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Autore: Patrizia Poli
L'isola delle lepri
Romanzo Storico
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L'isola delle lepri
Nel 1242 le orde di Batu, nipote di Gengis Khan, dopo aver saccheggiato i territori della Russia, dell'Ucraina e della Polonia, dilagano in Ungheria. Sono cinquecentomila, a cavallo e feroci. L'armata di Bela IV, con ungari, croati, tedeschi e templari francesi, viene sconfitta. La famiglia reale si rifugia in Dalmazia. La regina sta per partorire e già si decide che il decimo figlio verrà donato a Dio. È un voto per la salvezza dell'Ungheria. - Per la liberazione del paese - dice il re. - Amen e così sia - risponde la regina che sul momento pensa al bene dei tanti figli che ha già.

Isola Margherita, 2015
- È un peccato che sia tutto così trascurato qui - dico a voce bassa. Le rovine sono in cattivo stato, erbacce e spazzatura invadono muri e pavimentazione, senza risparmiare le tombe che, tuttavia, mostrano i segni di un culto recente, con lumini accesi, immaginette e fiori ancora freschi. Decido che domani porterò qualcosa per ripulire la lapide dalle foglie cadute, sperando di non imbattermi ancora nel tizio che mi ha assillata con un tentativo di conversazione, per metà in inglese e per metà in tedesco, al quale ho opposto una strenua resistenza.
Le mie ricerche per un saggio storico ispirato alla vita di santa Margherita d'Ungheria si sono arenate al punto in cui, nel 1729, dopo una ricognizione delle reliquie, è sbucata fuori la copia del processo di canonizzazione. Nel frattempo, i resti della salma erano stati trasferiti al convento delle Clarisse di Presburgo nel 1618.
Sono all'impasse. Sì, da mesi butto giù pagine di appunti una dopo l'altra, faccio puntigliose ricerche in rete e in archivio, ma, per quanto riguarda la scrittura vera e propria, cincischio. Scrivo una frase poi la cancello, distillo due o tre righe il giorno, rileggo e modifico quello che ho già scritto. Succede perché sempre più ciò che studio è in contrasto con ciò che sento. Non è un'opinione personale sull'argomento la mia, piuttosto uno stato d'animo, un'insoddisfazione che, a mano a mano che procedo, diventa meno razionale. E più vado avanti, più sto male.
Ho lasciato la mia città, ho lasciato il mio editore, e sono venuta da sola sull'isola Margherita, un tempo chiamata Isola delle lepri, a visitare di persona la tomba della santa e a fare ricerche più approfondite per chiarirmi le idee.
Una folata di vento già autunnale spazza le foglie dalle sepolture e mi fa rabbrividire, istintivamente strappo alcuni fiori di tarassaco e li spargo sulla lapide.
Sto pensando a Giordano. Lo vedo seduto nella poltrona di cuoio dell'ufficio, con il nodo allentato della cravatta. Ha già smesso di sorridere, ha assunto la sua aria professionale per dirmi: - Sì, ok, vuoi persone e non personaggi ma, Maddalena, sei una storica e non fai eccezione, attieniti ai fatti, non m'interessa un romanzo, per quello ci sono gli altri editori. -
Vuol dirmi che non faccio eccezione nonostante sia la sua amante da qualche anno. Anzi, ormai potrei dire che lo ero. La passione se n'è andata, tiriamo avanti per abitudine, perché non sappiamo immaginare niente di diverso, né io né lui.
- No, se farò in modo che non accada, se non perderò di vista il metodo scientifico - ribatto.
L'editore Giordano Siniscalchi è famoso per le sue collane di saggi storici, in particolare medievali.
Giordano ha smesso di mandarmi i fiori, e anche di parlare di matrimonio. Quelle erano cose che mi diceva all'inizio, quando ancora pensavo che avrebbe lasciato la moglie, quando scrivevo i primi saggi che lui aveva il coraggio di pubblicare. “Non sono pronto per divorziare”, mi diceva, “ma poi vedrai... un giorno... ora i miei figli non sono pronti, ora mia moglie è depressa.”
I suoi figli oggi hanno anche loro dei figli e sua moglie fa la nonna compiaciuta e serena.
Guardo l'orologio. Fa più freddo a causa del vento serale, ma il buio è ancora lontano. È quell'ora particolare, subito prima del tramonto, quando i colori si stemperano e gli ultimi uccelli si alzano in un volo radente. Devo telefonare a mia madre, sistemare la roba nell'appartamento, farmi una doccia, dare da mangiare ad Ambra che è rimasta in auto nel parcheggio. Devo organizzare il lavoro di ricerca per domani. Invece mi siedo sul muretto, scostando dei lumini ormai spenti, stringo lo zaino fra le ginocchia, respiro forte con la bocca sentendomi ghiacciare pian piano la gola. Che cos'è la vita, mi chiedo. La vita è vivere e non farsi tanti problemi, direbbe Giordano, poi cambierebbe subito discorso.
Provo a immaginarmi la santa, magra e incurvata dalle privazioni. Si dice che, alla sua morte, il fetore che emanava si fosse trasformato in profumo di rose. Eppure, adesso, seduta vicino a questa tomba di marmo rosso, non vedo il corpo rattrappito e precocemente invecchiato, vedo solo occhi coraggiosi che sfidano il mondo.

Ungheria 1242

- Rimuovo la macchia del peccato originale, ti accolgo nella comunità cristiana, ti battezzo con il nome di Margit, che tu abbia a essere una preziosa margherita di virtù, degno presente da offrirsi al Re del Paradiso. -
Il vescovo si voltò verso i convenuti, fece un cenno alla madrina. Olimpiade, la suora contessa venuta dalla lontana Grecia, gli mostrò il capo della bambina. La piccola, avvolta in vesti preziose, rimase immobile, spalancò soltanto gli occhi e li tenne aperti senza piangere, come se non avvertisse il liquido bagnare i radi capelli castani nella fredda navata della cattedrale.
In quel momento, lutto e letizia si alternavano nel cuore della madre, la regina Maria Lascaris, che osservava in disparte, tenendo la propria mano posata su quella del re. Mentre lei si mangiava con gli occhi la creaturina neonata, lo sguardo di suo marito, invece, vagava distratto, seguendo lo slancio verticale dei pilastri della chiesa, gli archi a sesto acuto e le volte a crociera. Ogni tanto si posava infastidito su qualche dignitario assonnato, su qualche dama che faceva ondeggiare il falcone legato al polso persino a messa, su ricchi mercanti impellicciati, su alti prelati, sul vescovo che officiava la cerimonia senza partecipazione e sul coro che intonava svogliatamente gli inni.
Il giorno era sorto, nebbioso, l'umidità intrideva le vesti ricamate con perle e decorate con galloni d'oro e d'argento, penetrando fino alle ossa. Incenso e candele accese affumicavano l'aria facendo tossire i dignitari, che di nascosto si sfregavano le mani per riscaldarle.
Il battesimo dell'ennesima figlia del re non era più un evento e tutti vi partecipavano solo per dovere e di fretta. Il tempo stava diventando un lusso persino per dei cortigiani oziosi.
- È così tenera, così minuta, non voglio perderla... come faremo quando verrà il momento? - mormorò la regina. Si asciugò una lacrima, poi giunse le mani e provò a concentrarsi nella preghiera, rivolgendo uno sguardo supplice all'immagine della madre di Dio.
Il re le lanciò un'occhiata infastidita. - Ora non è il caso di pensarci, mia regina, offriamo piuttosto un ringraziamento al Signore e pensiamo al bene del popolo. Dovremmo fortificare tutto il Danubio, scriverò al papa in proposito... -
Maria Lascaris non lo ascoltava. Se le sue dita rimasero devotamente intrecciate nella preghiera, il suo cuore, sommerso da un'onda di affetto materno, si slanciò verso la figlia, che sembrava ancora più minuscola e fragile in mezzo alle grandi volte, alle colonne che trasportavano lo sguardo in alto, verso l'immensità del trascendente. Sua figlia sarebbe cresciuta in quell'odore di sego e cera liquefatta, in quel fruscio di vesti talari tutte uguali, fra quei canti solenni e lugubri. Gli unici colori sarebbero appartenuti alle vetrate e ai rosoni, l'unica musica sarebbe uscita dalle bocche dei monaci seduti nel coro o dalle monache in piedi nelle navate.
La piccola Margit era l'ultima di dieci figli, nata pochi mesi dopo la morte di una sorella che portava il suo nome e che era già quasi una ragazza quando si era spenta tragicamente. Maria aveva avuto grande affetto per la Margit defunta e un dolore cupo e sordo l'aveva invasa alla sua morte, dilagando nelle viscere già pregne, infettandole. Forse per quel motivo la bambina era nata piccina e sgraziata. Maria pensò che sarebbe stato meglio non affezionarsi, perché i figli potevano morire com'era morta la sua ragazza, perché lei aveva già prole a sufficienza, e perché questa nuova Margit era stata votata a Dio con il suo consenso. Lei non poteva ritirare la parola data al consorte e a quel Dio in cui tanto confidava, che li aveva salvati nel momento del bisogno.
Ma può un Dio toglierti una ragazza nel fiore degli anni? Può obbligarti ad abbandonare in convento il sangue del tuo sangue? No, non bisognava mai porsi domande come quelle, era peccato, la vita le aveva già dato molto più che a qualunque altra donna e poteva solo ringraziare il Signore per questo. Era nata da Teodoro, imperatore di Nicea, e da Anna Comnena, era cresciuta nel lusso e nella raffinatezza, circondata da mosaici, icone, sete e oggetti preziosi. Aveva sposato Bela IV, un uomo prestante e capace, un re giusto che voleva il bene dei suoi sudditi. Dio li aveva protetti quando i Tartari avevano invaso l'Ungheria distruggendo e saccheggiando tutto quello che incontravano sul loro cammino, lasciandosi alle spalle villaggi incendiati e monasteri devastati. Sì, Dio li aveva preservati e di lì a breve avrebbe chiesto in cambio il suo pegno, tanto a lei restavano altri figli, fra cui il dolce e bellissimo Stefano, che già le appariva destinato a grandi cose. Meglio scacciare i brutti pensieri, meglio soffocare il dolore per la perdita della figlia maggiore e non preoccuparsi di ciò che sarebbe accaduto all'ultima nata, meglio vivere solo il presente. Per il momento aveva ancora qualche anno per godersi la piccola, questa margheritina che sembrava non aver paura di niente, e guardare tutto con distacco.

Alzò gli occhi su un quadro rappresentante l'icona della vergine. - Madre divina - mormorò, - raccomando a te la mia bambina, la mia margherita innocente, fa' che non abbia a soffrire per i miei errori. -

Patrizia Poli

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