Prologo Alle cinque del pomeriggio la luce si affacciò alla finestra a forma di ferro di cavallo di una vecchia mansarda in via San Andrés, a Madrid. Era l'orario di uscita da scuola dei bambini. Grida di allegria, rotelle di zainetti che saltavano sui lastricati rovinati, pacchetti di patatine che si aprivano scoppiettando allegramente, così come farebbero le bolle di sapone se non fossero tanto timide e se osassero cantare. Nella mansarda, su un lettino con una testiera amorfa, dormiva un album da disegno di cui l'angolo inferiore portava i segni dell'ultimo pomeriggio autunnale: una macchia di cioccolata calda. Alle 5:15, uno dei raggi che sbirciavano dalla finestra fece una di quelle cose che succedono solo quando nessuno sta guardando. Spalancò gli occhi, guardò da una parta e dall'altra, e strisciò sulla parete per addentrarsi discretamente nella stanza. Salì fino al tetto e si collocò proprio sopra il quaderno. Silenzio, molto silenzio. Un paio di battiti di ciglia. Sospiro. Il raggio si gonfiò, prendendo tutta l'aria che poté, riempiendo le guance e trattenendo il respiro. Poi si lasciò cadere in picchiata, alzando scintille al passaggio. I granelli di polvere brillavano come lucciole mentre il quaderno si arrendeva, aprendo lentamente la copertina per mostrare la prima pagina. Amaranta non lo sa, ma fu così, in questo strano modo, che tutti potemmo conoscere per filo e per segno la sua straordinaria storia.
1. Io e la mia famiglia (a 8 anni e mezzo) Tutti quanti abbiamo un parente che la sa lunga sulla vita e che pensa che con un elemento semplice si possa imparare a stare in casa felici e senza lamentarsi quando fuori non smette di piovere. Io ho la zia Marita, e qualche tempo fa mi regalò il mio elemento semplice. È un quaderno senza righe né quadretti, senza niente, tutto bianco. Me lo portò avvolto in una pagina di giornale con un laccetto sfilacciato, la zia Marita è così. Quando me lo diede e io alzai verso di lei i miei enormi occhi a forma di goccia, ricevetti automaticamente la risposta alla mia muta domanda: - Il valore non sta nell'oggetto - disse - ma in ciò che fai con esso. È una questione di creatività e capacità di essere originale. - Nella mia famiglia, creativi e originali lo siamo un bel po'. E chi non ci crede, venga pure a vedere. Come dice la nonna, a buon intenditore poche parole, quindi ecco la mia. Quando avevo cinque anni volevo essere una principessa, ma proprio PRIN-CI-PES-SA, con tutte le lettere maiuscole e tutto ciò che una principessa deve avere, tra cui, ovviamente, un letto con una testiera a forma di corona. Vedendo che i giorni passavano e la mia famiglia era creativa e originale ma poco sveglia quando si trattava di captare l'evidenza, disegnai per bene quello che volevo. Con il progetto in mano, entrai in cucina. Papà leggeva il giornale e teneva nella mano sinistra la sua tazza di caffè. Lasciai il disegno sul tavolo e basta. Poco dopo ebbi la mia testiera... Fu proprio allora che cominciarono tutti i problemi. Ma questo ve lo racconterò più tardi, adesso torniamo al regalo. Se a cinque anni ero già capace di disegnare la mia testiera, era chiaro che avrei trovato qualcosa da fare a otto anni (e sei mesi) con il quaderno che mi aveva regalato la zia Marita. Dopo averci pensato un po' su, decisi che avrei fatto una versione illustrata della mia autobiografia, cominciando dall'inizio, perché la nonna dice che è da lì che deve cominciare tutta la storia. La mia testa è come una grande palla. Rotonda, è ovvio. Ma non della rotondità che hanno di solito le teste dei bambini, proprio no. La mia testa è completamente, assolutamente e decisamente rotonda. La cosa né mi piace né mi dispiace, non mi fa né caldo né freddo, semplicemente è così. I miei capelli... ahi, ahi, i miei capelli sono metamorfici. Una parola molto strana che significa che cambiano radicalmente forma senza che nessuno sappia perché. Quando incominciai la mia autobiografia, avevo una massa incontrollabile di ricci anarchici sparati in tutte le direzioni possibili. Il metamorfico me lo ha spiegato un giorno mamma, ma l'anarchico, beh, so che i miei capelli sono così perché è quello che dice papà ogni volta che gli tocca pettinarmi. I miei occhi sono come due gocce enormi, e quando dico enormi mi riferisco a gigantesche. Una volta pensavo che sarebbe stato meglio se non fossero stati così grandi, soprattutto perché sotto ogni occhio avevo sempre le borse. Non da passeggio né da mare, ma da insonnia. Proprio così, si possono avere le borse da insonnia. Tutte le mattine mi svegliavo con delle macchie da panda sotto gli occhi e papà diceva: - Che occhiaie ha la mia bambina! - Il poveretto riceveva sempre qualche gomitata dalla nonna o da mamma. Poi i grandi cominciavano a parlare a voce bassa, che secondo loro non si sente. Dicevano qualcosa su complessi e altre cose strane. Non mi sono mai disturbata a chiedere a cosa si riferivano perché sapevo che, di sicuro, era qualcosa di molto noioso.
2. Sull'abbigliamento e la democrazia Dopo aver detto come sono, forse dovrei spiegare quando e dove sono nata, ma tanto nelle autobiografie ognuno racconta quello che gli passa per la testa, lo so perché un giorno ho sentito che mamma lo diceva. E quindi adesso parlerò di abbigliamento e di ciò che è e di ciò che non è la democrazia. Secondo quello che mi ha spiegato papà, la democrazia è quando tutti possiamo esprimere la nostra opinione e scegliere. A casa mia questo succede a volte sì, ma altre volte no. Ecco qualche esempio. Cominciamo dal mio vestito preferito, un regalo di mamma migliorato dalla nonna. Quando mamma lo portò a casa era azzurro, un po' corto, senza nulla che lo rendesse speciale. Secondo la nonna era un vestito fin troppo noioso per una bambina come me, quindi andò in merceria a comprare della stoffa viola, ritagliò una X enorme e poi la cucì sul vestito (un chiaro esempio di democrazia, perché poté esprimersi, e la sua opinione contò). Io rimasi molto contenta perché la nonna, come sempre, aveva ragione. Il vestito era molto meglio con la X al centro. Allora arrivò il momento in cui anche io volli dare la mia opinione. Chiesi una calzamaglia a righe colorate, non vi sembra un ottimo accessorio? Secondo la nonna dovevo indossarla se volevo. Secondo la mamma: - non perché sia una bambina, Amaranta deve andare in giro conciata come un pagliaccio - . La zia Marita disse che nella vita la soluzione migliore è il “virtuoso termine medio”. Risultato? Ci fu democrazia per tutti tranne che per me. I grandi si misero a parlare senza sosta e non ci fu spazio per la mia opinione, per questo indosso una calzamaglia a righe bianche e nere, “divertente ed elegante allo stesso tempo”, secondo mamma, “virtuoso termine medio” secondo la zia Marita. Cosa volete che vi dica? Io l'avrei preferita colorata.
3. La mia stanza Papà fece del suo meglio con la testiera, sebbene ci voglia un bel po' di immaginazione per capire che è una corona. Ma va bene così: è la mia stanza e a me piace. Sulla testiera ci sono delle stelline fighissime di porporina che feci quando terminò tutto quello che successe, insomma, quando accadde ciò che c'è alla fine della mia autobiografia, cioè, quando terminò l'avventura. Ma ci arriveremo più tardi. Oltre alla testiera e alle stelle, ho un tappeto a quadri colorati e un poster con i rospi che mi ha regalato zia Marita l'anno scorso. In realtà, per raccontare le cose come stanno, dovrei dire che me l'ha regalato quella frustrata della zia Marita, perché da quel giorno è così che la chiama papà. Sul poster ci sono due rospetti, uno normale e l'altro principe. La zia mi ha detto di guardarlo tutti i giorni con attenzione, e io lo faccio. Lo guardo dal letto, osservo bene la corona, i musetti, le zampette... Il giorno in cui me lo diede mi raccomandò di osservare e di imparare, così che quando sarò grande non abbia la tentazione di baciare chissà quali rospi che non si trasformano mai in principi. Io non ci capivo niente, mia zia stava per spiegarmi tutto, quando papà le disse che era una frustrata e che le facesse il favore di smetterla. Fu proprio allora quando si aggiudicò per sempre quell'appellativo, come dice la nonna. Devo dire che la mia stanza è perfetta, ma con un chiarimento, è perfetta di giorno, perché di notte... Ecco un'altra cosa che è cambiata. Adesso è perfetta anche di notte, ma quando cominciai la mia autobiografia succedeva sempre questo: - Aaaaaaaah, nooooo, nooooo! (urlo sguaiato) - Ogni notte. Le mie stesse urla non mi permettevano di sentire il rumore dei piedi scalzi di papà e mamma che correvano verso la mia stanza. Non potevo vedere la luce della luna che filtrava dalla finestra spezzando l'oscurità, illuminando una grata argentata sul pavimento di legno. La lampada si accendeva mentre le lacrime si accumulavano nelle mie palpebre inferiori, che crescevano e crescevano come fossero sacchi sul punto di esplodere. I miei occhi si riempivano di lacrime ostinate che si rifiutavano di cadere. Ammucchiate nelle palpebre, si spingevano tra di loro, abbracciandosi con mani e gambe alle ciglia. Resistevano finché qualcuna si arrendeva e cadeva nel vuoto, allora tutte le altre saltavano a frotte. Cadevano sempre con così tanta fretta che subito papà e mamma cominciavano a muovere le dita dei piedi come se al posto delle dita ci fossero dei pesciolini. - Amaranta, piccola, tranquilla. Respira - diceva uno dei due. - Era solo un incubo - diceva l'altro. - No, è qui! È sotto il letto - gridavo io terrorizzata. Papà e mamma cercavano, guardavano sotto il letto, ma non trovavano mai niente. Vi posso assicurare che cercavano bene, ma quello che entrava nella mia stanza di notte aveva imparato ad essere più furbo e più veloce di chiunque altro. Si nascondeva proprio nel momento in cui accendevano la luce...
Marta Faë
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