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Autore: Michela Arancino
L'amore che non conosco
Romance
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L'amore che non conosco
Non so se al mondo esista qualcosa di più bello, perdersi in quello sguardo in un mescolarsi continuo di verde e azzurro, osservando ogni movimento quasi impercettibile del tuo viso, nutrendomi di ogni emozione che provi e mi fai sentire.
Solo tu.
Lontani dal tempo, quando i nostri occhi si incrociano. Lontani dal mondo sentendo il cuore che batte in modo folle. Ci siamo solo io e te. Eppure, a un tratto, arriva l'oscurità, quella che si cela nel fondo del mio cuore e che, prepotente, vorrebbe tornare a galla. E io cerco di ricacciare indietro il mostro che c'è dentro di me.
Non è stata la vita a farmi diventare un'anima oscura, io sono nata così. E mi rendo conto che, appena tu ti allontani da me, quel mostro cerca di risalire in superficie. Mi ricordo quando ho iniziato a sentirlo che si faceva spazio tra le lacrime e la malinconia. Il mostro che sarò sempre quando il tuo sguardo si volgerà lontano, il mostro che tu non vuoi vedere in me.
Il tuo sguardo, ogni volta, è la mia redenzione, quel pezzo di paradiso che sento di non meritare. Perché tu mi hai dato un posto in questo mondo quando sentivo di non averlo, di essere sola in quell'oscuro mondo malinconico interiore della mia follia. Invece tu sfiori lentamente le mie mani portandomi in un mondo a me sconosciuto. E sento l'elettricità che attraversa il corpo del mio mostro interiore che vorrebbe urlarti che non puoi cambiarmi. Tu mi tieni in bilico tra il mondo e la fantasia mentre le tue labbra sfiorano le mie e il tuo sapore si mischia al mio. Le tue mani scendono alla mia vita per stringere il mio corpo al tuo, come fusi insieme ma il mostro torna a galla chiedendomi di farti male. Allora io mi stacco
da te, cerco di allontanarti ma tu mi afferri per riportarmi nella luce. Il tuo corpo caldo si stringe al mio e i tuoi capelli rosso scuro, colpiti dal sole, sembrano quasi biondi. Vorrei tanto che questo mostro morisse ma è sempre più forte e non posso scappare da ciò che sono diventata. Per un momento mi abbandono alla luce del meraviglioso angelo che mi stringe a sé. Ma quel bastardo mi conosce bene e mi sussurra di ferirti. Quel mostro ormai è mio amico, da un senso al dolore che sento nella mia mente. Sa che tu vuoi provare a salvarmi, invece dovresti solo accettare la mia pazzia. Ti spingo lontano da me e scappo via prima di farti del male. Un angelo non può amare un demone.
Mi perdo tra i vicoli mentre la luce inizia a lasciare il posto alle tenebre.
Sono davanti alla porta scura, voglio entrare e il demone dietro l'uscio mi accoglie nella sua oscurità. Nel buio riecheggiano le urla e un nauseante odore di carne bruciata. Il mio mostro si è svegliato.
Mi avvio sul fondo del corridoio illuminato solo da qualche candela. Sul mio viso aleggia il sorriso demoniaco della soddisfazione. Il corpo di una bellissima ragazza bionda legata a una croce di Sant'Andrea in pelle rossa, completamente nuda, in attesa di qualcuno che dia voce al suo dolore, al suo bisogno. I tuoi occhi mi appaiono davanti per un istante come fossero una visione facendomi esitare ma afferro una lunga asta di ferro, molto sottile e cedevole. Surriscaldo la punta sulla fiamma di una candela blu alla mia destra e poi la poggio decisa sulla pelle bianca, proprio sotto il
seno sinistro della ragazza bionda. Lei urla e inizia a piangere e io mi sento riempire di soddisfazione, la mia mente esplode mentre ripeto la tortura altre mille volte. Afferro un bisturi nuovo, lo scarto delicatamente senza farmi confondere dalle urla della giovane bionda. Solo un altro pezzo di carne di cui non importa niente a nessuno.
È stata lei a offrirsi volontaria, nessuno la obbliga a condividere questa oscenità e sa bene che, una volta legata, non esistono parole di sicurezza per farsi liberare. Qui siamo nel luogo più fetido, perverso e malsano del mondo. Le passo il bisturi delicatamente lungo tutto il torace, dal collo, passando tra i seni fin sotto l'ombelico tra i suoi singhiozzi e le suppliche assolutamente inutili. Il bisturi va saputo usare e io non voglio ucciderla, solo incidere la pelle superficialmente. Le sue urla sono un balsamo per la bestia che vive dentro di me.
La lascio li, a sanguinare. Tanto qualcuno andrà ad aiutarla. Qui nessuno deve rimetterci la vita. Ma non credo la rivedrò.
Esco da una porta posteriore che il proprietario riserva per quelli come me. La luce del lampione quasi mi ferisce ma anche la città ormai è tra le tenebre. Si consumeranno stupri e omicidi a causa di mostri ben peggiori di me ma non voglio rinnegare ciò che sono. Solo tu mi fai vacillare. In quell'attimo cerchi di demolire il mostro ma lui è troppo forte.
Apro la porta di casa, la luce fioca della televisione illumina il tuo corpo seminudo. Sei sdraiato, occhi chiusi, i jeans neri a vita bassa fasciano le tue cosce mostrandomi la linea perfetta del muscolo. Il torace sale e scende, armoniosamente scolpito, morbido e con un lievissimo accenno di peluria. Il braccio destro poggia a peso morto sopra l'ombelico mentre la mano sinistra penzola svogliata dal divano. Le tue mani sono grandi e delicate, quando mi prendi per il viso per baciarmi mi coprono quasi per metà. Il tuo collo è lungo, invitante per i miei baci. Il tuo viso somiglia a quello di un angelo, labbra strette ma rosee e dolci, il tuo naso invece sembra disegnare un triangolo perfetto sul tuo volto, le dolcissime rughe d'espressione intorno agli occhi, perché sorridi sempre, si accompagnano con quelle della fronte alta e delicata. Potrei restare sulla porta a osservarti per ore. Sento una feroce fitta al cuore se penso al male che potrei farti.
Immagino sempre più spesso un dolcissimo rivolo di sangue rosso acceso che ti scorre lungo il petto. Un fremito anima il mio corpo e nemmeno io so il perché. I tuoi occhi si aprono svogliatamente, il mio cuore aumenta il battito quando il riflesso della tv li fa brillare, socchiusi.
“Ma dove sei stata? E che ci fai sulla porta?”
La tua voce assonnata, profonda, riporta in vita quel poco di umanità che mi resta. So che questa domanda porterà a una nuova discussione e so che un giorno te ne andrai perché scoprirai chi sono davvero, ma non oggi, supplico la bestia di tacere.
“Avevo voglia di camminare, mi aiuta a rilassarmi, lo sai. Sono ancora sulla porta perché ti stavo guardando, stavo pensando a quanto sei bello.”
Ti alzi e vieni verso di me, le tue mani mi stringono forte contro il tuo corpo, le tue labbra assaggiano le mie. Io ti afferro per la vita e ti stringo ancora più forte a me. Il tuo respiro cambia, è più veloce e profondo. Le mie mani ti accarezzano da collo sino ai jeans lentamente, lascive. Il tuo corpo è perfetto, sembra stato disegnato da madre natura per farmi impazzire. Inizio a sbottonarti i jeans mentre le nostre lingue si accarezzano ma tu non sei ancora soddisfatto delle mie risposte. Mi sposti la mano, poi poggi le tue sul mio viso guardandomi fisso negli occhi, serio.
“Dove sei stata? Per davvero stavolta...”
“Temi che io ti tradisca?”
“No, odoreresti di sesso e di qualcun altro.”
“Allora cosa non ti convince?”
“La macchia di sangue che hai sulla scarpa.”
Mi gelo all'istante, abbasso lo sguardo e capisco che non sta mentendo.
“Eva, non è la prima volta, ma adesso la cosa inizia a preoccuparmi.”
“Thomas non è il momento di parlarne.”
“Lo è invece perché non so se c'è qualcuno che ti fa del male o se sei tu che lo fai a qualcuno.”
La sua voce è profonda, preoccupata. Non ho più il coraggio di guardarlo negli occhi perché le mie colpe iniziano a pesare su di lui.
“Eva, ti prego, non lasciarmi fuori un'altra volta.”
“Non puoi essere come tutti quei fidanzati che non notano nemmeno un cambio d'abito?”
“Mi avresti amato lo stesso? Sempre se mi ami davvero.”
Torna a sedersi sul divano, si passa nervosamente le mani tra i capelli mossi e io mi sento morire dentro. È convinto che io non lo ami. Vado a sedermi accanto a lui e prendo una sua mano tra le mie. È così grande, con dita lunghe e perfette, la pelle morbida e liscia, quasi di seta.
“Credi davvero che io non ti ami?”
“Sì, ormai ne sono convinto ma io ti amo troppo per andare via.”
“Forse ho solo paura che la verità ti faccia scappare. Perché io ti amo, credimi, ho solo paura che mi lasci qui da sola.”
“Sopporterei qualsiasi cosa per te.”
“Piccolo mio, credimi, ci sono casseforti che non andrebbero mai aperte.”
“Ok, me ne torno a casa, ho sbagliato ad aspettarti qui e continuo a
sbagliare sperando che tu voglia davvero stare con me.”
Si infila la maglietta e prende la giacca, si avvia verso la porta ma lo
prendo per un braccio facendolo cadere seduto sul divano a peso morto.
Mi metto a cavalcioni su di lui e lo guardo fisso negli occhi.
“Tu meriti molto di più di quello che io ti posso dare, meriti una donna che non abbia paura di raccontarti quanta oscurità c'è nella sua anima e nel suo cuore. Io non sono adatta a te, tu sei un angelo e io sono il peggiore dei demoni che camminano su questo mondo, ma la verità è che non riesco a fare a meno di te e non voglio lasciarti andare.”
I suoi occhi sono un oceano pieno di amore e tempesta, non posso resistere a questa bruciante passione che mi provoca ma mi afferra il viso con le mani guardandomi malinconico.

Michela Arancino

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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