Inaspettato “Capitano incidenti anche nelle migliori famiglie”. (Charles Dickens)
Gli ampi occhiali da sole vorrebbero celare la felicità che illumina il volto di Bianca, ma quell'eccitazione si nota e i viandanti, d'impulso, le sorridono. Certo, una cosa così bella non si può contenere, pensa Bianca incrociando quei sorrisi. Dopo tanti tentativi falliti, aspetta un bambino. Il test lo ha fatto quella mattina e nel dubbio ne ha fatti altri due, di marche differenti. Tutti e tre sono positivi. Allora ha telefonato a Nicola, non potendo attendere la sera. Nicola, appresa la novità, ha risposto con la voce incrinata dall'emozione: - Mio Dio, sono troppo felice, un figlio! Andiamo a festeggiare, prenoto un tavolo per cena, ma non ti dico dove, è una sorpresa. Fatti bella! - . Le scarpe basse e morbide che ha indossato rilanciano il suo passo teso e Bianca si districa tra la folla sfiorando i corpi intorno a lei come una ballerina. In cerca di un vestito per la sera ha studiato tutte le ve-trine che ha incontrato, perché un vestito allegro e colorato è il modo giusto per festeggiare. Sono le sei del pomeriggio e lo ha trovato; è nella busta che pende dalla sua mano e si muove al ritmo dei suoi passi, come fosse un accessorio di scena. Bianca si avvia per rientrare a casa e prende la sua scorciatoia preferita, quella tra i vicoli stretti e un poco bui, dove i palazzi antichi celano le loro bellezze. La stradina è disseminata di buche e sampietrini sconnessi, ma lei, incurante, cammina veloce, sicura delle sue scarpette morbide, mentre con gli occhi osserva...
La damigiana rossa
“I complessi, le ossessioni, le nevrosi di cui soffrono gli adulti hanno la loro radice nel passato familiare; i genitori che hanno i loro conflitti, i loro problemi, i loro drammi, sono la compagnia meno desiderabile per il bambino” (Simone De Beauvoir)
Il nonno ha detto: - Gino vai in cantina a prendere la damigiana ros¬sa, quella piccola che sta dietro le bottiglie, e portati la torcia, la luce è rotta! - . La finestrella, che da sopra la porta della cantina permette all'aria di entrare, illumina solo i primi tre scalini e Gino, fermo sul primo, os¬serva il buio che vuole inghiottirlo. Ha trovato solo la torcia piccola che stringe nella mano sudata. Il buco cupo gli ricorda il lungo corridoio di casa e gli occhi restano fissi nel nero, mentre lo stomaco, contratto come se un punteruolo lo stesse bucando, lancia il suo grido di paura. Gino teme l'Ombra celata nel buio, a tal punto che i piedi sono incollati al pavimento e le gambe lanciano irrefrenabili segnali di volersi accasciare. - Se ci fosse qualcuno qui con te sarebbe tutto diverso - gli sussurra una vocina nella testa. Alcune gocce di pipì gli bagnano le mutande: - No, per favore, non come a casa! - risponde a quella vocina. A casa sua Gino la notte si alza quattro o cinque volte per andare in bagno. Dalla sua camera basta girare a destra, il bagno è proprio lì, ma dalla sinistra incombe il lungo tunnel del corridoio, dal quale aleggiano Ombre nere e minacciose. Lo stimolo a orinare lo costringe ad alzarsi e, oppresso dal timore delle Ombre, ogni notte si chiede cosa ci trovino di tanto bello i suoi genitori in quella casa paurosa.
Io sono, tu sei, egli è
“La vera solitudine è vivere tra tutte quelle persone gentili cheti chiedono solo di fingere” (Edith Wharton)
Il respiro di Carmen alita impercettibile e gli occhi faticano a fissare gli oggetti. Seduta sul suo letto cerca di ritrovare i colori intorno a sé, ma le appare impossibile riuscirci. Ancora una volta le parole della madre l'hanno trasportata in quel mondo velato, lì dove i pensieri si perdono in bolle di fumo bianco. Vagando in quel luogo la sua esistenza diviene vuota e lei si smarrisce, spaventata dal timore di avere la mente malata. Per reagire Carmen è costretta a pizzicare le sue carni fino a farsi male e quel dolore vero, reale, che lascia lividi sulla pelle, le permette di ritrovare i colori delle cose. Respira a lungo prima di alzarsi, poi si ravvia i capelli con una mano, passa i palmi sul viso come a voler distendere un lenzuolo sul letto e si avvia a portare la cena al padre. La cucina è vuota, la madre se n'è andata nella sua stanza e chiudendosi dentro ha sbattuto la porta. Significa che non vuole essere disturbata. Carmen raggiunge il padre a piccoli passi, portando il vassoio con la ciotola di minestra calda poggiata nel mezzo. Lui è silenzioso, come sempre, seduto nella sedia a rotelle e guarda il buio della sera dalla finestra chiusa. - Ciao papà, come è andata la giornata? - . Non riceve risposta, ma non c'è nulla di strano in questo. Lui non può più parlare né muoversi da quando è caduto da quel maledetto dirupo. E tutto per riprendere la borsa della madre che era volata laggiù. La vita è assurda, aveva pensato quella sera in ospedale, mentre lui lottava tra la vita e la morte e la madre era seduta su una sedia, immobile e senza parlare. Le aveva chiesto come fossero andate le cose, ma lei non aveva dato particolari: - Tuo padre ha voluto riprendere la mia borsa, per non dover rifare i documenti e il bancomat - . Carmen non ce lo vedeva a calarsi laggiù, eppure lo aveva fatto. Ma ormai era acqua passata e quella sedia con le ruote era ciò che rima¬neva di lui. Una pianta in vaso, così lo vede Carmen e ogni giorno prova pena per lui. Una pianta dovrebbe stare in giardino, aveva detto Carmen, ma la madre le aveva risposto che la sala del pianterreno era per tutti e non poteva essere solo del padre.
Il dubbio di Agnese
I parenti son come le scarpe: più sono stretti più fanno male” Proverbio
Domenica mattina Agnese cerca un motivo per non uscire, ma non lo trova, allora prende l'ansiolitico che assume da quando è morto il padre, indossa la camicia di seta rosa antico e il tailleur grigio pallido e scopre che è diventato largo. Al collo mette il filo di perle e ai piedi le scarpe con il cinturino alla caviglia. Guardandosi allo specchio prova a fare qualche sorriso, ma le sembrano tutti inutili e poco spontanei. Esita a uscire e si arrotola i capelli con un dito, come fa fin da bambina. Allora toglie e infila le scarpe due volte, per assicurarsi che i piedi non stiano scomodi, ma ammette con rammarico che così non è. Sono sei mesi che Agnese evita quel pranzo in famiglia, ma sa che un ulteriore rifiuto darebbe motivo a critiche e pettegolezzi. Le zie sono fatte così. Sentendo la pendola dell'ingresso scandire il mezzogiorno si rassegna al momento di uscire e di sottoporsi alla valutazione delle zie Ruggeri. Oltre a Delia e Dalila, le zie, trova ad attenderla anche il cugino Dario, con la moglie e i due figli. Il cugino è un uomo alto e belloccio che ama vestire in modo elegante, con scarpe firmate, orologio d'oro al polso ed è sempre alla guida di macchine costose. La moglie, in tutto simile a lui, indossa abiti di sartoria, strepitosi tacchi a spillo e frequenta il parrucchiere a giorni alterni. Oggi sfoggia una preziosa collana e due orecchini con i diamanti e Agnese, salutandola, si chiede di sfuggita dove prendano i soldi per potersi permettere quel tenore di vita, ma non ricorda che lavoro faccia il cugino. Dopo pranzo, seduti in giardino a prendere il caffè, Agnese diviene il centro dell'attenzione. La zia Delia, con in braccio il gatto persiano bianco, assume il compito di condurre la conversazione e, circondando la nipote di affettuose attenzioni, indirizza le domande di tutti. Le richieste diventano incalzanti e vieppiù dettagliate e Agnese, sorpresa dalla premurosità dei parenti, racconta di essere sempre stanca e che no, non è fidanzata e rassicura i familiari che l'azienda è in buona salute. Quando si accorge che, nonostante le sue risposte, gli occhi strabici della zia Dalila sembrano guardarla con astio, desidera fuggire da quella casa. Non si guarda così una nipote. O forse sta guardando la moglie di Dario? pensa impaurita chiedendo che venga chiamato un tassì. Il cugino Da¬rio, vedendola pallida, si offre di accompagnarla e, dopo un attimo di esitazione, Agnese accetta. È la prima volta che Dario si mostra gentile con lei e accettando l'offerta Agnese supera quel senso di diffidenza che fin da piccola ha nutrito verso il cugino.
Sabina Moretti
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