo. I tempi pare fossero molto stretti: i partecipanti venivano avvisati con un preavviso di un solo giorno e non necessariamente il luogo era lo stesso. -
Giacomo non seppe trattenersi e durante la pausa necessaria per riprendere fiato gli fece una domanda: - Quindi il Blanchard sarebbe stato ucciso per metterlo a tacere su quanto aveva visto? -
Spanò lo fulminò con lo sguardo e riprese: - Le ho detto di non interrompermi cazzo! Altrimenti mi alzo da qui e non mi vedrà mai più -
- Mi perdoni, è stato un gesto istintivo, vada avanti. - Si scusò prontamente.
- Nonostante io cercassi di farlo recedere dai suoi propositi Aldo continuò dritto per la sua strada. Minacciai anche di porre fine alla nostra storia ma lui fu irremovibile, non dovevo preoccuparmi diceva, aveva studiato un piano a suo parere infallibile . Non ho mai saputo quando fosse entrato in azione ma quando lo rividi verso la fine di Agosto era un'altra persona. Pareva una volpe che aveva appena banchettato in un pollaio. Continuava a essere restio a raccontarmi i dettagli forse per evitare possibili fughe di notizie o per non correre il rischio di mettermi nei guai. -
Brini ascoltava rapito il suo interlocutore e aveva perso il conto delle domande da porre alla fine di quel soliloquio. Anche Mancini appostato con gli auricolari al bancone del lounge bar lì vicino non perdeva una virgola, prendendo febbrilmente nota dei dati salienti su un piccolo taccuino.
- Successivamente - continuò Alberto con un'espressione sempre più corrucciata, - accadde qualcosa che mutò di nuovo il suo stato d'animo. Non ho mai saputo cosa fosse successo, resta però il fatto che da inizio Settembre Aldo sembrava preoccupato, guardingo, mi chiamava almeno tre, quattro volte al giorno anche solo con la scusa di sentirmi. Poi in occasione di un nostro incontro mi dette una piccola scatola, di quelle dove normalmente si mettono gli anelli. Dentro c'era una chiavetta USB. Mi fece promettere di non guardare cosa ci fosse dentro e di consegnarla alla stampa nel caso gli fosse successo qualcosa di brutto. Seppur sconvolto da questa richiesta gli chiesi perché dovevo darla ai media e non alla Polizia o ai Carabinieri, lui mi rispose che il marcio doveva venire fuori non restare nascosto in un cassetto di una caserma. Praticamente temeva che il suo scoop sarebbe stato insabbiato da chissà chi se consegnato alle autorità mentre avrebbe trovato il giusto risalto se sparato sulle prime pagine di giornali o in qualche programma in diretta TV. -
Spanò si fermò, segno che a quel punto si aspettava la domanda dal giornalista il quale colse l'occasione e si fece avanti.
- Dov'è quella chiavetta? Ce l'hai ancora tu? - Chiese lasciando da parte il tono più distaccato usato fino ad allora.
- È chiaro. - Rispose sibillino: - Ma non ce l'ho qui con me. Prima di consegnargliela voglio le adeguate garanzie che il suo contenuto venga rivelato con la massima diffusione possibile. -
Perfetto, pensò Giacomo senza proferir parola, proprio adesso che i social servirebbero per una condivisione capillare del presunto scandalo il loro uso viene profondamente limitato.
Spanò riprese a parlare sfoggiando un ghigno tutt'altro che rassicurante: - Gliela invierò con una busta arancione uguale a quella che ha ricevuto in questi giorni. -
- Che cosa? - Proruppe alzando la voce al punto che Mancini dovette abbassare il volume degli auricolari: - Vuoi dire che sei stato tu a inviarmi quella lettera di minacce con allegato il proiettile? -
- Ebbene sì signor Brini, l'ho fatto per verificare se lei aveva veramente la stoffa necessaria per adempiere al compito assegnatomi dal povero Aldo. Se si fosse fatto spaventare da quel bossolo e non si fosse presentato oggi mi sarei rivolto a qualcun altro; non volevo correre il rischio di fornire materiale scottante a un giornalista cagasotto che l'avrebbe sepolto in un cassetto per paura delle possibili conseguenze. -
A ragion veduta, mettendosi nei panni dell'altro, il ragionamento non faceva una piega. Giacomo e Mauro capirono all'unisono, seppure fossero a debita distanza, di non avere a che fare con uno sprovveduto.
- Io ho finito, spazio ora alle domande dei telespettatori. - Riprese Spanò imitando in modo maldestro un conduttore TV di un talk show in diretta, dopodiché si appoggiò allo schienale della sedia in posizione di attesa smettendo di tamburellare sul tavolino.
Brini capì che stava per addentrarsi su un territorio potenzialmente minato. La volubilità dimostrata poco prima dall'informatore poteva portare alla rottura delle trattative in caso di domande od osservazioni non gradite. Il cellulare vibrò nella sua tasca destra, segno che forse Mancini stava dandogli qualche istruzione in merito. La vibrazione non si fermò invece, qualcuno lo stava chiamando al telefono ma in quel frangente non poteva permettersi di rispondere.
- Sto aspettando le sue domande od osservazioni. - Lo incalzò Spanò dando piccoli segni di impazienza.
Colto in fallo Giacomo buttò sul piatto l'ultima curiosità che il racconto gli aveva generato: - Esiste una sola copia della chiavetta? Oppure Blanchard ne aveva altre per quanto tu sappia? -
- Questo lo ignoro. Fossi stato in lui me ne sarei tenuta almeno una copia nel caso le cose tra di noi si fossero messe male, sa com'è al giorno d'oggi le storie d'amore possono finire in un batter d'occhio. - Sorrise malizioso: - E l'avrei nascosta in un posto sicuro: in casa, nello studio, in una cassetta di sicurezza o chissà dove. -
Troppe informazioni tutte insieme, Giacomo non riusciva a formulare altre domande senza rischiare di perdersi in dettagli inutili. Mauro non si era fatto sentire, segno che anche lui aveva bisogno di elaborare i dati ricevuti. Meglio finirla lì per quel giorno.
- Senta Spanò, sono molto interessato a diffondere i dati acquisiti dal Blanchard. Avrei ancora bisogno di farle qualche domanda ma al momento ho necessità di raccogliere le idee e le informazioni ottenute dal suo racconto. Potremmo rivederci a breve? Magari in quell'occasione potrebbe anche consegnarmi la chiavetta USB o perlomeno una sua copia. - Forse stava spingendosi troppo oltre ma alla fine riteneva che la sincerità avrebbe pagato.
- La capisco dottor Brini. - Rispose serafico Alberto alzandosi dalla sedia: - Mettiamola così: le lascio qualche giorno per verificare la mia storia in cerca di qualche eventuale incongruenza. Avrà mie notizie in un modo o nell'altro. A presto. - Spanò si girò andandosene via dal bistrot senza neanche salutare.
Giacomo rimase sbigottito dal finale brusco e per certi versi incomprensibile del loro incontro; sarebbe stato inutile e dannoso provare a inseguirlo. Quell'uomo al momento aveva il coltello dalla parte del manico e poteva permettersi di dettare le regole. Rimase qualche minuto al tavolino del bar in attesa che facesse la sua comparsa sulla scena il maresciallo. I minuti passavano ma Mauro non arrivava. Prese in mano il cellulare per verificare se gli avesse magari mandato qualche SMS o Whatsapp e vedendo il nome di chi aveva provato a chiamarlo poco prima non poté trattenere un'imprecazione. Sul display non c'era nessuna notifica da Mancini ma una chiamata persa, da parte di sua figlia Amina.

Marco Venturi

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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