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Autore: Giorgia Carrisi
50 sfumature di giallo
Racconti gialli
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50 sfumature di giallo
Ammalarsi d'amore.
- Ti piace qualcuno? -mi chiese Alberto prendendomi da parte per un momento. Indecisa su cosa dire, restai in silenzio, poi, noncurante delle conseguenze, risposi - Stefano è carino. -
Alberto sorrise compiaciuto e ritornò sul prato imbandito dove tutti gli altri studenti mangiavano ancora, chiacchierando allegramente.
Era giugno, una delle prime vere serate estive, quelle in cui si sta fuori casa fino a tardi e mi sentivo esausta, stanca dell'inverno trascorso nelle anguste aule universitarie ad ascoltare le noiose lezioni di vecchie insegnanti.
Alberto era un ragazzo basso e robusto con gli occhiali tondi, lo sguardo vispo ed un sorriso accattivante stampato sulla faccia. Era il ragazzo più esuberante e più popolare dell'intera facoltà di giurisprudenza. Vitale ed estroverso, trascorreva tutto il suo tempo organizzando feste, cene e serate nei locali alla moda.
Studiare non gli interessava per niente, pensava che frequentare l'università fosse un modo come un altro per conoscere nuova gente e per frequentare un gran numero di ragazze. Non andava d'accordo con i genitori che, nonostante il totale disinteresse del figlio nei confronti della legge, insistevano affinché terminasse gli studi, continuando a pagare le rette dell'università.
Alberto conosceva quasi tutti in facoltà e la rubrica del suo cellulare conteneva centinaia di nomi. Era così popolare che il suo nome compariva spesso sul giornalino che descriveva gli avvenimenti accaduti durante l'anno nell'intero ateneo. Alle sue feste partecipava solitamente la maggior parte degli studenti e, quella volta, ebbe la brillante idea di organizzare una grigliata lungo il fiume.
La proposta della cena sull'argine, un'ambientazione insolita per una festa, un luogo così diverso dall'abituale birreria e dal consueto locale sovraffollato, aveva riscosso un gran successo tra gli studenti che, incuriositi dall'originalità del posto, avevano accettato l'invito con entusiasmo.
Anche io ero stata invitata insieme con una quarantina di persone; alcuni si conoscevano già, altri no. Per molti quel tipo di feste era un'imperdibile occasione per incontrare nuove persone e per allargare la propria cerchia d'amicizie.
Ero arrivata in macchina con Veronica, la mia migliore amica, una studentessa di scienze politiche che considerava l'università un diversivo e frequentava i corsi senza un effettivo convincimento.
Veronica aveva invitato molte ragazze mentre Alberto era venuto con un nuovo gruppo d'amici.
Quasi tutti avevano portato carne e verdure da cuocere alla griglia, mentre Alberto, l'organizzatore, aveva procurato vini e alcolici in abbondanza. Io, particolarmente romantica, avevo preferito comprare alcune candele profumate da accendere durante la serata.
Chissà perché avevo pensato alle candele. Forse perché inconsciamente volevo sempre distinguermi? Differenziarmi in qualche modo dalla massa? Avevo sempre desiderato essere originale, diversa e non sopportavo di passare inosservata, ignorata dagli altri. Era anche per questo, forse, che davo tanta importanza al mio aspetto esteriore, curando sempre ogni dettaglio.
Quella sera mi ero preparata con cura e miravo ad essere l'oggetto dei desideri dei miei coetanei. Per me era di vitale importanza essere sempre il centro dell'attenzione e suscitare l'interesse della maggior parte dei ragazzi.
Dopo di me giunsero Alberto ed Alessandro. Poi gradualmente, il parco si riempì d'auto e arrivarono tutti quanti.
Sistemammo la griglia ed iniziammo a cuocere le vivande. Non avevamo sedie e le braci che ardevano vigorose al tramonto fungevano da falò.
Il luogo era incantevole, il fiume scorreva lento, gorgogliando soavemente mentre un'erba sottile e morbida faceva da tappeto tutt'intorno. Il posto era solitario e non c'era anima viva. Le uniche luci erano quelle delle candele e degli ultimi raggi di sole al tramonto.
Quando il cibo fu pronto, ci sedemmo in cerchio sul prato per gustarci la carne e per assaporare le eccellenti bottiglie di vino che erano sparse un po' dappertutto, sul manto erboso.
Alberto presentò a noi ragazze i suoi nuovi amici. Erano tutti piuttosto brutti ed insignificanti eccetto uno, si chiamava Stefano e, non appena lo vidi, provai una strana sensazione. Il cuore iniziò a battermi veloce e una forte attrazione sembrò sconvolgermi. Era alto, atletico, con i lunghi capelli castani sulle spalle. Aveva un pizzetto leggermente incolto che gli incorniciava il viso dai lineamenti decisi, e i suoi occhi azzurri ed intensi sembravano magnetizzare chiunque lo incontrava. Anche le mie amiche lo avevano notato. Parlava poco ma quel che diceva era talmente interessante che attirava sempre l'attenzione. Era molto sicuro, dava l'impressione di non aver paura di nulla e di non temere in alcun modo il giudizio degli altri. Era da qualche tempo amico di Alberto ma non si erano conosciuti all'università, bensì tramite altri amici ad una festa. Stefano non studiava più, aveva smesso dopo essersi faticosamente diplomato. Dopo il diploma aveva iniziato a lavorare nell'azienda di famiglia, una famosa maglieria che produceva capi d'alta moda. Nel tempo libero faceva sport e aveva iniziato a fare il modello per Armani Jeans, in uno dei tanti atelier della zona. Aveva già fatto qualche copertina e partecipato ad alcuni eventi mondani. Non sapeva ancora esattamente cosa voleva fare da grande, anche se il mondo dello spettacolo lo aveva da sempre attirato ed incuriosito.
Aveva l'aria del “bello e irraggiungibile” quegli uomini che fanno perdere la testa alle ragazze e che si fanno rincorrere, divertendosi a collezionare avventure. Nella mia mente, di lui, mi ero già fatta un'idea: era il classico tipo al quale, basta uno sguardo per far innamorare una ragazza, senza bisogno di tante tenerezze e di corteggiamenti inutili.
Dato che non volevo che gli altri si accorgessero del mio interesse per Stefano, mi sembrò naturale fare l'indifferente e fingere che quel ragazzo non mi avesse colpito. Alberto, che mi conosceva bene, aveva intuito che Stefano mi piaceva e, ad un certo punto, si era rivolto a me per una conferma. Forse poi Alberto aveva riferito qualcosa al suo amico perché questo non faceva altro che scrutarmi, scandagliando ogni millimetro del mio corpo e mettendomi più di una volta in imbarazzo.
La serata intanto trascorreva senza entusiasmo, perché Stefano si era messo in disparte a fumare, pensieroso, estraniandosi dalla conversazione che, di conseguenza, era diventata sciapa e melensa. Gli argomenti erano sempre i soliti: gli esami, i professori, l'università. Solo Alberto di tanto in tanto, ci sorprendeva con le sue battute o raccontando storielle divertenti. Trovavo gli altri ragazzi esageratamente timidi e noiosi. Notai che Veronica si soffermava spesso a guardare l'orologio, impaziente di tornarsene a casa o di trovare una scusa per abbandonare la festa e far baldoria altrove, in compagnia d'altra gente. Non potevo biasimarla, indubbiamente il fascino del luogo non era all'altezza della compagnia. Il dopo cena si prospettava alquanto noioso e deprimente.
Contemplavo il fiume e sorseggiavo il vino rosso, non ero stanca e pensavo a cosa Veronica avrebbe potuto dire ad Alberto, quale scusa avrebbe potuto inventare per abbandonare quel luogo senza essere scortese. Naturalmente, non avrei mai potuto immaginare l'evolversi di quella festa.
Avevamo ormai finito di cenare e di bere abbondantemente quando Stefano, che in tutto quel tempo si era limitato ad osservarmi da lontano, si era infine seduto al mio fianco. La cosa mi imbarazzò non poco ma cercai di mantenere la mia solita disinvoltura.
All'epoca ero di una bellezza disarmante; il corpo sinuoso e longilineo, i capelli neri e vaporosi e gli occhi grandi, a mandorla, mi conferivano un fascino esotico dal quale difficilmente gli uomini restavano immuni. Ero una donna che non passava certo inosservata perché oltre alla mia inconfutabile bellezza, a detta di tutti, mi vestivo e mi truccavo con un'eleganza fuori del comune.
Allo scoccare della mezzanotte Alessandro, il più giovane del gruppo, aveva abbrancato una chitarra acustica per esibirsi in un lunghissimo assolo. Cantava a squarciagola e, goffo ma disinibito, con i capelli particolarmente ricci ed arruffati sembrava un cantautore degli anni sessanta.
Lo osservavo annoiata, sospirando. Il sole era già tramontato da un pezzo, lasciando spazio ad una timida luna che faceva capolino tra alcune informi nuvole passeggere. Il fiume scorreva lentamente e il rumore dell'acqua faceva da sottofondo alla melodia della chitarra.
Sulla riva la vegetazione era rigogliosa e vi crescevano prevalentemente arbusti di vario genere insieme a grandi betulle, pioppi informi e floride palme.
All'improvviso sentii che Stefano si stava avvicinando a me.
Il suo abbraccio arrivò spontaneo, quando ormai poteva sembrare naturale stringersi insieme sotto il cielo stellato. Sognante e smarrita, non riuscivo ad oppormi, lasciando libero di agire quel ragazzo che, forse un po' troppo eccitato e su di giri, aveva cominciato ad accarezzarmi dolcemente i fianchi.
Non avevamo scambiato che poche parole durante tutta la serata, studiandoci da lontano, come fanno certi animali, durante il corteggiamento.
Gli altri, completamente ubriachi e assonnati, intonavano canti stonati gridando verso il cielo che a quell'ora si era riempito di stelle sfavillanti.
Guardai il cielo per un istante, esprimendo un desiderio mentre Stefano mi stringeva forte con l'intenzione di baciarmi. Solo a quel punto, imbarazzata e confusa, mi alzai in piedi divincolandomi faticosamente dalla presa del ragazzo. Non potendo tollerare oltre quel suo comportamento in pubblico, mi avviai verso l'argine del fiume. Lui mi seguì in silenzio, come un cane segue il suo padrone.
Solo quando fummo abbastanza lontani da non essere più visibili ai coetanei, Stefano mi riabbracciò. Sapevo a cosa andavo incontro e quello che Stefano stava pensando ma non c'era nulla di male in quello che stava per succedere, di questo ero convinta.
Camminammo in silenzio per diverso tempo, contemplando le stelle e osservando i numerosi alberi che prosperavano in quel posto così solitario. Immersi nella totale oscurità, apparivano informi e, talvolta, perfino raccapriccianti. I nostri passi si arrestarono alla vista di una panchina in muratura. Ci guardammo intensamente negli occhi: lì, lontani dal mondo intero, avremmo consumato la nostra prima notte d'amore.
Stefano era meraviglioso, aveva un corpo perfetto e sembrava conoscermi da sempre.
Avevo letteralmente perduto ogni controllo e, stregata dall'intenso profumo di lui, mi ero lasciata andare vivendo qualsiasi fantasia erotica mi passava per la mente.
Eravamo ancora insieme quando, alle prime luci dell'alba, comparvero alcuni deboli raggi di sole.
La rugiada aveva impregnato ogni cosa e l'aria fresca del mattino ci aveva costretto senza indugio a lasciare quel luogo, teatro del nostro piacere.
Stefano mi riaccompagnò a casa. Durante il tragitto in macchina non parlò. Pensai che forse era stanco o che indubbiamente, era quello che si dice un uomo di poche parole.
Il fatto di restare in silenzio mi consentì di estraniarmi completamente e di ripensare all'intera serata come ad un romantico sogno. Guardavo Stefano soffermandomi sui particolari del suo volto, così perfetto e dall'espressione così rassicurante. Rivivevo il momento stesso in cui l'avevo visto per la prima volta, alcune ore prima. L'incredibile batticuore che avevo provato nel sentirlo seduto al mio fianco.
Era stato un colpo di fulmine ed era una sensazione che fino a quel momento non avevo ancora sperimentato.
Più sognavo ad occhi aperti il nostro incontro e più riflettevo sul fatto che il destino ci aveva fatto conoscere, e che quella notte d'amore, vissuta così intensamente, in un luogo eccezionalmente romantico, non poteva che essere l'inizio di un lungo percorso a due.
Ancora rivivevo l'emozione di noi, nudi, abbracciati sotto le stelle e dell'acqua fresca del fiume che ci avvolgeva mentre ci baciavamo estasiati.
Senza che mi avvedessi, in breve tempo arrivammo sotto il portone del mio palazzo. Qui Stefano spense il motore e finalmente iniziò a parlare.
Disse molto chiaramente, in un linguaggio che non sembrava nemmeno appartenergli, che non stava cercando una storia seria e che quindi la nostra conoscenza non sarebbe proseguita.
Se per me quella notte poteva essere l'inizio di una grande storia d'amore, per Stefano si trattava semplicemente dell'avventura estiva di una notte. Non credevo alle mie orecchie e potevo solo costatare che Stefano era proprio come lo avevo immaginato inizialmente, uno di quelli che, se ci prova con una ragazza, non è perché si sente coinvolto e ha intenzione di frequentarla ma è solo perché ha bisogno di sfogarsi.
Nondimeno non potevo crederci, non mi era mai capitato un rifiuto fino a quel momento.
Mi sentivo confusa e la testa mi girava. Continuavo a rivivere la nostra notte d'amore e non riuscivo a capire, a trovare una motivazione alle parole di Stefano che, nei miei pensieri, era già il mio compagno.
Sentivo che non avrei mai più potuto provare emozioni così forti con un altro uomo. Non potevo credere che per lui non fosse stata la stessa cosa, che avesse agito semplicemente sotto l'effetto degli alcolici e che da me non si sentisse minimamente attratto. Nonostante l'apparente freddezza con la quale aveva parlato e l'indicibile sofferenza che mi aveva inferto, mi sforzai di sembrare naturale, pensando che magari il giorno seguente avrebbe cambiato idea e avrebbe trovato il modo per contattarmi.
Così non ci scambiammo i numeri di telefono. Delusa e sconfitta mi diressi verso l'entrata dell'appartamento dove vivevo con i miei genitori. Fortunatamente erano in ferie e non si accorsero del mio rientro mattutino.
Il giorno successivo mi sentivo come svuotata e non riuscii a confidarmi con alcuno, nemmeno con Veronica, la mia migliore amica.
Fui indecisa sul da farsi per qualche giorno, poi decisi di agire. Stefano mi piaceva e non potevo lasciarmelo scappare, dovevo per forza rivederlo. Quindi, non appena ebbi l'occasione di incontrare Alberto gli chiesi il numero del cellulare del suo amico. Alberto, stupito del fatto che non ci fossimo scambiati i numeri, non ebbe alcun problema a rivelarmi il recapito di Stefano, compreso l'indirizzo di casa e quello di posta elettronica. Apprezzavo Alberto perché niente sembrava un problema per lui e, se poteva aiutare qualcuno, lo faceva volentieri.
Da quel momento iniziai a mandare a Stefano alcuni messaggi, chiedendogli di uscire ma lui non mi rispose. Non avevo il coraggio di chiamarlo e di sentire la sua voce, preferendo restare nell'attesa di una risposta che però, puntualmente, non arrivava. Comunicavo in modo affettuoso, gentile, e non capivo perché mai si ostinasse a non rispondere. Ogni volta, dopo l'invio di un messaggio, stavo male, perché l'ansia e la paura del continuo rifiuto mi tormentavano. Lo cercavo disperatamente ogni giorno.
Continuai a farmi del male in quel modo, per una settimana. Il settimo giorno Stefano mi rispose; ci saremmo visti la sera stessa per un aperitivo. Ero al settimo cielo, mi sentivo molto agitata e mi figuravo il nostro primo incontro dopo la notte trascorsa sul fiume...Chissà cosa sarebbe capitato, chissà se saremmo stati insieme ancora, come la prima volta. In realtà speravo proprio quello, sognavo ad occhi aperti un'altra intensa notte d'amore insieme con lui. In fondo era per quello che uscivamo, era per quello che volevo rincontrarlo.
Quando rividi Stefano mi sembrò ancora più attraente di come lo ricordavo. Era stranamente imbarazzato e taciturno e mi propose di trascorrere la serata in birreria, in un locale fuori città. Accettai senza esitazione.
Il pub che aveva scelto era affollato, c'erano giovani dappertutto, al bancone, in piedi, seduti nei tavolini. La musica era alta e assordante, quasi non si riusciva a parlare. Scoprii uno Stefano diverso, sensibile, gentile e premuroso. I suoi modi mi eccitavano incredibilmente.
Si fece tardi e mi riaccompagnò a casa. Mi congedò senza nemmeno baciarmi. Disorientata e amareggiata non ebbi il tempo di sedurlo che già aveva chiuso la portiera della macchina.
Il giorno dopo presi alcune importanti informazioni sul suo conto. Fu Alberto a parlarmi a lungo del suo amico.
Stefano era da tutti considerato uno sciupa femmine, era taciturno, orgoglioso e pieno di sé. Apparteneva ad una famiglia più che rispettabile. Abitava in campagna con i genitori ed il fratello maggiore che già lavorava nell'azienda di famiglia, una maglieria industriale in fase d'espansione. Stefano era un ragazzo esuberante, amava gli sport pericolosi e gli piaceva divertirsi. Adorava il wind surf e, con gli amici o con il fratello, andava spesso al lago dove, il vento sempre forte, consentiva le migliori acrobazie.
Aveva iniziato da poco a frequentare il mondo dello spettacolo e, diversamente dal fratello, non sembrava avere l'intenzione di proseguire l'attività dei genitori.
Alberto, mi rivelò che il suo amico aveva avuto diverse ragazze e che si vantava spesso con gli amici di tutte le esperienze che aveva fatto. Stefano usciva con le donne ma lo faceva per divertirsi, senza alcun'intenzione di impegnarsi in una relazione seria e duratura.
Dopo quelle rivelazioni, riflettei con calma: quel ragazzo non mi avrebbe mai dato la possibilità di avvicinarmi a lui, si era chiuso in se stesso e non consentiva a nessuna di conoscerlo realmente. Dovevo essere io a farmi avanti se ci tenevo a rivederlo.
Avevo saputo che usciva spesso dopo cena, con i suoi amici. La sua compagnia, della quale faceva parte anche Alberto, preferiva trovarsi sempre nella stessa birreria, il Black Jack, vicino all'università. Il locale era da tutti conosciuto come la birreria degli ingegneri perché i clienti erano quasi esclusivamente studenti, provenienti dalla facoltà d'ingegneria.
Ora che sapevo dove trovare Stefano non mi restava altro da fare che recarmi nella birreria dove avrei potuto incontrarlo quasi ogni sera.
Fortunatamente non fu difficile convincere le mie amiche, sulle quali avevo indubbiamente un certo ascendente, a trascorrere alcune serate proprio al Black Jack.
La birreria era gradevolmente arredata, con i tavoli di legno e le panche tipiche dei pub irlandesi. Il titolare era un uomo di mezza età, robusto e molto alto. Non faceva che spillare birre dalle sette di sera, l'ora dell'aperitivo, a notte fonda. Al sabato c'era la musica dal vivo e i gruppi emergenti della zona avevano la possibilità di esibirsi e di farsi conoscere.
All'interno del pub si respirava un'aria famigliare come se, quel luogo, fosse semplicemente un prolungamento della biblioteca universitaria dove noi studenti ci trovavamo per confrontarci e studiare insieme.
Là, Stefano era conosciuto e popolare e si trovava indubbiamente a suo agio.
Era autunno quando iniziai a frequentare insieme a Veronica e alle altre, il Black Jack. Ci andavamo spesso, quasi tutte le sere, con l'intenzione di conoscere nuova gente. Le altre chiacchieravano mentre io restavo in adorazione di Stefano, osservandolo da lontano. Il pub era piccolo e, già dalle prime sere, Stefano mi aveva riconosciuto. Mi osservava sospettoso e, forse, anche un po' sorpreso di vedermi in un locale dove, fino a quel momento, non ero mai andata.
Lo vedevo bene il suo sguardo di disapprovazione, ma non me ne curavo. Non m'importava se non mi voleva, se non mi desiderava più, sarebbe stato mio ugualmente e, con il tempo, si sarebbe reso conto che non poteva fare a meno di me. Così mentre le mie amiche non sospettavano alcunché, io tramavo continuamente, alla perenne ricerca di possibili incontri con Stefano, l'uomo irraggiungibile.
Finalmente una sera accadde ciò che speravo. Alessandro, il migliore amico di Stefano, aveva conosciuto Veronica e si era invaghito di lei. Così aveva convinto gli altri del suo gruppo ad unirsi al nostro tavolo.
Senza che me ne rendessi conto, mi trovai improvvisamente a faccia a faccia con l'oggetto del mio desiderio.
Lo osservavo affascinata. Stefano era davvero un ragazzo bellissimo e mi stupivo del fatto che le altre non lo trovassero attraente quanto me. Si era seduto e mi scrutava con attenzione, sospettoso. Finalmente parlammo un po'. Fu una breve conversazione - Come vanno gli studi, come procedono gli esami, cosa fai nel tempo libero, --etc. Il tempo passava velocemente ed avevo il presentimento che la serata non sarebbe finita lì, presto, sarebbe successo qualcosa d'importante.
Quella sera Giacomo, uno del gruppo di Stefano, aveva organizzato una festa al Groove. Si trattava di un locale alternativo, una specie di strana discoteca frequentata da anarchici e da ragazzi rasta. Giacomo chiese a noi ragazze se volevamo accompagnarli. Accettammo tutte senza esitazione. Ognuno partì con la propria macchina e ci trovammo all'interno del locale. Il Groove era piccolo, angusto, con i soffitti bassi e la musica così alta che, per parlare, le persone erano costrette ad urlare. Pullulava di personaggi eccentrici, strafatti di marijuana e alcool. C'era un'unica sala dove i giovani ballavano scatenandosi a ritmo di musica reggae. Al centro era presente una piccola balaustra rialzata dalla quale si vedeva chi c'era all'interno del locale. L'illuminazione era scarsa e, quando arrivammo, faticammo a riconoscere Giacomo e gli altri, Stefano compreso. I ragazzi avevano già ordinato da bere e ci stavano aspettando vicino all'entrata.
Giacomo e gli altri non erano clienti abituali del Groove e si poteva percepire chiaramente il loro disagio.
Per cercare di sembrare naturali e spontanei, ordinavano un cocktail dopo l'altro e fumavano sigarette, come se, tenere in mano una paglia, possa far sembrare qualcuno più sicuro.
Ci avvicinammo a loro restando in piedi, sulla balaustra. Cercavamo di parlare ma la musica era talmente alta che faticavamo a comprenderci. Mi accorsi solo allora che Stefano era ubriaco. Barcollava e parlava a voce alta.
Gesticolava continuamente. Così pensai di avvicinarmi a lui fingendo disinvoltura. In realtà ero molto agitata ed eccitata da tutta quella situazione. Stefano sembrò contento di rivedermi e prese a fissare intensamente la mia scollatura. Con mia sorpresa mi chiese di allontanarci dal gruppo. Ci spostammo in un angolo, lontano dalla folla.
Fu qui che cominciai a sedurlo. Era così bello e così incredibilmente sicuro di sé.
Lo guardai sorridendogli e, ammiccando maliziosamente, mi avvicinai a lui, tenendogli la mano.
Non si opponeva, anzi, sembrava averci preso gusto. Provava la stessa attrazione che sentivo io, ne ero sicura.
Finalmente mi baciò e, stringendomi fra le braccia, mi disse che ero splendida, la più bella del locale.
Era vero, mi sentivo proprio così, con il potere di far girare la testa a tutti quanti, Stefano compreso.
Ci baciammo per un po' poi gli altri ci raggiunsero e la magia del momento finì tutto d'un tratto.
Dopo quella volta mi ero illusa che anche a Stefano importasse di me e avevo ripreso a messaggiarlo.
Mi rispose una sera, dopo settimane che lo subissavo di chiamate. Come se nulla fosse, si decise ad invitarmi la domenica successiva a fare un giro insieme, al lago. Adoravo i laghi e, il fatto che piacessero molto anche a lui, non faceva che confermare la mia convinzione che tra noi ci fossero delle forti affinità.
La giornata era splendida, il sole era alto nel cielo e i cirri leggiadri gli facevano da cornice. Il lago era azzurro, di un celeste particolarmente intenso e le vele ondeggiavano tranquille all'orizzonte. Passeggiammo mano nella mano lungo la riva mentre alcuni gabbiani bianchi volavano bassi, sfiorando la superficie dell'acqua, in cerca di cibo.
Scoprii che Stefano, oltre ad essere un bel ragazzo, era anche simpatico e intelligente. Pranzammo al sacco, sul prato verde che circondava il lago.
Da quel giorno iniziò la nostra frequentazione, se così si può definire.
Ci vedevamo all'incirca una volta al mese.
Ero sempre io che lo chiamavo e stavo attenta ad invitarlo nei giorni in cui sarebbe stato presumibilmente libero da impegni. Evitavo i week end e i venerdì sera, quando lui usciva sempre con gli amici. Per essere sicura di non essere respinta, mi informavo prima dai suoi amici su quelli che potevano essere i suoi programmi, per il fine settimana.
Il nostro era uno strano legame a metà tra la semplice amicizia e l'attrazione fatale. A volte uscivamo solo per parlare, più spesso invece, per fare sesso.
Una domenica andammo a Ferrara con l'intento di mangiare insieme in enoteca ma, travolti dalla passione, ci ritrovammo su una panchina del parco a fare l'amore. Potevamo stare avvinghiati uno all'altra per ore. Inizialmente non avevamo un luogo preciso per i nostri incontri e, solo dopo mesi di frequentazione, scegliemmo un albergo in collina, una locanda a conduzione famigliare, con i balconi fioriti che si affacciava su un piccolo lago artificiale.
Passò un anno, un anno di tormenti e di distacchi, di ricerche e d'allontanamenti. Più io lo cercavo e più lui si staccava, fuggendo per giorni, senza rispondere alle mie chiamate.
Manteneva quell'assurdo distacco che non capivo e che mi faceva stare male. Perché non potevo vederlo ogni volta che lo desideravo? Perché dovevo per forza aspettare? Con quel suo folle comportamento non mi dava tregua e il mio desiderio era vivo più che mai. Stefano era sempre nei miei pensieri e, ogni cosa che mi accadeva, me lo faceva venire in mente. Avevo preso l'abitudine di passare sotto casa sua, una villa le cui recinzioni non consentivano ai passanti di guardare oltre le finestre della facciata. Parcheggiavo l'auto poco distante dal cancello e attendevo che uscissero i proprietari. Così, senza che nessuno potesse sospettare alcunché, avevo capito chi erano i genitori di Stefano e chi era suo fratello. La madre era alta, bionda, molto curata ed elegante. Stefano le somigliava molto. Il fratello e il padre invece, erano di carnagione scura e avevano entrambi i capelli ricci e neri. Nessuno si accorse della mia presenza e della renault blu che tenevo costantemente parcheggiata accanto al loro cancello. Fu Stefano a notarmi, una sera che rientrava dalla palestra. Era un mese che non lo sentivo, non rispondeva più ai miei messaggi e, a stento, mi salutava se lo incontravo la sera, nei locali. Si avvicinò alla macchina e mi chiese cosa ci facevo davanti a casa sua. Pareva disgustato. Possibile che non capisse quanto lo volevo? quanto lo desideravo?! In fondo una bella ragazza lo aspettava in macchina sotto casa, che cosa c'era di male? Quanti, dei suoi amici, avrebbero fatto carte false per trovarsi in una situazione di quel genere! Lui invece no, era diverso e doveva per forza farsi desiderare, farsi corteggiare come una prima donna. Gli dissi che lo amavo e che volevo solo star con lui.
Mi rispose di lasciarlo in pace e che non voleva più vedermi. Stava frequentando altre ragazze e di me non voleva più saperne. Non mi desiderava e, quello che c'era stato tra noi, era ormai tutto finito.
Non potevo credere alle mie orecchie. Presi ad insultarlo dandogli del porco e del maleducato. Non gli importava dei miei insulti e andò via velocemente, lasciandomi da sola in mezzo ad una strada. Ero offesa e scocciata, nessuno si era mai permesso di trattarmi in quel modo, di andarsene mentre ancora stavo parlando. Me ne andai sbattendo la portiera. Non avevo alcuna intenzione di arrendermi, avrei continuato a pedinarlo e ad infastidirlo fino a quando non avrebbe finalmente ceduto alle mie lusinghe.
Non riuscivo a non pensare a lui e, benché mi sforzassi di considerare altro o di concentrarmi sugli studi, era sempre tutto inutile, Stefano era diventato una fissazione. Avevo iniziato perfino ad inviargli lunghe lettere a casa. Gli spiegavo l'origine dei miei sentimenti, descrivendo nel dettaglio i momenti più belli che avevano caratterizzato tutti i nostri incontri. Non so se le leggeva, di certo però, non mi rispondeva. Era assurdo pensare che tra noi fosse finita, che non avremmo continuato a condividere lo stesso letto.
Di lui dovevo sapere tutto ed essere al corrente di tutto quel che faceva. Lo pedinavo e, senza farmi scorgere, avevo appreso in quali giorni frequentava la palestra e quando invece restava a casa. Non avevo smesso di inviargli messaggi sul cellulare ai quali non rispondeva e continuavo a frequentare il Black Jack.
Se cercavo di avvicinarlo con qualche scusa, era tutto inutile. Perfino Giacomo se pur con cortesia, mi invitò a lasciar stare il suo amico, dicendomi che Stefano frequentava altre ragazze. Dovevo farmene una ragione e smettere di perseguitarlo con continui appostamenti, pedinamenti e inutili telefonate.
Ma era più forte di me e non ero capace di controllarmi, il mio istinto mi dominava e stavo bene solo se sapevo che potevo riaverlo. Tutti i miei pensieri si affollavano sulla sua persona e tutte le mie energie si concentravano su come avrei potuto in qualche modo riconquistarlo.
Il mio comportamento era talmente assillante che aveva finito per logorare i rapporti tra le mie amiche e gli altri ragazzi. Questi, in particolare, ci evitavano. Era evidente che, se proprio non mi temevano, certamente provavano ansia e nervosismo quando m' incontravano. Il mio atteggiamento si era protratto per mesi e mi rendevo conto che non era più possibile andare avanti in quel modo. Perfino Veronica aveva iniziato a consigliarmi di lasciar stare tutto. A suo parere Stefano non mi meritava, era solo un ragazzetto viziato che si divertiva a prendere in giro le ragazze. Uno cui era sempre andato bene tutto e che non aveva mai avuto il tempo di desiderare alcunchè perché i genitori gli avevano concesso ogni cosa. Differentemente da me, non aveva mai dovuto affrontare le difficoltà della vita perché la famiglia provvedeva continuamente a lui e al suo futuro. Veronica cercava di convincermi, facendomi notare quanto Stefano ed io eravamo diversi ma non le davo ascolto e seguitavo a vedere in lui solo le virtù che alimentavano le mie fantasie.
Finalmente una sera, mentre rimuginavo su cosa avrei potuto escogitare per sbloccare quell'assurda situazione, arrivò la soluzione. Mi venne una brillante idea, una di quelle che arrivano all'improvviso la notte, quando tutti dormono e il silenzio, insieme alle tenebre, favoriscono l'ispirazione ed il raccoglimento.
Il giorno seguente mi sentivo una persona nuova, forse, avevo finalmente la possibilità di riavvicinarmi al mio amore! Ero soddisfatta, convinta che si trattava solamente di attendere. L'occasione per mettere in atto il mio ingegnoso piano, si sarebbe presto presentata.
Dopo alcuni mesi, come avevo previsto, arrivò il momento che da qualche tempo attendevo.
L'evento che speravo, sopraggiunse prima del previsto: una festa di compleanno al Rumba Disco, la discoteca più --in-- della zona.
Giacomo festeggiava in quel locale il suo ventitreesimo compleanno, di conseguenza anche Stefano sarebbe stato lì. Avevo convinto Veronica e le altre ad accompagnarmi, senza rivelare loro che ci sarebbero stati anche Stefano e gli altri; pensavo che sarebbe stata una gradita sorpresa.
Era una sera particolarmente piovosa e avevo prenotato i biglietti per partecipare alla festa con largo anticipo.
Arrivammo in discoteca a mezzanotte. Le mie compagne erano entusiaste del posto, così elegante e così alla moda, sembrava fatto apposta per dar luce agli sfavillanti abiti che noi tutte indossavamo. A differenza del Groove, qui erano tutti eleganti, i ragazzi in camicia e pantaloni, le ragazze in abito da sera e tacchi alti.
La musica era ad alto volume, tipicamente house, della peggior qualità. Insieme a tutte quelle belle ragazze potevo forse, per una volta, passare inosservata. Nonostante ciò, mi sentivo affascinante avvolta nel mio tubino nero, scollato sulla schiena.
Avevo un paio di stivali neri col tacco alto e una miriade di brillantini sul viso e sul seno seminudo.
Le mie amiche non erano altrettanto appariscenti e sembravano farmi da supporto mentre ancheggiavo tra i tavolini e le poltrone del locale in cerca del mio uomo.
La discoteca era talmente enorme e stracolma di gente che, per un momento, dubitai della buona riuscita del mio programma. In quel caos, poteva sembrare un'ardua impresa quella di trovare il tavolo che Giacomo aveva prenotato, dove avrei presto trovato anche Stefano, insieme a tutti gli altri.
Non mi persi d'animo. Cercai un pr e gli chiesi della festa. Mi rispose indicandomi da quale parte del locale dirigermi.
La folla non ci consentiva di avanzare velocemente ma riconobbi quasi subito la folta capigliatura di Alessandro, il migliore amico di Stefano.
Era chiaro che, non ci avevano invitato per colpa di Stefano il quale, avendo paura di vedermi e di dovermi sopportare tutta la notte, aveva chiesto al festeggiato di non chiamarci.
Con estrema calma e altrettanta cautela, mi avvicinai insieme alle mie amiche, ai tavoli prenotati dai ragazzi.
Furono tutti sorpresi di vederci e Stefano sembrava aver visto un fantasma. Non appena mi vide, si eclissò con una scusa. Restai ad aspettarlo insieme agli altri. Fece ritorno dopo un'ora con una bottiglia di spumante in mano, voleva brindare e festeggiare Giacomo. M'ignorò tutta la sera senza rivolgermi la parola. C'erano alcune ragazze di bell'aspetto che s'intrattenevano a conversare con lui, il più bello, il più affascinante tra tutti. Ero gelosa e non potevo sopportare l'arroganza di certe che avevano incominciato a sorridergli in modo compromettente. Non avevo modo di proteggerlo da quelle sciagurate, se lo guardavo s'innervosiva e, con aria di distacco, non mi permetteva di avvicinarlo. Gli altri del gruppo poi, non mi consideravano e, le mie amiche, annoiate, avevano iniziato a chiacchierare con alcuni ragazzi che appartenevano ad un'altra compagnia. Stefano intanto armeggiava trionfante, abbracciato alla più provocante tra le ragazze che lo avevano circondato.
Mi sentii emarginata per tutta la sera, nessuno mi parlava e, non avendo alternative, mi sedetti al tavolo iniziando a bere.
Non riuscivo a staccare gli occhi di dosso a Stefano. Era così elegante, vestito con un completo blu e con le scarpe dello stesso colore. Ragionavo su come agire, non potevo commettere errori e dovevo sembrare assolutamente naturale. Se il mio piano avesse funzionato, quella sera stessa, Stefano sarebbe stato mio. Lo volevo a tutti i costi e, dopo aver bevuto qualche bicchierino di troppo, ero certa che avrebbe ceduto. La mia diabolica strategia avrebbe portato i suoi frutti.
Supplicai le mie amiche di andare a casa e di lasciarmi in discoteca da sola. Riluttanti, mi accontentarono, convinte che Stefano non mi avrebbe mai negato un passaggio.
Si fece tardi, arrivarono finalmente le quattro del mattino e il gestore del locale, sebbene ci fosse ancora molta gente, annunciò la chiusura. Intanto le mie amiche, approfittando della confusione generale, se n'erano andate, lasciandomi da sola coi ragazzi. Così, rimasta sola, chiesi a Stefano di riaccompagnarmi. In fondo ero una donna, ero stata abbandonata dalle amiche, che male avrei potuto fargli? Forse gli facevo pena o forse aveva bevuto troppo, fatto sta che diede la sua disponibilità per scortarmi fino a casa. Ci avviammo in silenzio verso l'uscita del locale e già mi figuravo la nostra folle notte d'amore. Immaginavo dove mi avrebbe portato, i suoi gesti, le sue carezze, il suo profondo respiro.
Una volta in macchina però le cose non andarono esattamente come avrei voluto.
Stefano sapeva dove abitavo e, silenziosamente, si stava dirigendo verso casa mia. Gli dissi che se lo desiderava, avremmo potuto passare la notte insieme. Si girò guardandomi esterrefatto e mi rispose in malo modo. Mi fece intuire che aveva altri programmi per la notte e che Chiara, la ragazza con la quale aveva trascorso la maggior parte della serata, lo aspettava in discoteca per passare il resto della notte insieme a lui. Non aveva alcun rispetto per me ed era chiaro che non mi stimava, mi avrebbe solo riaccompagnato a casa, nient'altro. Non potevo sopportare il suo disprezzo, il suo continuo disinteresse nei miei confronti. Cominciai ad urlare con quanta voce avevo, lui mi doveva ascoltare, lui non poteva continuare ad ignorarmi!
Fu questione di un attimo, un istante di follia, un momento di totale disperazione che mi spinse ad un certo punto a tirare, con tutta la forza che avevo in corpo, il freno a mano. Stavamo attraversando la tangenziale e, in seguito al mio gesto sconsiderato, Stefano perse il controllo della vettura. Dopo diversi testa coda, andammo a sbattere contro il gard rail e, nell'urto, Stefano batté violentemente il capo contro il parabrezza.
Quando l'auto si fermò, la testa mi girava e avevo paura di essermi rotta il naso perché c'era sangue dappertutto. Stefano era steso in avanti, ferito gravemente ed incosciente. Ero illesa ma alla vista del ferito, quasi svenni per lo spavento. Urlai il suo nome e provai a scuoterlo per svegliarlo ma lui non mi rispose. Cercai velocemente nella borsa il cellulare e, presa dal panico, chiamai un'ambulanza. Ci portarono al più vicino pronto soccorso dove Stefano fu trattenuto e portato in rianimazione. Aveva un trauma cranico e poteva essere grave. Ero fuori di me, non riuscivo a capacitarmi di quello che era successo, ero stata io a causare quella tragedia?! Ai medici dissi che Stefano aveva perso il controllo dell'auto e che non ricordavo esattamente come era successo. Io stessa non riuscivo a comprendere come fosse stato possibile quel terribile incidente.
Dopo alcune ore trascorse in sala d'aspetto, arrivò il caporeparto. Mi disse che Stefano era fuori pericolo, si era appena svegliato e, dalla tac che avevano appena eseguito, non erano state riscontrate lesioni gravi. Dopo tre giorni di ricovero sarebbe stato dimesso. Naturalmente i medici avevano avvisato i genitori di Stefano ed il fratello che, in quel momento, si trovavano all'estero, per motivi di lavoro. Sarebbero arrivati con il primo volo disponibile, il giorno seguente.
Non avevo la forza di entrare nella stanza dove Stefano era ricoverato. Vedendomi tentennante, un infermiere mi disse che Stefano voleva parlarmi e che mi aspettava. Piena di rimorso entrai dunque nella sua camera. Era solo e con la testa fasciata dalle bende. Anche il braccio destro, di cui i medici non mi avevano parlato, era avvolto dalle bende. Mi fissava. Ero certa che mi odiava, e che, mi avrebbe denunciato alla polizia, liberandosi di me definitivamente. Mi fece un cenno con la mano, voleva che mi avvicinassi. Lentamente, arrivai al suo capezzale. M'intimò di non farmi più vedere; se avessi continuato a perseguitarlo, avrebbe rivelato i fatti alla polizia e tutti avrebbero saputo ciò di cui ero stata capace.
Immaginavo la faccia sconvolta dei miei genitori e la tortura di essere additata da conoscenti e amici come una povera pazza. Non avevo scelta, dovevo farmi da parte e rinunciare per forza a lui.
Mi allontanai dall'ospedale in fretta, vedere Stefano in quello stato mi faceva star troppo male e, anche se forse a lui poteva non sembrare, ero veramente dispiaciuta e non mi davo pace per quello che avevo causato.
Era finita per sempre. Questa volta dovevo voltare pagina, dovevo farlo. Più riflettevo sugli accadimenti di quella notte e più mi convincevo che Stefano mi aveva fatto perdere la testa, facendomi oltrepassare i limiti. Non volevo rischiare di compromettere il mio futuro a causa sua, non lo trovavo giusto. Spaventata o forse è meglio dire terrorizzata, dopo quella sera, non ebbi più il coraggio di cercarlo.

Trascorsero alcuni anni, durante i quali persi completamente di vista Stefano, pur continuando a pensarlo e a desiderarlo. Avevo smesso di frequentare il Black Jack e di inseguire lui e i suoi amici.
Di lui non avevo più avuto notizie, mi ero assolutamente eclissata.
La mia vita procedeva come sempre, senza grandi novità. Veronica, la mia migliore amica, aveva abbandonato gli studi e si era sposata con un docente dell'università, un uomo più vecchio di noi e che a me non piaceva per niente. Le altre mie amiche, differentemente da me, erano tutte accompagnate come se, per una donna, il fatto di rimanere sola, fosse una vergogna. Come al solito mi distinguevo dalla massa. I mesi passavano e la mia vita sembrava essere una perenne corsa contro il tempo, ero sempre piena di impegni e circondata di persone nuove. Il mio cellulare trillava continuamente e i miei genitori mi tormentavano con continue stupide domande, chi vedevo, chi frequentavo etc.
Le mie risposte erano tuttavia sempre le stesse. Ero grande oramai per quel genere d'intrusioni e non accettavo critiche, inoltre, presto sarei andata a vivere da sola, in una palazzina moderna, nel centro della città. Sarei andata in affitto. Fortunatamente potevo contare sull'appoggio di mia zia Franca, la sorella di mio padre. A differenza dei miei genitori, mi capiva e, fin da giovane, era stata una donna indipendente, ai suoi tempi, una vera ribelle.
Trascorrevo le mie giornate fuori casa, circondata da un gran numero di amici. Ero sempre in compagnia di qualcuno, non sopportavo, infatti, la solitudine e sentivo l'esigenza di rapportarmi continuamente con i miei coetanei. Le poche volte che restavo a casa per qualche ragione, trascorrevo il tempo al computer, da sola, chiusa nella mia stanza. Andavo su internet e cercavo di conoscere nuova gente. Usavo la chat, qui trovavo sempre qualcuno disposto a chiacchierare e a raccontarmi qualcosa.
Una sera ero su internet e stavo chattando con Cristiano, uno dei miei tanti conoscenti. Mi raccontava che stava frequentando una ragazza e che dopo un lungo corteggiamento, lei si era finalmente concessa.
Trovavo la storia interessante ma mentre avevo cominciato a chiedere alcuni particolari, inaspettatamente, s'inserì nella conversazione un certo Stefano, un amico di Cristiano. All'improvviso l'argomento era cambiato e i due amici si erano messi a discorrere dell'ultima partita del campionato di calcio. Annoiata, abbandonai in fretta la conversazione, proponendomi di ricontattare Cristiano in un altro momento.
Solo in seguito venni a sapere che quello Stefano era il --mio-- Stefano. Non appena Cristiano mi rivelò l'identità del suo amico, un brivido mi percorse la schiena. Dopo tanto tempo rileggere anche solo il nome di Stefano sullo schermo di un computer, mi faceva sentire viva e su di giri.
In quegli anni non lo avevo mai dimenticato e alcune foto che lo ritraevano in costume da bagno, erano ancora custodite in camera mia, all'interno di un cassetto, di fianco al comodino.
Cosa sarebbe successo se avessi provato a ricontattarlo? Certamente non mi avrebbe risposto. Sentivo che dovevo anche solo tentare, in fondo, non avevo nulla da perdere.
Gli inviai un messaggio, frettolosamente, senza pensarci troppo. Erano due righe---ciao come stai? Come te la passi?---- Era tutto molto innocente, privo di significato. Non mi aspettavo una risposta, non so nemmeno io cosa mi aspettavo. Passarono alcuni giorni, il mio computer si era bloccato per un guasto e internet non funzionava.
Solo dopo due settimane mi accorsi che Stefano non solo mi aveva risposto ma mi chiedeva di sentirci in chat.
Pensai subito che forse aveva avuto qualche complicazione in seguito all'incidente e che forse voleva chiedermi un risarcimento in denaro o qualcosa di simile. Era tutto talmente strano. Fui invece piacevolmente sorpresa. Stefano voleva solo parlare, lui che non parlava mai, l'eterno taciturno. Andammo avanti a sentirci sulla rete per alcuni mesi. Mi raccontava che era guarito e che stava bene, che si era ripreso completamente, subito dopo l'incidente. Aveva iniziato a lavorare nell'azienda di famiglia e aveva scoperto che gli piaceva, soprattutto amava il contatto con la gente e le frequenti trasferte all'estero. Mi chiese della mia vita e gli parlai di me. Ero ancora single e gli studi procedevano regolarmente. Non avevo idee precise sul mio futuro, avrei lasciato piuttosto, decidere al destino. In tutto quel tempo non gli chiesi di uscire; nonostante Stefano mi avesse chiaramente perdonato, mi sentivo ancora in colpa e stavo sulla difensiva. Dopo diversi mesi fu Stefano ad invitarmi fuori a cena. Forse si sentiva solo o forse era curioso di vedere se ero cambiata, se ero ancora la bella ragazza esuberante che lo aveva tormentato con telefonate e appostamenti vari.
Il nostro primo incontro, dopo circa due anni, fu a dir poco sconvolgente. Quando vidi Stefano sotto casa mia, mi sentii mancare per l'emozione. Era talmente bello ed affascinante, che non potevo credere fosse nuovamente al mio fianco. A pochi passi da me, aveva l'aria di voler ostentare la sua solita sicurezza e sembrava il classico bullo di provincia. Trovavo tenero quel suo modo d'approcciare, così istintivo e ai limiti dell'arroganza. Ci scambiammo un bacio fugace sulle guance e ci avviammo con la macchina verso un ristorante.
Doveva trovarmi molto attraente perché mi corteggiò tutta la sera, riempiendomi di complimenti e di lusinghe.
Dopo cena passammo la notte insieme, nel nostro albergo, quello dove di solito andavamo fino a due anni prima.
Stefano mi sembrava cambiato, diverso. Si comportava in modo differente rispetto a quando lo avevo conosciuto. Parlava e chiacchierava con piacere, cosa che fino a quel momento, non aveva mai fatto. Era affettuoso e gentile e dimostrava per la prima volta, un sincero interesse nei miei confronti. Non volevo illudermi che fosse realmente cambiato, che in soli due anni di distacco si fosse reso conto che non potevamo stare lontani, che il nostro desiderio era troppo forte e che ci avrebbe distrutto l'anima se non l'avessimo assecondato.
Dopo tutto quel tempo, era straordinario che finalmente, fosse lui a chiamarmi per primo e a cercarmi su internet, anche solo per scambiare due parole. Continuavo ad essere dubbiosa, ma, nel frattempo, mi sentivo felice perché, a dispetto dei nostri amici, la nostra storia era gradualmente ricominciata.
Mi ero promessa di lasciar fare al destino e, soprattutto, di non prendere alcun tipo di iniziativa, limitandomi ad accettare gli inviti che Stefano mi faceva. Il tempo passava e da amanti clandestini somigliavamo ogni giorno di più a due affiatati fidanzatini. Ciò che stava capitando mi dava la certezza che Stefano mi aveva amato fin dal primo momento che mi aveva visto. Anche per lui, come per me, doveva essere stato un colpo di fulmine. La passione che ci aveva travolto fin dalla prima sera e che era perdurata per tutto quel tempo, non si era mai affievolita e, non era mai scomparsa. Stefano mi confidò che anche lui mi aveva pensato in quegli anni. Spesso si era soffermato a riflettere e, più volte, aveva avuto la tentazione di comporre il mio numero di telefono. Mi aveva desiderato follemente, altrettanto però mi aveva temuto. Aveva temuto la mia eccessiva intraprendenza, la mia disinvoltura e, la mia disinibizione. Non aveva voluto legarsi perché mi considerava una donna aggressiva e frivola, una ragazza superficiale che poteva usare il suo corpo per soggiogare gli uomini e far fare loro cose che non volevano. Pensava anche che la mia esuberanza l'avrebbe offuscato, lui che voleva essere sempre il primo, lui che era l'uomo irraggiungibile. Per di più, eravamo troppo giovani per legarci definitivamente, come aveva creduto che io volessi fare, e, aveva ritenuto giusto, fare altre esperienze. Se era stato ripetutamente tentato dalla mia bellezza, il mio modo di fare, così assillante e oppressivo lo aveva invece fatto desistere dal frequentarmi. Ero stata così insistente, così eccessiva in tutti quegli appostamenti, in quei pedinamenti, che era arrivato al punto di non poter tollerare oltre la mia presenza nella sua vita. Poi c'era stato l'incidente e, se prima aveva avuto dei dubbi sul mio conto, dopo il ricovero, era certo che in me, qualcosa non andava. Aveva rischiato la vita per colpa di una dissennata. Il mio comportamento era stato ingiustificabile. Nonostante tutto, però, dopo l'incidente, non se l'era sentita di rivolgersi alla polizia e di accusarmi di ciò che era successo.
Mi raccontò che, passati alcuni anni, non aveva avuto storie importanti e non aveva incontrato ragazze interessanti e belle quanto me. Aveva frequentato alcune mie compagne dell'università, ma erano tutte uguali, tutte secchione, tutte brave ragazze. Nessuna si era lasciata andare come avevo fatto io, quella sera tra le sue braccia, lungo il fiume. Con gli anni era riuscito a perdonarmi e a comprendere che, quel mio comportamento, così ostinato, poteva essere stato mosso da un grande sentimento. Quel sentimento di cui parlavo nelle mie lettere e che non volevo nascondere, ma anzi, avevo avuto la forza di gridare al mondo intero, rischiando di essere presa in giro e di essere rifiutata, come poi nei fatti era capitato.
Stefano era giunto alla conclusione che, in fondo, forse, non ero la bestia che si era sempre immaginato io fossi, ero solo una donna passionale veramente innamorata che, per lui, avrebbe fatto qualsiasi cosa.
Così, quando dopo alcuni anni aveva rivisto il mio nome su internet, si era emozionato e aveva desiderato rivedermi. Ci aveva dunque ripensato e aveva voglia di riprovare quelle intense emozioni che solo con me, fino a quel momento, aveva sperimentato.
Di tutta quella confessione che mi fece, ascoltai attentamente ogni parola.
Pareva che il mio piano fosse riuscito e che, alla fine, Stefano avesse ceduto. Nonostante le cose fossero cambiate a mio favore, provavo uno strano risentimento nei suoi confronti; pensavo che avrebbe dovuto darmi retta fin dall'inizio e che non era stato giusto da parte sua, farmi penare tutto quel tempo.
In certi momenti, mentre lo osservavo ero tentata di fargli del male, con l'intenzione di fargliela pagare, ma poi ci ripensavo, Stefano era tenero come un bambino e, non avrei mai potuto ferirlo in alcun modo. Finalmente avevo raggiunto il mio scopo, non sarebbe più stato come prima, adesso ci saremmo visti ogni volta che volevo.
Non so dire se quel radicale cambiamento aveva potuto veramente arricchirmi o se, lentamente, mi stava logorando. Era qualcosa che non mi aspettavo e che, forse, mi spaventava. Da un lato ero contenta dall'altro avevo paura e non sapevo nemmeno bene io di che cosa.
Passarono i mesi e con il tempo i nostri incontri divennero sempre più frequenti. Ci vedevamo ogni settimana. Mi rapportavo ora con uomo diverso, una persona che mi voleva bene e che non veniva fuori con me solo per portarmi a letto. Mi sentivo incredibilmente lusingata da tutto ciò e speravo in cuor mio, che la cosa potesse andare avanti e continuare in quel modo.
La nostra storia proseguì per circa sei mesi, al termine dei quali, incominciai a sentirmi male. Sopraggiunsero alcuni sintomi che confermavano il mio stato di momentanea depressione.
Mi svegliavo nel cuore della notte in preda all'agitazione, sentendomi soffocare. Non capivo esattamente cosa mi stava succedendo. Già da qualche tempo soffrivo di crisi d'ansia che in quel periodo andarono via via peggiorando fino a diventare veri e propri attacchi di panico. All'improvviso mi mancava l'aria e non riuscivo a respirare normalmente. Il mio battito era costantemente accelerato e il mio respiro sempre affannoso. Forse avevo iniziato a somatizzare una situazione che psicologicamente mi stava danneggiando. A volte gli occhi mi bruciavano talmente da annebbiare la mia vista, rendendola parziale. Certi giorni mi sentivo costantemente oppressa e avvilita, come se qualcosa di veramente vitale ed indispensabile, mancasse alla mia intera esistenza.
Non potevo continuare così, era troppo opprimente. Impiegai alcune settimane per capire cosa esattamente non andava ma, dopo un attento esame di coscienza, tutto mi apparì finalmente chiaro, perché la mia vita, così com'era, mi disgustava, era solo un limbo che non portava da alcuna parte.
Dovevo fare chiarezza in me stessa, cosa volevo dalla vita e cosa volevo da quella storia con Stefano. Cosa veramente desideravo dentro di me? Quale obiettivo perseguivo nella mia intimità? Non stavo più bene insieme a Stefano, questa era l'amara verità. Il rapporto tra noi era cambiato, era diventato stabile e, ai miei occhi , aveva forse perso quello slancio tipico che solo un amore impossibile è in grado di creare. Ora era tutto facile, stabilito, avevo finalmente realizzato un progetto, un progetto per il quale avevo tanto sofferto. Ma sembrava che tale sofferenza fosse fine a se stessa, e che forse era più il sogno ad avermi ammaliata e che, una volta realizzato, tutto quanto avesse perso di valore ai miei occhi. Non mi capacitavo dell'angoscia che mi aveva preso e che pervadeva la mie giornate. Apparentemente avrei dovuto essere l'espressione della felicità, invece, con mio grande stupore, l'ansia e l'irrequietezza si stavano impossessando del mio animo ogni giorno sempre più incessantemente. Iniziai a far uso di tranquillanti giornalmente ma anche questi, dopo un sollievo momentaneo, smisero in fretta di funzionare, era come se il respiro mi mancasse e avevo continuamente come un senso di fame d'aria. Avevo attacchi di panico e la frustrazione stava arrivando allo stremo, causandomi anche capogiri e perdita dei sensi. C'era qualcosa che non quadrava e che dovevo risolvere il prima possibile per riportare il mio stato mentale alla salute. Mi convinsi piano piano che tutto quel malessere forse poteva derivare dal mio rinnovato rapporto con Stefano.
La dedizione del mio compagno nei miei confronti e la stabilità del rapporto, alla quale non ero abituata, mi avevano procurato tutto il malessere che provavo. Mi ero ormai persuasa, dopo mesi di agonia che la colpa, mio malgrado, potesse risiedere nella nuova relazione. L'eccessivo impegno della relazione e l'immaturità che contraddistingueva la mia personalità esuberante, avevano probabilmente minato il mio equilibrio mentale. L'idea di immaginarmi libera nuovamente, libera di crearmi nuove affascinanti fantasie amorose, mi faceva sentire meglio. Era molto strano che qualcosa che avevo tanto desiderato si fosse improvvisamente materializzato e che, in seguito a tale accadimento io fossi piombata nello sconforto. Cosa poteva essere accaduto alla mia contorta mente? Mi risolsi a farmi vedere da uno specialista. Già dalla prima seduta emersero dei problemi di natura psichiatrica. Il medico mi esortò a partecipare a sedute terapeutiche dapprima individuali e successivamente di gruppo. Mi disse chiaramente che, per il mio bene, avrei dovuto, almeno per un periodo, lasciare Stefano, e dedicarmi esclusivamente alla mia salute, fino alla ripresa completa del mio stato di benessere mentale. In parte fui contenta di quel consiglio medico e, proprio perché proferito da uno specialista, doveva per forza essere seguito. Tutto ciò permise alla mia coscienza di farsi forza e di prendere una decisione veramente forte.
Fermamente convinta dei miei propositi, avrei finalmente fatto chiarezza nel rapporto con Stefano, una relazione passionale e travolgente, fatta di alti e bassi e che, ne ero certa, si stava avviando verso un punto fermo. Stefano mi considerava già da qualche tempo la sua ragazza e, anche di fronte ai conoscenti, si comportava come un affettuoso fidanzato. Le nostre uscite e gli incontri, da clandestini erano diventati pubblici, mentre i nostri comportamenti erano quelli tipici di una coppia particolarmente affiatata che sta insieme da molti anni. Chi ci conosceva non poteva credere che eravamo proprio noi, così perfetti insieme da sembrare fatti apposta per stare l'uno accanto all'altra, da poter essere d'esempio ai giovani adolescenti alle prime esperienze amorose.
Un pomeriggio afferrai il cellulare e composi il numero di Stefano. Mi rispose subito e, mentre la sua voce calda e soave accettava il mio invito a cena per quella stessa sera, un fremito mi percorse la schiena. Riattaccai subito il ricevitore, in preda all'angoscia. Mi occorse parecchio tempo per prepararmi per la serata, che già mi aveva messo in forte agitazione.
Indossai per l'occasione un abito nero da sera in pura seta e un paio di scarpe col tacco ricamate. Volevo essere perfetta e abbinai agli abiti un trucco appariscente ed un'acconciatura vaporosa e particolarmente elegante.
Uscii dall'appartamento e non potei fare a meno di notare gli sguardi dei passanti, pieni di ammirazione e di considerazione nei miei confronti.
Sicura e decisa mi avviai con la macchina al ristorante dove avevo prenotato e dove Stefano era certamente già arrivato e mi stava aspettando. Ero in ritardo di almeno mezz'ora ma non m' importava; per la prima volta, da quando frequentavo Stefano, ero certa che non mi avrebbe fatto pesare la mancata puntualità.
Quando arrivai notai subito il mio compagno. Era seduto ad un tavolino vicino ad una finestra e leggeva con attenzione il menù, sbirciando di tanto in tanto il contenuto nei piatti degli altri commensali.
Si alzò dal tavolo non appena mi vide e mi venne incontro. Come il migliore dei galantuomini, afferrò il mio soprabito e mi scortò fino al tavolo a noi riservato. Ci sedemmo l'uno di fronte all'altra. Mi riempì di complimenti, a suo parere non ero mai stata così bella come quella sera. Senza staccarmi gli occhi di dosso fece un cenno al cameriere e ordinammo.
Tra una portata e l'altra mi teneva la mano e mi guardava con desiderio. Era estremamente elegante e aveva l'aria di essere molto sicuro di sé. Non avevo fame e assaggiai solo pochi bocconi, ricordo che il pesce era superbo ed il vino che lo accompagnava di pregiata qualità. Nel locale la luce era soffusa e, le candele appoggiate sul nostro tavolo, illuminavano il volto di Stefano rischiarando il suo sorriso particolarmente dolce e innocente.
Il tempo trascorreva velocemente e arrivò presto la mezzanotte. Un musicista si avvicinò ad un pianoforte posizionato in fondo al salone. Una delicata melodia incominciò a risuonare nel locale creando un'atmosfera calda e coinvolgente. Stefano m' invitò a ballare. Ci alzammo per unirci ad altre coppie che già danzavano abbracciate armonicamente. Sapendo ciò che stavo per dirgli, non riuscivo a guardarlo negli occhi mentre la musica guidava i nostri movimenti, lenti, delicati.
Pensavo alla mia folle corsa verso l'amore, verso quell'uomo che inizialmente pareva irraggiungibile. Ora ero tra le sue braccia, dove per sempre sarei stata, perché per sempre saremmo stati insieme. In quel momento una grande tristezza stava invadendo il mio animo, lacerando la mia mente.
Stefano si era definitivamente arreso alla realtà, al fatto che continuamente mi aveva amato, senza rendersene conto, fin dalla sera del nostro primo incontro.
Il suo desiderio era bruciante e potevo percepirlo dalla sua espressione, dalla dilatazione delle sue pupille e dal battito accelerato del suo cuore.
Quando la musica finì, andammo alla cassa e Stefano pagò il conto. Dato che era estate e faceva ancora caldo, Stefano mi propose di andare in collina, nel nostro albergo, un luogo eccezionalmente poetico e isolato dove saremmo potuti stare insieme per ore.
A quel punto trovai il coraggio per dirgli chiaramente che avevo bisogno di parlargli e che non potevo rimandare. Sorpreso e confuso, mi accompagnò nervosamente alla macchina dove, una volta seduta, gli confessai le mie intenzioni riguardo a quella sera e a quello che poteva essere il nostro futuro insieme. Mentre parlavo, Stefano aveva cambiato espressione; era affranto e, agitato come un cane che ha smarrito la via per tornare a casa, mi guardava esterrefatto, incapace di comprendere una nuova realtà, un cambiamento che non avrebbe mai potuto prevedere.
Perché non avevo più intenzione di rivederlo, questo lui, non lo capiva e, naturalmente, non avrebbe nemmeno potuto, anche perché, in quel momento, non ero in grado di dargli una valida spiegazione.
Cercò di trattenermi accarezzandomi una mano. Non credeva che veramente potevo avere smesso di amarlo, non dopo averlo tanto rincorso, non dopo averlo tanto desiderato. Cercò in tutti i modi di rassicurarmi, dicendomi che mi amava. Da tempo si era ormai reso conto che la nostra era diventata una vera relazione e non desiderava nessun altra se non me. Lo osservavo con attenzione, era quasi stravolto e, quando intuì che oramai non avrebbe potuto più fare nulla per farmi cambiare idea, sull'orlo della disperazione, si disse disposto a sposarmi pur di non perdermi.
Lo guardavo insofferente. Scoppiai a piangere. Come avremmo potuto sposarci così giovani? Io non avevo ancora terminato gli studi! Non era proprio possibile. Stefano s' impuntava e non capiva le mie ragioni.
Non riuscivo e non volevo spiegargli niente di più ma insisteva e non voleva lasciarmi andare.
Singhiozzando disperata, gli dissi chiaramente che era tutto inutile, non potevo legarmi a lui né a nessun altro, non potevo farci nulla. Ero nata così e niente e nessuno avrebbe potuto cambiare la mia natura. Gli dissi che non desideravo più vederlo, che noi eravamo una storia vecchia, ammuffita, priva di qualunque entusiasmo. Gli spiegai che non mi eccitavo più nel vederlo e che fare l'amore insieme era diventata un'abitudine. Non fu necessario aggiungere altro. Stefano, vistosamente scioccato e disgustato, aprì la mia portiera e mi fece cenno di scendere. Mi sentivo sola e volevo solo piangere. Stefano avviò la macchina senza salutarmi ed io tornai a casa in taxi.
Arrivai a casa in preda all'agitazione, così, inghiottii un calmante, sperando che almeno quello, mi avrebbe fatto stare meglio.
Che ero in cura da uno strizza cervelli, un medico che ti scandaglia l'anima e che, con i suoi discorsi e le sue sedute, dovrebbe guarire i tuoi mali, i miei genitori lo avevano intuito, ma ignoravano la natura della diagnosi. Per la medicina ero una specie di maniaca, una che viveva le relazioni in modo ossessivo. Non avevo mai realmente creduto ai benefici della psicoterapia e alle tecniche di ipnosi alle quali spesso ero stata sottoposta. Mi dicevano spesso che sarei guarita col tempo, con l'uso dei medicinali, con la terapia di gruppo. Che forse un giorno sarei stata capace di legarmi a qualcuno. Mi dicevano che non ero la sola ad essere nata con dei problemi, come se la cosa potesse in qualche modo rassicurami. Ma in pratica, in cosa consisteva esattamente la mia malattia? Anche il mio psichiatra non si era mai espresso chiaramente, diceva che era un disturbo frequente, di cui soffrivano alcune sue altre giovani pazienti. Si trattava di ansia e depressione, legate alla sfera emotiva che sfociavano con il totale rifiuto di una relazione amorosa stabile. La mia mente era così contorta da non riuscire a sopportare un legame fatto di regole e di rispetto reciproco.
Una volta lasciato Stefano, mi sentii effettivamente meglio. Il medico aveva visto giusto e iniziai pian piano a fare sempre meno uso di psicofarmaci. Da un lato ero contenta, dall'altro sentivo che qualcosa non andava come avrei voluto. La mia vita era ancora vuota e quel vuoto doveva essere colmato in qualche modo. Iniziai quindi un percorso verso il basso, una lunga discesa verso l'inferno misterioso della depravazione se così si può definire. Trascorsi quindi un periodo della mia vita passando da un uomo all'altro, erano storie di nessun conto, storie di una sera o al massimo di qualche settimana. Era un percorso strano quello che avevo scelto, ma quella situazione mi faceva sentire viva e desiderata come un tempo, quando con tanta fatica avevo cercato di conquistare Stefano.
Chissà cosa era successo alla mia mente in tutto quel tempo trascorso? Non pensavo più a Stefano? Come mai? Ogni tanto riflettevo su quanto stava succedendo e su ciò che era successo e non mi capacitavo di tale cambiamento.
I miei genitori avevano intuito che non conducevo una vita irreprensibile. Sospettavano che mi drogassi e che uscissi con gente di malaffare. Mi vedevano raramente e, le poche volte che avevamo occasione di parlare, ero sempre scostante, irritata. Non sopportavo le loro continue critiche, le loro assillanti richieste. Le amiche, che avevano capito che vivevo stranamente, non si fidavano di me, considerandomi priva di scrupoli e di principi morali.
Facendo terapia, avevo conosciuto Michele, che frequentava percorsi terapeutici per altre motivazioni. Era un uomo dolce e comprensivo. Avevo iniziato con lui una frequentazione e, contemporaneamente, una cura a base di potenti ansiolitici. Michele era fiducioso e convinto che con il tempo sarei guarita ma, purtroppo per lui, dopo mesi di speranze, non era stato così. Ci frequentavamo ma, contemporaneamente, mi capitava sovente di conoscere altri uomini interessanti e di restare da questi affascinata. Così anche con Michele finì presto, forse ancora prima di cominciare veramente.
Il mio corpo e la mia mente non sarebbero mai appartenuti ad alcuno, perché il mio continuo desiderio si appagava solo nella ricerca di nuovi partner, di nuove conquiste. Gli uomini mi stancavano non appena intuivo che volevano legarsi e volevano condividere una quotidianità che per me, invece, era sacra e privata. Trascorsero alcuni anni; nonostante le cure però, la terapia non mi aveva migliorato e, avevo cominciato a rassegnarmi all'idea di rimanere sola, in altre parole, senza un compagno fisso. Stavo bene così, libera di frequentare chi volevo e nel modo in cui volevo. Non m'interessavano le continue critiche delle amiche e dei famigliari. Più il tempo passava e più mi convincevo che la mia vita mi piaceva così com'era e non c'era alcunché di sbagliato in ciò che facevo.
Annoiata e smaliziata iniziai a frequentare un certo Simone, un artista disoccupato, considerato da tutti, nel suo ambiente, un ribelle d'altri tempi. Era molto più vecchio di me e mi aveva spinto a frequentare alcuni ambienti particolari.
Simone era molto simile a me, molto più di quanto potessi immaginare, e scoprii che mi capiva forse più di ogni altro uomo che fino ad allora, avevo frequentato. Era uno spirito libero, anticonformista e originale in qualsiasi campo della vita, vita amorosa compresa.
Era naturale per lui frequentare altre donne mentre aveva una storia con me. Il nostro rapporto era libero e ognuno poteva fare quello che voleva, senza costrizioni, senza nessuna regola da rispettare. Incominciò piano piano, a propormi situazioni che coinvolgevano altri uomini o sovente, altre donne. Inizialmente non ero così convinta, ma non ci volle molto per persuadermi che la cosa poteva essere alquanto divertente ed eccitante.
Dopo alcuni anni riuscii finalmente a laurearmi e decisi di stabilirmi definitivamente a casa di Simone. Simone era diverso dagli altri uomini con i quali ero stata perché non sapeva cosa fosse la gelosia. Il fatto stesso che mi proponesse incontri con altri uomini da un lato mi destabilizzava e dall'altro mi eccitava enormemente.
La cosa bella era che da quando avevo iniziato a frequentare le case per scambisti ero molto felice e avevo trovato finalmente una certa serenità. Attendevo con ansia ogni domenica, quando, Simone ed io, ci recavamo in posti ogni volta, diversi, dove incontravamo i corpi lascivi e caldi di una miriade di sconosciuti.
Una domenica sera Simone mi fece una sorpresa e mi condusse in una villa fuori porta. Era isolata e sembrava disabitata. In realtà mi rivelò che il proprietario, un giovane molto ricco, la utilizzava solo per organizzare incontri notturni con donne bellissime, spesso straniere. Quella sera, si era spinto oltre e aveva preparato un party a luci rosse con prostitute e uomini di malaffare. Simone era stato invitato da un amico comune ma conosceva il proprietario per sentito dire, perché in quell'ambiente, dove il sesso era tutto, il nome del padrone di casa, era simbolo d'immoralità e di depravazione.
Non avevo mai partecipato a niente del genere fino a quel momento ed ero molto curiosa. Ricordo ancora l'esitazione mia e del mio compagno quando giungemmo nei pressi dell'abitazione, completamente avvolta nel verde lussureggiante d'alti pioppi e platani rigogliosi.
Percorso lentamente un lungo vialetto arrivammo al portone della villa. In stile liberty, sembrava l'entrata di una reggia d'altri tempi. Ci venne ad aprire un cameriere, un omino basso ed esile dall'accento orientale.
Ci condusse all'interno di un ampio salone arredato con il gusto e la raffinatezza tipiche dell'inizio secolo. Qui, adagiato comodamente su una poltrona, c'era il padrone di casa. Stava fumando qualcosa, probabilmente marijuana ed era di spalle. Sulle prime non ci rivolse la parola poi, si girò verso di noi lasciandomi a bocca aperta. Era nudo ed era avvolto in un lungo accappatoio di spugna color champagne. Si avvicinò a noi. Mi sorrise afferrandomi la mano e fissandomi con i suoi occhi scuri e grandi. Conoscevo bene quegli occhi, conoscevo bene quell'uomo e avevo scommesso con me stessa che non l'avrei mai più rivisto, che avevamo preso strade diverse, invece stranamente, era lì di fronte a me.
Mi sembrò tutto uguale, tutto come la sera di dieci anni prima, quando l'avevo incontrato, per la prima volta, sulla riva del fiume.

Giorgia Carrisi

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