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Autore: Imma Benedetti
Il Gotha del drago
Fantasy
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Il Gotha del drago
Domani è il grande giorno.
Negli ultimi mesi l'attesa è diventata spasmodica. L'eccitazione è palpabile in ogni abitante di questo mondo. Di questo strano, stranissimo mondo. Si percepisce nell'aria, si irradia dalla natura.
Negli ultimi mesi abbiamo assistito, impotenti, al lento degenerarsi dell'ambiente. Per primi gli animali hanno cominciato a dare segni di impazienza, di disagio, prima di sparire nel nulla. Sono settimane, ormai, che gli uccelli e gli insetti sono scomparsi: i rami sono vuoti, muti. Il silenzio è irreale... Nessun battito di ali, nessun frinire di cicala, nessuno stormire delle foglie, nessun passettino leggero sull'erba.
Anche i pesci hanno abbandonato le acque costiere, i fiumi, morendo o nascondendosi, nessuno lo sa. L'unica certezza è che, semplicemente, non ci sono più.
Resistono solo cani e gatti. Almeno quelli che non vengono eliminati dai propri padroni, quando, negli ultimi giorni, l'inquietudine si trasforma in aggressività. I più previdenti, quelli che riescono a leggere i segnali del cambiamento, a volte riescono a salvarli, a metterli nelle gabbie sperando che sopravvivranno fino al grande giorno. I più sfortunati, quelli nati per strada, privi di padroni in grado di prendersi cura di loro e di sopportare gli ululati, i soffi, le urla disperate, il continuo scuotimento di sbarre e lucchetti, verranno abbattuti per strada dalle squadre speciali. Finanche i cuccioli, prima del grande giorno, possono diventare bestie pericolose, ed aggredirti all'improvviso, nel cuore della notte, mentre dormi placidamente nello stesso letto, ove per settimane, ai tuoi piedi, si sono accoccolati ed acciambellati.
I nostri scienziati hanno, invano, cercato di capire il motivo per il quale queste due specie non scompaiono nel nulla come le altre. Il sequenziamento del DNA non ha mostrato variazioni genetiche che possano accomunare le due specie a quella umana. Forse, l'unico motivo plausibile è da ricercare oltre le ragioni scientifiche. L'unica spiegazione è che l'amore, la fede incondizionata che queste creature provano atavicamente per l'essere umano, ha modificato non il loro genoma ma la loro coscienza. I cani ed i gatti non spariscono perché non vogliono abbandonarci. Con il tempo hanno imparato a vivere con noi. E con noi vogliono soffrire e, se necessario, morire.
I colori tendono a sbiadire. Ho la sensazione di guardare le cose attraverso un vetro sporco ed opaco. Non ho mai amato rassettare e pulire la mia stanza, ma se potessi, laverei e strofinerei tutto ciò che mi circonda, pur di riportare le cose al loro splendore naturale.
L'azzurro del cielo sta già lasciando il posto al grigio. Ma non un grigio che prelude tempesta, durante la quale gli elementi si scatenano nella loro vivifica potenza. È un grigio che ha il sapore della malattia e della non-speranza. Non della disperazione, che è un sentimento forte, vivido nella sua crudezza, nella sua intensità, che modifica e cambia radicalmente l'animo e l'aspetto delle persone. Anche se terribile, la disperazione ti fa sentire ancora vivo, vitale. La caduta nell'abisso senza fondo di sé stesso rappresenta comunque un movimento, un divenire, una trasformazione. La non-speranza è, invece, una istantanea color seppia, che immortala la realtà in uno spazio ed un tempo, unico ed eterno. È la fissità tipica dell'occhio vitreo di un pesce morto. Se provi a guardarlo a lungo, ti assale una oppressione cupa e senti la necessità di distogliere lo sguardo, per non sprofondare in quell'espressione vischiosa e gelatinosa, che non ti lascerà più andare.
Mi fermo a guardare il cielo, imbambolata. Vorrei ascoltare l'ululato del vento soffiare forte, spazzando via tutto ciò che incontra sulla sua strada, oppure trovarmi nel mezzo di una tormenta, bagnata da grosse gocce di pioggia fredde, avvertire i peli sulla pelle alzarsi a causa dell'energia statica scaricata da un fulmine, tapparmi le orecchie in attesa del suono roboante del tuono, o anche perdermi nel cielo splendente che i riflessi del sole non rendono uniforme, ma cangiante. A volte mi sono stesa sul prato a guardare l'immenso azzurro, sgombro di nuvole. Mi sono sentita schiacciata dalla sua vastità, avvertendo l'infinitesima parte che occupo nell'universo. Ma ero comunque parte di qualcosa di immenso. Questo grigio, invece, mi fa sentire parte del nulla.
A confonderti è anche la coltre di silenzio che sta avvolgendo il pianeta.
È una assenza di suoni spettrale che induce le persone ad adeguarsi ed a parlare sottovoce, come durante una veglia funebre.
Quando il grigio si avvicina, sembra che una bolla si formi intorno a te, isolandoti completamente dal resto del mondo. E più spingi i cinque sensi a cercare un qualsiasi segno di vita esterno, più hai la sensazione di annaspare. Riusciamo a non impazzire solo aggrappandoci all'idea della transitorietà dell'evento. Il conto alla rovescia che ci avvicina al giorno della scelta scandisce il nostro ciclo biologico, il ritmo del battito del nostro cuore, la frequenza del movimento delle ciglia.
La terra ha lentamente assunto un colorito rossiccio ed arido. Se avessimo la forza e la voglia di giocare, avremmo a disposizione un grandissimo campo da tennis. Ma ogni giorno che passa, ci rende più stanchi e fiacchi.
Diventiamo anche noi brulli ed asciutti, come il terreno sul quale passeggiamo. Nelle crepe del suolo nessun movimento di vita. Puoi fissare i granellini di polvere per ore, senza vederne smuovere neppure uno. Daresti chissà cosa per veder spuntare la testa di un millepiedi o gli occhietti mobili di un ragno, anche quando ti incutono un terrore irrazionale.
E ti ritrovi a versare lacrime amare, pentita di avere schiacciato uno “schifoso” insetto solo pochi mesi prima, perché aveva osato invadere lo spazio della tua camera o il candore immacolato della tua dispensa.
Nei giorni che precedono il grigio, prendi coscienza di te stesso e della realtà che ti circonda. Cambiano le priorità di ogni essere umano. Ad esempio ti accorgi che il verde è il tuo colore preferito, solo quando non lo rinvieni più intorno a te. Eppure quanti vestiti, accessori o oggetti, hai scartato e buttato o non acquistato perché erano di questo colore. Come siamo limitati! Quante cose diamo per scontate ogni giorno di esistenza ordinaria.
Le foglie degli alberi stanno cadendo al suolo, creando un tappeto che perderà lentamente la sua fragranza.
Le calpesto solo appena cadono, quando ancora scrocchiano sotto le scarpe in una infinita melodia di suoni diversi.
Quando ancora mi fanno venire voglia di sedermi a sgranocchiarle, come se fossero delle patatine fritte.
Con il trascorrere dei giorni, le eviterò, per non ascoltare, sotto le suole, il risucchio melmoso ed acquitrinoso della poltiglia in cui si sono trasformate.
Gli steli dei fiori hanno assunto uno strano colore ambrato. Le corolle ed i petali sono state le prime cose a sparire, troppo delicate per resistere. Troppo sensibili per affrontare il nonsenso.
L'odore di putrefazione sta iniziando ad invadere non solo le nostre narici, ma ad insinuarsi sui nostri abiti ed attaccarsi alla nostra pelle. A fine giornata emettiamo tutti, indistintamente, un tanfo di marcio, indipendentemente dal numero di docce cui ci sottoponiamo per liberarcene.
Ho provato a stilare una lista delle cose che mi mancano di più in questo periodo, e mi sono accorta di non esserne capace. Mi sento come una persona che non mangia da giorni e si trova davanti un lauto banchetto pieno di tutte le prelibatezze del mondo.
Come l'affamato non riuscirà a scegliere il cibo, in ordine di preferenza, ma si butterà su tutti i piatti, contemporaneamente, afferrando il contenuto con le mani ed inghiottendolo senza nemmeno gustarne il sapore, allo stesso modo, io mi lancerei su un alito di aria fresca, una pesca succosa, il grido di un gabbiano, l'odore del gelsomino, il blu di una genziana. Sono affamata di vita.
Non esiste rimedio al declino. La scienza, la tecnica, l'antico sapere, nulla di ciò che conosciamo o che abbiamo sperimentato riesce a fermare il deterioramento.

Imma Benedetti

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