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Autore: Antonio De Cristofaro
Cesare l'uomo che cambiò Roma
Romanzo Storico
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Cesare l'uomo che cambiò Roma
Ho inteso raccontare la storia di Gaio Giulio Cesare provando a mettermi nei suoi panni. Dopo avere letto la maggior parte delle opere relative alla figura dell'uomo che cambiò radicalmente il destino di Roma e dei romani, mi sono sentito pronto nel tentativo audace di pensare e agire come lui avrebbe fatto per raggiungere la gloria imperitura che egli anelò di raggiungere. Per la verità, non è stato affatto facile, però, ho ostinatamente inseguito il mio sogno. Partendo dall'episodio famoso della sua cattura da parte dei pirati che infestavano il Mediterraneo orientale, ho ripercorso tutta la sua vicenda umana, politica e militare fino alla sua tragica fine, di un uomo che ha lasciato una traccia indelebile nella storia del mondo occidentale. Se sono riuscito oppure no nell'ardua impresa di rendere fruibile la lettura a un pubblico di non addetti ai lavori, questo sta alla considerazione di chi leggerà e valuterà se questa storia romanzata del più grande uomo che Roma abbia mai espresso, valga la pena di essere letta e commentata. Certo la maggior parte dei lettori che affronteranno la lettura sanno per sommi capi cosa ha compiuto nella sua vita Cesare. La sua più grande impresa è senz'altro la conquista della Gallia. Riconosceranno senza dubbio la figura del loro capo più carismatico, Vercingetorige, però, forse non tutti sanno che egli aveva fatto parte dello Stato Maggiore dell'esercito di Cesare, parlava un discreto latino, e conosceva gli usi e i costumi dei romani, nonché Cesare stesso. Quando viene sconfitto depone le armi ai piedi del suo nemico aspettando da lui clemenza, non nel senso del suo perdono, ma nella certezza di ottenere una morte rapida per sé e compassione per i galli rimasti ancora in vita dopo il durissimo assedio, la sconfitta e la distruzione della città in cui si era asserragliato :Alesia. Nessuno ha riportato cosa si siano detti in quel frangente quando il capo gallo depone le armi ai piedi del vincitore. Io ho tentato di intessere un dialogo intercorso tra di loro prima che Cesare lo consegnasse nelle mani dei suoi legionari. Non solo mi sono inventato questo colloquio tra di loro nell'ora più buia per l'orgoglioso e indomabile principe gallo, ma ne ho inventato anche un altro, quando in occasione della celebrazione del suo trionfo a Roma, Cesare, dopo averlo visto sfilare curvo e affranto sotto il peso delle catene durante la sfilata dei trofei mostrati al popolo romano, decide di andare a fargli visita nel carcere in cui è tenuto prigioniero e incatenato, si commuove, e all'uscita, dopo il breve incontro con Vercingetorige, da ordine al capo delle guardie responsabile del carcere di porre fine alla sua vita nel modo più veloce e indolore possibile. Cesare assoggetta la Gallia Intera con una superficie doppia di quella italiana, donando al popolo e alla grandezza di Roma un territorio immenso, mai un generale romano aveva ottenuto tanto prima di lui. Ecco, si potrebbe dire che finalmente era riuscito a essere considerato il primo a Roma. Avrebbe ottenuto ciò per cui aveva sempre anelato per la sua gloria e quella della famiglia Giulia, discendente diretta da Iulo figlio di Enea, pertanto, direttamente collegata alla nascita di Roma, oltre al fatto che Enea, secondo la mitologia greca era figlio delle Dea Venere, così la sua famiglia vantava anche una discendenza divina. Tutto in Cesare era pervaso da questa intima convinzione: egli era destinato per forza di tali ascendenze a compiere grandissime imprese. Se non avesse avuto questa idea fissa in testa non avrebbe avuto il successo che ebbe nel compiere davvero ciò che era impensabile solo pensare. Cesare si identifica completamente nella città che gli ha dato i natali, che gli ha fornito gli strumenti per ergersi al di sopra di tutti: nemici e amici. Cesare è Roma e Roma è Cesare. Questa identificazione può sembrare iperbolica, ma non lo è a ben analizzare tutte le imprese e tutta vita trascorsa da Cesare nella incessante ricerca della gloria per se stesso e di Roma! Almeno questa è l'idea che io mi sono fatto leggendo e analizzando ciò che mi è riuscito di leggere prima di affrontare la stesura di questa mia storia romanzata del grande condottiero romano. Ovviamente, non è stato possibile scrivere tutto quello avrei voluto se non avessi avuto in mente di scrivere una storia adatta al grande pubblico, scevra da un linguaggio ampolloso e di difficile interpretazione. Si potrebbe pensare che su Cesare, su cui sono stati versati fiumi di inchiostro, non ci fosse ancora qualcosa da dire. Però, mettendomi nei panni di Cesare, usando un linguaggio semplice, diretto e scorrevole, nonché poco prolisso, spero di avere dato a chi volesse affrontare la lettura del mio libro, gli strumenti per approfondire la conoscenza di uno degli uomini che più hanno influito sul corso della storia susseguente alla sua opera e alla sua tragica morte. Cesare è tanto più grande quanto più si pensa agli avversari che ha dovuto affrontare, combattere e sconfiggere, sia in patria che all'estero. Si pensi solo a Pompeo Magno, Lucio Crasso a Roma, e a Vercingetorige in Gallia. All'inizio della sua ascesa politica a Roma, nessuno avrebbe scommesso un sesterzio su quel rampollo di una nobile famiglia patrizia romana decaduta, senza soldi né seguito tra il popolo degli elettori romani. Ma non avevano fatto i conti con l'abilità politica di Cesare né con la sua sottile astuzia, egli seppe servirsi in egual modo di amici e nemici per scalare i gradini del potere romano fino ad arrivare al consolato, cosa che da parte paterna non avveniva da quattro secoli. Quel giovane all'apparenza smidollato e dedico ai piaceri della carne, indebitato fino al collo, non destava sospetti ai potenti che si contendevano il potere a Roma. Però, a un occhio e un cervello acuto e preveggente come quello del dittatore Lucio Cornelio Silla, nonché del più grande oratore del Senato romano, Marco Tullio Cicerone, non era sfuggita la pericolosità di quel giovane solo all'apparenza innocuo, ma che nascondeva in sé uno smisurato orgoglio e una grandissima concezione del suo destino. Silla e i suoi seguaci se ne resero conto quando gli fu intimato di divorziare dalla moglie, Cornelia Cinna Minore, invisa al dittatore, e lui piuttosto che sottomettersi al diktat andò via da Roma pur di non venire meno al suo rapporto di amore e di fiducia verso la sposa che aveva scelto. Soffrì per quella scelta azzardata e pericolosa, però, alla fine l'ebbe vinta, e iniziò il suo cammino per diventare il rappresentante del ceto popolare che lo doveva portare al consolato e al raggiungimento del potere a Roma, a dispetto di tutto e di tutti! Mi soffermo brevemente sulla relazione tanta discussa e biasimata a Roma che Cesare, più che cinquantenne, intrattenne con la giovane ventenne Cleopatra, sorella del faraone Tolomeo XIII Filopatore, con cui doveva dividere il potere. Pertanto, si trovò impegolato in Egitto per una questione dinastica tra Cleopatra e il fratello, ne approfittò per assoggettare in modo definitivo l'Egitto a Roma, e per innamorarsi di una donna all'apparenza fragile e sottomessa, ma che in definitiva ebbe un grande ascendente sul duro generale romano, tanto da fargli rischiare di perdere tutto, onori e vita. Si salvò solo per pura fortuna, oppure, come Cerare pensava, per diretto intervento della Dea Venere sua protettrice in tutte le vicende che lo videro in pericolo di vita, e lo fu moltissime volte nella su travagliata, avventurosa e pericolosa vicenda umana. Si potrebbe dire che finché Cesare si trovò in pericolo suo malgrado la Dea lo soccorse, non poté fare nulla quando lui decise coscientemente di sfidare il fato, andando incontro ai rancorosi e invidiosi cospiratori, sfidandoli, se ne avessero avuto l'ardire e il coraggio, a porre fine alla vita del più grande dei romani. Cosa ne avrebbero ricavato uccidendolo, se non la perdita di tutto ciò per cui lui aveva combattuto, vinto e conquistato per Roma? Ovviamente, le considerazioni e ciò che faccio pensare a Cesare sono solo opera della mia immaginazione, non ci sono documenti che possano attestare ciò che io ho scritto mettendomi nei panni di Cesare, se non la mia idea che lui potesse pensare in quel modo e agire conseguentemente in quel preciso istante della sua vita. Del resto, credo che questa sia la cosa maggiormente interessante nel leggere una storia romanzata di un personaggio tanto conosciuto e studiato da più di duemila anni!

Antonio De Cristofaro

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